N. 69 SENTENZA 28 gennaio - 8 febbraio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Nuovo codice - Norme di attuazione - Rito
 abbreviato - Pubblicita' dell'udienza - Mancata previsione Deroga
 espressamente prevista dal codice e finalizzata alla maggiore
 speditezza nella definizione dei processi penali Richiamo alle
 sentenze della Corte nn. 212/1986 e 50/1989 Varieta' delle ipotesi -
 Prospettazione della questione in termini incompleti - Possibilita'
 di soluzioni diverse Inammissibilita'.
 
 (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 247, secondo comma).
 
 (Cost., art. 101).
(GU n.7 del 13-2-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, dott. Francesco
 GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.   Francesco
 Paolo   CASAVOLA,   prof.   Antonio   BALDASSARRE,   prof.   Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof.  Enzo CHELI,
 dott. Renato GRANATA;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 247, secondo
 comma, del d.P.R. 28 luglio 1989, n. 271  (Norme  di  attuazione,  di
 coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), promosso
 con ordinanza 23 maggio 1990 dalla Corte  di  assise  di  Torino  nel
 procedimento  penale  a carico di Donnarumma Ciro, iscritta al n. 460
 del registro ordinanze 1990 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  dell'8  gennaio  1991  il  Giudice
 relatore Francesco Greco;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  La  Corte  di  assise di Torino, nel corso del procedimento
 penale a carico di Donnarumma Ciro, che, all'udienza  del  23  maggio
 1990,  aveva  richiesto il giudizio abbreviato ai sensi dell'art. 247
 del d.P.R. 28 luglio  1989,  n.  271,  premesso  che  il  P.M.  aveva
 prestato  il proprio consenso e che era possibile decidere allo stato
 degli atti, trovando, pertanto,  applicazione  la  norma  citata,  ha
 sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 247,
 secondo comma, del d.P.R. 28 luglio 1989, n. 271, nella parte in  cui
 non  prevede  la  pubblicita'  dell'udienza  nella quale si svolge il
 giudizio abbreviato, per contrasto con l'art. 101, primo comma, della
 Costituzione.
    Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  la  pubblicita' dei giudizi non
 rientrerebbe nella disponibilita' delle parti, costituendo  principio
 implicito  nel  citato  disposto costituzionale, che pone uno stretto
 nesso tra giustizia e sovranita' popolare, con la conseguenza che  al
 popolo  deve  essere  consentito di conoscere come la giustizia venga
 amministrata e cosi', tra l'altro, esercitare i diritti di cronaca  e
 di critica di cui all'art. 21 della Costituzione.
    Ha citato, in proposito, la sentenza della Corte costituzionale n.
 50 del 1989, concernente le  udienze  delle  Commissioni  tributarie,
 osservando  che  il  principio  della pubblicita' dei giudizi sarebbe
 stato introdotto nell'ambito delle garanzie proprie dell'ordinamento,
 piuttosto  che  in  quello  dei diritti dell'uomo, come sarebbe stato
 possibile sulla base delle sole  convenzioni  internazionali  che  ne
 trattano;  e  che,  inoltre,  le  eccezioni  al  principio  in  esame
 riconosciute  ammissibili  sarebbero  solo  quelle  che  attengono  a
 specifici  aspetti o circostanze che caratterizzano il giudizio e non
 quelle legate soltanto al rito processuale  prescelto  ad  iniziativa
 delle parti.
    2. - La questione e' stata ritenuta rilevante e non manifestamente
 infondata. L'ordinanza e' stata comunicata, notificata  e  pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale.
    3.  -  Nel  giudizio  e'  intervenuta  l'Avvocatura Generale dello
 Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio  dei  ministri,
 che ha concluso per la infondatezza della questione.
