N. 63 SENTENZA 28 gennaio - 8 febbraio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Panificazione - Autorizzazione - Criteri ralativi al rilascio -
 Competenza della camera di commercio provinciale - Disparita' di
 trattamento tra imprenditori - Incongrua attribuzione - Non
 fondatezza nei sensi di cui in motivazione.
 
 (Legge 31 luglio 1956, n. 1002, art. 2).
 
 (Cost., artt. 3, 41 e 97).
(GU n.7 del 13-2-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, dott. Francesco
 GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.   Francesco
 Paolo   CASAVOLA,   prof.   Antonio   BALDASSARRE,   prof.   Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof.  Enzo CHELI,
 dott. Renato GRANATA;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge
 31 luglio 1956, n. 1002 ("Nuove norme sulla panificazione")  promosso
 con  ordinanza  emessa  il  16  novembre 1989 dal Tribunale regionale
 amministrativo per l'Emilia Romagna - Sede  di  Bologna  sui  ricorsi
 riuniti  proposti  da  Cuffiani  Verter  ed  altri  contro  Camera di
 Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Ravenna ed  altri,
 iscritta  al  n.  550  del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  38,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1990;
    Visti  gli  atti  di  costituzione di Fucci Marzia ed altri, della
 S.p.A. Agritech nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  dell'8  gennaio  1991  il  Giudice
 relatore Renato Granata;
    Uditi  gli avvocati Maurizio Salari e Walter Prosperetti per Fucci
 Marzia ed altri, Arrigo Allegri, Stefano Grassi, Carlo Mezzanotte per
 S.p.a.  Agritech  e  l'Avvocato  dello  Stato  Oscar  Fiumara  per il
 Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il Tribunale regionale amministrativo per l'Emilia-Romagna,
 sede di Bologna,  -  nel  corso  di  un  giudizio  promosso  da  vari
 panificatori  locali  controinteressati per l'annullamento di quattro
 distinte  delibere  (rispettivamente  del  26  maggio  1986,  del  22
 settembre  1986,  del  2  febbraio  1987, del 21 marzo 1988, l'ultima
 delle quali emessa ai sensi del Decreto del Ministro  dell'Industria,
 del  Commercio  e  dell'Artigianato  del  13  aprile 1987) con cui la
 Camera di Commercio di Ravenna autorizzava ex art. 2 della  legge  31
 luglio 1956 n. 1002 la societa' Agritech S.p.A. all'attivazione di un
 nuovo impianto per la produzione di pane, anche surgelato - sollevava
 questione   di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2  cit.  per
 violazione degli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione.
    Il  giudice  remittente  premetteva che l'autorizzazione era stata
 rilasciata sulla base  della  considerazione  che,  da  un  lato,  la
 produzione  dell'opificio  da  autorizzare  era destinata in assoluta
 prevalenza  al  mercato   nazionale   ed   internazionale,   il   che
 giustificava  di  per  se'  l'opportunita' del nuovo impianto, e che,
 dall'altro, la  modesta  parte  residua  di  produzione,  diretta  al
 mercato  locale,  non  sarebbe  stata di turbamento all'equilibrio in
 atto in relazione alla densita' dei panifici esistenti ed  al  volume
 della produzione nella localita' di apertura del nuovo esercizio.
    Ricordato,  poi,  che  secondo tale articolo, "i panifici di nuovo
 impianto...sono soggetti ad autorizzazione della Camera di commercio,
 industria ed agricoltura della provincia, sentita una Commissione..."
 la quale "accerta l'opportunita' del nuovo impianto in relazione alla
 densita'  dei  panifici esistenti e del volume della produzione nella
 localita'  ove  e'  stata  chiesta  l'autorizzazione",   il   giudice
 remittente  osservava  che il cennato riferimento alla "localita' ove
 e' stata richiesta l'autorizzazione"  deve  essere  interpretato  nel
 senso  che  l'area territoriale, in relazione alla quale la Camera di
 commercio - sulla base, in sostanza, dell'indice  statistico  offerto
 dal  rapporto  pane/popolazione  -  deve  operare  la  valutazione di
 opportunita'  dell'attivazione  di  un  nuovo  impianto,  sia  quella
 comunale   e   non  possa  estendersi,  secondo  un'opposta,  ma  non
 condivisibile, esegesi della norma, fino a quella nazionale  o  extra
 nazionale   ancorche'   l'imprenditore  che  chiede  l'autorizzazione
 intenda destinare il suo prodotto al mercato nazionale od estero.
