N. 74 SENTENZA 28 gennaio - 11 febbraio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Nuovo codice - Indagini preliminari Incidente
 probatorio proposto dal p.m. - Verbali delle dichiarazioni gia' a lui
 in precedenza rese dai testi - Deposito  - Mancata previsione -
 Richiamo alle esplicitazioni interpretative della Corte (cfr.
 sentenza n. 559/1990) - Non fondatezza nei sensi di cui in
 motivazione.
 
 (C.P.P. 1988, art. 401, quinto comma).
 
 (Cost., art. 24).
 
 Processo penale - Nuovo codice - Indagini preliminari Incidente
 probatorio proposto dal p.m. - Notifica ai difensori degli indagati -
 Mancata previsione - Questione gia' dichiarata non fondata (sentenza
 n. 436/1990) - Manifesta infondatezza.
 
 (C.P.P. 1988, art. 395 in relazione all'art. 401, quarto comma,
 stesso codice).
 
 (Cost., art. 24).
(GU n.8 del 20-2-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore  GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
 BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,  prof.  Gabriele  PESCATORE,  avv.
 Ugo   SPAGNOLI,   prof.   Francesco  Paolo  CASAVOLA,  prof.  Antonio
 BALDASSARRE, prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI,  prof.
 Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale degli artt. 401, quinto
 comma, e 395, in relazione all'art. 401, quarto comma, del codice  di
 procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa  il  21  aprile  1990  dal  Giudice per le
 indagini preliminari presso  il  Tribunale  di  Termini  Imerese  nel
 procedimento penale a carico di Capomaccio Massimo ed altri, iscritta
 al n. 439 del registro ordinanze 1990  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  28, prima serie speciale, dell'anno
 1990;
      2)  ordinanza  emessa  il  19  aprile  1990  dal  Giudice per le
 indagini preliminari presso  il  Tribunale  di  Termini  Imerese  nel
 procedimento penale a carico di Lombardo Francesco ed altri, iscritta
 al n. 440 del registro ordinanze 1990  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  28, prima serie speciale, dell'anno
 1990;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 12 dicembre 1990 il Giudice
 relatore Giovanni Conso;
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Con ordinanza del 19 aprile 1990, il Giudice per le indagini
 preliminari presso il Tribunale di Termini Imerese ha  sollevato,  in
 riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, questione
 di legittimita' dell'art. 401, quinto comma, del codice di  procedura
 penale,  "nella  parte in cui non dispone che il P.M., quando procede
 con incidente probatorio all'assunzione di una  testimonianza,  debba
 depositare gli atti relativi alle sommarie informazioni testimoniali,
 a lui gia' rese dai testi".
    Il  giudice a quo osserva, in punto di rilevanza, che la questione
 deriva da un'eccezione di nullita' ex art. 178 c.p.p. proposta  dalla
 difesa  della  persona  sottoposta  alle  indagini e, in punto di non
 manifesta infondatezza, che l'"anticipazione del dibattimento" in cui
 si   sostanzia   l'istituto   dell'incidente  probatorio  impone  che
 all'indagato siano  assicurate  tutte  le  garanzie  difensive,  "ivi
 compresa  la  possibilita'  di  previamente valutare lo spessore e la
 consistenza delle dichiarazioni gia' fornite dal teste,  al  fine  di
 potere muovere le opportune contestazioni".
    L'ordinanza,   ritualmente   notificata  e  comunicata,  e'  stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  n.  28,  prima  serie  speciale,
 dell'11 luglio 1990.
    Nel  giudizio  e'  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
    Per  l'Avvocatura  e',  anzitutto,  erroneo  il presupposto da cui
 muove  il  giudice  a  quo:  che,   cioe',   all'"anticipazione   del
 dibattimento"  che  si realizzerebbe con l'incidente probatorio debba
 conseguire l'applicazione di tutte le regole proprie  dell'assunzione
 della  prova  nella sede dibattimentale. Al contrario, la fase in cui
 l'incidente  si  inserisce  -  le  indagini  preliminari  -   postula
 l'adozione  di  "una  disciplina  differenziata, volta a calibrare la
 funzione dell'istituto  in  termini  non  antagonisti  rispetto  alle
 finalita' che animano l'attivita' d'indagine".