    Ha   osservato  che  il  principio  generale  di  pubblicita'  dei
 dibattimenti  giudiziari  quale  garanzia  di  giustizia,  ricavabile
 dall'art. 101 della Costituzione, puo' subire deroghe che abbiano una
 obiettiva  e  razionale  giustificazione  nell'interesse   al   retto
 funzionamento della giustizia (sentenza della Corte costituzionale n.
 12 del 1971).
    Del  resto,  si  aggiunge,  lo  stesso principio, contrariamente a
 quanto sostenuto  dal  giudice  remittente,  e'  riconducibile  anche
 all'ambito  delle garanzie dei diritti dell'uomo, in quanto strumento
 di  tutela  di  questi,  come  tale   considerato   nei   vari   atti
 internazionali (sentenza della Corte costituzionale n. 212 del 1986).
    Nella  Carta costituzionale, pero', non si rinviene alcun precetto
 il quale vieti possibili deroghe  al  principio  implicito  contenuto
 nell'art. 101 della Costituzione, determinate da ragioni di carattere
 meramente processuale.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  Corte  e'  chiamata ad accertare se l'art. 247, secondo
 comma, del d.P.R. 28 luglio 1989, n. 271,  nella  parte  in  cui  non
 prevede la pubblicita' dell'udienza nella quale si svolge il giudizio
 abbreviato, violi l'art. 101, primo comma,  della  Costituzione,  non
 consentendo  al  popolo  di  conoscere  come  venga  amministrata  la
 giustizia ed esercitare, tra l'altro, il  diritto  di  cronaca  e  di
 critica di cui all'art. 21 della Costituzione.
    2. - La questione e' inammissibile.
    Per effetto del disposto dell'art. 247 delle norme transitorie del
 codice di procedura penale, anche per i processi istruiti secondo  le
 norme  dell'abrogato codice di procedura penale e per i quali gia' vi
 e' rinvio al dibattimento, l'imputato puo' chiedere che  il  processo
 sia definito allo stato degli atti. Se vi e' il consenso del pubblico
 ministero ed il giudice del dibattimento ritiene  possibile  siffatta
 definizione,  il  processo  si  svolge  in  camera  di  consiglio con
 l'intervento del pubblico ministero, dello stesso  imputato  e  della
 parte  civile  e  dei  loro  difensori.  Viene,  quindi, a mancare il
 dibattimento e la pubblicita' ad esso coessenziale.
    3.  -  La mancanza di pubblicita' e' una delle caratteristiche del
 giudizio abbreviato, previsto nel nuovo codice  di  procedura  penale
 come uno dei mezzi per realizzare una maggiore speditezza e celerita'
 nella definizione dei processi penali. Allo stesso imputato  e'  dato
 valutare  i vantaggi del nuovo rito ed i rischi ad esso connessi, tra
 cui vi e' la rinuncia all'acquisizione di prove dibattimentali e, per
 quanto  riguarda  i  processi  di  Corte  di  assise, all'apporto dei
 giudici popolari, incidenti  entrambi  sulla  valutazione  della  sua
 responsabilita'.
    3.1   -   Per   quanto  riguarda  specificamente  la  deroga  alla
 pubblicita' del giudizio, si osserva che  piu'  volte  (sentt.  Corte
 cost.  nn.  65 del 1965, 12 del 1971, 16 e 17 del 1981, 212 del 1986,
 50 del 1989) si e' affermato che tale pubblicita' e' coessenziale  ai
 principi  ai  quali,  in  un  ordinamento  democratico  fondato sulla
 sovranita'  popolare,  deve   conformarsi   l'amministrazione   della
 giustizia  che  in quella sovranita' trova fondamento (art. 101 della
 Costituzione); che l'esigenza del  rispetto  di  siffatta  regola  e'
 maggiormente  avvertita  nei  giudizi  penali, attesi la qualita' dei
 valori, degli interessi e dei beni da proteggere nonche'  i  riflessi
 sociali  della  violazione delle norme penali, in una con l'interesse
 dello Stato a ripristinare l'ordine violato.
