N. 47 SENTENZA 17 gennaio - 2 febbraio 1991

 
 
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 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Costituzione   della   Repubblica   italiana-   Referendum  popolare-
 Richieste- Norme per la elezione del Senato della  Repubblica-  Testo
 unico  delle  leggi  per  la  composizione e la elezione degli organi
 delle amministrazioni comunali- Difetto  di  chiarezza,  univocita'ed
 omogeneita'  dei  quesiti-  Finalita'  di  un risultato non meramente
 ablativo-  Eventuale  paralisi  di   un   organo   costituzionalmente
 necessario,  qual'e'  il  Senato  della  Repubblica  e  degli  organi
 elettivi comunali- Inammissibilita'
 
 (Legge 6 febbraio 1948, n. 29, artt. 9, 17, 18 e 19; d.P.R. 16 maggio
 1960, n. 570, artt. 11, 12, 27, 32, 33, 34, 35, 47, 49, 51,  55,  56,
 57,  58,  60,  68,  69,  70, 71, 72, 73, 74, 75, 79, 80 e 81, nonche'
 delle intestazioni delle sezioni seconda e terza del capo quarto  del
 titolo  secondo,  delle  sezioni  seconda e terza del capo quinto del
 titolo secondo, delle sezioni seconda e  terza  del  capo  sesto  del
 titolo  secondo  e delle sezioni seconda e terza del capo settimo del
 titolo secondo)
 
 Costituzione  della   Repubblica   italiana-   Referendum   popolare-
 Richieste- Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per
 la  elezione  della Camera dei deputati- Voto di preferenza- Richiamo
 alle sentenze nn. 16/1978 e 29/1987- Ammissibilita'
 
 (D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, artt. 4, 58, 59, 60, 61, 68 e 76).
(GU n.6 del 6-2-1991 )
                           LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, dott. Francesco
 GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.   Francesco
 Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Luigi MENGONI, prof.
 Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuseppe BORZELLINO, prof.
 Vincenzo CAIANELLO ;
 ha pronunciato la seguente
                              SENTENZA
 nei giudizi  sull'ammissibilita', ai sensi  dell'art. 2, primo comma,
 della legge  costituzionale  11 marzo 1953, n. 1, delle richieste
 di referendum popolare per l'abrogazione delle seguenti norme:
    1) legge 6 febbraio 1948, n. 29 (Norme per la elezione del Senato
 della  Repubblica),  e   successive  modificazioni  ed  integrazioni,
 limitatamente alle parti seguenti: art. 9, primo comma, limitatamente
 alle parole <>; secondo comma,
 limitatamente alle  parole <> nel primo periodo  nonche' alle
 parole  <>  nell'ultimo periodo;  terzo comma,  limitatamente
 alle parole  <>;  art.  17,  secondo comma:  <>;   terzo  comma:
 <>; quarto comma:  <>; art.  18,  primo  comma, limitatamente  alle
 parole  <>;  art. 19,  primo comma,  limitatamente alle  parole <>;  secondo  comma,
 limitatamente alle  parole <> nonche' alle
 parole <>; terzo comma,  limitatamente alle
 parole <>;  settimo  comma,
 limitatamente  alla parola  <>;  ultimo comma,  limitatamente
 alle parole  <> nonche' alla parola <>;
    2) decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361
 (Approvazione del testo unico delle  leggi recanti norme per la
 elezione della Camera  dei deputati), limitatamente alle  parti
 seguenti: art. 4, terzo  comma, limitatamente  alle parole
  <>;  art.  58,  secondo   comma,
 limitatamente  alle parole  <>;  art. 59,  secondo comma,   limitatamente alle parole
 <>;
 art.  60, primo  comma,  limitatamente alle  parole <>  e  limitatamente   alle  parole  <>;  sesto  comma:  <>;  settimo comma:  <>;  ottavo  comma,  limitatamente alle  parole  <> e limitatamente  alle parole <>;  art.  61;  art.  68,  primo  comma,  punto  1),
 limitatamente alle parole <> e limitatamente alle parole  <>;
 art. 76, primo comma, n. 1) limitatamente alla parola <<61>>;
    3) decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570
 (Testo  unico delle  leggi per  la composizione  e la  elezione degli
 organi  delle Amministrazioni  comunali), e  successive modificazioni
 ed integrazioni,  limitatamente alle  parti seguenti: art.  11, primo
 comma,  limitatamente  alle  parole   <>;  art.  12;  art.   27,  secondo  comma,
 limitatamente   alle  parole   <<-per   i   Comuni  con   popolazione
 fino  a 10.000  abitanti  -e C  e  D -per  i  Comuni con  popolazione
 superiore ai  10.000 abitanti->>;  intestazione della Sezione  II del
 Capo IV  del Titolo  II, limitatamente alle  parole <>; intestazione della Sezione III
 del Capo IV  del Titolo II: <>; art. 32; art.
 33; art. 34; art. 35; art. 47, primo comma, limitatamente alle parole
 <>;  art. 49,  secondo comma,
 limitatamente  alle parole  <<(e anche  chiusa nei  Comuni con  oltre
 10.000 abitanti)>>; art. 51, secondo  comma, n. 3, limitatamente alle
 parole  <>  e n. 4,  limitatamente alle parole <>; intestazione della Sezione II
 del Capo V del Titolo II,  limitatamente alle parole <>;  art.   55,  primo  comma,
 limitatamente alle parole <<, in  qualunque lista siano compresi,>> e
 quarto  comma: <>;
 intestazione   della  Sezione   III  del   Capo  V   del  Titolo   II
 <>;  art. 56; art.  57; art.
 58; art. 60, primo comma,  limitatamente alle parole <> nonche alle parole <>  e  secondo  comma,
 limitatamente alle parole <>; intestazione della Sezione II  del Capo VI del Titolo II,
 limitatamente alle parole <>;
    intestazione della Sezione III del  Capo  VI  del Titolo II
 <>;
 art. 68; art. 69; art. 70; art. 71; art. 72; art. 73; art. 74; art.
 75, primo  comma, limitatamente  alle parole <>; intestazione
 della Sezione II del Capo VII del Titolo II limitatamente alle parole
 <>; intestazione
 della  Sezione  III  del  Capo   VII  del  Titolo  II  <>; art. 79; art. 80; art. 81.
    Viste  le due ordinanze del 15 novembre 1990 e l'ordinanza del 29
 novembre  1990,  con le quali l'Ufficio centrale per il referendum
 presso  la  Corte  di cassazione  ha,  rispettivamente,  dichiarato
 legittime le tre predette richieste;
    udito  nella camera di consiglio del 16 gennaio 1991 il Giudice
 relatore Giovanni Conso;
    uditi  gli  avv.  Paolo  Barile, Massimo Severo Giannini e Valerio
 Onida per  i  Comitati promotori e l'avv. Giorgio Azzariti, Avvocato
 generale dello Stato, per il Governo.
                      Ritenuto in fatto
    1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la
 Corte di cassazione in applicazione della legge 25 maggio 1970,
 n.  352, e successive modificazioni, ha esaminato tre richieste di
 referendum popolare.
    La prima richiesta, presentata il 1 febbraio 1990 da Augusto
 Barbera, Antonio  Baslini, Willer Bordon ed altri  dieci cittadini
 elettori,  concerne  l'abrogazione  della legge 6 febbraio 1948,
 n. 29 (Norme per  la  elezione  del  Senato della Repubblica),  e
 successive modificazioni ed integrazioni, <>.
