N. 3 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 4 febbraio 1991

                                  N. 3
 Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria il 4 febbraio 1991 (della regione Lombardia)
 Finanza regionale - Disposizioni urgenti in materia di finanza locale
 - Facolta' delle regioni di contrarre  mutui  decennali,  nei  limiti
 risultanti  dai  bilanci  redatti  ed  approvati ai sensi delle norme
 vigenti relativamente agli anni 1987,  1988,  1989  e  1990,  per  il
 ripiano  dei  disavanzi  di  esercizio  delle  aziende  di  trasporto
 pubbliche, private e in concessione che non hanno  trovato  copertura
 con  il Fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi delle aziende di
 trasporto pubbliche e private, ai sensi della legge 10  aprile  1981,
 n.  151  - Indebito accollo di oneri economici a carico delle regioni
 senza copertura  finanziaria  -  Lesione  dell'autonomia  finanziaria
 delle regioni - Richiamo alle sentenze della Corte costituzionale nn.
 307/1983, 245/1984 e 452/1989.
 (D.-L. 31 ottobre 1990, n. 310, art. 2-bis).
 (Cost., artt. 117, 118 e 119).
(GU n.8 del 20-2-1991 )
    Ricorso  della  regione Lombardia, in persona del presidente della
 giunta regionale ing. Giuseppe Giovenzana, autorizzato  con  delibera
 della  giunta  n.  5056  del  24 gennaio 1991, rappresentato e difeso
 dagli avvocati prof.  Valerio  Onida  e  Gualtiero  Rueca,  e  presso
 quest'ultimo  elettivamente  domiciliato in Roma, largo della Gancia,
 1, come da delega a margine del presente atto, contro  il  presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri  per la dichiarazione di illegittimita'
 costituzionale dell'art. 2- bis del d.-l. 31  ottobre  1990,  n.  310
 (recante   "Disposizioni  urgenti  in  materia  di  finanza  locale")
 aggiunto dalla  legge  di  conversione  22  dicembre  1990,  n.  403,
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 1990.
    Come  e' noto, la legge 10 aprile 1981, n. 151, istitui' il "fondo
 nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende  di
 trasporto  pubbliche  e  private",  (art.  9,  primo  comma),  il cui
 ammontare,  determinato  annualmente  dalla  legge  finanziaria,   e'
 ripartito  fra  le  regioni,  le  quali  a  loro  volta  assegnato  i
 rispettivi fondi alle aziende di trasporto"  con  i  criteri  fissati
 dall'art.  6  della  stessa legge (art. 9, nono comma), erogando alle
 stesse aziende i "contributi di esercizio".
    L'art. 6, terzo comma, della medesima legge n. 151/1981 stabilisce
 espressamente che "le eventuali perdite o disavanzi non  coperti  dai
 contributi  regionali  come  sopra determinati restano a carico delle
 singole imprese od esercizi di trasporto"; gli enti locali e  i  loro
 consorzi  "provvedono  alla  copertura  dei  disavanzi  delle proprie
 aziende  all'interno  dei  propri  bilanci,  senza  possibilita'   di
 rimborso  da parte dello Stato, sulla base di un piano che prevede il
 raggiungimento dell'equilibrio di bilancio" (art. 6, quarto comma).
    Il  sistema  e'  dunque  configuarto  chiaramente  in  modo che le
 regioni finanziano i disavanzi degli enti e delle aziende nei  limiti
 delle quote del fondo nazionale loro attribuite, mentre gli eventuali
 disavanzi ulteriori non gravano su di esse, bensi' sugli enti gestori
 dei  servizi, ovvero sono finanziati mediante interventi straordinari
 dello  Stato,  l'unico  soggetto  che,  oltre  a  disporre  dei  piu'
 rilevanti  poteri  di governo della spesa del settore, disposte delle
 risorse necessarie.
    In particolare, verificandosi di frequentare anche con riguardo al
 fondo trasporti, come  per  altri  fondi,  il  fenomeno  di  una  sua
 insufficenza  rispetto  ai  disavanzi  effettivamente  prodotti, piu'
 volte il legislatore statale e' intervenuto a  sanare  ex  post  tali
 situazioni.