    A   giudizio   dell'organo   remittente  la  norma  citata,  cosi'
 interpretata, violerebbe gli artt. 3  e  41  Cost.  perche'  comprime
 ingiustificatamente  la  liberta'  di  iniziativa  economica  privata
 rendendo  pressoche'  impossibile  la   realizzazione   di   panifici
 industriali diretti alla produzione di pane di tipo tradizionale o di
 pane surgelato, mentre la rigida  disciplina  dell'autorizzazione  de
 qua  non  si  giustifica  piu'  in  ragione  delle  mutate condizioni
 economiche del paese e delle  sue  abitudini  alimentari,  che  fanno
 escludere  che  la  produzione  del  pane abbia piu' un'importanza, e
 quindi un'utilita' sociale, superiore a quella di altri alimenti.  La
 disciplina    protezionistica    censurata    si    appalesa   quindi
 irragionevole, nonche' fonte  di  discriminazione  tra  produttori  e
 finirebbe  per proteggere le imprese esistenti, conservando lo status
 quo e impedendo non solo l'affermarsi, ma la stessa nascita di  nuove
 imprese.
    Risulterebbe   poi  violato  anche  l'art.  97  Cost.  perche'  la
 valutazione sull'opportunita' di  un  impianto  avente  lo  scopo  di
 realizzare  un  prodotto  industriale come il pane surgelato, rivolto
 all'intero mercato nazionale ed internazionale, sarebbe demandata  ad
 un organo avente strumenti operativi e conoscitivi limitati, quale la
 Camera  di  commercio  la  cui  competenza  e'  ristretta  a  livello
 provinciale.
    2.  -  Ha  spiegato  intervento  il  Presidente  del Consiglio dei
 Ministri per il tramite  dell'Avvocatura  di  Stato  concludendo  per
 l'infondatezza  della  questione  di costituzionalita' sulla base del
 rilievo assorbente che  il  regime  di  autorizzazione  all'attivita'
 economica  di  panificazione  e'  giustificato dal fine di assicurare
 capillarmente la produzione  del  pane,  bene  di  prima  necessita';
 d'altra   parte   proprio   l'interpretazione  respinta  dal  giudice
 remittente e' invece ritenuta esser quella  piu'  compatibile  con  i
 principi costituzionali.
    3.  -  Si  sono costituite le parti private Fucci, Spada e Casadio
 sostenendo, anche con  una  memoria  aggiunta,  l'inammissibilita'  e
 l'infondatezza  della  censura  di  costituzionalita'  sul rilievo in
 particolare che l'art. 2 cit. mira ad assicurare  l'ordinato  assetto
 del  settore  della panificazione, affidato a piccole aziende, per lo
 piu' a dimensione familiare, in modo da realizzare una capillare rete
 di  produzione  praticamente coincidente con quella di distribuzione,
 tale per cui il pane, tradizionale alimento fondamentale  di  cui  il
 legislatore  ha  sempre  voluto  garantire la massima genuinita', sia
 immesso al consumo nei tempi reali di edibilita'.  Nella  discussione
 orale  la  difesa  ha  eccepito  anche  il difetto di rilevanza della
 questione di costituzionalita'.
    4. - Si e' costituita altresi' la societa' Agritech insistendo per
 la   dichiarazione   di   incostituzionalita'.   Nell'aderire    alle
 argomentazioni  svolte  nell'ordinanza  di remissione la difesa della
 societa' osserva in particolare, in una successiva  memoria,  che  le
 restrizioni all'accesso all'attivita' di panificazione, imposte dalla
 legge n. 1002 del 1956, non sono piu' sorrette  da  alcuna  obiettiva
 giustificazione  giuridica  e  sociale,  atteso  che  e'  venuta meno
 l'utilita' sociale perseguita dalla norma,  rappresentando  ormai  il
 pane  un  prodotto  alimentare  ordinario,  non  dissimile  da altri.
