N. 47 SENTENZA 17 gennaio - 2 febbraio 1991
- Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Costituzione della Repubblica italiana- Referendum popolare- Richieste- Norme per la elezione del Senato della Repubblica- Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali- Difetto di chiarezza, univocita'ed omogeneita' dei quesiti- Finalita' di un risultato non meramente ablativo- Eventuale paralisi di un organo costituzionalmente necessario, qual'e' il Senato della Repubblica e degli organi elettivi comunali- Inammissibilita' (Legge 6 febbraio 1948, n. 29, artt. 9, 17, 18 e 19; d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, artt. 11, 12, 27, 32, 33, 34, 35, 47, 49, 51, 55, 56, 57, 58, 60, 68, 69, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 79, 80 e 81, nonche' delle intestazioni delle sezioni seconda e terza del capo quarto del titolo secondo, delle sezioni seconda e terza del capo quinto del titolo secondo, delle sezioni seconda e terza del capo sesto del titolo secondo e delle sezioni seconda e terza del capo settimo del titolo secondo) Costituzione della Repubblica italiana- Referendum popolare- Richieste- Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati- Voto di preferenza- Richiamo alle sentenze nn. 16/1978 e 29/1987- Ammissibilita' (D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, artt. 4, 58, 59, 60, 61, 68 e 76).(GU n.6 del 6-2-1991 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Giovanni CONSO; Giudici: prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuseppe BORZELLINO, prof. Vincenzo CAIANELLO ;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi sull'ammissibilita', ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, delle richieste di referendum popolare per l'abrogazione delle seguenti norme: 1) legge 6 febbraio 1948, n. 29 (Norme per la elezione del Senato della Repubblica), e successive modificazioni ed integrazioni, limitatamente alle parti seguenti: art. 9, primo comma, limitatamente alle parole <>; secondo comma, limitatamente alle parole < > nel primo periodo nonche' alle parole < > nell'ultimo periodo; terzo comma, limitatamente alle parole < >; art. 17, secondo comma: < >; terzo comma: < >; quarto comma: < >; art. 18, primo comma, limitatamente alle parole < >; art. 19, primo comma, limitatamente alle parole < >; secondo comma, limitatamente alle parole < > nonche' alle parole <>; terzo comma, limitatamente alle parole < >; settimo comma, limitatamente alla parola < >; ultimo comma, limitatamente alle parole < > nonche' alla parola < >; 2) decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), limitatamente alle parti seguenti: art. 4, terzo comma, limitatamente alle parole < >; art. 58, secondo comma, limitatamente alle parole < >; art. 59, secondo comma, limitatamente alle parole < >; art. 60, primo comma, limitatamente alle parole < > e limitatamente alle parole < >; sesto comma: < >; settimo comma: < >; ottavo comma, limitatamente alle parole < > e limitatamente alle parole < >; art. 61; art. 68, primo comma, punto 1), limitatamente alle parole < > e limitatamente alle parole < >; art. 76, primo comma, n. 1) limitatamente alla parola <<61>>; 3) decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), e successive modificazioni ed integrazioni, limitatamente alle parti seguenti: art. 11, primo comma, limitatamente alle parole < >; art. 12; art. 27, secondo comma, limitatamente alle parole <<-per i Comuni con popolazione fino a 10.000 abitanti -e C e D -per i Comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti->>; intestazione della Sezione II del Capo IV del Titolo II, limitatamente alle parole < >; intestazione della Sezione III del Capo IV del Titolo II: < >; art. 32; art. 33; art. 34; art. 35; art. 47, primo comma, limitatamente alle parole < >; art. 49, secondo comma, limitatamente alle parole <<(e anche chiusa nei Comuni con oltre 10.000 abitanti)>>; art. 51, secondo comma, n. 3, limitatamente alle parole < > e n. 4, limitatamente alle parole < >; intestazione della Sezione II del Capo V del Titolo II, limitatamente alle parole < >; art. 55, primo comma, limitatamente alle parole <<, in qualunque lista siano compresi,>> e quarto comma: < >; intestazione della Sezione III del Capo V del Titolo II < >; art. 56; art. 57; art. 58; art. 60, primo comma, limitatamente alle parole < > nonche alle parole < > e secondo comma, limitatamente alle parole < >; intestazione della Sezione II del Capo VI del Titolo II, limitatamente alle parole < >; intestazione della Sezione III del Capo VI del Titolo II < >; art. 68; art. 69; art. 70; art. 71; art. 72; art. 73; art. 74; art. 75, primo comma, limitatamente alle parole < >; intestazione della Sezione II del Capo VII del Titolo II limitatamente alle parole < >; intestazione della Sezione III del Capo VII del Titolo II < >; art. 79; art. 80; art. 81. Viste le due ordinanze del 15 novembre 1990 e l'ordinanza del 29 novembre 1990, con le quali l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha, rispettivamente, dichiarato legittime le tre predette richieste; udito nella camera di consiglio del 16 gennaio 1991 il Giudice relatore Giovanni Conso; uditi gli avv. Paolo Barile, Massimo Severo Giannini e Valerio Onida per i Comitati promotori e l'avv. Giorgio Azzariti, Avvocato generale dello Stato, per il Governo. Ritenuto in fatto 1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, ha esaminato tre richieste di referendum popolare. La prima richiesta, presentata il 1 febbraio 1990 da Augusto Barbera, Antonio Baslini, Willer Bordon ed altri dieci cittadini elettori, concerne l'abrogazione della legge 6 febbraio 1948, n. 29 (Norme per la elezione del Senato della Repubblica), e successive modificazioni ed integrazioni, < >. La seconda richiesta, presentata l'8 febbraio 1990 da Augusto Barbera, Willer Bordon, Aldo De Matteo, Alberto Michelini, Cesare San Mauro e Mariotto Segni, concerne l'abrogazione del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), < >. 