N. 71 SENTENZA 28 gennaio - 8 febbraio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Giornale e giornalista - Tele-cine-fotooperatori  ex prestatori
 d'opera - Iscrizione nell'elenco dei pubblicisti e dei giornalisti -
 Possibilita' del terzo di impugnare un atto lesivo  della propria
 posizione giuridica dinanzi ad "una qualsiasi istanza
 giurisdizionale" - Non ravvisabilita' di lesione del diritto di
 azione e di difesa - Non fondatezza.
 
 (Legge 3 febbraio 1963, n. 69, artt. 1, 26 e seguenti, 60, 62, 63 e
 64 in connessione con gli artt. 806 e 819 del c.p.c., 19 del c.p.p.,
 28 e 30 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, e 7, terzo  comma, della
 legge 6 dicembre 1971, n. 1034).
 
 (Cost., artt. 24, primo comma, e 113, secondo comma).
(GU n.7 del 13-2-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, dott. Francesco
 GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo
 SPAGNOLI,  prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,
 prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI,  prof.   Luigi  MENGONI,
 prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale del combinato disposto
 degli artt. 1, 26 "e seguenti",  60,  62,  63  e  64  della  legge  3
 febbraio  1963, n. 69 (Ordinamento della professione di giornalista),
 in connessione con gli artt.  806  e  819  del  codice  di  procedura
 civile,  19 del codice di procedura penale, 28 e 30 del regio decreto
 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul
 Consiglio  di  Stato), e 7, terzo comma, della legge 6 dicembre 1971,
 n.  1034  (Istituzione  dei  tribunali   amministrativi   regionali),
 promosso  con  ordinanza  emessa  il  13  aprile  1988 dalla Corte di
 cassazione, Sezioni unite civili,  nei  procedimenti  civili  riuniti
 vertenti tra S.p.A. Editrice La Stampa ed altra e Consiglio nazionale
 dell'Ordine dei giornalisti ed altri, iscritta al n. 239 del registro
 ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 20, prima serie speciale, dell'anno 1990.
    Visti  gli  atti  di costituzione della S.p.A. Editrice La Stampa,
 della F.I.E.G., del Consiglio nazionale dell'Ordine dei  giornalisti,
 nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  dell'8  gennaio  1991  il  giudice
 relatore Francesco Paolo Casavola;
    Uditi  gli  avvocati  Alessandro  Pace  per  la  F.I.E.G.,  Franco
 Pastore, Alessandro Pace per S.p.A. Editrice La Stampa  e  l'Avvocato
 dello  Stato  Pier  Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei
 Ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con d.P.R. 19 luglio 1976, n. 649, a modifica del regolamento
 di esecuzione della legge  n.  69  del  1963  sull'ordinamento  della
 professione    di   giornalista,   veniva   consentita   l'iscrizione
 nell'elenco dei pubblicisti e dei giornalisti, ricorrendo determinate
 condizioni, anche ai tele-cine-foto operatori.
    Il  citato  d.P.R.  veniva  impugnato  dalla  Federazione italiana
 editori di giornali (F.I.E.G.) e da alcuni editori privati dinanzi al
 Tribunale   amministrativo   regionale   del  Lazio,  che  dichiarava
 inammissibili i ricorsi per carenza di lesione  attuale  (dovendo  il
 regolamento  essere censurato congiuntamente all'atto applicativo del
 medesimo).
    Successivamente  la  Societa'  editrice  "La  Stampa"  chiedeva al
 Tribunale amministrativo regionale del Piemonte l'annullamento  delle
 delibere  con  cui  il  consiglio  interregionale dei giornalisti del
 Piemonte e Valle d'Aosta aveva disposto l'iscrizione nel registro dei
 praticanti   giornalisti   di   due  gruppi  di  cine-foto  operatori
 dipendenti della ricorrente societa'.