    La seconda richiesta,  presentata  l'8  febbraio 1990  da Augusto
 Barbera, Willer Bordon,  Aldo  De  Matteo,  Alberto Michelini, Cesare
 San Mauro e Mariotto  Segni, concerne l'abrogazione del decreto del
 Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del
 testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della  Camera
 dei  deputati), <>.
    2. - Con ordinanza  in  data  15  novembre  1990,  l'Ufficio
 centrale  per il referendum, verificata la regolarita' delle prime
 due richieste abrogative, le ha dichiarate legittime; con  ordinanza
 in  data del 29 novembre 1990, ha dichiarato legittima anche la terza
 richiesta, previa  puntualizzazione del  correlativo  quesito,  con
 l'aggiunta, dopo la parola <> (di cui al primo periodo)
 della seguente dizione:
    <>.
    3. - Ricevuta  la  comunicazione  delle  ordinanze  dell'Ufficio
 centrale, il Presidente di  questa Corte ha fissato il giorno 16 gen-
 naio  1991  per le conseguenti deliberazioni, dandone regolare  comu-
 nicazione.
    4. - In ciascuno dei tre giudizi, l'Avvocatura dello  Stato,
 avvalendosi della facolta' prevista  dall'art. 33, terzo comma, della
 legge 25 maggio 1970, n. 352, ha depositato, il 10 gennaio 1991,
 altrettante memorie, di analogo  contenuto, con le quali si eccepisce
 l'inammissibilita' delle richieste referendarie, per plurimi motivi,
 sostanzialmente riconducibili a tre profili fondamentali: non
 includibilita' delle  leggi   elettorali   tra  quelle  suscettibili
 di abrogazione  referendaria; natura surrettiziamente propositiva,  e
 non  meramente  abrogativa,  degli  odierni  referendum; mancanza di
 omogeneita' dei correlativi quesiti.
    Altre memorie sono state depositate il 12 gennaio 1991 dai Comi-
 tati  promotori  dei  tre  referendum,  che  in   esse diffusamente
 replicano  a  tutte  le  avverse  eccezioni di inammissibilita'.
    Una memoria  e'  stata, infine,  depositata, anche dal <>, nella veste di
 soggetto <>.
    5. - Ad integrazione del contraddittorio,  nella  camera  di
 consiglio del 16  gennaio  1991,  sono  stati uditi, per i promotori
 dei  referendum,  gli  avvocati  Massimo   Severo Giannini,  Paolo
 Barile e Valerio Onida e, per il Presidente del Consiglio dei
 ministri, l'Avvocato dello  Stato  Giorgio Azzariti.
                            Considerato in diritto
    1.- Poiche' le tre richieste di referendum popolare - concernenti,
 rispettivamente, l'abrogazione parziale della  legge 6 febbraio 1948,
 n.  29 (Norme  per  la  elezione del  Senato  della Repubblica),  <>, L'abrogazione parziale del
 decreto  del  Presidente  della  Repubblica 30  marzo  1957,  n.  361
 (Approvazione  del  testo unico  delle  leggi  recanti norme  per  la
 elezione  della Camera  dei deputati),  e l'abrogazione  parziale del
 decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo
 unico  delle leggi  per la  composizione e  la elezione  degli organi
 delle  Amministrazioni  comunali),  <>-hanno per oggetto materie analoghe, i relativi giudizi
 possono venire riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
    2. -Preliminarmente, deve dirsi irricevibile la memoria prodotta
 in ordine  ai tre giudizi dal <>.
 Come questa Corte ha avuto  occasione di sottolineare fin dalla prima
 sentenza in materia referendaria (la n. 10 del 1972; v. anche, per un
 analogo profilo,  sentenza n.  28 del  1987), del  resto puntualmente
 richiamata nella  stessa memoria ora  in discussione, il  terzo comma
 dell'art.  33  della  legge  25  maggio 1970,  n.  352,  prevede  che
 <> soltanto <>.
 E' proprio il tenore letterale  della norma a dimostrare chiaramente,
 con l'indicazione specifica di quanti <>,  l'intento di  circoscrivere a  tali soggetti  l'esercizio
 della facolta' ivi contemplata,il tutto secondo una ben comprensibile
 ratio:  <>,  come  <>, ed
 <>, quale <>,
 valgono ad  assicurare, sotto  il profilo  in esame,  <>.
   La richiesta di estendere il contraddittorio ad altri cointeressati
 all'esito  della  vicenda  referendaria trova  insuperabili  ostacoli
 nella    stessa   complessiva    strutturazione   del    procedimento
 referendario, caratterizzato da precise  scansioni temporali, e nella
 conseguente esigenza che pure la fase del controllo di ammissibilita'
 si mantenga  in stretta  successione cronologica con  le fasi  che la
 precedono e le fasi che la seguono, restando contenuta entro rigorosi
 limiti di tempo, che rischierebbero di venire superati per effetto di
 un diffuso ed indiscriminato accesso di soggetti, i quali potrebbero,
 poi, chiedere di esporre anche oralmente le proprie ragioni.
 Ad escludere che l'indicazione <> nel
 testo  dell'art.  33  della  legge  n. 352  del  1970  sia  meramente
 esemplificativa,  concorre pure  il raffronto  con l'art.  32, quinto
 comma, della stessa legge n. 352 del 1970, il quale, nel disciplinare
 la ben diversa fase destinata alla verifica di eventuali irregolarita
 della   richiesta  referendaria   da   parte  dell'Ufficio   centrale
 costituito presso  la Corte di cassazione,  specificamente conferisce
 ai <> la facolta di presentare deduzioni per iscritto.
   3. - In senso contrario ammissibilita' delle tre presenti richieste
 referendarie viene, anzitutto, addotta la particolare natura del loro
 rispettivo oggetto, attinenti come esse sono a leggi elettorali: piu'
 ragioni porterebbero  ad escludere  tali leggi dall'ambito  di quelle
 suscettibili di abrogazione referendaria.
    Cio, in primo luogo perche', in forza di un emendamento aggiuntivo
 approvato dall'Assemblea costituente nella  seduta pomeridiana del 16
 ottobre  1947  e  non  riprodotto  per  omissione  nel  testo  finale
 dell'art. 75  della Costituzione,  le leggi elettorali  sarebbero, in
 realta, da considerare ricomprese fra quelle nei riguardi delle quali
 il secondo comma di tale articolo non ammette il referendum. Inoltre,
 perche' allo stesso risultato si dovrebbe,  comunque, pervenire <>; facendo leva,  per un  verso, sul
 parallelo instaurabile  con le  materie oggetto dell'art.  72, quarto
 comma,  della   Costituzione  stessa   e,  per  altro   verso,  sulla
 ravvisabilita' di una <>. La tesi dell'eccezione implicita troverebbe riscontro
 nell'inammissibilita' della <>, dichiarata
 dalla  sentenza  n.  29  del  1987 di  questa  Corte  muovendo  dalla
 considerazione  che  <>  e  traendo  la
 conseguenza  che  <>.