 Sostiene inoltre che l'applicazione letterale della norma  renderebbe
 pressoche'  impossibile  la realizzazione di un panificio a carattere
 industriale, destinato a produrre pane per l'esportazione verso  zone
 diverse dalla localita' di produzione, con conseguente ingiustificata
 limitazione dell'iniziativa economica privata.
    5.  -  Ha  spiegato  intervento  anche l'Associazione panificatori
 artigiani ed affini di Bologna, non costituitasi nel giudizio a  quo,
 chiedendo  che  la  questione  di  costituzionalita'  sia  dichiarata
 infondata.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  Corte e' chiamata a decidere se l'art. 2 della legge 31
 luglio 1956, n. 1002 - che condiziona l'attivazione di nuovi panifici
 all'autorizzazione della Camera di commercio, industria e agricoltura
 della Provincia sul presupposto della ritenuta opportunita' del nuovo
 impianto  in  relazione  alla  densita'  dei panifici esistenti e del
 volume   della   produzione   nella    localita'    dov'e'    chiesta
 l'autorizzazione  -  sia  costituzionalmente  illegittimo  perche' in
 contrasto  con  l'art.  3  Cost.  per  irragionevole  disparita'   di
 trattamento   tra  gli  imprenditori  produttori  di  pane  ed  altri
 produttori; con l'art.  41  Cost.  per  l'ingiustificata  limitazione
 della  liberta'  di iniziativa economica privata; con l'art. 97 Cost.
 per l'incongrua  attribuzione  ad  un  organismo  locale  (Camera  di
 commercio provinciale) della competenza ad autorizzare l'attivita' di
 panificazione anche quando destinata al mercato nazionale ed  estero.
    2.    -    Va    preliminarmente   dichiarata   l'inammissibilita'
 dell'intervento dell'Associazione panificatori artigiani ed affini di
 Bologna,  non  essendo essa parte del giudizio a quo (in tal senso e'
 l'orientamento costante di questa Corte,  ribadito  da  ultimo  nella
 sentenza n. 124 del 1990).
    3.  -  Va  poi  respinta l'eccezione, sollevata dalla difesa delle
 parti private Fucci, Spada e Casadio, di difetto di  rilevanza  della
 questione  di  costituzionalita'. Corretta e' infatti la ricognizione
 operata, ancorche' sinteticamente, dal  giudice  a  quo,  atteso  che
 l'art.  2 della legge n. 1002 del 1956 - se interpretato, nei termini
 ritenuti dal medesimo giudice - comporterebbe l'illegittimita'  delle
 autorizzazioni  rilasciate  dalla  Camera  di  commercio  di Ravenna,
 mentre - ove si pervenisse ad una  pronuncia  di  incostituzionalita'
 della norma censurata - la conseguente rimozione della valutazione di
 opportunita' dell'attivazione  di  nuovi  panifici,  richiesta  dalla
 norma medesima quale presupposto per il rilascio dell'autorizzazione,
 implicherebbe la legittimita' dei provvedimenti impugnati.
    4. - La questione non e' fondata.
    E'  utile  premettere che nell'immediato dopoguerra, con la caduta
 dell'ordinamento  corporativo  e  la   spinta   alla   valorizzazione
 dell'iniziativa  economica  privata,  il legislatore - nel dettare la
 nuova  disciplina  delle  industrie   della   macinazione   e   della
 panificazione - provvide ad abrogare (con la legge 7 novembre 1949 n.