    In tale giudizio sollevava regolamento di competenza la Presidenza
 del  Consiglio  dei  Ministri  (in  quanto   la   domanda   involgeva
 l'annullamento  del  d.P.R.  n. 649 del 1976), a seguito del quale il
 Consiglio  di   Stato   affermava   la   competenza   del   Tribunale
 amministrativo  regionale del Lazio, dinanzi a cui venivano riassunti
 i giudizi con l'intervento della F.I.E.G.
    Con   sentenza   14   settembre   1981,   n.   678,  il  Tribunale
 amministrativo regionale  annullava  il  citato  d.P.R.,  dichiarando
 caducate  le conseguenziali delibere, ma il Consiglio di Stato, adito
 in appello, riunite le cause, con decisione 16 dicembre 1983, n. 945,
 dichiarava  il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo ed
 annullava senza  rinvio  la  sentenza  del  Tribunale  amministrativo
 regionale.
    Avverso  tale pronuncia la Societa' editrice "La Stampa" proponeva
 ricorso per cassazione dinanzi  alle  Sezioni  unite  per  motivi  di
 giurisdizione  (analoga  impugnazione  veniva  proposta  con  ricorso
 incidentale dalla F.I.E.G., mentre resistevano con  controricorsi  il
 Consiglio  nazionale  dell'ordine  dei  giornalisti,  il Ministero di
 grazia e giustizia, nonche' Solavaggione Sergio).
    La   Corte,  pronunciandosi  limitatamente  al  giudizio  relativo
 all'impugnazione  diretta  dell'atto  regolamentare,  dichiarava  sul
 punto  la  giurisdizione  del  giudice  amministrativo e cassava (con
 sentenza 13 aprile 1988, n.  1102)  la  decisione  del  Consiglio  di
 Stato.
    Separato  e  sospeso  il  giudizio concernente l'impugnativa delle
 delibere, le medesime Sezioni  unite,  con  ordinanza  emessa  il  13
 aprile  1988  (pervenuta alla Corte costituzionale il 9 aprile 1990),
 hanno sollevato, in relazione agli artt.  24,  primo  comma,  e  113,
 secondo   comma,   della   Costituzione,  questione  di  legittimita'
 costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, 26 "e seguenti",
 60,  62,  63  e 64 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, in connessione
 con gli artt. 806 e 819 del codice di procedura civile, 19 del codice
 di  procedura  penale,  28  e  30  del  testo  unico  delle leggi sul
 Consiglio di Stato (regio decreto n. 1054 del 1924), 7, terzo  comma,
 della  legge  n.  1034  del  1971,  nella  parte  in  cui,  letti  in
 correlazione, escludono che il terzo, la cui posizione giuridica  sia
 incisa dal provvedimento d'iscrizione nel registro dei giornalisti (o
 praticanti   giornalisti),   possa   impugnare   (o   contestare   la
 legittimita' di) tale provvedimento dinanzi ad una "qualsiasi istanza
 giurisdizionale".
    Il  giudice  a  quo, qualificato il provvedimento d'iscrizione del
 giornalista  (o  praticante)  nel   registro   relativo   come   atto
 amministrativo    d'accertamento,    costitutivo    di   uno   status
 professionale, esclude che  le  relative  controversie,  devolute  al
 giudice  specializzato  di cui all'art. 63 della legge professionale,
 possano  essere  di  competenza  del  giudice  amministrativo  ovvero
 possano  formare  oggetto di accertamenti incidentali senza efficacia
 di giudicato. La norma  citata,  peraltro,  nell'individuare  per  il
 giornalista  un  giudice naturale del suo status, impone che soltanto
 questi  decida  erga  omnes  con  efficacia  di  giudicato  tutte  le
 questioni  in  materia  ed  indica altresi' tassativamente i soggetti
 legittimati ad impugnare le delibere, con esclusione dei terzi.
    A  riguardo  la Corte di cassazione osserva che, per effetto della
 disposizione  del  contratto  collettivo  nella  specie  applicabile,
 l'iscrizione  di  un  fotografo (dipendente dell'editore in argomento
 nel registro dei giornalisti) determina il passaggio  d'inquadramento
 del  lavoratore dal settore dei poligrafici a quello dei giornalisti,
 con modificazione del trattamento economico a carico  del  datore  di
 lavoro e conseguente interesse di quest'ultimo a non veder modificati
 i termini del rapporto di lavoro.