    3.1.-Qualsiasi ricostruzione delle vicende subite dall'emendamento
 volto ad  includere <>  tra quelle espressamente
 sottratte dalla Costituzione alla possibilita' di abrogazione per via
 referendaria, come pure qualsiasi supposizione circa le sorti di tale
 emendamento o qualsiasi discussione in ordine alla portata dei poteri
 del  Comitato  di  redazione,  non  consente,  a  parte  l'innegabile
 interesse storico-istituzionale,  di condividere la prima  ragione di
 inammissibilita' prospettata. A questa Corte non e' dato, infatti, di
 riscrivere alcun  punto del  testo della Carta  costituzionale, quale
 sancito dalla votazione finale del  27 dicembre 1947. La Costituzione
 vale per cio' che risulta scritto in quel testo,  promulgato dal Capo
 provvisorio dello Stato e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
    L' Avvocatura dello Stato vorrebbe rivendicare a questa Corte  un
 sindacato  sugli interna  corporis  dell'Assemblea costituente  sulla
 base di non pochi precedenti (sentenze n. 9 del 1959, n. 68 del 1978,
 n. 152 del  1982, n. 292 del  1984; v. anche sentenza n.  3 del 1957)
 relativi agli  interna corporis  del Parlamento, ma  tali precedenti,
 allo stesso modo della  dottrina espressasi nel senso dell'inidoneita
 della  votazione  finale  a  superare  eventuali  vizi  riscontrabili
 all'interno  del  procedimento  legislativo,  valgono,  appunto,  con
 riferimento  all'approvazione delle  leggi ordinarie.  L'approvazione
 finale della Carta costituzionale si ricollega, invece, all'esercizio
 di un potere del tutto speciale, come e' quello costituente.
    3.2. -Altrettanto inidonea allo scopo si appalesa l'argomentazione
 diretta  a ricavare  l'implicita esclusione  dall'ambito referendario
 delle  leggi  elettorali  per  via  di  interpretazione  sistematica,
 attraverso il raffronto del dettato  dell'art. 75, secondo comma, con
 il dettato  dell'art. 72, quarto  comma, della Costituzione.  La tesi
 muove  dalla   constatazione  che  quest'ultimo,  allo   stesso  modo
 dell'altro, eccettua  dalla disciplina,  che il  comma immediatamente
 precedente  delinea  in  via  generale,  talune  materie  considerate
 meritevoli  di  particolare  protezione,  a tal  fine  affiancando  i
 disegni  di legge  concernenti la  materia elettorale  ai disegni  di
 legge  concernenti altre  materie, di  poi espressamente  contemplate
 anche nel secondo comma dell'art. 75: l'esigenza di un'armonizzazione
 delle  rispettive  eccezioni  in  nome  della  simiglianza  di  ratio
 dovrebbe   condurre  a   ritenere  implicitamente   ricompresa  nella
 previsione derogatoria  del secondo  comma dell'art. 75  la categoria
 esplicitata soltanto nel quarto comma dell'art. 72.
 Pur non potendosi disconoscere che alla base di tutte le deroghe cosi
 poste a confronto  si ritrovino sempre l'importanza  e la delicatezza
 delle materie  rispettivamente contemplate, ben diversa  e la portata
 delle  due norme,  riguardando la  prima l'iter  di formazione  della
 legge,  in  vista  di  una  piu  ampia  partecipazione  al  dibattito
 parlamentare, e  la seconda  la non sottoponibilita' alla particolare
 vicenda  abrogativa legata  al referendum.  Senza contare  che, leggi
 elettorali  a  parte,  pure  per altri  versi  manca  la  prospettata
 corrispondenza di  ordine letterale:  nell'art. 75, secondo  comma, a
 differenza  dell'art. 72,  quarto  comma, non  figurano  le leggi  di
 delegazione legislativa, mentre nell'art. 72 non figurano le leggi in
 materia tributaria, di amnistia e di indulto.
   3.3.-Ne' inammissibilita' per ragioni di materia delle tre presenti
 richieste di  referendum puo' farsi automaticamente  discendere dalla
 sentenza n.  29 del 1987 di  questa Corte, in quanto  reiettiva della
 richiesta di  referendum per  l'abrogazione degli artt.  25, 26  e 27
 della legge  n. 195 del  1958, recante <>. Un'interpretazione di tale
 sentenza   nel  senso   che   essa   precluderebbe  ogni   iniziativa
 referendaria avente per oggetto una  legge elettorale, andrebbe al di
 la degli effettivi contenuti e significati della sentenza stessa.
 Muovendo   dall'indiscutibile  premessa   che,  alla   stregua  delle
 categorie via  via enucleate e puntualizzate  dalla giurisprudenza di
 questa Corte,  le leggi elettorali  relative alla composizione  ed al
 funzionamento   di   organi   costituzionali   o   aventi   rilevanza
 costituzionale sono  da ricondurre fra le  leggi <>  e non  tra  le leggi  <>,  la  sentenza  n.  29   del  1987  e' pervenuta  ad  una
 conclusione  di   inammissibilita' non  in  forza   di  una  generale
 esclusione  della materia  elettorale,  ma in  forza  di altre  <>:  l'<>, lesiva  della <>, e
 l'<>, messa in
 crisi  nel caso  di  specie  dalla richiesta  di  sottoporre al  voto
 popolare  il  <>  concernenti  la
 componente togata del Consiglio  superiore della magistratura, organo
 la  cui   composizione  elettiva   e' espressamente   prevista  dalla
 Costituzione. Mentre, cioe', per un verso,la pura e semplice proposta
 di cancellazione  era di per se' non <>
 data <>, per altro  verso, L'abrogazione dell'<> delle
 norme elettorali  sarebbe stata  causa inevitabile  della sottrazione
 all'organo  elettivo  della  base necessaria  per  salvaguardarne  la
 <>  ed  evitare   di  esporlo  <>.
    4.-A  questo punto, il discorso si sposta sulla possibilita' di
 sottoporre a referendum l'abrogazione parziale di leggi elettorali.
    Due le ragioni particolari di  inammissibilita'  che  sono  state
 prospettate nei confronti delle  tre richieste referendarie in esame:
 con  la  prima  si  contesta  il  risultato  non  meramente  ablativo
 perseguito  da ciascuna,  con  la seconda  la  struttura formale  del
 relativo quesito, troppo spesso  coinvolgente soltanto singole parole
 o frammenti  di per se' privi di  contenuto dispositivo, cosi  da non
 potersi considerare <> della legge soggetta a referendum.
    4.1.-L'addebito di tendere ad un risultato non meramente ablativo,
 dando in  tal modo vita  ad un referendum propositivo,  non previsto,
 perche' volutamente escluso, dalla  Carta costituzionale,  si traduce
 nella  constatazione  che  gli  attuali quesiti  referendari  non  si
 limiterebbero a perseguire, attraverso l'eliminazione di parti piu' o
 meno cospicue  del testo legislativo, L'abrogazione  parziale di tale
 testo, ma mirerebbero anche a  sostituire la disciplina stabilita dal
 legislatore con un'altra, diversa,voluta dal corpo elettorale. E cio'
 in quanto la disciplina a quella subentrante non si porrebbe come una
 conseguenza necessitata, automaticamente ricavabile per via analogica
 o  in forza  dei principi  generali dell'ordinamento,  bensi' come il
 frutto di  una scelta, tra due  o piu alternative possibili,  in pari
 tempo sottoposta al corpo elettorale.