 857)  le  limitazioni  d'ordine  economico  previste  dal  r.d.-l.  5
 settembre  1938 n. 1890, convertito nella legge 2 giugno 1939 n. 739,
 e dal r.d.-l. 21 luglio  1938  n.  1609,  convertito  nella  legge  9
 gennaio 1939 n. 143. Ancorche' all'originaria licenza per l'esercizio
 della panificazione, rilasciata (ex art. 5 r.d.-l. n. 1609 cit.)  dal
 Prefetto,   all'epoca  presidente  del  Consiglio  provinciale  delle
 Corporazioni,  si  sostituisse  comunque  altro  atto  autorizzatorio
 costituito  dalla  licenza  della Camera di commercio della provincia
 (ex art. 6 legge n. 857 cit.), mutavano  radicalmente  i  presupposti
 dei  due  provvedimenti giacche' il primo era emesso sulla base della
 valutazione delle esigenze di approvvigionamento nel  territorio  del
 Comune,  tenendo  conto  del  numero  dei  panifici  esistenti, dello
 sviluppo edilizio e della densita' della popolazione,  nonche'  della
 situazione  locale  dell'industria  della  panificazione; il secondo,
 invece, era  rilasciato  sul  presupposto  del  rispetto  delle  sole
 prescrizioni di carattere igienico e sanitario.
    Successivamente  il  legislatore  rivisito' organicamente tutta la
 materia della panificazione  apportando  correttivi  alla  precedente
 disciplina  liberista,  che  -  come  denunciato  in  sede  di lavori
 preparatori - aveva causato squilibri in questo  particolare  settore
 merceologico;  introdusse quindi, con la legge n. 1002 del 1956 (art.
 2 cit.), vincoli ulteriori, rispetto a quelli di carattere igienico e
 sanitario, nel rilascio delle autorizzazioni da parte della Camera di
 commercio della provincia, condizionandole  alla  previa  valutazione
 della  densita'  dei panifici esistenti e del volume della produzione
 nella localita' dov'e' chiesta l'autorizzazione, sulla scorta  di  un
 parere  espresso da una particolare Commissione in cui trovavano voce
 gli   interessi   coinvolti   (risultando   essa   composta   da   un
 rappresentante  dell'Associazione  provinciale  panificatori,  da  un
 rappresentante   delle   Organizzazioni   sindacali   degli    operai
 panettieri, da un rappresentante del Comune interessato, oltre che da
 due rappresentanti della stessa Camera di commercio provinciale).
    Pertanto     l'attuale    disciplina    dell'autorizzazione    per
 l'attivazione  di  nuovi  panifici  -  oggetto   della   censura   di
 incostituzionalita'  -  e'  frutto  di  una  scelta  consapevole  del
 legislatore  di  porre  limiti  (settoriali  ed  assai  circoscritti)
 all'iniziativa  economica  privata  come  correttivi di un precedente
 assetto maggiormente liberista.
    Questo   quadro   di  riferimento  non  e'  stato  alterato  dalla
 successiva normativa  di  settore  (legge  n.  580  del  1967,  sulla
 disciplina  per  la  lavorazione  ed  il commercio dei cereali, degli
 sfarinati, del pane e delle paste alimentari, e legge n. 41 del  1974
 sulla  disciplina  delle  chiusure  e delle interruzioni di attivita'
 delle aziende esercenti la produzione e la vendita  al  dettaglio  di
 generi  della  panificazione),  ne'  da quella piu' generale relativa
 agli alimenti (legge n. 283 del 1962 sulla disciplina igienica  della
 produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande,
 ed - in quanto rilevante per la produzione del pane congelato - legge
 n.  32  del  1968  sulla  disciplina  della vendita al pubblico degli
 alimenti surgelati).
    5.  In tale contesto normativo si collocano i primi due profili di
 censura  di  incostituzionalita'  dell'art.  2  cit.,  richiamanti  i
 parametri  degli  artt.  3  e  41 Cost., che possono essere esaminati
 congiuntamente giacche' l'accertata sussistenza di  un  fine  sociale
 che  legittima  la  limitazione  dell'iniziativa economica privata si
 appalesa  altresi'  quale   giustificata   ragione   della   speciale
 disciplina  di  tale  settore,  evidenziando  il carattere centrale e
 decisivo dello scrutinio di costituzionalita' condotto in riferimento
 all'art. 41 Cost.
