N. 73 SENTENZA 28 gennaio - 11 febbraio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Edilizia- Regione Veneto - Mutamento di destinazione d'uso degli
 immobili - Assoggettabilita' al regime delle autorizzazioni - Materia
 subordinata a prevenire valutazioni d'ordine urbanistico  in sede di
 pianificazione comunale - Illegittimita' costituzionale.
 
 (Legge regione Veneto 27 giugno 1985, n. 61, art. 76, primo comma,
 punto 2, come modificato dall'art. 15 della legge regione  Veneto 11
 marzo 1986, n. 9).
 
 (Cost., artt. 5 e 117).
(GU n.8 del 20-2-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, dott. Francesco
 GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.   Francesco
 Paolo   CASAVOLA,   prof.   Antonio   BALDASSARRE,   prof.   Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof.  Enzo CHELI,
 dott. Renato GRANATA;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  76, primo
 comma, punto 2, della legge della Regione Veneto 27 giugno  1985,  n.
 61  (Norme  per  l'assetto  e  l'uso del territorio), come modificato
 dall'art. 12 (recte: 15) della legge della Regione  Veneto  11  marzo
 1986,  n.  9 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 27 giugno
 1985, n. 61, recante: "Norme per l'assetto e l'uso del  territorio"),
 promosso  con  ordinanza  emessa  il  30  novembre 1989 dal Tribunale
 amministrativo regionale per il Veneto, sui ricorsi riuniti  proposti
 da  Rossi  Adriano  contro  Comune di Venezia, iscritta al n. 415 del
 registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 26 dell'anno 1990;
    Visto l'atto di intervento della Regione Veneto;
    Udito   nell'udienza  pubblica  dell'8  gennaio  1991  il  Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
                           Ritenuto in fatto
    1.   -   Adito   per  l'annullamento  del  provvedimento  con  cui
 l'autorita' comunale aveva negato l'autorizzazione  al  mutamento  di
 destinazione d'uso di un immobile, senza opere a cio' preordinate, il
 Tribunale amministrativo regionale del Veneto, con ordinanza in  data
 30 novembre 1989 (r.o. n. 415 del 1990), ha sollevato, in riferimento
 agli artt. 5 e 117  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  76,  primo  comma,  punto  2,  della legge
 regionale del Veneto 27 giugno 1985, n. 61, come modificato dall'art.
 12 (recte 15) della successiva legge regionale 11 marzo 1986, n. 9.
    La  norma  impugnata,  che assoggetta ad un'autorizzazione onerosa
 tutti i mutamenti di destinazione d'uso che prescindono da interventi
 edilizi,  purche'  compatibili  con  le  prescrizioni degli strumenti
 urbanistici e comportanti la corresponsione  di  un  contributo  pari
 alla  differenza  fra  la  precedente  e  la  nuova  destinazione, si
 porrebbe in contrasto con il  principio  fondamentale  della  materia
 contenuto  nell'art.  25,  quarto  comma,  della legge dello Stato 28
 febbraio 1985, n. 47. Quest'ultima disposizione, infatti,  rimettendo
 al  legislatore  regionale  l'individuazione  dei  casi in cui per la
 modifica della destinazione  d'uso  e'  necessaria  l'autorizzazione,
 avrebbe,   ad   avviso   del  giudice  a  quo,  recepito  l'indirizzo
 giurisprudenziale secondo il quale la modifica stessa, quando non  e'
 accompagnata da interventi edilizi, non e' soggetta ne' a concessione
 ne' ad autorizzazione, non  avendo,  in  linea  di  massima,  rilievo
 urbanistico.   Sotto   altro   profilo,   la   norma  impugnata,  con
 l'indiscriminata  previsione  di  un'autorizzazione   per   tutti   i
 mutamenti di destinazione, violerebbe ulteriormente l'art. 25, quarto
 comma, della legge n. 47 del 1985,  nella  parte  in  cui  limita  la
 competenza  legislativa  delle  regioni  alla sola individuazione dei
 criteri e  delle  modalita'  cui  dovranno  attenersi  i  comuni  nel
 regolamentare,   all'atto   della   predisposizione  degli  strumenti
 urbanistici, le destinazioni d'uso degli immobili. In tal  senso,  la
 compressione   dell'autonomia  comunale,  che  la  norma  statale  di
 principio  espressamente  riconosce,  risulterebbe  lesiva  non  solo
 dell'art. 117, ma anche dell'art. 5 della Costituzione.