    A neutralizzare l'addebito, volto a dimostrare inammissibilita' di
 tutt'e  tre le  proposte, non  basta sicuramente,  come vorrebbero  i
 difensori  dei  Comitati  promotori, la  troppo  generica  asserzione
 secondo  cui-dovendo i  referendum  abrogativi  essere congegnati  in
 termini  tali da  non paralizzare  il funzionamento  di alcun  organo
 rappresentativo-qualunque   modificazione  della   normativa  vigente
 idonea  a  consentire  il  raggiungimento di  quel  fine  sarebbe  da
 ritenere di per se' ammissibile,occorrendo, invece, che la situazione
 derivante  dalla  caducazione  della normativa  oggetto  del  quesito
 rappresenti un epilogo linearmente conseguenziale.
    Vi e',  comunque,  un'altra  esigenza  che  occorre  pur  sempre
 rispettare: ed e' l'esigenza insita  nell'imprescindibile portata
 che questa Corte attribuisce alla chiarezza,univocita' ed omogeneita'
 del quesito (v., in ultimo, sentenze n. 63, n. 64, n. 65 del 1990).
    La stessa esigenza va tenuta presente anche per quanto  concerne
 l'addebito mosso alla  struttura formale del quesito. Come in piu' di
 un'occasione (sentenze n. 27 del 1981  e n. 28 del 1987) questa Corte
 ha sottolineato, la chiarezza, univocita' ed omogeneita'  del quesito
 referendario  rischierebbe  di   venire  pregiudicata  dalla  mancata
 inclusione di porzioni normative anche brevissime,allorche' queste-di
 per se' destinate a perdere ogni ragione di sopravvivenza eventualita
 di   un'abrogazione   delle    parti   espressamente   indicate   nel
 quesito-potrebbero,  con  il  loro mantenimento  formale  durante  il
 vaglio  referendario,  suscitare  dubbi  sull'effettivo  intento  dei
 promotori. Ancora  una volta, e' la chiarezza  dell'intera operazione
 referendaria,   cui  univocita'  ed  omogeneita'  sono   direttamente
 funzionali, a porsi quale termine di riferimento.
    4.2.-Intesa come <> da sottoporre
 agli  elettori  (sentenza  n.  28   del  1981),  nel  rispetto  della
 fondamentale esigenza che sia loro garantita l'espressione di un voto
 consapevole (v., in  ultimo, sentenze n. 63, n. 64,  n. 65 del 1990),
 la chiarezza  del quesito comporta,  in negativo (sentenza n.  16 del
 1978), l'inammissibilita' del  quesito  <>.
    Ad evitare il determinarsi di cosi insuperabili inconvenienti, il
 quesito referendario deve incorporare l'evidenza del fine intrinseco
 all'atto abrogativo, cioe' la puntuale ratio che lo ispira (sentenza
 n. 29 del 1987), nel senso che dalle norme proposte per l'abrogazione
 sia dato  trarre con evidenza <>
 (sentenze n. 16  del 1978; n. 25 del 1981),  <>  o   <> (sentenze n. 22, n. 26, n. 28 del 1981; n. 63, n.
 64, n.  65 del  1990) e,  qualora si  tratti dell'abrogazione  di una
 legge elettorale relativa alla composizione ed al funzionamento di un
 organo costituzionale  o di  rilevanza costituzionale,  una parallela
 lineare    evidenza   delle    conseguenze   abrogative,    anch'essa
 indispensabile  perche' la  proposta di  cancellazione non esponga un
 tale organo <> (sentenza n. 29 del 1987).
   Univocita' ed omogeneita' del quesito si presentano come funzionali
 all'imprescindibile chiarezza dell'operazione referendaria, venendole
 a conferire, rispettivamente,chiarezza nella finalita' unidirezionale
 e chiarezza nella struttura del quesito.
   Naturalmente, l'analisi volta a verificare  in concreto se il
 quesito sia  chiaro,  univoco  ed  omogeneo   non  puo' che  essere
 condotta singolarmente richiesta per richiesta.
    5.- Passando cosi' dal generale al particolare, la prima richiesta
 da   analizzare,   nel   rispetto   dell'ordine   di   presentazione,
 e' quella che investe la legge  6 febbraio 1948, n.  29, e successive
 modificazioni  ed  integrazioni,  recante  <>,   in  varie   parti  (riguardanti,
 complessivamente, dodici commi) degli artt. 9, 17, 18 e 19.
    In   sintesi,   con   il  referendum  in  questione,  si  persegue
 l'abrogazione delle norme che prevedono: a)  la  possibilita'  per  i
 candidati   di   presentarsi  in  piu'  di  un  collegio  senatoriale
 nell'ambito della stessa Regione; b) l'elezione in ogni collegio  del
 candidato  che  abbia ottenuto un numero di voti validi non inferiore
 al 65% dei votanti e la relativa proclamazione da parte  dell'Ufficio
 elettorale  circoscrizionale dei candidati che hanno conseguito detto
 quorum ;  c)  la  proclamazione,  da  parte  dell'Ufficio  elettorale
 regionale,  del  candidato  che  abbia  ottenuto,  nel  collegio,  la
 maggioranza semplice dei voti validi  solamente  se  questo  collegio
 risulti  l'unico,  tra  quelli  inclusi  nella Regione, in cui nessun
 candidato abbia conseguito il quorum del 65%.
    A  prescindere  dal  non  preciso,  troppo generico, richiamo alle
 <> della legge in questione
 e, per ora,  anche  dall'eterogeneita'  di  un  quesito  con  cui  si
 chiederebbe all'elettore di perseguire congiuntamente  due  obiettivi
 non  necessariamente  coincidenti,  come  quelli sub b) e sub c) (ben
 potrebbe  volersi  l'abrogazione  del  quorum  dei  voti  validi  non
 inferiori  al  65%  e  non pure il passaggio al sistema maggioritario
 semplice),  si  deve  rilevare  che,  essendo  il  numero  dei  seggi
 assegnati al Senato (pari a 315) superiore di 77 unita' al numero dei
 collegi uninominali istituiti nelle diverse Regioni (pari a 238),  la
 disciplina  risultante  dall'eventuale  esito positivo del referendum
 dovrebbe, in ogni caso, consentire la copertura  sia  dei  238  seggi
 distribuiti  nei  vari  collegi  uninominali sia dei residui 77 seggi
 distribuiti tra le diverse Regioni in eccedenza  rispetto  al  numero
 dei collegi previsti.
    Secondo  le  intenzioni dei proponenti - esplicitamente richiamate
 nelle memorie presentate dai loro difensori - tale risultato  sarebbe
 realizzabile,     sulla     scorta    della    normativa    derivante
 dall'accoglimento della proposta referendaria, attraverso i  seguenti
 passaggi: a) proclamazione da parte dell'Ufficio elettorale regionale
 dei candidati che hanno  ottenuto  nei  238  collegi  uninominali  la
 maggioranza relativa dei voti; b) successiva attribuzione dei residui
 77  seggi  assegnati  alle  diverse   Regioni   secondo   il   metodo
 proporzionale attualmente in vigore (c.d. metodo d'Hondt).