    Vale  rimarcare  che  la liberta' di iniziativa economica privata,
 riconosciuta dal primo comma dell'art. 41  Cost.,  e'  da  una  parte
 bilanciata  dal  limite  dell'utilita'  sociale  e dal rispetto della
 sicurezza, liberta' e dignita' umana (secondo comma),  d'altra  parte
 e'  indirizzata  e  coordinata  a  fini  sociali  che  legittimano la
 previsione  ad  opera  del  legislatore  ordinario  di  programmi   e
 controlli  (terzo  comma).  Essa  poi  puo'  talora  essere del tutto
 compressa nel caso in  cui  -  avendo  ad  oggetto  servizi  pubblici
 essenziali  o fonti di energia o situazioni di monopolio e rivestendo
 preminente interesse nazionale - il legislatore ordinario ne  riservi
 originariamente a se' o ne trasferisca l'esercizio (art. 43 Cost.).
    Pertanto  tra  i  due  estremi  costituiti  dal  pieno ed assoluto
 riconoscimento della liberta'  di  iniziativa  economica  privata  e,
 all'opposto,  dalla  riserva  di  esercitare  determinate  imprese si
 collocano vari possibili modelli settoriali connotati da  un  piu'  o
 meno intenso intervento pubblico nell'economia.
    La  concreta  misura  di  tale  intervento,  che  va  a comprimere
 l'iniziativa economica privata, e' demandata al legislatore ordinario
 spettando  alla  Corte costituzionale solo l'identificazione del fine
 sociale e della riferibilita' ad esso di  programmi  e  controlli  in
 generale  e  piu'  in  particolare  - come nella specie - di speciali
 regimi autorizzatori.
    Tale   valutazione  di  riferibilita'  puo'  sottendere  anche  un
 giudizio sull'idoneita' minima - che ridonda in ragionevolezza  della
 limitazione  della  liberta'  di  iniziativa economica privata per il
 raggiungimento del fine sociale medesimo; ma non puo' esorbitare  nel
 merito del provvedimento legislativo.
    Costituisce  principio  ripetutamente  affermato  (da ultimo nella
 sentenza n. 446 del 1988) quello secondo cui il  potere  della  Corte
 "di   giudicare   in   merito  all'utilita'  sociale  alla  quale  la
 Costituzione condiziona  la  possibilita'  di  incidere  sui  diritti
 dell'iniziativa  economica  privata concerne solo la rilevabilita' di
 un  intento  legislativo  di  perseguire  quel  fine  e  la  generica
 idoneita' dei mezzi predisposti per raggiungerlo".
    In numerose ipotesi la Corte ha operato questo riscontro ritenendo
 legittime  discipline  settoriali  che  in  vario   modo   limitavano
 l'iniziativa  economica  privata  in  ragione  del  perseguimento  di
 un'apprezzabile utilita' sociale. Cosi' con sentenza n. 20  del  1980
 (e  prima  ancora  con  la  pronuncia  n.  137  del 1971) la Corte ha
 ritenuto infondata la questione di costituzionalita', in  riferimento
 all'art.  41 Cost., della normativa contenente il divieto di produrre
 e mettere in commercio paste alimentari di farina integrale di  grano
 duro,  avendo  identificato  l'utilita'  sociale  di tale limitazione
 dell'iniziativa  economica  privata  nell'esigenza  di  protezione  e
 valorizzazione della produzione, tipicamente italiana, di grano duro.
 Altresi', sempre in riferimento all'art. 41 Cost., e' stata  ritenuta
 la legittimita' della disciplina del controllo dei prezzi dei beni di
 largo consumo, tra cui il pane (con sentenza n. 200  del  1975);  del
 regime autorizzatorio che regola l'attivita' dei gestori di albergo e
 degli affittacamere (con sentenza n. 144 del 1970); delle licenze  di
 impianto  ed  esercizio  dei  magazzini  di vendita di merci a prezzo
 unico (con sentenza n. 97 del 1969); del regime  di  controllo  delle
 vendite  straordinarie  o  di  liquidazione  (con  sentenza n. 60 del
 1965), della riserva ai Comuni della facolta' di  istituire  Centrali
 del latte (con sentenza n. 11 del 1960).