2. - Con ordinanza in data 15 novembre 1990, l'Ufficio centrale per il referendum, verificata la regolarita' delle prime due richieste abrogative, le ha dichiarate legittime; con ordinanza in data del 29 novembre 1990, ha dichiarato legittima anche la terza richiesta, previa puntualizzazione del correlativo quesito, con l'aggiunta, dopo la parola < > (di cui al primo periodo) della seguente dizione: < >. 3. - Ricevuta la comunicazione delle ordinanze dell'Ufficio centrale, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 16 gen- naio 1991 per le conseguenti deliberazioni, dandone regolare comu- nicazione. 4. - In ciascuno dei tre giudizi, l'Avvocatura dello Stato, avvalendosi della facolta' prevista dall'art. 33, terzo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352, ha depositato, il 10 gennaio 1991, altrettante memorie, di analogo contenuto, con le quali si eccepisce l'inammissibilita' delle richieste referendarie, per plurimi motivi, sostanzialmente riconducibili a tre profili fondamentali: non includibilita' delle leggi elettorali tra quelle suscettibili di abrogazione referendaria; natura surrettiziamente propositiva, e non meramente abrogativa, degli odierni referendum; mancanza di omogeneita' dei correlativi quesiti. Altre memorie sono state depositate il 12 gennaio 1991 dai Comi- tati promotori dei tre referendum, che in esse diffusamente replicano a tutte le avverse eccezioni di inammissibilita'. Una memoria e' stata, infine, depositata, anche dal < >, nella veste di soggetto < >. 5. - Ad integrazione del contraddittorio, nella camera di consiglio del 16 gennaio 1991, sono stati uditi, per i promotori dei referendum, gli avvocati Massimo Severo Giannini, Paolo Barile e Valerio Onida e, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti. Considerato in diritto 1.- Poiche' le tre richieste di referendum popolare - concernenti, rispettivamente, l'abrogazione parziale della legge 6 febbraio 1948, n. 29 (Norme per la elezione del Senato della Repubblica), < >, L'abrogazione parziale del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), e l'abrogazione parziale del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), < >-hanno per oggetto materie analoghe, i relativi giudizi possono venire riuniti per essere decisi con un'unica sentenza. 2. -Preliminarmente, deve dirsi irricevibile la memoria prodotta in ordine ai tre giudizi dal < >. Come questa Corte ha avuto occasione di sottolineare fin dalla prima sentenza in materia referendaria (la n. 10 del 1972; v. anche, per un analogo profilo, sentenza n. 28 del 1987), del resto puntualmente richiamata nella stessa memoria ora in discussione, il terzo comma dell'art. 33 della legge 25 maggio 1970, n. 352, prevede che < > soltanto <>. E' proprio il tenore letterale della norma a dimostrare chiaramente, con l'indicazione specifica di quanti < >, l'intento di circoscrivere a tali soggetti l'esercizio della facolta' ivi contemplata,il tutto secondo una ben comprensibile ratio: <>, come < >, ed < >, quale < >, valgono ad assicurare, sotto il profilo in esame, < >. La richiesta di estendere il contraddittorio ad altri cointeressati all'esito della vicenda referendaria trova insuperabili ostacoli nella stessa complessiva strutturazione del procedimento referendario, caratterizzato da precise scansioni temporali, e nella conseguente esigenza che pure la fase del controllo di ammissibilita' si mantenga in stretta successione cronologica con le fasi che la precedono e le fasi che la seguono, restando contenuta entro rigorosi limiti di tempo, che rischierebbero di venire superati per effetto di un diffuso ed indiscriminato accesso di soggetti, i quali potrebbero, poi, chiedere di esporre anche oralmente le proprie ragioni. Ad escludere che l'indicazione < > nel testo dell'art. 33 della legge n. 352 del 1970 sia meramente esemplificativa, concorre pure il raffronto con l'art. 32, quinto comma, della stessa legge n. 352 del 1970, il quale, nel disciplinare la ben diversa fase destinata alla verifica di eventuali irregolarita della richiesta referendaria da parte dell'Ufficio centrale costituito presso la Corte di cassazione, specificamente conferisce ai < > la facolta di presentare deduzioni per iscritto. 3. - In senso contrario ammissibilita' delle tre presenti richieste referendarie viene, anzitutto, addotta la particolare natura del loro rispettivo oggetto, attinenti come esse sono a leggi elettorali: piu' ragioni porterebbero ad escludere tali leggi dall'ambito di quelle suscettibili di abrogazione referendaria. Cio, in primo luogo perche', in forza di un emendamento aggiuntivo approvato dall'Assemblea costituente nella seduta pomeridiana del 16 ottobre 1947 e non riprodotto per omissione nel testo finale dell'art. 75 della Costituzione, le leggi elettorali sarebbero, in realta, da considerare ricomprese fra quelle nei riguardi delle quali il secondo comma di tale articolo non ammette il referendum. Inoltre, perche' allo stesso risultato si dovrebbe, comunque, pervenire < >; facendo leva, per un verso, sul parallelo instaurabile con le materie oggetto dell'art. 72, quarto comma, della Costituzione stessa e, per altro verso, sulla ravvisabilita' di una < >. La tesi dell'eccezione implicita troverebbe riscontro nell'inammissibilita' della < >, dichiarata dalla sentenza n. 29 del 1987 di questa Corte muovendo dalla considerazione che < > e traendo la conseguenza che < >. 3.1.