    Sempre  secondo  le intenzioni dei promotori, l'approvazione della
 proposta referendaria condurrebbe, pertanto, a trasformare il sistema
 maggioritario,  attualmente previsto come ipotesi residuale (art. 19,
 ottavo ed ultimo comma), in regola  fondamentale  per  l'assegnazione
 dei  238  seggi  nei  collegi,  mentre  il sistema proporzionale, ora
 regolato come criterio ordinario per l'assegnazione di tutti i  seggi
 indipendentemente  dalla  loro  collocazione collegiale (art. 19, dal
 primo al  settimo  comma),  diventerebbe  semplicemente  un  criterio
 residuale, riservato ai soli 77 seggi da assegnare fuori dei collegi.
 In altre parole, il sistema elettorale del Senato - che, attualmente,
 per  la  difficolta'  di  conseguire  l'alto quorum del 65%, opera di
 fatto come sistema proporzionale  -  si  tradurrebbe  in  un  sistema
 prevalentemente  maggioritario,  stante la possibilita' di eleggere i
 singoli senatori nei vari  collegi  a  maggioranza  semplice,  mentre
 l'attuale  sistema  proporzionale  resterebbe in vita soltanto per la
 copertura dei seggi eccedenti il numero dei collegi previsti in  ogni
 regione.
    Senonche',  il  significato  del  quesito,  valutato sia nella sua
 formulazione sia alla luce della disciplina che verrebbe a  residuare
 nel  caso  di esito positivo del referendum, si presenta all'elettore
 in termini non univoci e, conseguentemente, non caratterizzati  dalla
 dovuta chiarezza.
    Quanto  all'aspetto  concernente  la formulazione del quesito, non
 puo' non sottolinearsi come la richiesta di abrogazione dell'art. 17,
 secondo  comma,  si  riveli  disomogenea  rispetto  alla richiesta di
 abrogazione della parte iniziale dell'art. 19, ultimo comma.  Mentre,
 infatti,  con  la  prima  richiesta  si tende a sopprimere il sistema
 uninominale di fatto eccezionalmente operante, essendo necessario  il
 quorum  del 65% dei votanti ai fini della proclamazione del candidato
 eletto,  con   la   seconda   richiesta   si   tende   a   cancellare
 dall'ordinamento  la  norma  che prevede l'ipotesi nella quale in uno
 solo dei collegi non sia stato raggiunto  il  detto  quorum:  il  che
 equivarrebbe  a  richiedere  una  completa  abrogazione  del  sistema
 uninominale, senza che venga a  delinearsi  una  diversa  alternativa
 alla  stregua  delle  ulteriori richieste. Anzi, la richiesta diretta
 all'abrogazione  parziale  dell'art.  19,  terzo  comma,   renderebbe
 inoperante   l'unica   via   percorribile   nel   caso   di   mancato
 raggiungimento,  da  parte  di  uno  o  piu'  candidati,  del  quorum
 previsto.
    Incongruente   risulta,   altresi',   il  fatto  che,  a  se'guito
 dell'abrogazione dell'art. 17,  terzo  comma,  e  della  prima  parte
 dell'ultimo  comma  dell'art. 19, a proclamare i candidati eletti nel
 collegio  dovrebbe  essere  il  presidente  dell'Ufficio   elettorale
 regionale   in   luogo   del   presidente   dell'Ufficio   elettorale
 circoscrizionale.
    La   mancanza  di  chiarezza  del  quesito  trova  piena  conferma
 nell'esame della normativa di risulta. Nessun  elemento,  ne'  logico
 ne' sistematico, desumibile da tale normativa puo', infatti, condurre
 a limitare con certezza  l'operativita'  del  sistema  proporzionale,
 descritto  nei  primi  sette  commi  dell'art.  19, alla sola ipotesi
 residuale dei seggi non assegnati nei collegi, ed a riferire, invece,
 il  sistema  maggioritario,  previsto  dall'ultimo comma dello stesso
 articolo,  all'ipotesi  ordinaria  di  assegnazione  dei  seggi   nei
 collegi.   A   contrastare  la  lettura  prospettata  dai  proponenti
 concorrono, da un lato, la formulazione del  quarto  comma  dell'art.
 19,  dove  si prevede un criterio generale di assegnazione dei seggi,
 che prescinde da ogni distinzione tra seggi da assegnare in  collegio
 e   fuori   collegio;  dall'altro,  la  considerazione  dell'impianto
 sistematico della legge n. 29 del 1948, che tenderebbe pur sempre  ad
 individuare  come  nota  dominante, anche ad abrogazione avvenuta, il
 sistema proporzionale.
    Due i profili che vanno considerati in proposito. Il primo attiene
 al procedimento di presentazione delle  candidature  descritto  negli
 artt. 9, 10  e  13 della legge, dove si parla di presentazione <>: tale  procedimento, stabilito come regola generale per
 tutte le candidature, presuppone l'adozione di un metodo naturalmente
 connesso   alla  tecnica  di  scrutinio  nel  sistema  proporzionale,
 regolata  dai  primi  sette  commi  dell'art.  19  e  fondata   sulla
 determinazione  della  cifra elettorale di gruppo. Il secondo profilo
 riguarda, invece, la sequenza  temporale  delle  operazioni  relative
 all'assegnazione dei seggi, cosi' come disciplinata nell'art. 19: una
 sequenza  che,  avendo  inizio <> l'Ufficio   elettorale
 regionale  risulti  in  possesso  dei  verbali trasmessi dagli uffici
 circoscrizionali, si  sviluppa  attraverso  la  determinazione  della
 cifra elettorale di gruppo e della cifra individuale. Il che avvalora
 l'ipotesi  interpretativa  secondo  cui  il  criterio  ordinario   di
 assegnazione  dei  seggi  resterebbe quello descritto nei primi sette
 commi dell'art. 19, mentre l'ultimo comma di  tale  articolo  sarebbe
 destinato  a  regolare una fattispecie piu' circoscritta, anche se di
 incerto significato. Neppure la formula  residuale  del  terzo  comma
 dell'art.   19  offre  un  argomento  decisivo  per  giustificare  la
 necessita' di inversione nell'ordine temporale  delle  operazioni  di
 scrutinio,  dal  momento  che  lo  stesso  art.  19,  letto  nel  suo
 complesso, non consente di stabilire con sufficiente certezza ne' che
 la  proclamazione contemplata nell'ultimo comma, per quanto collocata
 a  conclusione  del  procedimento,  debba   comunque   precedere   le
 operazioni   descritte   nei   commi   antecedenti,   ne'   che  tale
 proclamazione debba in ogni caso riguardare  tutti  i  collegi  della
 Regione.
    In  relazione a quest'ultimo profilo, infatti, viene osservato che
 all'interpretazione  della  disciplina  residuale   prospettata   dai
 promotori    del    referendum    sarebbero   contrapponibili   altre
 interpretazioni,  come  quella  alla  cui  stregua  la  proclamazione
 contemplata  nell'ultimo  comma  dell'art.  19  potrebbe anche essere
 riferita non a tutti i candidati vincitori nei diversi collegi  della
 Regione, ma al solo candidato che abbia ricevuto su base regionale il
 piu' alto numero di suffragi: interpretazione  che  potrebbe  trovare
 appoggio  sia  nel  dato  letterale  della norma di risulta (la quale
 parlerebbe al singolare di <>), sia  nella
 proclamazione   dell'eletto  da  parte  del  presidente  dell'Ufficio
 regionale, cui spetta  il  compito  di  verificare  i  risultati  per
 l'intera Regione.