    Cosi'  con  l'art.  1  del  d.-l. 9 dicembre 1986, n. 833 (recante
 "misure urgenti per il settore dei trasporti locali") convertito, con
 modificazioni, in legge 6 febbraio 1987, n. 18, si era dipsosto che i
 disavanzi relativi agli esercizi 1982, 1983, 1984, 1985 e  1986,  che
 non  avevano trovato copertura con i contributi di esercizio, fossero
 assunti a carico dei bilanci delle regioni in misura pari al  70  per
 cento,  e  che  le regioni provvedessero alla maggiore spesa mediante
 operazioni di mutuo con la Cassa depositi e prestiti il cui onere era
 "assunto a carico del bilancio dello Stato" (art. 1, secondo comma; e
 cfr. anche d.m. 18 dicembre 1986 e d.m. 9 febbraio 1987); mentre  gli
 enti  locali  dovevano provvedere a proprio carico alla copertura del
 20 per cento dei  disavanzi  delle  proprie  aziende  o  gestioni  di
 trasporto (art. 2).
    Di  recente  il  d.-l.  4 marzo 1989, n. 77 (recante "disposizioni
 urgenti  in  materia  di  trasporti  e  di  concessioni   marittime",
 convertito,  con  modificazioni,  in  legge 5 maggio 1989, n. 160, ha
 diposto una  riduzione  dell'ammontare  del  fondo  trasporti,  parte
 esercizio,  per  il 1989, prevedendo una ulteriore graduale riduzione
 dello  stesso  a  decorrere  dal  1990,  "sulla  base  dei  risultati
 acquisiti  in  applicazione  dei principi e dei criteri" previsti dal
 successivo secondo comma,  "e  parallelamente  al  risanamento  delle
 gestioni di cui allo stesso secondo comma".
    Al  "risamento  delle  relative  gestioni"  sono finalizzati detti
 criteri, la cui determinazione analitica e' rimessa al  Ministro  dei
 trasporti  di  concerto  col  Ministro del tesoro, e in base ai quali
 sono erogati dalle regioni i contributi di esercizio (secondo comma).
    Il  quarto  comma del medesimo art. 1 ribadiva che gli enti locali
 "provvedono alla copertura di eventuali disavanzi di  gestione  delle
 aziende  a  carico  dei  rispettivi  bilanci,  senza  possibilita' di
 rimborso da parte dello  Stato",  e  che  "parimenti,  gli  eventuali
 disavanzi  di  gestione  delle  imprese  private  concessionarie  del
 servizio  di  trasporto  pubblico,  non  coperti  dai  contributi  di
 esercizio ne' dai ricavi del traffico, restano integralmente a carico
 dell'impresa, senza possibilita' di rimborso da parte dello Stato".
    Il   sistema  normativo  di  settore  e'  dunque  chiarissimo  nel
 configurare i confini dell'intervento e della  responsabilita'  delle
 regioni,  chiamate  ad  erogare i contributi di esercizio, in base ai
 criteri fissati della legge dello Stato, e  mediante  utilizzo  della
 quota del fondo nazionale assegnata a ciascuna di esse; e nel porre a
 carico degli enti locali o delle imprese concessionarie la  copertura
 di eventuali disavanzi ulteriori, salvo interventi di ripianamento da
 parte dello Stato.
    Per  la  verita'  il  legislatore statale aveva in passato operato
 qualche tentativo per scaricare gli oneri di tali disavanzi ulteriori
 o  di una parte di essi sulle regioni: una prima volta con l'art. 31,
 primo comma, del  d.-l.  n.  55/1983,  relativo  all'anno  1983;  una
 seconda  volta  con  l'art.  7,  tredicesimo  comma,  della  legge n.
 730/1983 (legge finanziaria per il 1984).
    In  entrambi  i casi pero' questa Corte, adi'ta da alcune Regioni,
 riconobbe   l'illegittimita'   delle   disposizioni   in   questione,
 rispettivamente  con  la  sentenza  n.  307/1983 e con la sentenza n.
 245/1984.
    Osservo'  la  Corte infatti che, se "si ammettesse che, in nome di
 qualsivoglia esigenza di coordinamento  finanziario  lo  Stato  possa
 ricorrere  ai  tributi  regionali  'propri',  individuando  nel  loro
 gettito il  Mezzo  per  fronteggiare  spese  di  interesse  nazionale
 'sottolineatura  nostra',  l'autonomia  legislativa  locale  verrebbe
 irrimediabilmente  vulnerata,   assieme   all'autonomia   finanziaria
 considerata  sul  versante delle uscite" (sentenza n. 307/1983, n. 15
 del cons. in diritto; analogamente la sentenza n. 245/1984, n. 2  del
 cons. in diritto).