    Di  conseguenza, l'apprestamento delle garanzie difensive non puo'
 comportare il  richiamo  alla  totalita'  delle  norme  previste  per
 l'assunzione  della  prova  in dibattimento, dato che il complesso di
 tali norme mal si sarebbe conciliato "con un  istituto  destinato  ad
 operare  in uno stadio preprocessuale". D'altro canto, l'espletamento
 dell'incidente  probatorio  non  postula  "un  indefettibile  epilogo
 dibattimentale",  potendo  il  procedimento  concludersi anche con un
 provvedimento di archiviazione.
    Funzione  dell'incidente e' solo quello di "evitare il pericolo di
 dispersione dei mezzi di prova non rinviabili alla  fisiologica  sede
 di  assunzione":  esso  non puo', invece coincidere con un "segmento"
 della fase dibattimentale, derivandone, altrimenti, un pregiudizio  a
 "quelle   caratteristiche  di  fluidita',  segretezza  e  tendenziale
 liberta' di forme che connotano le indagini preliminari". Imporre  al
 pubblico  ministero  una  "discovery" prima che egli abbia assunto le
 sue  determinazioni  in  ordine  all'esercizio  dell'azione   penale,
 sarebbe  un  epilogo contrastante "non solo e non tanto coi princi'pi
 ed i criteri dettati dalla legge delega (cfr. direttiva 57)", ma pure
 "con  la stessa logica del nuovo sistema", quale si desume dall'esame
 dei lavori preparatori della legge 16 febbraio 1987, n.  81,  da  cui
 risulta,  per un verso, l'eccezionalita' del ricorso all'istituto, e,
 per un altro verso, l'esigenza di  evitare  che  l'incidente  potesse
 tradursi in uno strumento a disposizione dell'indagato per aprirsi un
 varco all'interno delle indagini.
    Cio'  imporrebbe  di  ritenere  del  tutto  ultroneo  il  richiamo
 all'art. 24, secondo comma, della Costituzione,  facendo  "appello  a
 quel  consolidato  orientamento" della Corte, per il quale il diritto
 di difesa "non  puo'  essere  disciplinato  in  modo  uniforme,  come
 necessita'  assoluta  e inderogabile, in ogni tipo di procedimento ed
 in ogni fase processuale", ma deve essere  "disciplinato  secondo  le
 speciali  caratteristiche  e  modalita' di attuazione di ogni singolo
 atto, in modo da assicurarne la finalita' sostanziale".
    Il  richiamo,  infine,  al  meccanismo  delle contestazioni appare
 all'Avvocatura non pertinente. L'art. 500  -  fondandosi  sul  regime
 differenziato  di  utilizzazione  degli  atti  e  sulla  presenza del
 medesimo giudice che puo'  utilizzare,  nei  limiti  stabiliti  dallo
 stesso  articolo,  i  risultati  delle contestazioni - presuppone "un
 nesso  di  imprescindibile  interdipendenza  con  la   dinamica   del
 dibattimento".  Senza  contare  che  l'allegazione  del  verbale  nel
 fascicolo previsto  dall'art.  431  non  sta  a  significare  che  il
 testimone non debba essere citato per la fase dibattimentale (v. art.
 511, primo e secondo comma).
    2.  -  Un'identica  questione  il  Tribunale di Termini Imerese ha
 sollevato con ordinanza del 21 aprile 1990. Con la  stessa  ordinanza
 e'  stato pure denunciato, sempre in riferimento all'art. 24, secondo
 comma, della Costituzione, l'art. 395 del codice di procedura penale,
 "in relazione anche all'art. 401, quarto comma, dello stesso codice",
 laddove "non dispone che  la  richiesta  d'incidente  probatorio  sia
 autonomamente notificata ai difensori degli imputati".
    L'ordinanza,   ritualmente   notificata  e  comunicata,  e'  stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n.  28,  prima  serie  speciale,
 dell'11 luglio 1990.
    E'intervenuto   il   Presidente   del   Consiglio   dei  Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato,
 chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.
                         Considerato in diritto
    1.  - Entrambe le ordinanze in epigrafe denunciano, in riferimento
 all'art. 24 della Costituzione, l'art. 401, quinto comma, del  codice
 di  procedura  penale,  in una parte che si precisera' di qui a poco;
 una di esse (la n. 439 del 1990)  solleva,  inoltre,  in  riferimento
 allo  stesso  parametro  costituzionale,  questione  di  legittimita'
 dell'art. 395 del medesimo codice "(in relazione anche all'art.  401,
 comma  quarto,  c.p.p.)",  pure  qui  in  una parte che si precisera'
 subito dopo.