-Qualsiasi ricostruzione delle vicende subite dall'emendamento volto ad includere < > tra quelle espressamente sottratte dalla Costituzione alla possibilita' di abrogazione per via referendaria, come pure qualsiasi supposizione circa le sorti di tale emendamento o qualsiasi discussione in ordine alla portata dei poteri del Comitato di redazione, non consente, a parte l'innegabile interesse storico-istituzionale, di condividere la prima ragione di inammissibilita' prospettata. A questa Corte non e' dato, infatti, di riscrivere alcun punto del testo della Carta costituzionale, quale sancito dalla votazione finale del 27 dicembre 1947. La Costituzione vale per cio' che risulta scritto in quel testo, promulgato dal Capo provvisorio dello Stato e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. L' Avvocatura dello Stato vorrebbe rivendicare a questa Corte un sindacato sugli interna corporis dell'Assemblea costituente sulla base di non pochi precedenti (sentenze n. 9 del 1959, n. 68 del 1978, n. 152 del 1982, n. 292 del 1984; v. anche sentenza n. 3 del 1957) relativi agli interna corporis del Parlamento, ma tali precedenti, allo stesso modo della dottrina espressasi nel senso dell'inidoneita della votazione finale a superare eventuali vizi riscontrabili all'interno del procedimento legislativo, valgono, appunto, con riferimento all'approvazione delle leggi ordinarie. L'approvazione finale della Carta costituzionale si ricollega, invece, all'esercizio di un potere del tutto speciale, come e' quello costituente. 3.2. -Altrettanto inidonea allo scopo si appalesa l'argomentazione diretta a ricavare l'implicita esclusione dall'ambito referendario delle leggi elettorali per via di interpretazione sistematica, attraverso il raffronto del dettato dell'art. 75, secondo comma, con il dettato dell'art. 72, quarto comma, della Costituzione. La tesi muove dalla constatazione che quest'ultimo, allo stesso modo dell'altro, eccettua dalla disciplina, che il comma immediatamente precedente delinea in via generale, talune materie considerate meritevoli di particolare protezione, a tal fine affiancando i disegni di legge concernenti la materia elettorale ai disegni di legge concernenti altre materie, di poi espressamente contemplate anche nel secondo comma dell'art. 75: l'esigenza di un'armonizzazione delle rispettive eccezioni in nome della simiglianza di ratio dovrebbe condurre a ritenere implicitamente ricompresa nella previsione derogatoria del secondo comma dell'art. 75 la categoria esplicitata soltanto nel quarto comma dell'art. 72. Pur non potendosi disconoscere che alla base di tutte le deroghe cosi poste a confronto si ritrovino sempre l'importanza e la delicatezza delle materie rispettivamente contemplate, ben diversa e la portata delle due norme, riguardando la prima l'iter di formazione della legge, in vista di una piu ampia partecipazione al dibattito parlamentare, e la seconda la non sottoponibilita' alla particolare vicenda abrogativa legata al referendum. Senza contare che, leggi elettorali a parte, pure per altri versi manca la prospettata corrispondenza di ordine letterale: nell'art. 75, secondo comma, a differenza dell'art. 72, quarto comma, non figurano le leggi di delegazione legislativa, mentre nell'art. 72 non figurano le leggi in materia tributaria, di amnistia e di indulto. 3.3.-Ne' inammissibilita' per ragioni di materia delle tre presenti richieste di referendum puo' farsi automaticamente discendere dalla sentenza n. 29 del 1987 di questa Corte, in quanto reiettiva della richiesta di referendum per l'abrogazione degli artt. 25, 26 e 27 della legge n. 195 del 1958, recante < >. Un'interpretazione di tale sentenza nel senso che essa precluderebbe ogni iniziativa referendaria avente per oggetto una legge elettorale, andrebbe al di la degli effettivi contenuti e significati della sentenza stessa. Muovendo dall'indiscutibile premessa che, alla stregua delle categorie via via enucleate e puntualizzate dalla giurisprudenza di questa Corte, le leggi elettorali relative alla composizione ed al funzionamento di organi costituzionali o aventi rilevanza costituzionale sono da ricondurre fra le leggi < > e non tra le leggi <>, la sentenza n. 29 del 1987 e' pervenuta ad una conclusione di inammissibilita' non in forza di una generale esclusione della materia elettorale, ma in forza di altre < >: l'< >, lesiva della < >, e l'< >, messa in crisi nel caso di specie dalla richiesta di sottoporre al voto popolare il < > concernenti la componente togata del Consiglio superiore della magistratura, organo la cui composizione elettiva e' espressamente prevista dalla Costituzione. Mentre, cioe', per un verso,la pura e semplice proposta di cancellazione era di per se' non < > data < >, per altro verso, L'abrogazione dell'< > delle norme elettorali sarebbe stata causa inevitabile della sottrazione all'organo elettivo della base necessaria per salvaguardarne la < > ed evitare di esporlo < >. 4.-A questo punto, il discorso si sposta sulla possibilita' di sottoporre a referendum l'abrogazione parziale di leggi elettorali. Due le ragioni particolari di inammissibilita' che sono state prospettate nei confronti delle tre richieste referendarie in esame: con la prima si contesta il risultato non meramente ablativo perseguito da ciascuna, con la seconda la struttura formale del relativo quesito, troppo spesso coinvolgente soltanto singole parole o frammenti di per se' privi di contenuto dispositivo, cosi da non potersi considerare < > della legge soggetta a referendum. 4.1.-L'addebito di tendere ad un risultato non meramente ablativo, dando in tal modo vita ad un referendum propositivo, non previsto, perche' volutamente escluso, dalla Carta costituzionale, si traduce nella constatazione che gli attuali quesiti referendari non si limiterebbero a perseguire, attraverso l'eliminazione di parti piu' o meno cospicue del testo legislativo, L'abrogazione parziale di tale testo, ma mirerebbero anche a sostituire la disciplina stabilita dal legislatore con un'altra, diversa,voluta dal corpo elettorale. E cio' in quanto la disciplina a quella subentrante non si porrebbe come una conseguenza necessitata, automaticamente ricavabile per via analogica o in forza dei principi generali dell'ordinamento, bensi' come il frutto di una scelta, tra due o piu alternative possibili, in pari tempo sottoposta al corpo elettorale. A neutralizzare l'addebito, volto a dimostrare inammissibilita' di tutt'e tre le proposte, non basta sicuramente, come vorrebbero i difensori dei Comitati promotori, la troppo generica asserzione secondo cui-dovendo i referendum abrogativi