    Onde  risulta  consolidato  e  indiscusso  il principio per cui la
 spesa occorrente per ripianare i disavanzi delle aziende di trasporto
 non  puo' gravare su bilanci regionali oltre i limiti delle quote del
 fondo nazionale assegnate a ciascuna regione.
    Lo  stesso  art.  2  del  d.-l. 31 ottobre 1990, n. 310, rimane su
 questa linea,  allorquando  stabilisce  che  "gli  enti  locali  sono
 autorizzati   a  contrarre  mutui  decennali  per  la  copertura  dei
 disavanzi di esercizio delle aziende di  trasporto  pubbliche  e  dei
 servizi  di  trasporto  a  gestione  diretta,  relativi agli esercizi
 1987-90", ovvero "per il finanziamento delle somme occorrenti.... per
 la  ricapitalizzazione delle aziende di trasporto costituite in forma
 di societa' per azioni, quando l'ente locale riveste la posizione  di
 unico  azionista  o  di  azionista  di  maggioranza"  primo e secondo
 comma): mutui il cui ammontare non puo' essere superiore al disavanzo
 risultante per ciascun anno dai conti consuntivi (quarto comma), e il
 cui onere di ammortamento "e' a carico dei bilanci degli enti locali"
 (quinto comma).
    L'assunzione  dei mutui e' subordinata all'adozione di un piano di
 risanamento  economico  finanziario  che  preveda  il  raggiungimento
 dell'equilibrio  di  bilancio etro il 31 dicembre 1996 (sesto comma);
 durante  il  periodo  di  attuazione  del  piano  gli   enti   locali
 "iscriveranno nei propri bilanci i decrescenti contributi necessari a
 realizzare il pareggio" nono comma, contributi alla cui copertura "si
 provvede mediante la contrazione di mutui a carico degli enti locali"
 medesimi (decimo comma).
    Il  Governo,  in  sede  di adozione del decreto legge n. 310/1990,
 aveva dunque tenuto fede alla corretta linea emergente  dai  principi
 della  legislazione precedente, imposta dalla Costituzione e ribadita
 dalla Corte costituzionale nelle pronunce citate.
    Inopinatamente  pero',  in sede di conversione in legge del d.-l.,
 e' stato inserito nel  medesimo  un  art.  2-bis,  che  ripropone  il
 tentativo,  gia'  censurato due volte dalla Corte, di scaricare sulle
 regioni una parte del disavanzo delle aziende di trasporto.
    Ai  sensi di detto art. 2- bis "le regioni possono contrarre mutui
 decennali, nei limiti delle perdite risultanti dai bilanci redatti  e
 approvati  ai sensi delle norme vigenti relativamente agli anni 1987,
 1988, 1989 e 1990, per il ripiano dei disavanzi  di  esercizio  delle
 aziende  di  trasporto  pubbliche, private ed in concessione, che non
 hanno trovato copertura con i contributi  di  cui  all'art.  6  della
 legge  10  aprile 1981, n. 151 'cioe' con i contributi di esercizio',
 nonche' limitatamente agli importi residuati dopo l'applicazione  del
 primo,  secondo,  terzo  e  quarto  comma  dell'art.  2" dello stesso
 decreto.
    L'assunzione  di  tali  mutui  "puo'  avvenire  anche in deroga ai
 limiti previsti dalle leggi vigenti",  e  "le  relative  procedure  e
 criteri  sono stabiliti con decreto del Ministro del tesoro" (secondo
 comma); mentre l'onere di  ammortamento  dei  mutui  medesimi  "e'  a
 carico dei bilanci delle regioni" (terzo comma).
    Ci  si  potrebbe  domandare,  in  ordine  alle  aziende pubbliche,
 perche' si ipotizzino dei disavanzi residui "dopo l'applicazione  del
 primo,  secondo  terzo e quarto comma dell'art. 2" del decreto, posto
 che  tali  ultime  disposizioni  prevedono,   come   si   e'   detto,
 l'assunzione da parte degli enti locali di mutui fino all'importo dei
 disavanzi accertati per ciascuno dei  quattro  esercizi  considerati,
 dal 1987 al 1990.