    2.  - Nel giudizio cosi' promosso non si sono costituite le parti,
 mentre e'  intervenuto  il  Presidente  della  Giunta  regionale  del
 Veneto,   che   ha   preliminarmente   eccepito  l'irrilevanza  della
 questione. Il giudice a quo  non  avrebbe,  difatti,  preventivamente
 esaminato  il  secondo  motivo  del  ricorso con il quale si deduceva
 l'illegittimita' del diniego, essendosi ormai formato sull'istanza di
 autorizzazione  -  ai  sensi  dell'art.  79 della legge regionale del
 Veneto  n.  61  del   1985   -   il   silenzio-assenso.   Ad   avviso
 dell'interveniente,  infatti,  se  l'autorizzazione dovesse ritenersi
 acquisita per il formarsi del silenzio-assenso, l'autorita'  comunale
 avrebbe   perso   il   potere  di  decidere  ed  il  diniego  sarebbe
 illegittimo, con  la  conseguenza  che  la  questione  sollevata  non
 risulterebbe  piu' pregiudiziale per la soluzione della controversia.
    Osserva poi la regione che il giudice a quo, prima di esaminare la
 necessita' o  meno  dell'autorizzazione  dal  punto  di  vista  della
 normativa   regionale,   avrebbe   dovuto   considerare   che,  nella
 fattispecie in esame, il richiesto mutamento di destinazione non  era
 consentito dagli strumenti urbanistici e, pertanto, un intervento del
 comune sotto forma  di  concessione  o  autorizzazione  era  comunque
 necessario  sia  in  base  alla  normativa statale e comunale gia' in
 vigore, sia in base alle stesse disposizioni della legge  n.  47  del
 1985.
    Per quanto attiene al merito della questione, si rileva che, nella
 materia urbanistica, i comuni non hanno mai  goduto  di  una  vera  e
 propria  autonomia,  essendo  la  relativa  disciplina demandata alla
 competenza legislativa statale  e  regionale,  spettando  allo  Stato
 l'individuazione  delle eventuali competenze comunali ed alla regione
 di dettarne i criteri  e  le  modalita'  di  esercizio.  E,  difatti,
 proprio  con  l'art.  25, quarto comma, della legge n. 47 del 1985 il
 legislatore statale ha  previsto  che  la  destinazione  d'uso  degli
 immobili  e  le  loro  variazioni  formassero  oggetto  di  specifica
 disciplina regionale, con l'obbligo per i comuni  di  adeguarsi  alla
 stessa.
    Osservando,  infine,  come  anche  leggi  di altre regioni abbiano
 dettato i criteri e le regole alle quali il comune  dovra'  attenersi
 nel  disciplinare  i  casi  in  cui  per la semplice variazione della
 destinazione  d'uso  e'  richiesta  la   preventiva   autorizzazione,
 l'interveniente   ha   concluso  chiedendo  che  la  questione  venga
 dichiarata inammissibile, o, comunque, infondata.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Oggetto  della  questione di legittimita' costituzionale e'
 l'art. 76, primo comma, punto 2, della legge della Regione Veneto  27
 giugno 1985, n. 61 (Norme per l'assetto e l'uso del territorio), come
 modificato dall'art. 15 della legge regionale 11 marzo 1986, n. 9, il
 quale   assoggetta   ad   autorizzazione   onerosa   i  mutamenti  di
 destinazione d'uso degli immobili operati senza il concorso di  opere
 edilizie.