essere congegnati in termini tali da non paralizzare il funzionamento di alcun organo rappresentativo-qualunque modificazione della normativa vigente idonea a consentire il raggiungimento di quel fine sarebbe da ritenere di per se' ammissibile,occorrendo, invece, che la situazione derivante dalla caducazione della normativa oggetto del quesito rappresenti un epilogo linearmente conseguenziale. Vi e', comunque, un'altra esigenza che occorre pur sempre rispettare: ed e' l'esigenza insita nell'imprescindibile portata che questa Corte attribuisce alla chiarezza,univocita' ed omogeneita' del quesito (v., in ultimo, sentenze n. 63, n. 64, n. 65 del 1990). La stessa esigenza va tenuta presente anche per quanto concerne l'addebito mosso alla struttura formale del quesito. Come in piu' di un'occasione (sentenze n. 27 del 1981 e n. 28 del 1987) questa Corte ha sottolineato, la chiarezza, univocita' ed omogeneita' del quesito referendario rischierebbe di venire pregiudicata dalla mancata inclusione di porzioni normative anche brevissime,allorche' queste-di per se' destinate a perdere ogni ragione di sopravvivenza eventualita di un'abrogazione delle parti espressamente indicate nel quesito-potrebbero, con il loro mantenimento formale durante il vaglio referendario, suscitare dubbi sull'effettivo intento dei promotori. Ancora una volta, e' la chiarezza dell'intera operazione referendaria, cui univocita' ed omogeneita' sono direttamente funzionali, a porsi quale termine di riferimento. 4.2.-Intesa come < > da sottoporre agli elettori (sentenza n. 28 del 1981), nel rispetto della fondamentale esigenza che sia loro garantita l'espressione di un voto consapevole (v., in ultimo, sentenze n. 63, n. 64, n. 65 del 1990), la chiarezza del quesito comporta, in negativo (sentenza n. 16 del 1978), l'inammissibilita' del quesito < >. Ad evitare il determinarsi di cosi insuperabili inconvenienti, il quesito referendario deve incorporare l'evidenza del fine intrinseco all'atto abrogativo, cioe' la puntuale ratio che lo ispira (sentenza n. 29 del 1987), nel senso che dalle norme proposte per l'abrogazione sia dato trarre con evidenza < > (sentenze n. 16 del 1978; n. 25 del 1981), < > o < > (sentenze n. 22, n. 26, n. 28 del 1981; n. 63, n. 64, n. 65 del 1990) e, qualora si tratti dell'abrogazione di una legge elettorale relativa alla composizione ed al funzionamento di un organo costituzionale o di rilevanza costituzionale, una parallela lineare evidenza delle conseguenze abrogative, anch'essa indispensabile perche' la proposta di cancellazione non esponga un tale organo < > (sentenza n. 29 del 1987). Univocita' ed omogeneita' del quesito si presentano come funzionali all'imprescindibile chiarezza dell'operazione referendaria, venendole a conferire, rispettivamente,chiarezza nella finalita' unidirezionale e chiarezza nella struttura del quesito. Naturalmente, l'analisi volta a verificare in concreto se il quesito sia chiaro, univoco ed omogeneo non puo' che essere condotta singolarmente richiesta per richiesta. 5.- Passando cosi' dal generale al particolare, la prima richiesta da analizzare, nel rispetto dell'ordine di presentazione, e' quella che investe la legge 6 febbraio 1948, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, recante < >, in varie parti (riguardanti, complessivamente, dodici commi) degli artt. 9, 17, 18 e 19. In sintesi, con il referendum in questione, si persegue l'abrogazione delle norme che prevedono: a) la possibilita' per i candidati di presentarsi in piu' di un collegio senatoriale nell'ambito della stessa Regione; b) l'elezione in ogni collegio del candidato che abbia ottenuto un numero di voti validi non inferiore al 65% dei votanti e la relativa proclamazione da parte dell'Ufficio elettorale circoscrizionale dei candidati che hanno conseguito detto quorum ; c) la proclamazione, da parte dell'Ufficio elettorale regionale, del candidato che abbia ottenuto, nel collegio, la maggioranza semplice dei voti validi solamente se questo collegio risulti l'unico, tra quelli inclusi nella Regione, in cui nessun candidato abbia conseguito il quorum del 65%. A prescindere dal non preciso, troppo generico, richiamo alle < > della legge in questione e, per ora, anche dall'eterogeneita' di un quesito con cui si chiederebbe all'elettore di perseguire congiuntamente due obiettivi non necessariamente coincidenti, come quelli sub b) e sub c) (ben potrebbe volersi l'abrogazione del quorum dei voti validi non inferiori al 65% e non pure il passaggio al sistema maggioritario semplice), si deve rilevare che, essendo il numero dei seggi assegnati al Senato (pari a 315) superiore di 77 unita' al numero dei collegi uninominali istituiti nelle diverse Regioni (pari a 238), la disciplina risultante dall'eventuale esito positivo del referendum dovrebbe, in ogni caso, consentire la copertura sia dei 238 seggi distribuiti nei vari collegi uninominali sia dei residui 77 seggi distribuiti tra le diverse Regioni in eccedenza rispetto al numero dei collegi previsti. Secondo le intenzioni dei proponenti - esplicitamente richiamate nelle memorie presentate dai loro difensori - tale risultato sarebbe realizzabile, sulla scorta della normativa derivante dall'accoglimento della proposta referendaria, attraverso i seguenti passaggi: a) proclamazione da parte dell'Ufficio elettorale regionale dei candidati che hanno ottenuto nei 238 collegi uninominali la maggioranza relativa dei voti; b) successiva attribuzione dei residui 77 seggi assegnati alle diverse Regioni secondo il metodo proporzionale attualmente in vigore (c.d. metodo d'Hondt). Sempre secondo le intenzioni dei promotori, l'approvazione della proposta referendaria condurrebbe, pertanto, a trasformare il sistema maggioritario, attualmente previsto come ipotesi residuale (art. 19, ottavo ed ultimo comma), in regola fondamentale per l'assegnazione dei 238 seggi nei collegi, mentre il sistema proporzionale, ora regolato come criterio ordinario per l'assegnazione di tutti i seggi indipendentemente