    In   cio'   risiederebbe  la  configurabilita'  di  una  posizione
 soggettiva, idonea ad essere  lesa  da  un  atto  amministrativo  (in
 ipotesi)   illegittimo   quale,  appunto,  la  delibera  d'iscrizione
 (contrariamente a quanto in passato affermato dalla stessa Corte che,
 con  sentenza  n.  6252 del 1981, aveva escluso la diretta attitudine
 lesiva  dell'atto).  A  fronte  di  tale  "diritto"  non  vi  sarebbe
 possibilita'  alcuna  per  il terzo di far valere l'illegittimita' in
 argomento,  con  conseguente  possibile  violazione  della   garanzia
 costituzionale alla tutela giurisdizionale.
    L'ordinanza di rimessione conclude rilevando come all'accoglimento
 della questione sia collegata la  legittimita'  della  norma  che  (a
 seguito  di  una  possibile  pronuncia additiva) affidi ad un giudice
 specializzato  la  tutela  di  un  terzo  (questione  che  ricadrebbe
 "nell'autonoma valutazione" della Corte costituzionale).
    2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, che  ha  concluso  per  la
 declaratoria   di  inammissibilita',  ovvero  di  infondatezza  della
 questione,  escludendo  anzitutto  che  gli  interessi  in  eventuale
 conflitto  con  l'aspirazione  del giornalista ad acquisire lo status
 professionale possano essere qualificati  in  termini  di  situazioni
 giuridicamente    tutelabili   (diritti   soggettivi   od   interessi
 legittimi). Proprio sulla base dell'opportunita' per la categoria  in
 parola  di un'associazione che garantisca la liberta' professionale -
 ben al di la' della tutela sindacale - secondo il  pensiero  espresso
 da  questa  Corte con sentenza n. 11 del 1968, l'Avvocatura argomenta
 circa  la  razionalita'  dell'impugnata  normativa,  che   identifica
 nell'interessato e nel pubblico ministero i soli soggetti legittimati
 ad un'azione giurisdizionale avente ad oggetto la  titolarita'  dello
 status di giornalista.
    Poiche'  la  rilevanza  del  titolo  professionale nell'ambito del
 rapporto di lavoro non deriva affatto  dalla  legge,  bensi'  da  una
 pattuizione  contrattuale  (alla  quale  hanno  concorso  gli  stessi
 soggetti che ora ne lamentano gli effetti), risulterebbe assai dubbia
 -  secondo  l'Avvocatura - l'idoneita' della clausola ad assumere una
 rilevanza esterna al rapporto stesso, tale da invadere,  alterandola,
 la  disciplina  pubblicistica  del  rapporto  (modificando "la stessa
 configurazione legale dello status di giornalista").
    La  connotazione  aziendalistica  cosi'  impressa alla professione
 verrebbe, in altri termini, ad influenzare la  funzione  dell'Ordine,
 viceversa  preposto  ad  una  ben diversa salvaguardia della dignita'
 professionale.
    Sarebbe  infine  il  giudice  del  lavoro  a dover conoscere degli
 effetti  della  clausola  contrattuale   che   conferisce   efficacia
 vincolante  all'iscrizione  all'albo,  nella  dimensione  propria  ed
 effettiva della controversia, data appunto dal rapporto di lavoro.
    3.  -  Nel  giudizio  davanti a questa Corte si sono costituite la
 F.I.E.G.  e  la  S.p.A.  Editrice  La  Stampa,  depositando   memorie
 d'analogo  contenuto,  in  cui si da' anzitutto atto dell'intervenuta
 dichiarazione (resa con la citata sentenza n. 1102  del  1990)  della
 giurisdizione   del   giudice  amministrativo  circa  la  domanda  di
 annullamento  del  d.P.R.  n.  649  del  1976  (e   del   conseguente
 riconoscimento  in  favore  delle parti stesse di un mezzo diretto di
 tutela  avverso  un  provvedimento  idoneo  a  pregiudicare  il  loro
 interesse).