    Ad  avviso  del  Tribunale amministrativo regionale per il Veneto,
 tale norma contrasta con l'art. 117 della  Costituzione  violando  il
 principio  fondamentale della materia, stabilito dall'art. 25, quarto
 comma, della legge dello Stato 28 febbraio  1985,  n.  47,  "perche',
 anziche' disciplinare il potere dei Comuni di regolamentare in ambiti
 determinati del territorio  comunale,  le  destinazioni  d'uso  degli
 immobili,    assoggettandone    eventualmente    i    mutamenti    ad
 autorizzazione",  si  sostituisce  ad  essi   "nell'assoggettare   ad
 autorizzazione  indiscriminatamente tutti i mutamenti di destinazione
 d'uso". La norma impugnata contrasterebbe altresi' con l'art. 5 della
 Costituzione perche' "comprime l'autonomia comunale, in contrasto con
 quanto prescrive il predetto art. 25, quarto comma".
    2.  -  Entrambe  le  eccezioni di inammissibilita' formulate dalla
 Regione Veneto devono essere disattese.
    Con la prima si sostiene il difetto del requisito della necessaria
 pregiudizialita'  della  questione  sollevata,  nell'assunto  che  la
 controversia  possa  essere  decisa  altrimenti  dal  giudice  a quo,
 indipendentemente da tale questione, e cioe' sulla base di  un  altro
 motivo  dedotto  nel  ricorso  giurisdizionale  ed  incentrato  sulla
 affermata tardivita' del diniego di autorizzazione, per essersi  gia'
 formato,  con  il decorso del tempo, il silenzio-assenso sull'istanza
 dell'interessato.
    Se  l'autorizzazione fosse stata ritenuta dal giudice a quo in tal
 modo acquisita - si sostiene dalla Regione  Veneto  -  il  ricorrente
 avrebbe  perduto  interesse  a  contrastare  il  diniego,  per cui la
 questione di legittimita' costituzionale  sarebbe  rimasta  priva  di
 rilevanza.
    La  tesi  non  puo'  essere  presa in considerazione, perche' essa
 implicherebbe un sindacato, precluso  alla  Corte,  sull'operato  del
 giudice  a  quo  circa  l'ordine  con  il  quale  egli ha ritenuto di
 affrontare i motivi di ricorso sottoposti al suo  esame,  tanto  piu'
 che,  nella specie, appare condivisibile essersi affrontato per primo
 il motivo che ha fornito l'occasione per sollevare  la  questione  di
 legittimita'    costituzionale.    Difatti,    con   questo   motivo,
 l'interessato tendeva a contestare in radice  l'assoggettabilita'  ad
 autorizzazione  del  mutamento di destinazione senza opere edilizie e
 prospettava percio' un profilo assorbente rispetto all'altro.
   Va  parimenti  disattesa  la seconda eccezione di inammissibilita',
 non potendosi in questa sede verificare se sia o meno esatto  che  il
 richiesto  mutamento  di  destinazione  non fosse comunque consentito
 dalle  prescrizioni  degli  strumenti  urbanistici  comunali  e  che,
 quindi,  fosse  necessario  un  permesso  del  Comune, sotto forma di
 concessione o di autorizzazione, in  base  alla  stessa  legge  dello
 Stato  n.  47  del  1985.  E' questo un profilo che attiene al merito
 della controversia demandata al  giudice  a  quo  e,  quindi,  ne  e'
 precluso l'esame da parte del giudice della legittimita' delle leggi.
    3. - La questione, in riferimento all'art. 117 della Costituzione,
 e' fondata.
    La  legge  28  febbraio  1985,  n.  47,  disciplinando ex novo gli
 istituti dell'autorizzazione e della concessione in materia  edilizia
 ed   individuando   l'ambito   degli   interventi  di  spettanza  del
 legislatore regionale, enuncia i  principi  fondamentali  cui  devono
 attenersi le Regioni in detta materia.
    Per  quel che riguarda il mutamento di destinazione l'art. 8 della
 legge citata ne  ha  previsto  l'assoggettabilita'  al  regime  della
 concessione  solo  quando  sia  connessa a variazioni essenziali "del
 progetto",  comportanti  variazione  degli  standards  previsti   dal
 decreto  ministeriale  2  aprile  1968.  Il  preciso riferimento alle
 variazioni essenziali "del  progetto"  fa  si'  che  debba  ritenersi
 esclusa  dal  regime  della  concessione ogni ipotesi di mutamento di
 destinazione non connessa con modifiche strutturali dell'immobile.