dalla loro collocazione collegiale (art. 19, dal primo al settimo comma), diventerebbe semplicemente un criterio residuale, riservato ai soli 77 seggi da assegnare fuori dei collegi. In altre parole, il sistema elettorale del Senato - che, attualmente, per la difficolta' di conseguire l'alto quorum del 65%, opera di fatto come sistema proporzionale - si tradurrebbe in un sistema prevalentemente maggioritario, stante la possibilita' di eleggere i singoli senatori nei vari collegi a maggioranza semplice, mentre l'attuale sistema proporzionale resterebbe in vita soltanto per la copertura dei seggi eccedenti il numero dei collegi previsti in ogni regione. Senonche', il significato del quesito, valutato sia nella sua formulazione sia alla luce della disciplina che verrebbe a residuare nel caso di esito positivo del referendum, si presenta all'elettore in termini non univoci e, conseguentemente, non caratterizzati dalla dovuta chiarezza. Quanto all'aspetto concernente la formulazione del quesito, non puo' non sottolinearsi come la richiesta di abrogazione dell'art. 17, secondo comma, si riveli disomogenea rispetto alla richiesta di abrogazione della parte iniziale dell'art. 19, ultimo comma. Mentre, infatti, con la prima richiesta si tende a sopprimere il sistema uninominale di fatto eccezionalmente operante, essendo necessario il quorum del 65% dei votanti ai fini della proclamazione del candidato eletto, con la seconda richiesta si tende a cancellare dall'ordinamento la norma che prevede l'ipotesi nella quale in uno solo dei collegi non sia stato raggiunto il detto quorum: il che equivarrebbe a richiedere una completa abrogazione del sistema uninominale, senza che venga a delinearsi una diversa alternativa alla stregua delle ulteriori richieste. Anzi, la richiesta diretta all'abrogazione parziale dell'art. 19, terzo comma, renderebbe inoperante l'unica via percorribile nel caso di mancato raggiungimento, da parte di uno o piu' candidati, del quorum previsto. Incongruente risulta, altresi', il fatto che, a se'guito dell'abrogazione dell'art. 17, terzo comma, e della prima parte dell'ultimo comma dell'art. 19, a proclamare i candidati eletti nel collegio dovrebbe essere il presidente dell'Ufficio elettorale regionale in luogo del presidente dell'Ufficio elettorale circoscrizionale. La mancanza di chiarezza del quesito trova piena conferma nell'esame della normativa di risulta. Nessun elemento, ne' logico ne' sistematico, desumibile da tale normativa puo', infatti, condurre a limitare con certezza l'operativita' del sistema proporzionale, descritto nei primi sette commi dell'art. 19, alla sola ipotesi residuale dei seggi non assegnati nei collegi, ed a riferire, invece, il sistema maggioritario, previsto dall'ultimo comma dello stesso articolo, all'ipotesi ordinaria di assegnazione dei seggi nei collegi. A contrastare la lettura prospettata dai proponenti concorrono, da un lato, la formulazione del quarto comma dell'art. 19, dove si prevede un criterio generale di assegnazione dei seggi, che prescinde da ogni distinzione tra seggi da assegnare in collegio e fuori collegio; dall'altro, la considerazione dell'impianto sistematico della legge n. 29 del 1948, che tenderebbe pur sempre ad individuare come nota dominante, anche ad abrogazione avvenuta, il sistema proporzionale. Due i profili che vanno considerati in proposito. Il primo attiene al procedimento di presentazione delle candidature descritto negli artt. 9, 10 e 13 della legge, dove si parla di presentazione < >: tale procedimento, stabilito come regola generale per tutte le candidature, presuppone l'adozione di un metodo naturalmente connesso alla tecnica di scrutinio nel sistema proporzionale, regolata dai primi sette commi dell'art. 19 e fondata sulla determinazione della cifra elettorale di gruppo. Il secondo profilo riguarda, invece, la sequenza temporale delle operazioni relative all'assegnazione dei seggi, cosi' come disciplinata nell'art. 19: una sequenza che, avendo inizio < > l'Ufficio elettorale regionale risulti in possesso dei verbali trasmessi dagli uffici circoscrizionali, si sviluppa attraverso la determinazione della cifra elettorale di gruppo e della cifra individuale. Il che avvalora l'ipotesi interpretativa secondo cui il criterio ordinario di assegnazione dei seggi resterebbe quello descritto nei primi sette commi dell'art. 19, mentre l'ultimo comma di tale articolo sarebbe destinato a regolare una fattispecie piu' circoscritta, anche se di incerto significato. Neppure la formula residuale del terzo comma dell'art. 19 offre un argomento decisivo per giustificare la necessita' di inversione nell'ordine temporale delle operazioni di scrutinio, dal momento che lo stesso art. 19, letto nel suo complesso, non consente di stabilire con sufficiente certezza ne' che la proclamazione contemplata nell'ultimo comma, per quanto collocata a conclusione del procedimento, debba comunque precedere le operazioni descritte nei commi antecedenti, ne' che tale proclamazione debba in ogni caso riguardare tutti i collegi della Regione. In relazione a quest'ultimo profilo, infatti, viene osservato che all'interpretazione della disciplina residuale prospettata dai promotori del referendum sarebbero contrapponibili altre interpretazioni, come quella alla cui stregua la proclamazione contemplata nell'ultimo comma dell'art. 19 potrebbe anche essere riferita non a tutti i candidati vincitori nei diversi collegi della Regione, ma al solo candidato che abbia ricevuto su base regionale il piu' alto numero di suffragi: interpretazione che potrebbe trovare appoggio sia nel dato letterale della norma di risulta (la quale parlerebbe al singolare di < >), sia nella proclamazione dell'eletto da parte del presidente dell'Ufficio regionale, cui spetta il compito di verificare i risultati per l'intera Regione. Si aggiunga, infine, il richiamo all'art. 21 della legge (non toccato dalla richiesta referendaria), il quale, per la sostituzione dei seggi rimasti vacanti, contempla