    Tuttavia,    secondo    la   difesa   delle   parti,   l'eventuale
 illegittimita' del regolamento non travolgerebbe  automaticamente  le
 delibere  di  ammissione,  le  quali,  a loro volta, potrebbero anche
 presentare dei vizi non derivanti dall'atto generale: in  entrambi  i
 casi  residuerebbe  in  capo  al  datore  di  lavoro un interesse, in
 concreto privo di tutela, a far verificare la  legittimita'  di  tali
 provvedimenti attributivi di status.
    Si  sottolinea  infine  nelle  memorie come la questione sollevata
 dalle  Sezioni  unite  sia  strettamente  collegata   da   nesso   di
 conseguenzialita'  (  ex  art.  27  della  legge  n. 87 del 1953) con
 l'altra questione  concernente  l'attuale  composizione  del  giudice
 specializzato,   che,  nell'ipotesi  di  accoglimento,  non  potrebbe
 certamente mantenere l'attuale configurazione. Il collegio,  infatti,
 in  quanto  integrato  da un giornalista e da un pubblicista, sarebbe
 "aprioristicamente" sfavorevole  all'editore,  cosi'  vulnerando  gli
 artt. 3, 102 e 108 della Costituzione.
    Si    conclude    ricordando    come    l'auspicata   declaratoria
 d'illegittimita' dovrebbe essere estesa  (sempre  ex  art.  27  cit.)
 anche alla disciplina dettata per i pubblicisti.
    4.   -   Nell'imminenza   dell'udienza  hanno  depositato  memorie
 d'analogo  contenuto  la  Federazione   italiana   editori   giornali
 (F.I.E.G.)  e  la S.p.A. Editrice La Stampa, che, da una parte, hanno
 sottolineato la  peculiarita'  del  lavoro  giornalistico,  che  -  a
 differenza  di numerose altre professioni liberali - non si svolge in
 regime  di  lavoro  autonomo,   bensi'   come   prestazione   d'opera
 subordinata  e,  d'altra  parte,  hanno  richiamato  la  disposizione
 dell'art. 1 del C.C.N.L., a termini del  quale  l'acquisizione  dello
 status   di   giornalista   determina   il   correlativo  trattamento
 economico-normativo.
    In  secondo  luogo  si  ribadisce  come  la  situazione soggettiva
 dell'editore vada correttamente  ravvisata  -  secondo  l'indicazione
 delle stesse Sezioni unite rimettenti - in termini d'"interesse a non
 vedere  modificato  il  contenuto  del  rapporto  di  lavoro":   tale
 qualificazione  comporterebbe  la  necessita'  di  garantire tutela a
 siffatta posizione.
    Conclusivamente  si  osserva  che  l'illegittimita' conseguenziale
 delle norme concernenti la  composizione  del  giudice  specializzato
 deriverebbe  soltanto dall'ipotesi di accoglimento della questione in
 riferimento  all'esclusione  dell'editore-terzo  dal   giudizio   che
 dinanzi al giudice specializzato si svolge e non anche alla possibile
 eliminazione della esclusiva competenza di tale sezione  ovvero  alla
 possibilita'  per  qualsiasi  giudice  di conoscere incidenter tantum
 della legittimita' dell'iscrizione.
    Tali  due  ultime soluzioni sarebbero alla Corte offerte, a parere
 della difesa delle  parti,  dal  petitum  costituzionale  cosi'  come
 formulato dalle Sezioni unite.