    Nel  caso  dell'art.  2 della legge n. 1002 del 1956 come posto in
 rilievo dalla  giurisprudenza  amministrativa,  l'interesse  pubblico
 primario,   che  tale  disciplina  speciale  mira  a  soddisfare,  e'
 costituito dall'esigenza  di  salvaguardare  l'equilibrio  locale  di
 mercato   tra   domanda   ed   offerta,   equilibrio   che   in  tale
 particolarissimo  settore  merceologico   e'   stato   ritenuto   dal
 legislatore  del  1956  fare  aggio  sulla  contrapposta  esigenza di
 tutelare il libero ed  incondizionato  estrinsecarsi  dell'iniziativa
 economica  privata  in  ragione  della natura di alimento di base che
 rivestiva il pane.
    La  razionalita'  dell'opzione legislativa dell'epoca si saldava e
 si coniugava, come ancor  oggi,  con  il  regime  amministrativo  del
 prezzo del pane comune.
    Le   mutate   abitudini   alimentari   possono  aver  in  concreto
 affievolito tale funzione sociale, ma non fino al  punto  di  rendere
 irrazionale  ed  ingiustificato tale settoriale ed assai circoscritta
 limitazione  della  libera  concorrenza  e   quindi   dell'iniziativa
 economica privata. Spetta pero' al legislatore ordinario un'eventuale
 nuova valutazione complessiva  volta  a  verificare  se  l'ipotizzato
 affievolimento   dell'esigenza   tutelata  non  giustifichi  piu'  la
 disciplina protezionistica censurata (sent. n. 20 del 1980).
    6. - Neppure e' ravvisabile violazione dell'art. 41 Cost. sotto il
 profilo denunciato secondo cui la norma censurata impedirebbe,  senza
 ragione,   l'apertura   di  nuovi  panifici  industriali  con  grande
 potenzialita' produttiva e comunque la nascita di nuove imprese.
    La   valutazione   rimessa   all'organo   provinciale  (Camera  di
 commercio) - che ha ad oggetto la  ricognizione  della  densita'  dei
 panifici  esistenti  e  del  volume  della  produzione  in  evidente,
 ancorche' non espressa, connessione con il fabbisogno di  pane  -  e'
 testualmente  circoscritta  in  un  ambito  territoriale locale, tale
 essendo  il  riferimento  letterale  contenuto   nell'art.   2   alla
 "localita'" ove e' stata chiesta l'autorizzazione.
    Il  valore  semantico della locuzione usata gia' di per se' lascia
 intendere  come  abbia  riferimento  ad   un   ambito   circoscritto,
 certamente  non  identificabile, come pure si vorrebbe secondo alcune
 pronunzie di giudici amministrativi sottordinati, con un'area  estesa
 a tutto il territorio regionale o financo nazionale.
    In  conformita'  alla giurisprudenza del giudice amministrativo di
 ultima istanza (Cons. Stato, Sez. VI, 12 giugno 1985 n.  306),  fanno
 invece  propendere  per  l'identificazione  di  tale  ambito  con  il
 territorio comunale, o con aree infracomunali  quando  caratterizzate
 da  peculiari  connotati  di  autonomia e di specificita' di mercato,
 sia, nel quadro  della  disciplina  vigente,  la  composizione  della
 particolare Commissione consultiva che annovera tra i suoi componenti
 "un rappresentante del Comune interessato" come soggetto esponenziale
 degli   interessi   pubblici  incidenti  nella  "localita'"  dove  e'
 richiesta l'autorizzazione, come pure  il  dato  ermeneutico  offerto
 dall'art.  11  che  contempla  il  trasporto  del  pane "da un comune
 all'altro", sia, sotto il profilo storico,  il  testuale  riferimento
 alle  "esigenze  del comune" contenuto nell'art. 5 del citato r.d.-l.
 n.  1609  del  1938,  costituente  il  diretto  precedente  normativo
 sostanzialmente  ripristinato dall'art. 2 legge n. 1002 del 1956 dopo
 la parentesi "liberista" introdotta con la legge 7 novembre  1949  n.
 857.
    E  quand'anche  l'ambito della "localita'" considerata dalla norma
 possa venire riferita ad un'area piu' estesa del territorio  comunale
 (cfr.  la  circolare  del  Ministero  dell'Industria n. 404, prot. n.