    E'  chiaro piuttosto che nessun ente locale stipulera' i mutui ivi
 previsti, con onere a proprio carico, quanto  sa  che,  in  mancanza,
 provvedera'  la regione ai sensi del nuovo art. 2- bis del decreto in
 questione.
    Invece  per  le aziende di trasporto private, non essendo previsto
 alcun meccanismo di copertura dei  disavanzi  con  mutui  degli  enti
 locali,  il  ripiano  dei  disavanzi  non  coperti  dai contributi di
 esercizio viene a  gravare  totalmente  sulla  Regione  (e  non  gia'
 "limitatamente  agli importi residuati", visto che in tal caso non si
 applicano il primo e quarto comma dell'art. 2).
    In ogni caso, e a prescindere dalle oscurita' e dalle incongruita'
 del testo,  le  disposizioni  dell'art.  2-bis,  che  sostanzialmente
 pongono  un  un nuovo onere a carico della regione senza provvedere i
 mezzi  per  affrontarli,  sono  palesemente   lesive   dell'autonomia
 regionale,  e  violano  il principio di cui all'art 81, quarto comma,
 della costituzione, nonche' all'art.  27  della  legge  n.  468/1978,
 principio  da  ultimo  ribadito  nei termini piu' netti e comprensivi
 dall'art. 3, sesto comma, della legge  n.  158/1990,  secondo  cui  i
 provvedimenti  statali  che  direttamente o indirettamente comportino
 nuove funzioni o ulteriori compiti  per  la  regione,  o  modifichino
 quelli esistenti aggravandone gli oneri di gestione, debbono indicare
 le risorse occorrenti per la loro adegata copertura".
    Anche  in  questo caso, come gia' in quelli decisi dalla Corte con
 le sentenze n. 307/1983 e n. 245/1984, si fa infatti illegittimamente
 ricorso  alle risorse dei bilanci regionali (che sono gia' totalmente
 destinati ad altri scopi per fronteggiare - attraverso  la  copertura
 degli oneri dei mutui - una spesa di carattere nazionale come e', per
 espresso riconoscimento della Corte, la spesa necessaria a  ripianare
 i disavanzi delle aziende di trasporto.
    Anche  a  questo  riguardo,  come  nei riguardi della spesa per la
 copertura  dei  disavanzi  del  servizio  sanitario  (su  cui  si  e'
 proncunciata  la  Corte  con le sentenze nn. 245/1984 e 452/1989), si
 tratta di un onere che  non  puo'  essere  scaricato  sulle  regioni,
 afferendo  a  compiti  e a spese di carattere nazionale, come e' reso
 palese fra l'altro dalla  istituzione  del  fondo  nazionale  per  la
 copertura  dei  disavanzi di esercizio, di cui all'art. 9 della legge
 n. 151/1981.
    Si  tratta di compiti e spese relativi a servizi non gestiti dalla
 regione, e riguardo ai quali la  regione  non  gode  di  effettivi  e
 sufficienti  poteri  di  governo  della  spesa,  essendo  la  materia
 minuziosamente regolata da norme e atti dello Stato; si  vedano  gia'
 le  disposizioni  dell'art.  6  della  legge-quadro n. 151/1981, e da
 ultimo quelle del gia' citato art. 1 del d.-l. n. 77/1989, che affida
 al  Ministro  la  statuizione  analitica  della  "metodologia"  e dei
 "criteri generali" per la determinazione dei contributi di esercizio.
    Non  vi  e'  dunque  e  non vi puo' essere nessuna responsabilita'
 finanziaria delle regioni in proposito.
    Del  resto  non  sarebbe  in  ogni  caso  possibile addossare alle
 regioni una qualsiasi forma  di  responsabilita'  finanziaria  per  i
 disavanzi  pregressi  delle  aziende  di trasporto) si tratta infatti
 della copertura dei disavanzi degli anni dal 1987 al  1990),  la  cui
 formazione   e   la   cui   entita'  sono  ormai  fatti  storici  non
 modificabili,  e  riguardo  ai  quali  quindi  non  si   da'   alcuna
 possibilita'  per  la  regione  di  prevenire o contenere il fenomeno
 utilizzando eventuali poteri ad essa spettanti (e in realta' peraltro
 inesistenti), ne' pianificando diversamente i servizi o sopprimendoli
 (i servizi infatti sono stati di fatto svolti,  e  i  relativi  costi
 sono stati sostenuti).