    Si  e'  ritenuta  (sentt.  Corte cost. n. 212 del 1986 e n. 50 del
 1989)  la  possibilita'  di  eccezioni  per  "singole  categorie   di
 procedimenti",  determinate  da  ragioni  obiettive  e razionali. Del
 resto, nei  vari  atti  internazionali,  concernenti  la  tutela  dei
 diritti dell'uomo, un processo giusto, senza abusi ed arbitri (art. 6
 della Convenzione europea dei  diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'
 fondamentali,  firmata  a  Roma  il 14 novembre 1950 e ratificata con
 legge n. 848 del 1955; art. 14 del Patto internazionale di New  York,
 relativo ai diritti civili e politici, adottato il 14 dicembre 1966 e
 ratificato con legge n. 881 del 1977; artt. 28 e  29  dei  protocolli
 sullo Statuto della Corte di giustizia, annessi ai trattati C.E.C.A.,
 C.E.E., ed  EURATOM)  il  principio  della  pubblicita'  e'  posto  a
 garanzia  dell'imputato.  A  tale  principio,  pero',  sono  previste
 deroghe  non  solo  per  ragioni  di  sicurezza,  ordine  pubblico  e
 moralita', ma anche per giuste esigenze affidate alla valutazione del
 giudice.
    Ma,  per  verificare  se  circostanze  particolari, come l'accordo
 delle parti e la situazione del processo  pronto  per  una  decisione
 allo  stato  degli  atti,  tipici  connotati del giudizio abbreviato,
 siano  sufficienti  a   giustificare   o   no,   sotto   il   profilo
 costituzionale invocato, la deroga al principio della pubblicita' dei
 giudizi, sarebbe indispensabile una considerazione del  problema  non
 limitata  al  giudizio abbreviato transitorio richiesto dall'imputato
 alla presenza del pubblico presente alle formalita' di  apertura  del
 dibattimento,  come avvenuto nel caso di specie, ma esteso anche alle
 ipotesi  di  giudizio  abbreviato  transitorio  richiesto  nel  corso
 dell'istruzione  e,  piu'  ancora,  all'ipotesi  tipica  del giudizio
 abbreviato  ordinario,  che  si  colloca   nell'ambito   dell'udienza
 preliminare.  L'ordinanza  di rimessione non e' in proposito univoca,
 oscillando tra una prospettazione della  questione  con  riguardo  al
 solo  giudizio abbreviato transitorio, di cui al denunciato art. 247,
 secondo  comma,  lamentando,  proprio  con  riguardo  ad  esso,   che
 "dovrebbe essere allontanato il pubblico presente all'udienza" ed una
 prospettazione comprensiva anche del "ricorso al giudizio  abbreviato
 nel  periodo  transitorio e in quello di piena applicazione del nuovo
 codice di procedura penale". Senza contare  che,  trattandosi  di  un
 giudizio di competenza della Corte di assise, potrebbero aver assunto
 particolare incidenza per il giudice a quo la gravita'  del  reato  e
 l'allarme  suscitato  nell'opinione pubblica, circostanze queste che,
 in sede di lavori preparatori della legge delega,  avevano  suggerito
 soluzioni  normative  diverse. La varieta' delle ipotesi in relazione
 sia al tempo che all'oggetto del processo, comportando una  gamma  di
 possibili  soluzioni,  non  consente  a  questa Corte di scendere nel
 merito di fronte ad una prospettazione  della  questione  in  termini
 cosi' incompleti.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 247, secondo comma, del testo delle norme di attuazione, di
 coordinamento  e  transitorie  del  codice di procedura penale (testo
 approvato con il decreto del Presidente della  Repubblica  28  luglio
 1989,  n.  271),  in  riferimento  all'art.  101  della Costituzione,
 sollevata dalla Corte di assise di Torino con l'ordinanza indicata in
 epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1991.
                          Il Presidente: CONSO
                          Il redattore: GRECO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria l'8 febbraio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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