 122466  del  22  ottobre  1970,  secondo  cui  la  "localita'"   puo'
 ricomprendere  il  territorio  di  piu'  comuni, nonche' l'art. 2 del
 citato d.m. 13 aprile 1987, recante norme sulla  produzione  di  pane
 surgelato,  nel  quale  l'area  territoriale  di  riferimento  e'  la
 provincia),  giammai  potrebbe   esorbitarsi   dalla   circoscrizione
 provinciale  per ineludibili esigenze di coerenza con il principio di
 buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.),  che  induce  ad
 escludere  la  possibilita'  di  riferire  ad  organi provinciali una
 ricognizione  tecnica,  quale  quella  della  densita'  dei  panifici
 esistenti  e  del  volume  della  loro  produzione,  e la conseguente
 valutazione di opportunita', incidenti in una zona  di  mercato  piu'
 ampia dell'area territoriale di competenza dell'organo medesimo.
    7.  -  Peraltro, il coordinamento della disposizione sospettata di
 incostituzionalita' con il gia' citato successivo  art.  11  dimostra
 l'erroneita'  della  conclusione  secondo  cui  la disciplina dettata
 dall'art. 2 della legge n. 1002 del 1956  impedirebbe  l'apertura  di
 (nuovi)  panifici  a  carattere  industriale,  anche  quando  la loro
 produzione sia destinata in larga prevalenza, come  nella  specie,  o
 addirittura  per la totalita' a soddisfare il fabbisogno di localita'
 diverse da quelle dove venga richiesta l'autorizzazione.
    Se,  infatti, l'esportazione "liberamente" consentita dall'art. 11
 da un comune all'altro senza limitazioni di distanza (rovesciando  la
 opposta  previsione contenuta nel testo originariamente proposto, che
 pero' non contemplava il limite  autorizzatorio  poi  introdotto  nel
 corso della discussione parlamentare con l'attuale testo dell'art. 2)
 dovesse intendersi riferita, come evenienza normale,  alla  quantita'
 di  pane  necessaria  per  allineare  l'offerta  alla  domanda  nella
 localita'  considerata,  si  attribuirebbe  al  complessivo   disegno
 normativo  l'intrinseca  contraddizione  di volere ed al tempo stesso
 non volere  assicurare  il  tendenziale  equilibrio  tra  domanda  ed
 offerta nella localita' stessa.
    Invece,  come  gia'  avvertito  in  tempi  risalenti dal Ministero
 dell'Industria, del Commercio e  dell'Artigianato  con  la  direttiva
 impartita  nella  circolare  n.  404  citata,  alla valutazione della
 Camera  di  commercio  provinciale  rimane  del  tutto  estranea   la
 (quantita' della) produzione di pane destinata ad essere esportata in
 mercati diversi da quello della localita' considerata, nel senso  che
 nell'ambito  di  ciascuna  localita' l'autorita' preposta al rilascio
 dell'autorizzazione all'apertura di nuovi panifici deve impedire  che
 l'offerta destinata alla stessa localita' superi la domanda, onde non
 l'intera   produzione   di   cui   l'autorizzando    panificio    sia
 potenzialmente  capace  va  tenuta  in conto, ma solo quella parte di
 essa che per l'aspirante imprenditore sia lecito destinare al mercato
 locale.  Sicche'  e'  ben  possibile,  come  ritenuto nella ricordata
 circolare e nel parere del Consiglio di Stato in essa richiamato, che
 la   realizzazione   di   tale   equilibrio  sia  garantita  mediante
 l'imposizione,  nel  contesto  dell'autorizzazione,  dell'obbligo  di
 destinare  la  parte  di  produzione,  ritenuta eccedente rispetto al
 fabbisogno  locale,  all'esportazione  in  altra  localita',  con  la
 conseguente   possibilita'   di   interventi  repressivi  in  via  di
 autotutela in caso di inosservanza di una siffatta  limitazione,  che
 si  appalesa  idonea  di  per  se'  ad  escludere  la possibilita' di
 ravvisare  una  ragione  di  impedimento,  sotto  il  profilo   della
 opportunita' ex art. 2 citato, alla apertura del nuovo panificio.