    Si  aggiunga,  infine,  il  richiamo  all'art. 21 della legge (non
 toccato dalla richiesta referendaria), il quale, per la  sostituzione
 dei   seggi   rimasti   vacanti,  contempla  un  criterio  comune  di
 sostituzione che fa riferimento  al  gruppo:  tale  criterio,  mentre
 appare  coordinato  con  il  sistema  proporzionale  di  assegnazione
 regolato nei primi sette commi dell'art. 19, diventerebbe  del  tutto
 incongruo  rispetto  ad un sistema maggioritario, quale quello che si
 vorrebbe introdurre, interamente risolto all'interno del collegio.
    In  ogni  caso,  qualunque  dovesse essere la corretta lettura del
 complesso normativo conseguente all'abrogazione referendaria,  emerge
 con  evidenza  che  tale  abrogazione  finirebbe  per condurre ad una
 disciplina del  procedimento  elettorale  non  chiara.  Il  carattere
 oggettivamente  ambiguo,  rilevabile sia nel quesito referendario sia
 nella normativa di risulta, viene, dunque, a riflettersi, da un lato,
 nell'assenza  di  univocita'  della  domanda referendaria, cioe', nel
 difetto di <> in grado
 di garantire ai  cittadini   l'esercizio   del  voto  con  la  dovuta
 consapevolezza, data, appunto, la gia' rimarcata  equivocita'  di  un
 quesito  che  persegue  due obiettivi non necessariamente coincidenti
 (l'abrogazione del quorum dei voti validi non inferiori al 65% ed  il
 passaggio   al  sistema  maggioritario  semplice);  dall'altro  lato,
 nell'eventualita'  di  una  paralisi,  anche   se   temporanea,   che
 l'incertezza  relativa  alle  norme  elettorali  applicabili potrebbe
 determinare  nel  funzionamento  di  un   organo   costituzionalmente
 necessario qual e' il Senato della Repubblica.
    Alla  luce  degli  orientamenti  di  questa  Corte (soprattutto le
 sentenze n. 16 del 1978 e n. 29 del 1987), la richiesta di referendum
 in esame va, dunque, dichiarata inammissibile.
    6.  - La seconda richiesta referendaria ha per oggetto varie parti
 (riguardanti, complessivamente, undici commi) degli artt. 4, 58,  59,
 60,  68,  76,  nonche'  l'intero  art. 61, del decreto del Presidente
 della  Repubblica  30  marzo  1957,  n.  361,   avente   ad   oggetto
 <>.
    Con  questo  referendum  si vuole l'abrogazione delle norme che in
 tale testo unico prevedono per  l'elettore:  a)  la  possibilita'  di
 esprimere  piu'  di una preferenza nell'ambito della lista votata; b)
 la possibilita' di assegnare  le  preferenze  anche  con  indicazioni
 diverse  da  quella  rappresentata  dallo  scrivere il nominativo dei
 candidati preferiti a fianco  del  contrassegno  della  lista  votata
 (art.  60,  primo  comma).  Il  tutto  per lasciare posto ad una sola
 preferenza  chiaramente  espressa,  nell'intento,  esplicitato  dagli
 stessi  promotori,  di  evitare  per quanto possibile brogli ed altre
 pratiche, non conformi  ad  un  corretto  rapporto  fra  elettori  ed
 eligendi, che variamente si possono realizzare attraverso la gestione
 delle preferenze.
    Si  contesta l'univocita' ed omogeneita' del quesito oggetto della
 richiesta referendaria, asserendo che <>.
    In   realta',  una  volta  riconosciuto,  come  non  si  puo'  non
 riconoscere, che, con il ridurre le preferenze consentite da  quattro
 (o  tre) ad una, i promotori perseguono l'intento, se non di evitare,
 almeno di ridurre le possibilita' di brogli e pratiche elettorali non
 corrette  collegati  al dosaggio dei voti di preferenza, non si puo',
 in pari tempo, disconoscere che, per  favorire  la  realizzazione  di
 tale  intento,  gli stessi promotori abbiano, nel segno della massima
 coerenza,  perseguito  anche  l'abrogazione  di   tutto   cio'   che,
 altrimenti  sopravvivendo  nel contesto della normativa, rischierebbe
 in qualche modo  di  togliere  chiarezza  alla  sola  preferenza  che
 sarebbe  consentita  nel  caso di esito favorevole del referendum. Di
 qui sia  la  proposta  di  abrogare  l'indicazione  della  preferenza
 tramite  il solo numero del candidato, sia la proposta di abrogare la
 possibilita' di esprimere la preferenza anche  segnando  piu'  di  un
 contrassegno di lista, sia la proposta di abrogare la possibilita' di
 esprimere la preferenza senza neppure  indicare  il  contrassegno  di
 lista.  In  una  parola,  l'unica  preferenza  che  con l'abrogazione
 referendaria si verrebbe a consentire, al fine di  ostacolare  brogli
 elettorali,  dovrebbe  essere,  proprio  in  ragione di questo stesso
 obiettivo, una preferenza chiaramente espressa.
    Quanto,  poi,  alla  modifica  della  procedura  di scrutinio e di
 ricognizione delle preferenze (art. 68, primo comma, n.  1),  che  si
 porrebbe   quale   oggetto  di  un'ulteriore  scelta  a  se'  stante,
 l'obiezione avrebbe peso ove si mirasse davvero ad  un  mutamento  di
 tale   procedura:   tutto   si  riduce,  viceversa,  ad  una  lineare
 conseguenza del diverso impatto che la chiara espressione di una sola
 preferenza   viene  ad  avere  sulla  procedura  di  scrutinio  e  di
 ricognizione  delle  preferenze,  semplificandola  sensibilmente   in
 correlazione  alla  concomitante  abrogazione  di  altre  parti dello
 stesso testo di legge.
    Dal  canto  suo,  il  sicuro  permanere della normativa di risulta
 all'interno del sistema configurato dal legislatore, senza che se  ne
 renda necessario un intervento per superare l'inevitabile paralisi di
 funzionamento   dell'organo,   contribuisce   alla   linearita'    ed
 inequivocita'  della scelta adottata dai promotori. Proprio il fatto,
 da taluno contestato, che non sia stata resa oggetto  della  proposta
 referendaria  l'eliminazione  di  tutte le preferenze, perseguendosi,
 invece, la riduzione di esse ad una soltanto, ne e' valida  conferma,
 siccome  ascrivibile,  prima  ancora  che  a motivi di ordine tecnico
 (l'art. 59,secondo comma,prima di parlare di <> o di <>
 preferenze,  si  riferisce all'elettore  che  <>, mentre l'art. 59, terzo comma, e l'art. 60,primo comma,
 proseguono parlando di <>), al proposito di non
 incidere  sulla  legge  al  di  la'  di  cio'  che  e'   strettamente
 necessario,  nel  rispetto  di  una  delle caratteristiche di fondo -
 quella,  appunto,  basata  sulla  possibilita'  per   l'elettore   di
 <> - del sistema elettorale in questione.