    5.  -  Ha  inoltre  depositato  memoria  fuori  termine  anche  il
 Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La Corte di cassazione, Sezioni unite civili, con ordinanza
 del 13 aprile 1988, pervenuta alla Corte costituzionale il  9  aprile
 1990  (R.O. n. 239/1990), con riferimento agli artt. 24, primo comma,
 e 113,  secondo  comma,  della  Costituzione,  solleva  questione  di
 legittimita'  costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, 26
 e "seguenti", 60, 62, 63 e 64 della legge  3  febbraio  1963,  n.  69
 (Ordinamento  della  professione  di giornalista), in connessione con
 gli artt. 806 e 819 del codice di procedura civile, 19 del codice  di
 procedura  penale,  28 e 30 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054
 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), 7,
 terzo  comma,  della  legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei
 tribunali amministrativi regionali), "nella parte in  cui,  letti  in
 correlazione,  escludono che il terzo, la cui posizione giuridica sia
 incisa dal provvedimento d'iscrizione nel registro dei giornalisti (o
 praticanti   giornalisti),   possa   impugnare   (o   contestare   la
 legittimita' di) tale provvedimento dinanzi ad una qualsiasi  istanza
 giurisdizionale".
    2.  - L'ordinanza di rimessione individua nell'editore di giornali
 una posizione giuridica soggettiva che si  esprime  nell'interesse  e
 nella correlativa pretesa di non vedere mutata la posizione di lavoro
 del  personale  impiegato  nell'azienda  giornalistica,  se  non   in
 conformita'   degli   artt.  1372,  1374,  2077  del  codice  civile,
 complessivamente  indicati  come  lex  contractus.   Tale   posizione
 giuridica,  che  ad  avviso  della  Corte  di cassazione ha natura di
 diritto soggettivo, verrebbe pero' incisa da un atto  amministrativo,
 estraneo  alla lex contractus, consistente nella iscrizione nell'albo
 dei giornalisti di prestatori  d'opera,  i  termini  del  cui  lavoro
 subordinato  rispetto  all'editore mutano a seguito dell'acquisizione
 dello  status  di  giornalista  per  il  provvedimento   d'iscrizione
 adottato dai Consigli dell'Ordine professionale.
    Dato il principio generale che ogni atto amministrativo che incida
 in una posizione di diritto  soggettivo  deve  essere  legittimo,  il
 giudice a quo riscontra nell'ordinamento, rispetto al caso di specie,
 assenza di tutela giurisdizionale, non potendo conoscere  di  diritti
 soggettivi   il   giudice  amministrativo,  ne'  disapplicare  l'atto
 amministrativo  costitutivo  di  status  il  giudice  ordinario,  ne'
 potendo  infine  essere  adito  il  giudice  specializzato perche' la
 legittimazione ad agire presso di lui, ex art. 63 della legge  n.  69
 del  1963,  e'  limitata  al  giornalista  interessato  e al pubblico
 ministero.
    Di  qui l'esigenza di una pronuncia di questa Corte per violazione
 degli  artt.  24,  primo  comma,  e   113,   secondo   comma,   della
 Costituzione.
    3. - La questione non e' fondata.
    Non   essendo   contestabile   da  parte  della  giurisdizione  di
 costituzionalita' l'individuazione spettante  alla  giurisdizione  di
 nomofilachia   della   descritta   posizione   giuridica   soggettiva
 dell'editore di giornali, il thema decidendum si circoscrive  intorno
 alla  ipotesi  di  violazione  del  diritto  di  difesa,  per  essere
 l'editore di  giornali  escluso  dalla  legittimazione  ad  adire  il
 giudice specializzato, di cui all'art. 63 della legge n. 69 del 1963.
    L'ordinamento della professione di giornalista, come costruito dal
 legislatore   del   1963,   soprattutto   attraverso    l'istituzione
 dell'Ordine  e  l'obbligatorieta'  dell'iscrizione all'albo, persegue
 fini che superano "di gran lunga  la  tutela  sindacale  dei  diritti
 della  categoria",  nel  rapporto di lavoro subordinato con l'impresa
 giornalistica.
    L'Ordine  dei  giornalisti,  come questa Corte ebbe a sottolineare
 nella sentenza n. 11 del 1968, ha il compito di  salvaguardare,  erga
 omnes e nell'interesse della collettivita', la dignita' professionale
 e la liberta' di informazione e di critica dei propri iscritti.