    Il  mutamento  di  destinazione comunque accompagnato da qualsiasi
 intervento edilizio (per il quale  non  sia  altrimenti  prevista  la
 concessione), anche se solo interno, e' invece assoggettato dall'art.
 26 della legge n. 47 del 1985  al  regime  dell'autorizzazione,  cio'
 desumendosi  dall'eccezione  ivi  espressamente  prevista rispetto al
 regime ordinario delle opere interne.
    Del  mutamento  di  destinazione  senza  opere,  si  occupa invece
 l'ultimo comma dell'art. 25 della  legge  statale  citata,  la  quale
 demanda  al  legislatore  regionale di stabilire "criteri e modalita'
 cui dovranno attenersi i comuni, all'atto  della  predisposizione  di
 strumenti  urbanistici,  per  l'eventuale regolamentazione, in ambiti
 determinati del proprio territorio, della  destinazione  d'uso  degli
 immobili,  nonche'  dei  casi  in cui, per la variazione di essa, sia
 richiesta la preventiva autorizzazione".
    Dal  tenore  di  detta  norma  e dal suo collegamento con le altre
 citate si evince che la modifica funzionale della  destinazione,  non
 connessa   all'esecuzione   di   interventi   edilizi,   puo'  essere
 assoggettata soltanto al regime dell'autorizzazione, e solo dopo  che
 i  criteri,  dettati dall'apposita legge regionale prevista dall'art.
 25 citato, siano  filtrati  ed  attuati  in  sede  di  pianificazione
 urbanistica  comunale  relativamente  ad ambiti determinati. In altri
 termini l'assoggettamento,  al  controllo  dell'amministrazione,  del
 mutamento  di  destinazione, senza il concorso di opere edilizie, e',
 quindi, subordinato ad un preventivo  apprezzamento  di  insieme  del
 territorio diretto a verificare se dalla mutata utilizzazione possano
 effettivamente derivare situazioni di incompatibilita' con il tessuto
 urbanistico.  Apprezzamento,  questo,  che,  richiedendo  il concreto
 esame delle diverse situazioni ambientali, e' possibile  nel  momento
 pianificatorio  mediante  strumenti,  idonei  sia  ad  assicurare  il
 soddisfacimento  delle  reali  esigenze  di  ciascuno  degli   ambiti
 territoriali  considerati, sia a garantire di volta in volta, ai fini
 del rilascio o  del  diniego  dell'autorizzazione,  un'  obiettiva  e
 congrua  valutazione  ancorata  a  parametri  predeterminati da detti
 strumenti. L'impugnata norma della Regione Veneto  contrasta  percio'
 con  l'art. 117 della Costituzione perche', come rilevato dal giudice
 a quo,  si  sostituisce  ai  Comuni,  assoggettando  direttamente  ad
 autorizzazione tutti i mutamenti di destinazione d'uso in difformita'
 dal  principio  fondamentale  della  legge  statale,  che  ha  invece
 subordinato  il  regime  dell'autorizzazione a preventive valutazioni
 d'ordine urbanistico in sede di pianificazione comunale.
    4.  -  L'accoglimento della questione, in riferimento all'art. 117
 della Costituzione, assorbe il profilo relativo all'art. 5.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 76, primo comma,
 punto 2, della legge della Regione Veneto del 27 giugno 1985,  n.  61
 (Norme  per  l'assetto  e  l'uso  del  territorio),  come  modificato
 dall'art. 15 della legge della Regione Veneto 11  marzo  1986,  n.  9
 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 27 giugno 1985, n. 61,
 recante " Norme per l'assetto e l'uso del territorio"), sollevata, in
 riferimento  agli  artt.  5  e  117 della Costituzione, dal Tribunale
 amministrativo regionale per il Veneto, con l'ordinanza  indicata  in
 epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1991.
                          Il Presidente: CONSO
                        Il redattore: CAIANIELLO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria l'11 febbraio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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