    Restano   da  esaminare  i  rilievi  che  sono  stati  mossi  alla
 formulazione del quesito,in quanto carente di <>e fonte di
 <>,e sui quali la difesa dei presentatori
 della richiesta referendaria si e' dettagliatamente soffermata  nella
 memoria principale.
    A  parte  l'addebito  di non aver proposto la rimozione, dal testo
 del secondo comma dell'art. 63,  anche  del  rinvio  all'art.  61,  a
 differenza  di  quanto  espressamente ed appositamente prospettato in
 ordine  all'art.  76,  primo  comma,   nel   pieno   rispetto   della
 concomitante  abrogazione  dell'intero  art. 61 (trattasi di una mera
 imperfezione, che il confronto con l'art. 76 vale a rendere  evidente
 e   che,   quindi,  non   pregiudica la  possibilita',  certamente
 sussistente,  che  l'elettore  possa  esprimere  consapevolmente   la
 propria  volonta' sul tema proposto : v. sentenza n. 63 del 1990), le
 obiezioni  muovono  tutte   da   interpretazioni   normative   troppo
 sottilmente    prospettate,   in   contrapposto   alla   piu'   piana
 interpretazione avanzata dai promotori della  richiesta  referendaria
 sulla base dell'immediata lettura delle espressioni coinvolte, quale,
 del resto, si appalesa al  comune  elettore,  vero  destinatario  del
 quesito.
    Cosi'  si dica, anzitutto, per i fraintendimenti cui potrebbe dare
 luogo la proposta di eliminare il riferimento all'attribuzione  delle
 preferenze  dal  terzo  comma  dell'art.  4 - la' dove e' prevista la
 <> senza rimuovere, al tempo
 stesso, anche il  riferimento  alla  determinazione  dell'ordine  dei
 candidati,  nel  necessario  raccordo  con la parte iniziale del gia'
 menzionato secondo comma dell'art. 59 (<> ,  una  volta  venute  meno le  successive prescrizioni sul numero
 plurimo  di  preferenze esprimibili. Il rischio di fraintendimenti e,
 quindi, di  dubbi  sulla  vera  portata  della  residua  facolta'  di
 determinare l'ordine dei candidati nascerebbe dal fatto che combinata
 con quella che, nella parte residuale dell'art. 59, potrebbe apparire
 non tanto come una riduzione del numero delle preferenze ad una sola,
 quanto,   all'inverso,   come   l'eliminazione   di    ogni    limite
 all'espressione  di  preferenze - la facolta' di determinare l'ordine
 dei candidati di cui all'art. 4 si tradurrebbe, in un simile  sistema
 di  piena  liberalizzazione  dell'espressione delle preferenze, nella
 facolta' di apportare correzioni  all'ordine  della  graduazione  dei
 candidati.  Ma, come hanno osservato i difensori, l'uso del singolare
 <> sta proprio a  significare,  per quello che  e'  il
 linguaggio  corrente,  esclusione  di  preferenze comunque plurime e,
 quindi, possibilita' di esprimere una sola preferenza. A  sua  volta,
 l'art.  4,  terzo  comma,  la  cui completa abrogazione sarebbe stata
 proponibile unicamente nel caso, ben piu' innovativo, di una proposta
 diretta  all'eliminazione  di qualsiasi preferenza, vale ad indicare,
 molto semplicemente, quella che e' la normale incidenza del  voto  di
 preferenza, destinato, appunto, a determinare l'ordine dei candidati.
    Cio'  precisato,  ancor meno discutibile, ai fini della chiarezza,
 univocita'  ed  omogeneita'   del   quesito,   appare   la   proposta
 eliminazione,  dall'art.  58,  terzo  comma,  delle  indicazioni  del
 presidente quanto alle modalita' ed al numero dei voti di preferenza,
 collegate  come  esse  sono  al  superamento  della  pluralita' delle
 preferenze esprimibili.
    Altrettanto superabili si rivelano sia l'addebito di insufficienza
 mosso al riferimento che, l'art. 60,  primo  comma,  conterrebbe,  in
 caso  di  esito  positivo del referendum, all'espressione del voto di
 preferenza attraverso la semplice scritturazione del "nome e cognome"
 o solo del "cognome", senza precisare di qual soggetto si tratterebbe
 (facile e' replicare come tale soggetto altri non possa essere che il
 candidato  prescelto,  quel  candidato, cioe', cui l'elettore intende
 attribuire l'unico voto di preferenza a disposizione); sia l'addebito
 di  oscurita'  mosso  alla  parte  residuale  dell'art. 60, ottavo ed
 ultimo comma, una volta  che  questa  rimanesse  limitata  alla  sola
 formula <>, senza
 precisare in alcun modo l'oggetto dell'eccedenza (il collegamento  al
 principio ispiratore della riduzione delle preferenze ad una soltanto
 mostra che la nullita' colpirebbe le preferenze espresse  al  di  la'
 della prima, l'unica consentita).
    Ad  inficiare  la chiarezza, univocita' ed omogeneita' del quesito
 non vale, infine, nemmeno il permanere, nell'art. 68, primo comma, n.
 1, del riferimento, in sede di spoglio dei voti, al <>, nonche'   alla
 proclamazione  dei "voti di lista" e dei "voti di preferenza". Troppo
 evidente e', infatti, l'uso del plurale con riguardo alle  somme  dei
 voti  candidato  per  candidato  via via emergenti dallo spoglio, non
 certo con riguardo a  quanto  e'  nella  disponibilita'  del  singolo
 elettore:  il plurale "voti di lista", prima ancora del plurale "voti
 di preferenza", non puo' trovare spiegazione diversa da quella che lo
 rapporta  al  complesso degli elettori, ciascuno di questi disponendo
 sempre e soltanto di un voto di lista.
    Sulla  base  di  tutte  le esposte considerazioni, ed alla stregua
 degli stessi precedenti (soprattutto le sentenze n. 16 del 1978 e  n.
 29  del 1987), che hanno condotto a dichiarare inammissibile la prima
 delle tre richieste referendarie in  esame,  di  questa  seconda  va,
 invece, dichiarata l'ammissibilita'.
    7.  - La terza ed ultima richiesta referendaria coinvolge ventisei
 articoli (diciotto  per  intero  ed  otto  in  varie  parti,  per  un
 complesso di nove commi), nonche' le intestazioni di otto sezioni del
 decreto del Presidente della  Repubblica  16  maggio  1960,  n.  570,
 recante <>,   e   successive
 modificazioni ed integrazioni.
    Questo referendum, nelle intenzioni dei promotori, ha per oggetto:
 a)  l'eliminazione  dell'attuale  differenziazione  tra  il   sistema
 elettorale  previsto  per  i Comuni con popolazione inferiore ai 5000
 abitanti  ed  il  sistema  elettorale  previsto  per  i  Comuni   con
 popolazione  superiore,  estendendo  anche a questi ultimi il sistema
 maggioritario con voto limitato,  attualmente  previsto  per  i  soli
 Comuni  di dimensione minore; b) l'eliminazione del potere, conferito
 all'elettore per i Comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti,
 di   votare   i  singoli  candidati  prescelti,  in  qualunque  lista
 ricompresi (c.d. panachage).