    Ne  consegue  che  per  controversie  tra  l'Ordine  e  i  singoli
 associati, afferenti a questa sfera di prevalente interesse  pubblico
 e  di  rispetto  della  deontologia della professione, e' dalla legge
 precostituito un giudice  specializzato  nella  cui  composizione  la
 presenza  di  un  giornalista  professionista  e  di  un  pubblicista
 corrisponde alla legittimazione ad agire riservata a soli giornalisti
 e pubblicisti, oltre che al pubblico ministero.
    Rispetto  all'ambito  delle funzioni dell'Ordine professionale e a
 quello delle  competenze  del  giudice  specializzato,  l'editore  di
 giornali  e' un terzo estraneo privo di ragioni da tutelare in questa
 istanza. Non puo' quindi ravvisarsi lesione del diritto di  azione  e
 di difesa, di cui all'art. 24 della Costituzione, per non trovarsi il
 titolare dell'impresa giornalistica incluso tra i legittimati ex art.
 63 della legge n. 69 del 1963.
    4.  -  Altro  profilo  e'  quello  della  asserita  incidenza  del
 provvedimento amministrativo dell'ente pubblico-Ordine  professionale
 sul  diritto  soggettivo  dell'imprenditore  a  non  vedere mutato il
 rapporto di lavoro per  la  sopravvenuta  iscrizione  del  lavoratore
 subordinato nell'albo dei giornalisti.
    L'aporia  denunciata dalla Corte di cassazione circa il difetto di
 un  giudice,  presso  cui   azionare   tale   diritto   ed   ottenere
 l'annullamento  o  quanto  meno  la disapplicazione del provvedimento
 d'iscrizione  costitutivo  dello  status  di   giornalista,   avrebbe
 consistenza  solo se ricorresse esplicita preordinazione in una norma
 della legge professionale dell'effetto modificativo  della  posizione
 di lavoro in corso, esplicato dall'atto di iscrizione.
    Solo  in  questa ipotesi potrebbe aversi incisione della posizione
 giuridica, qualificata in termini di diritto soggettivo, dell'editore
 di  giornali,  senza  tutela  e  dunque con violazione dell'art. 113,
 terzo comma, della Costituzione.
    Ma  tale  preordinazione  non  ricorre e, conseguentemente, non e'
 dato rilevare alcuna  delle  prospettate  violazioni  degli  invocati
 parametri costituzionali.
    5.  - Il dato residuale riscontrabile allo stato dell'ordinamento,
 tuttavia al di fuori della verifica di costituzionalita', e'  che  la
 modificazione  della  posizione  di lavoro a seguito della iscrizione
 del lavoratore subordinato nel registro dell'Ordine  dei  giornalisti
 trova sua fonte nella interpretazione del terzo comma dell'art. 1 del
 contratto collettivo nazionale di lavoro in vigore,  che  suona  mera
 ricognizione   della   qualita'  di  giornalista:  "Sono  giornalisti
 professionisti e pubblicisti coloro che tali risultano qualificati ai
 sensi degli ordinamenti della professione giornalistica".
    La  portata di tale clausola ha origine e si esaurisce nell'ambito
 della fenomenologia negoziale e delle competenze giurisdizionali  del
 giudice del lavoro.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non  fondata la questione di legittimita' costituzionale
 del combinato disposto degli artt. 1, 26 e seguenti, 60, 62, 63 e  64
 della  legge 3 febbraio 1963, n. 69 (Ordinamento della professione di
 giornalista), sollevata - in connessione con gli artt. 806 e 819  del
 codice  di  procedura civile, 19 del codice di procedura penale, 28 e
 30 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del  testo
 unico  delle  leggi  sul Consiglio di Stato), e 7, terzo comma, della
 legge  6  dicembre  1971,  n.   1034   (Istituzione   dei   tribunali
 amministrativi regionali) - dalla Corte di cassazione, in riferimento
 agli artt. 24, primo comma, e 113, secondo comma, della Costituzione,
 con l'ordinanza di cui in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1991.
                          Il Presidente: CONSO
                         Il redattore: CASAVOLA
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria l'8 febbraio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 91C0170