    Data  la  parziale  identita'  delle questioni proposte, i giudizi
 vanno riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
    2.  - La questione comune alle due ordinanze ha per oggetto l'art.
 401, quinto comma, del codice di procedura penale,  "nella  parte  in
 cui  non  dispone che il P.M. quando procede con incidente probatorio
 all'assunzione di una testimonianza debba depositare i verbali  delle
 dichiarazioni  gia' a lui in precedenza rese dai testi" (ordinanza n.
 439 del 1990) o, se si preferisce, "gli atti relativi  alle  sommarie
 informazioni  testimoniali  a  lui gia' rese dai testi" (ordinanza n.
 440 del 1990). Secondo  il  comune  Tribunale  remittente,  la  norma
 denunciata  pregiudicherebbe "il delicato diritto difensivo a muovere
 al teste le opportune contestazioni e gia' ad  approntare  per  tempo
 adeguata  linea  difensiva".  Piu'  precisamente, essendo l'incidente
 probatorio  "destinato  a  consentire  la  formazione  di  un   atto,
 inseribile  nel  fascicolo  per il dibattimento e utilizzabile per la
 decisione", cosi' da risolversi in una vera e propria  "anticipazione
 del dibattimento", si dovrebbero assicurare alla difesa della persona
 sottoposta alle indagini tutte le necessarie garanzie, "ivi  compresa
 la  possibilita' di previamente valutare lo spessore e la consistenza
 delle dichiarazioni gia' fornite dal teste, al fine di poter  muovere
 le  opportune  contestazioni". Del che, viceversa, l'art. 401, quinto
 comma, del codice di procedura penale non si preoccupa.
    3. - Con riguardo al petitum perseguito dal giudice a quo, occorre
 individuare meglio  l'oggetto  della  questione,  sia  in  ordine  al
 soggetto  da  cui proviene la richiesta sia in ordine all'atto di cui
 si richiede l'assunzione. Sotto il primo profilo, deve  trattarsi  di
 un  incidente  probatorio  proposto  dal  pubblico ministero, mentre,
 sotto il secondo profilo, deve trattarsi di  "una  testimonianza"  da
 assumere  a  norma  dell'art.  392,  primo comma, lettera b, dopo che
 "sommarie informazioni" siano state rese alla polizia giudiziaria  da
 "persone  che  possono  riferire  circostanze  utili  ai  fini  delle
 indagini" ex art. 351 ovvero dopo che "informazioni" siano state rese
 al  pubblico ministero da "persone che", parimenti, "possono riferire
 circostanze utili ai fini delle indagini" ex art. 362.
    Poiche',  pero', ad essere posto in discussione e' soltanto l'art.
 401, quinto comma, dedicato all'udienza di  assunzione  della  prova,
 mentre  nessuna censura viene rivolta nei confronti degli artt. 395 e
 396, relativi alla fase  procedimentale  che  precede  tale  udienza,
 l'art.  401,  quinto  comma,  deve  intendersi sottoposto a vaglio di
 costituzionalita' nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni
 rese  alla  polizia  giudiziaria oppure al pubblico ministero vengano
 "depositate" - quindi, portate a conoscenza della persona  sottoposta
 alle indagini - per l'udienza di assunzione della prova.
    4. - La questione non e' fondata.
    L'incidente  probatorio  -  istituto  pressoche'  sconosciuto  non
 soltanto al codice di procedura penale del 1930  (eccettuata  qualche
 lontana  affinita' con la testimonianza a futura memoria disciplinata
 dall'art. 357), ma anche al progetto preliminare del 1978 (il  quale,
 peraltro,  sia  pur  con  riguardo  al  solo  procedimento pretorile,
 attribuiva al pretore il compito di acquisire le prove  che,  per  la
 loro  complessita' o urgenza, non fossero rinviabili al dibattimento:
 v. art. 413) - consente di anticipare eccezionalmente alla fase delle
 indagini  preliminari, fase destinata all'acquisizione delle fonti di
 prova in vista dell'esercizio dell'azione penale (v.  art.  326),  "i
 meccanismi  dibattimentali  di  acquisizione  probatoria  quando  sia
 necessario assumere subito una prova, pena la  sua  dispersione"  (v.
 Relazione al progetto preliminare del 1988, pag. 218).