    8.  -  Ne'  vale  obiettare  che la protezione interna accordata a
 livello locale (con il  regime  autorizzatorio  di  cui  all'art.  2)
 potrebbe   essere   turbata  dai  flussi  di  produzione  provenienti
 dall'esterno (per effetto dell'art. 11  che,  per  le  considerazioni
 esegetiche  sopra  svolte,  riconosce  implicitamente  la liberta' di
 produzione  destinata  fuori  dall'area  locale),  rientrando   nella
 discrezionalita'  del  legislatore  calibrare  le  misure  limitative
 dell'iniziativa economica privata alle effettive esigenze  di  tutela
 dell'utilita' sociale perseguita. Come emerge dai lavori preparatori,
 il  legislatore  del  1956  ha  ben  tenuto  presente  l'ipotesi  del
 panificio  industriale la cui zona di mercato ecceda l'ambito locale,
 ipotesi questa che non ha  inteso  affatto  contrastare;  ne'  contro
 questo  tipo  di  panificio  -  proprio  nella laboriosa formulazione
 dell'art. 11 - ha inteso ergere barriere protettive,  ritenendo  anzi
 che   la   concorrenza  proveniente  dall'esterno  della  "localita'"
 considerata - per il fatto  di  essere  consentita,  tra  l'altro,  a
 condizione dell'adozione di determinate prescrizioni di impianto e di
 attrezzature - potesse essere di stimolo per  l'ammodernamento  degli
 impianti.  D'altra  parte la legge economica del libero mercato opera
 nel senso che, a parita' di  qualita'  di  prodotto  e  di  costi  di
 produzione,  in  tanto  e'  possibile  che  il  pane  prodotto  nella
 "localita'", come sopra intesa, sia collocato su un  mercato  esterno
 alla  stessa  in  quanto  di  tale  alimento  in  quel mercato vi sia
 effettiva  carenza,   altrimenti   rivelandosi   l'esportazione   non
 conveniente  per  la  maggiore  incidenza  delle  spese  di trasporto
 rispetto ai produttori locali. La circostanza, poi, che  l'evoluzione
 dei  mezzi  di  trasporto  e  avanzate  tecnologie industriali (quale
 quella del surgelamento del  pane)  possano  aver  reso  maggiormente
 possibile  (e  quindi  ricorrente)  l'evenienza della concorrenza dei
 produttori esterni alla localita' data e pertanto possano in  qualche
 modo aver indebolito la protezione degli impianti strettamente locali
 di panificazione, attiene ancora una volta alla discrezionalita'  del
 legislatore,  non  senza  considerare  che  cio'  va  a bilanciare un
 possibile affievolimento dell'utilita' sociale sottesa all'art. 2 per
 l'erosione del carattere di alimento-base del pane.
    9.  -  La  ricostruzione esegetica dell'art. 2 della legge n. 1002
 cit. cosi' operata conduce altresi' a ritenere infondata la questione
 di  costituzionalita' di tale disposizione in riferimento all'art. 97
 Cost., atteso che la ricognizione dei dati di fatto  determinanti  al
 fine   del   rilascio   dell'autorizzazione  (densita'  dei  panifici
 esistenti, volume della produzione)  attiene  esclusivamente  ad  una
 realta'  locale,  territorialmente  contenuta nell'area di competenza
 della Camera di commercio provinciale, la quale quindi e'  pienamente
 idonea ad operare quella valutazione di opportunita' che e' richiesta
 dall'art. 2 con conseguente rispetto del  canone  di  buon  andamento
 dell'amministrazione prescritto dall'art. 97 Cost.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non  fondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione,  la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della  legge  31
 luglio 1956 n. 1002 ("Nuove norme sulla panificazione"), sollevata in
 riferimento agli artt. 3, 41, e 97 della Costituzione  dal  Tribunale
 regionale   amministrativo   per  l'Emilia  Romagna  con  l'ordinanza
 indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1991.
                          Il Presidente: CONSO
                         Il redattore: GRANATA
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria l'8 febbraio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 91C0162