    Si  tratta,  pero',  di  due  oggetti eterogenei, che sottopongono
 all'elettore scelte non necessariamente convergenti, dal momento  che
 ben potrebbe volersi l'eliminazione dell'attuale differenziazione tra
 il sistema previsto per i Comuni con popolazione inferiore  ai  5.000
 abitanti  ed  il  sistema  elettorale  per  i  Comuni con popolazione
 superiore, estendendo a questi  ultimi  il  sistema  previsto  per  i
 primi, e non anche l'eliminazione del c.d. panachage.
    Del  resto,  la  situazione,  che  si  verrebbe  a  determinare in
 concreto con l'accoglimento della richiesta referendaria, si presenta
 - rispetto tanto al fine perseguito quanto all'effettiva possibilita'
 di  funzionamento   della   disciplina   residuale   -   ambigua   ed
 oggettivamente incerta.
    In  primo  luogo,  a prescindere anche qui dal non preciso, troppo
 generico, richiamo alle "successive modificazioni e integrazioni" del
 Testo   unico   in   questione,   appare   quanto   meno  dubbio  che
 dall'operazione abrogatrice proposta nei confronti del  primo  e  del
 quarto    comma   dell'art.   55   possa   di   per   se'   scaturire
 quell'eliminazione del metodo della libera scelta dei  candidati  tra
 le varie liste, che e' uno degli obiettivi perseguiti dai proponenti.
 L'abrogazione del solo inciso "in qualunque  lista  siano  compresi",
 contenuto  nel  primo  comma  di  detto articolo, pur se accompagnata
 dall'abrogazione del successivo quarto  comma,  non  sembra,  invero,
 sufficiente   allo  scopo,  se  si  consideri  che  dalla  disciplina
 residuale non emerge un vincolo di lista  (data  anche  l'abrogazione
 richiesta  nei  confronti  del  primo  comma  dell'art. 57, dove tale
 vincolo risulta disposto per i Comuni con  popolazione  superiore  ai
 5000  abitanti), mentre, di contro, l'elettore conserva il diritto di
 votare "per tanti candidati" riferiti al numero  dei  consiglieri  da
 eleggere  (art.  55, primo comma) e di esprimere tale voto tracciando
 un segno "nelle apposite caselle a fianco dei nomi  prescelti"  (art.
 55,  secondo  comma).  La  tesi  della  possibile conservazione della
 libera scelta dei singoli candidati da parte  degli  elettori  viene,
 d'altro canto, avvalorata sia dal raffronto del primo comma dell'art.
 55, che prevede il diritto dell'elettore  di  votare  per  i  quattro
 quinti  dei consiglieri da eleggere, con l'art. 28, non toccato dalla
 richiesta di referendum, che consente la presentazione di liste anche
 con un solo quinto di candidati rispetto al numero dei consiglieri da
 eleggere;  sia  dalla  permanenza  della  norma  fondamentale   sullo
 scrutinio  espressa  nell'art. 65, dove non compare alcun riferimento
 al vincolo di lista e  dove  si  stabilisce  soltanto  che  risultano
 eletti "i candidati che hanno riportato il maggior numero di voti".
    Ma, al di la' di tali elementi letterali, suscettibili di generare
 incertezza  sulle   conseguenze   dell'abrogazione,   restano   dubbi
 sostanziali in ordine alla possibilita' di scorporare dalla ratio del
 sistema elettorale attualmente previsto per i Comuni con  popolazione
 inferiore  ai  5000  abitanti l'eventualita' di una libera scelta dei
 candidati tra piu' liste. Una simile operazione si presenta, infatti,
 ben  poco  compatibile  con le caratteristiche generali di un sistema
 che seguiterebbe ad essere definito - dalla parte residua  del  primo
 comma   dell'art.  11  -  come  "sistema  maggioritario  e  con  voto
 limitato".
    Anche  senza  tener  conto di ogni ulteriore valutazione in ordine
 alle particolari difficolta'  di  carattere  pratico  che  potrebbero
 venire  a  determinarsi,  l'accoglimento  della proposta referendaria
 darebbe spazio ad una normativa priva di  una  sua  intrinseca  ratio
 unitaria e, conseguentemente, suscettibile di interpretazioni diverse
 in  punti  fondamentali.  L'incertezza   nelle   conseguenze   e   le
 difficolta'  applicative  ricollegabili  a  tale  incertezza rendono,
 oltreche' ambigua, non trasparente la proposta,  pure  a  prescindere
 dal  rischio  di una paralisi nel funzionamento degli organi elettivi
 comunali fino all'adozione da parte del legislatore ordinario di  una
 disciplina integrativa.
    Da tutto cio' consegue l'inammissibilita' del referendum in esame,
 alla luce dei precedenti (soprattutto le sentenze n. 16 del 1978 e n.
 29  del  1987)  gia'  richiamati,  sia  con riferimento al referendum
 proposto  in  ordine  alla  legge  elettorale  del  Senato,  sia  con
 riferimento  al  referendum  proposto in ordine alle norme elettorali
 della Camera dei deputati.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 riuniti i giudizi,
    1)  dichiara inammissibili le richieste di referendum popolare per
 l'abrogazione:
       a)  degli artt. 9 (nelle parti indicate in epigrafe), 17 (nelle
 parti indicate in epigrafe), 18 (nella parte indicata in epigrafe)  e
 19 (nelle parti indicate in epigrafe) della legge 6 febbraio 1948, n.
 29  ("Norme  per  la  elezione  del  Senato  della  Repubblica"),   e
 successive modificazioni ed integrazioni;
      b)  degli  artt.  11  (nella parte indicata in epigrafe), 12, 27
 (nella parte indicata in epigrafe), 32, 33, 34, 35, 47  (nella  parte
 indicata  in  epigrafe),  49  (nella  parte indicata in epigrafe), 51
 (nelle parti indicate in  epigrafe),  55  (nelle  parti  indicate  in
 epigrafe), 56, 57, 58, 60 (nelle parti indicate in epigrafe), 68, 69,
 70, 71, 72, 73, 74, 75 (nella parte indicata in epigrafe), 79,  80  e
 81, nonche' delle intestazioni delle Sezioni II (nella parte indicata
 in epigrafe) e III del Capo IV del Titolo II, delle Sezioni II (nelle
 parti  indicate  in  epigrafe)  e III del Capo V del Titolo II, delle
 Sezioni II (nella parte indicata in epigrafe) e III del Capo  VI  del
 Titolo  II,  e  delle Sezioni II (nella parte indicata in epigrafe) e
 III del Capo VII del Titolo  II  del  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica  16  maggio  1960, n. 570 ("Testo unico delle leggi per la
 composizione  e  la  elezione  degli  organi  delle   Amministrazioni
 comunali"), e successive modificazioni ed integrazioni;
    2)  dichiara  ammissibile  la richiesta di referendum popolare per
 l'abrogazione:
      degli  artt.  4  (nella  parte  indicata in epigrafe), 58 (nella
 parte indicata in epigrafe), 59 (nella parte indicata  in  epigrafe),
 60  (nelle  parti indicate in epigrafe), 61, 68 (nelle parti indicate
 in epigrafe) e 76 (nella parte indicata in epigrafe) del decreto  del
 Presidente  della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 ("Approvazione del
 Testo unico delle leggi recanti norme per la  elezione  della  Camera
 dei deputati").
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 17 gennaio 1991.
                    Il Presidente e redattore: CONSO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 2 febbraio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 
 91C0133