    L'operare  dell'istituto  in  uno  stadio  preprocessuale,  se  ha
 richiesto l'adattamento delle modalita'  di  assunzione  della  prova
 alle   esigenze   proprie   della  fase  delle  indagini  preliminari
 (l'udienza di assunzione della prova  non  e'  pubblica;  la  persona
 sottoposta alle indagini e la persona offesa hanno la possibilita' di
 assistervi solo su autorizzazione del giudice, salvo che si tratti di
 testimonianza  o  di  esame  dell'"indagato"),  non  ha  impedito  al
 legislatore di costruire un meccanismo complesso ed articolato, che -
 rendendo  possibile  la diretta utilizzazione degli atti ivi compiuti
 attraverso la loro allegazione al fascicolo per il  dibattimento  (v.
 art.  431,  lettera b), nonche' artt. 511 e 526) - garantisse, per un
 verso, il diritto alla prova  e  rispettasse,  per  altro  verso,  il
 principio della parita' delle parti.
    5.  -  Le  ordinanze  di  rimessione muovono dal presupposto che -
 nell'ipotesi in cui  l'incidente  probatorio  proposto  dal  pubblico
 ministero   si  sostanzia  nella  richiesta  di  assumere  una  prova
 testimoniale preceduta, a sua volta, da "sommarie informazioni" della
 polizia giudiziaria ovvero da "informazioni" del pubblico ministero -
 la norma denunciata non consentirebbe alla  persona  sottoposta  alle
 indagini di venire a conoscenza di tali dichiarazioni.
    L'interpretazione,  pur  condivisa  dall'Avvocatura Generale dello
 Stato, secondo la quale  la  "discovery  anticipata",  auspicata  dal
 Tribunale  remittente,  "contrasterebbe  non  solo  e non tanto con i
 principi ed i criteri direttivi della legge  delega  (cfr.  direttiva
 57),  ma  con la stessa logica del nuovo sistema", non appare, pero',
 conforme  all'assetto  globale  dell'istituto,   quale   emerge   dal
 complesso delle norme che lo disciplinano.
    L'art.   401,   quinto  comma,  del  codice  di  procedura  penale
 stabilisce  nel  suo  primo  periodo,  il  solo   ad   essere   posto
 effettivamente  in  discussione,  che  "Le  prove sono assunte con le
 forme stabilite per il dibattimento", con cio'  operando  un  diretto
 rinvio  alle  norme  concernenti la formazione della prova nella sede
 dibattimentale, salvo espresse previsioni di segno  contrario  ovvero
 condizioni  di incompatibilita' connaturate alla fase in cui ha luogo
 questa particolare forma di assunzione della prova.
    Piu'  specificamente,  il  richiamo  alle  "forme stabilite per il
 dibattimento" implica, con riferimento alla prova testimoniale,  che,
 quando  si  tratti  di  prova  richiesta  dal  pubblico ministero, la
 persona  sottoposta   alle   indagini   sia   messa   in   grado   di
 controesaminare  il  teste,  eventualmente  anche  contestandogli, ai
 sensi dell'art. 500, le dichiarazioni in precedenza rese alla polizia
 giudiziaria   o   al  pubblico  ministero  e  gia'  depositate  nella
 cancelleria del giudice (v. art. 395).
    Peraltro,  l'assunzione  della  prova  in  una fase per sua natura
 segreta (con in piu', quando si tratti di esaminare un testimone,  il
 pericolo   di  inquinamento  della  prova  oppure  il  rischio  della
 scomparsa della stessa fonte proprio in relazione a quanto dichiarato
 dal testimone alla polizia giudiziaria od al pubblico ministero), se,
 da  un  lato,  esige  che,  considerato  il  valore  di  prova  della
 testimonianza  assunta  a  norma  degli  artt.  392 e seguenti, venga
 salvaguardato, con il diritto alla  prova  della  persona  sottoposta
 alle  indagini,  anche  il  principio  di  parita' delle parti, deve,
 d'altro lato, consentire al pubblico ministero  l'acquisizione  della
 prova  non  rinviabile al dibattimento, di modo che tale acquisizione
 non rimanga compromessa dal fatto  che  la  persona  sottoposta  alle
 indagini  possa  prendere  conoscenza,  sin dalla notificazione della
 richiesta, delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone.