un criterio comune di sostituzione che fa riferimento al gruppo: tale criterio, mentre appare coordinato con il sistema proporzionale di assegnazione regolato nei primi sette commi dell'art. 19, diventerebbe del tutto incongruo rispetto ad un sistema maggioritario, quale quello che si vorrebbe introdurre, interamente risolto all'interno del collegio. In ogni caso, qualunque dovesse essere la corretta lettura del complesso normativo conseguente all'abrogazione referendaria, emerge con evidenza che tale abrogazione finirebbe per condurre ad una disciplina del procedimento elettorale non chiara. Il carattere oggettivamente ambiguo, rilevabile sia nel quesito referendario sia nella normativa di risulta, viene, dunque, a riflettersi, da un lato, nell'assenza di univocita' della domanda referendaria, cioe', nel difetto di < > in grado di garantire ai cittadini l'esercizio del voto con la dovuta consapevolezza, data, appunto, la gia' rimarcata equivocita' di un quesito che persegue due obiettivi non necessariamente coincidenti (l'abrogazione del quorum dei voti validi non inferiori al 65% ed il passaggio al sistema maggioritario semplice); dall'altro lato, nell'eventualita' di una paralisi, anche se temporanea, che l'incertezza relativa alle norme elettorali applicabili potrebbe determinare nel funzionamento di un organo costituzionalmente necessario qual e' il Senato della Repubblica. Alla luce degli orientamenti di questa Corte (soprattutto le sentenze n. 16 del 1978 e n. 29 del 1987), la richiesta di referendum in esame va, dunque, dichiarata inammissibile. 6. - La seconda richiesta referendaria ha per oggetto varie parti (riguardanti, complessivamente, undici commi) degli artt. 4, 58, 59, 60, 68, 76, nonche' l'intero art. 61, del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, avente ad oggetto < >. Con questo referendum si vuole l'abrogazione delle norme che in tale testo unico prevedono per l'elettore: a) la possibilita' di esprimere piu' di una preferenza nell'ambito della lista votata; b) la possibilita' di assegnare le preferenze anche con indicazioni diverse da quella rappresentata dallo scrivere il nominativo dei candidati preferiti a fianco del contrassegno della lista votata (art. 60, primo comma). Il tutto per lasciare posto ad una sola preferenza chiaramente espressa, nell'intento, esplicitato dagli stessi promotori, di evitare per quanto possibile brogli ed altre pratiche, non conformi ad un corretto rapporto fra elettori ed eligendi, che variamente si possono realizzare attraverso la gestione delle preferenze. Si contesta l'univocita' ed omogeneita' del quesito oggetto della richiesta referendaria, asserendo che < >. In realta', una volta riconosciuto, come non si puo' non riconoscere, che, con il ridurre le preferenze consentite da quattro (o tre) ad una, i promotori perseguono l'intento, se non di evitare, almeno di ridurre le possibilita' di brogli e pratiche elettorali non corrette collegati al dosaggio dei voti di preferenza, non si puo', in pari tempo, disconoscere che, per favorire la realizzazione di tale intento, gli stessi promotori abbiano, nel segno della massima coerenza, perseguito anche l'abrogazione di tutto cio' che, altrimenti sopravvivendo nel contesto della normativa, rischierebbe in qualche modo di togliere chiarezza alla sola preferenza che sarebbe consentita nel caso di esito favorevole del referendum. Di qui sia la proposta di abrogare l'indicazione della preferenza tramite il solo numero del candidato, sia la proposta di abrogare la possibilita' di esprimere la preferenza anche segnando piu' di un contrassegno di lista, sia la proposta di abrogare la possibilita' di esprimere la preferenza senza neppure indicare il contrassegno di lista. In una parola, l'unica preferenza che con l'abrogazione referendaria si verrebbe a consentire, al fine di ostacolare brogli elettorali, dovrebbe essere, proprio in ragione di questo stesso obiettivo, una preferenza chiaramente espressa. Quanto, poi, alla modifica della procedura di scrutinio e di ricognizione delle preferenze (art. 68, primo comma, n. 1), che si porrebbe quale oggetto di un'ulteriore scelta a se' stante, l'obiezione avrebbe peso ove si mirasse davvero ad un mutamento di tale procedura: tutto si riduce, viceversa, ad una lineare conseguenza del diverso impatto che la chiara espressione di una sola preferenza viene ad avere sulla procedura di scrutinio e di ricognizione delle preferenze, semplificandola sensibilmente in correlazione alla concomitante abrogazione di altre parti dello stesso testo di legge. Dal canto suo, il sicuro permanere della normativa di risulta all'interno del sistema configurato dal legislatore, senza che se ne renda necessario un intervento per superare l'inevitabile paralisi di funzionamento dell'organo, contribuisce alla linearita' ed inequivocita' della scelta adottata dai promotori. Proprio il fatto, da taluno contestato, che non sia stata resa oggetto della proposta referendaria l'eliminazione di tutte le preferenze, perseguendosi, invece, la riduzione di esse ad una soltanto, ne e' valida conferma, siccome ascrivibile, prima ancora che a motivi di ordine tecnico (l'art. 59,secondo comma,prima di parlare di < > o di < > preferenze, si riferisce all'elettore che < >, mentre l'art. 59, terzo comma, e l'art. 60,primo comma, proseguono parlando di < >), al proposito di non incidere sulla legge al di la' di cio' che e' strettamente necessario, nel rispetto di una delle caratteristiche di fondo - quella, appunto, basata sulla possibilita' per l'elettore di < > - del sistema elettorale in questione. Restano da esaminare i rilievi che sono stati mossi alla formulazione del quesito,in quanto carente di < >e fonte di < >,e sui quali la difesa dei presentatori della richiesta referendaria si e' dettagliatamente soffermata nella memoria principale. A parte l'addebito di non aver proposto la rimozione, dal testo del secondo comma dell'art. 63, anche del rinvio all'art. 61, a differenza di quanto espressamente