    Ne',  infine, si potrebbe obiettare che l'art. 2- bis in questione
 prevede che le regioni possano, e non debbano, contrarre  i  mutui  a
 ripiano.
    Infatti  questa  (ipocrita)  formulazione  non  puo' nascondere il
 fatto  che  il  legislatore,   introducendo   tale   meccanismo   per
 fronteggiare  i disavanzi, diverso e alternativo rispetto al criterio
 precedentemente stabilito, per cui i disavanzi restano a carico degli
 enti  locali  o  delle  imprese  (art. 6, terzo comma, della legge n.
 151/1981; art. 1, terzo comma, del d.-l. n. 77/1989; e ancora art. 1,
 quinto  comma,  dello  stesso  d.-l. n. 310/1990), in realta' crea un
 vincolo e un obbligo ineludibile a carico della regione. Quale  sara'
 infatti  l'ente  locale o l'impresa che si acconcino ad accollarsi il
 disavanzo,  quando  la  legge  statale   appresta   un   sistema   di
 finanziamento a carico della regione?
    D'altra  parte,  se i mutui in questione fossero davvero frutto di
 una scelta libera della regione, non vi sarebbe stato nemmeno bisogno
 di prevederli: la regione potrebbe sempre, spontaneamente e se vuole,
 finanziare con propri mezzi le aziende di trasporto.
   Tanto  meno avrebbe senso, se si trattasse di una mera facolta' per
 la regione, la previsione secondo cui le procedure e  i  criteri  per
 l'assunzione  dei  mutui in questione "sono stabiliti con decreto del
 Ministro del tesoro" (art. 2-bis, secondo comma); ne'  sarebbe  stato
 necessario  precisare  che l'onere di ammortamento dei mutui medesimi
 e' a carico dei bilanci delle regioni, cio'  che  sarebbe  del  tutto
 ovvio  nel  caso  di  mutui  contratti dalla regione medesima per sua
 libera scelta.
    La  realta'  e'  -  lo  si  ribadisce  -  che  le  disposizioni in
 questione, inopinatamente inserite  dal  Parlamento  nella  legge  di
 conversione  di  un  decreto  legge  che era ispirato ad altra e piu'
 corretta logica, cancellano e ribaltano il  principio  sancito  nella
 legislazione preesistente e ribadito nello stesso art. 2 del d.-l. n.
 315/1990 in ordine alle aziende pubbliche di trasporto secondo cui  i
 disavanzi  non  coperti  dai  contributi  di  esercizio  erogati  con
 l'utilizzazione dell'apposito fondo nazionale restano a carico  degli
 enti  locali, obbligati ad adottare un apposito piano di risanamento,
 o delle imprese (salvo interventi straordinari di  ripiano  a  carico
 dello  Stato);  vanificano con cio' la stessa previsione di copertura
 dei disavanzi delle aziende pubbliche da parte degli enti locali, con
 mutui  ovvero  mediante  i proventi dell'alienazione di beni del loro
 patrimonio disponibili, come e' espressamente disposto  dall'art.  3,
 primo comma, dello stesso d.-l.  n. 310/1990; scaricano l'onere della
 copertura dei disavanzi (in toto e certamente di quelli delle imprese
 private;  eventualmente  o  in  parte  anche  di quelli delle aziende
 pubbliche) sui bilanci delle regioni.
    Ma   cosi'  facendo,  appunto,  l'art.  2-  bis  lede  l'autonomia
 regionale e viola l'art. 81, quarto comma, della Costituzione.
                                P. Q. M.
    La  regione  ricorrente  chiede  che  la  Corte  voglia dichiarare
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2-bis, aggiunto dalla legge
 di  conversione,  del  d.-l.  31  ottobre 1990, n. 310, convertito in
 legge con modificazioni dalla legge 22  dicembre  1990,  n.  403,  in
 riferimento  agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, nonche'
 in riferimento all'art. 27 della legge  n.  468/1978  e  all'art.  3,
 sesto comma, della legge n. 158/1990.
      Roma, addi' 26 gennaio 1991
            Avv. prof. Valerio ONIDA - Avv. Gualtiero RUECA

 91C0158