    6.  -  Un punto di equilibrio fra cosi' contrapposte esigenze puo'
 ricavarsi dal testo dello stesso art. 401, quinto  comma,  leggendolo
 nel  senso, gia' altra volta esplicitato da questa Corte (v. sentenza
 n. 559 del 1990), che  -  addivenendosi  con  l'incidente  probatorio
 "all'assunzione  anticipata di mezzi di prova destinati ad acquistare
 la forza probatoria propria delle prove espletate in dibattimento"  -
 l'"interpretazione letterale" del disposto del quinto comma dell'art.
 401 (ove si prescrive, in via generale, che "le  prove  sono  assunte
 con  le  forme  stabilite  per il dibattimento") "rende chiaro che le
 modalita' di espletamento"  della  prova  "nell'incidente  probatorio
 sono  quelle  stesse  che  valgono per la fase dibattimentale". Se, a
 proposito delle deposizioni  testimoniali,  la  possibilita'  per  la
 persona  sottoposta  alle  indagini  di avere la disponibilita' delle
 dichiarazioni in precedenza  rese  alla  polizia  giudiziaria  od  al
 pubblico  ministero non viene "menzionata nell'art. 401", cio' accade
 perche' essa risulta "ricompresa  in  tale  regola"  (cfr.,  per  una
 questione  analoga,  ancora  la  sentenza  n.  559 del 1990). D'altro
 canto,  se  ne'  l'art.  395  ne'  l'art.  396  includono  le   dette
 dichiarazioni tra gli atti da notificare alla persona sottoposta alle
 indagini (di esse e' previsto il solo deposito nella cancelleria  del
 giudice per le indagini preliminari, unitamente alla richiesta), cio'
 accade perche', per ovvie esigenze di salvaguardia del  testimone  in
 funzione  dell'esercizio dell'azione penale, non possono essere messe
 a disposizione della persona sottoposta alle  indagini  (quanto  meno
 nelle  ipotesi  di  assunzione  anticipata della prova per le ragioni
 indicate nell'art. 392, primo comma, lettera b),  prima  dell'udienza
 di  assunzione  della  prova:  soltanto  da  quel momento, infatti, i
 rischi di inquinamento e di dispersione della prova o della sua fonte
 vengono ad attenuarsi.
    Cosi'  interpretato,  l'art.  401,  quinto  comma,  del  codice di
 procedura penale non incorre  nella  violazione  dell'art.  24  della
 Costituzione  prospettata  in  entrambe  le  occasioni  dal Tribunale
 remittente.
    7.   -  Una  delle  due  ordinanze  di  rimessione  ha,  altresi',
 sollevato, sempre in  riferimento  all'art.  24  della  Costituzione,
 questione  di  legittimita'  dell'art.  395  del  codice di procedura
 penale  (in  relazione  all'art.  401,  quarto  comma,  dello  stesso
 codice),  "nella  parte  in  cui  non  dispone  che  la  richiesta di
 incidente probatorio sia autonomamente notificata ai difensori  degli
 indagati".
    Poiche'  questa  Corte,  con  sentenza n. 436 del 1990, successiva
 alla pronuncia dell'ordinanza di rimessione, ha gia'  dichiarato  non
 fondata la questione - sul presupposto che, "coordinato con gli artt.
 61 e 69, il richiamo dell'art. 395 all'art. 393 viene ad assumere una
 piu'  precisa  fisionomia,  che, tenendo nel debito conto la funzione
 assegnata alla notifica  della  richiesta  di  incidente  probatorio,
 permette   di  considerare  ricompreso  fra  i  destinatari  di  tale
 notificazione  anche  il  difensore  della  persona  sottoposta  alle
 indagini"   -   la  questione  stessa  va  dichiarata  manifestamente
 infondata, non risultando addotti argomenti nuovi o diversi  rispetto
 a quelli allora esaminati.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata, nei sensi in cui in motivazione, la questione
 di legittimita'  costituzionale  dell'art.  401,  quinto  comma,  del
 codice  di  procedura  penale,  sollevata, in riferimento all'art. 24
 della Costituzione, dal Tribunale di Termini  Imerese  con  ordinanze
 del 19 aprile 1990 e del 21 aprile 1990;
    Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 395  del  codice  di  procedura  penale,  in
 relazione all'art. 401, quarto comma, dello stesso codice, sollevata,
 in riferimento all'art.  24  della  Costituzione,  dal  Tribunale  di
 Termini Imerese con ordinanza del 21 aprile 1990.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1991.
                    Il Presidente e redattore: CONSO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria l'11 febbraio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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