ed appositamente prospettato in ordine all'art. 76, primo comma, nel pieno rispetto della concomitante abrogazione dell'intero art. 61 (trattasi di una mera imperfezione, che il confronto con l'art. 76 vale a rendere evidente e che, quindi, non pregiudica la possibilita', certamente sussistente, che l'elettore possa esprimere consapevolmente la propria volonta' sul tema proposto : v. sentenza n. 63 del 1990), le obiezioni muovono tutte da interpretazioni normative troppo sottilmente prospettate, in contrapposto alla piu' piana interpretazione avanzata dai promotori della richiesta referendaria sulla base dell'immediata lettura delle espressioni coinvolte, quale, del resto, si appalesa al comune elettore, vero destinatario del quesito. Cosi' si dica, anzitutto, per i fraintendimenti cui potrebbe dare luogo la proposta di eliminare il riferimento all'attribuzione delle preferenze dal terzo comma dell'art. 4 - la' dove e' prevista la < > senza rimuovere, al tempo stesso, anche il riferimento alla determinazione dell'ordine dei candidati, nel necessario raccordo con la parte iniziale del gia' menzionato secondo comma dell'art. 59 (< > , una volta venute meno le successive prescrizioni sul numero plurimo di preferenze esprimibili. Il rischio di fraintendimenti e, quindi, di dubbi sulla vera portata della residua facolta' di determinare l'ordine dei candidati nascerebbe dal fatto che combinata con quella che, nella parte residuale dell'art. 59, potrebbe apparire non tanto come una riduzione del numero delle preferenze ad una sola, quanto, all'inverso, come l'eliminazione di ogni limite all'espressione di preferenze - la facolta' di determinare l'ordine dei candidati di cui all'art. 4 si tradurrebbe, in un simile sistema di piena liberalizzazione dell'espressione delle preferenze, nella facolta' di apportare correzioni all'ordine della graduazione dei candidati. Ma, come hanno osservato i difensori, l'uso del singolare < > sta proprio a significare, per quello che e' il linguaggio corrente, esclusione di preferenze comunque plurime e, quindi, possibilita' di esprimere una sola preferenza. A sua volta, l'art. 4, terzo comma, la cui completa abrogazione sarebbe stata proponibile unicamente nel caso, ben piu' innovativo, di una proposta diretta all'eliminazione di qualsiasi preferenza, vale ad indicare, molto semplicemente, quella che e' la normale incidenza del voto di preferenza, destinato, appunto, a determinare l'ordine dei candidati. Cio' precisato, ancor meno discutibile, ai fini della chiarezza, univocita' ed omogeneita' del quesito, appare la proposta eliminazione, dall'art. 58, terzo comma, delle indicazioni del presidente quanto alle modalita' ed al numero dei voti di preferenza, collegate come esse sono al superamento della pluralita' delle preferenze esprimibili. Altrettanto superabili si rivelano sia l'addebito di insufficienza mosso al riferimento che, l'art. 60, primo comma, conterrebbe, in caso di esito positivo del referendum, all'espressione del voto di preferenza attraverso la semplice scritturazione del "nome e cognome" o solo del "cognome", senza precisare di qual soggetto si tratterebbe (facile e' replicare come tale soggetto altri non possa essere che il candidato prescelto, quel candidato, cioe', cui l'elettore intende attribuire l'unico voto di preferenza a disposizione); sia l'addebito di oscurita' mosso alla parte residuale dell'art. 60, ottavo ed ultimo comma, una volta che questa rimanesse limitata alla sola formula < >, senza precisare in alcun modo l'oggetto dell'eccedenza (il collegamento al principio ispiratore della riduzione delle preferenze ad una soltanto mostra che la nullita' colpirebbe le preferenze espresse al di la' della prima, l'unica consentita). Ad inficiare la chiarezza, univocita' ed omogeneita' del quesito non vale, infine, nemmeno il permanere, nell'art. 68, primo comma, n. 1, del riferimento, in sede di spoglio dei voti, al < >, nonche' alla proclamazione dei "voti di lista" e dei "voti di preferenza". Troppo evidente e', infatti, l'uso del plurale con riguardo alle somme dei voti candidato per candidato via via emergenti dallo spoglio, non certo con riguardo a quanto e' nella disponibilita' del singolo elettore: il plurale "voti di lista", prima ancora del plurale "voti di preferenza", non puo' trovare spiegazione diversa da quella che lo rapporta al complesso degli elettori, ciascuno di questi disponendo sempre e soltanto di un voto di lista. Sulla base di tutte le esposte considerazioni, ed alla stregua degli stessi precedenti (soprattutto le sentenze n. 16 del 1978 e n. 29 del 1987), che hanno condotto a dichiarare inammissibile la prima delle tre richieste referendarie in esame, di questa seconda va, invece, dichiarata l'ammissibilita'. 7. - La terza ed ultima richiesta referendaria coinvolge ventisei articoli (diciotto per intero ed otto in varie parti, per un complesso di nove commi), nonche' le intestazioni di otto sezioni del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, recante < >, e successive modificazioni ed integrazioni. Questo referendum, nelle intenzioni dei promotori, ha per oggetto: a) l'eliminazione dell'attuale differenziazione tra il sistema elettorale previsto per i Comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti ed il sistema elettorale previsto per i Comuni con popolazione superiore, estendendo anche a questi ultimi il sistema maggioritario con voto limitato, attualmente previsto per i soli Comuni di dimensione minore; b) l'eliminazione del potere, conferito all'elettore per i Comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti, di votare i singoli candidati prescelti, in qualunque lista ricompresi (c.d. panachage). Si tratta, pero', di due oggetti eterogenei, che sottopongono all'elettore scelte non necessariamente convergenti, dal momento che ben potrebbe volersi l'eliminazione dell'attuale differenziazione tra il sistema previsto per i Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti ed il sistema elettorale per i Comuni con popolazione superiore, estendendo a questi ultimi il sistema previsto per i primi, e non anche l'eliminazione del c.d. panachage. Del resto, la situazione, che si verrebbe a determinare in concreto con l'accoglimento della richiesta referendaria, si presenta - rispetto tanto al fine perseguito quanto all'effettiva possibilita' di funzionamento della disciplina residuale - ambigua ed oggettivamente incerta. In primo luogo, a prescindere anche qui dal non preciso, troppo generico, richiamo alle "successive modificazioni e integrazioni" del Testo unico in questione, appare quanto meno dubbio che dall'operazione abrogatrice proposta nei confronti del primo e del quarto comma dell'art. 55 possa di per se' scaturire quell'eliminazione del metodo della libera scelta dei candidati tra le varie liste, che e' uno degli obiettivi perseguiti dai proponenti. L'abrogazione del solo inciso "in qualunque lista siano compresi", contenuto nel primo comma di detto articolo, pur se accompagnata dall'abrogazione del successivo quarto comma, non sembra, invero, sufficiente allo scopo, se si consideri che dalla disciplina residuale non emerge un vincolo di lista (data anche l'abrogazione richiesta nei confronti del primo comma dell'art. 57, dove tale vincolo risulta disposto per i Comuni con popolazione superiore ai 5000 abitanti), mentre, di contro, l'elettore conserva il diritto di votare "per tanti candidati" riferiti al numero dei consiglieri da eleggere (art. 55, primo comma) e di esprimere tale voto tracciando un segno "nelle apposite caselle a fianco dei nomi prescelti" (art. 55, secondo comma). La tesi della possibile conservazione della libera scelta dei singoli candidati da parte degli elettori viene, d'altro canto, avvalorata sia dal raffronto del primo comma dell'art. 55, che prevede il diritto dell'elettore di votare per i quattro quinti dei consiglieri da eleggere, con l'art. 28, non toccato dalla richiesta di referendum, che consente la presentazione di liste anche con un solo quinto di candidati rispetto al numero dei consiglieri da eleggere; sia dalla permanenza della norma fondamentale sullo scrutinio espressa nell'art. 65, dove non compare alcun riferimento al vincolo di lista e dove si stabilisce soltanto che risultano eletti "i candidati che hanno riportato il maggior numero di voti". Ma, al di la' di tali elementi letterali, suscettibili di generare incertezza sulle conseguenze dell'abrogazione, restano dubbi sostanziali in ordine alla possibilita' di scorporare dalla ratio del sistema elettorale attualmente previsto per i Comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti l'eventualita' di una libera scelta dei candidati tra piu' liste. Una simile operazione si presenta, infatti, ben poco compatibile con le caratteristiche generali di un sistema che seguiterebbe ad essere definito - dalla parte residua del primo comma dell'art. 11 - come "sistema maggioritario e con voto limitato". Anche senza tener conto di ogni ulteriore valutazione in ordine alle particolari difficolta' di carattere pratico che potrebbero venire a determinarsi, l'accoglimento della proposta referendaria darebbe spazio ad una normativa priva di una sua intrinseca ratio unitaria e, conseguentemente, suscettibile di interpretazioni diverse in punti fondamentali. L'incertezza nelle conseguenze e le difficolta' applicative ricollegabili a tale incertezza rendono, oltreche' ambigua, non trasparente la proposta, pure a prescindere dal rischio di una paralisi nel funzionamento degli organi elettivi comunali fino all'adozione da parte del legislatore ordinario di una disciplina integrativa. Da tutto cio' consegue l'inammissibilita' del referendum in esame, alla luce dei precedenti (soprattutto le sentenze n. 16 del 1978 e n. 29 del 1987) gia' richiamati, sia con riferimento al referendum proposto in ordine alla legge elettorale del Senato, sia con riferimento al referendum proposto in ordine alle norme elettorali della Camera dei deputati.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, 1) dichiara inammissibili le richieste di referendum popolare per l'abrogazione: a) degli artt. 9 (nelle parti indicate in epigrafe), 17 (nelle parti indicate in epigrafe), 18 (nella parte indicata in epigrafe) e 19 (nelle parti indicate in epigrafe) della legge 6 febbraio 1948, n. 29 ("Norme per la elezione del Senato della Repubblica"), e successive modificazioni ed integrazioni; b) degli artt. 11 (nella parte indicata in epigrafe), 12, 27 (nella parte indicata in epigrafe), 32, 33, 34, 35, 47 (nella parte indicata in epigrafe), 49 (nella parte indicata in epigrafe), 51 (nelle parti indicate in epigrafe), 55 (nelle parti indicate in epigrafe), 56, 57, 58, 60 (nelle parti indicate in epigrafe), 68, 69, 70, 71, 72, 73, 74, 75 (nella parte indicata in epigrafe), 79, 80 e 81, nonche' delle intestazioni delle Sezioni II (nella parte indicata in epigrafe) e III del Capo IV del Titolo II, delle Sezioni II (nelle parti indicate in epigrafe) e III del Capo V del Titolo II, delle Sezioni II (nella parte indicata in epigrafe) e III del Capo VI del Titolo II, e delle Sezioni II (nella parte indicata in epigrafe) e III del Capo VII del Titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 ("Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali"), e successive modificazioni ed integrazioni; 2) dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione: degli artt. 4 (nella parte indicata in epigrafe), 58 (nella parte indicata in epigrafe), 59 (nella parte indicata in epigrafe), 60 (nelle parti indicate in epigrafe), 61, 68 (nelle parti indicate in epigrafe) e 76 (nella parte indicata in epigrafe) del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 ("Approvazione del Testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati"). Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 gennaio 1991. Il Presidente e redattore: CONSO Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 2 febbraio 1991. Il direttore della cancelleria: MINELLI 91C0133