N. 67 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 novembre 1990
N. 67 Ordinanza emessa il 23 novembre 1990 dal pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Palme Margarete e I.N.P.S. Previdenza e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Pensione di riversibilita' - Esclusione del diritto a pensione del coniuge superstite nell'ipotesi di matrimonio contratto dal pensionato in eta' superiore a settantadue anni in caso di durata del matrimonio stesso inferiore a due anni (nella specie: matrimonio durato quattro giorni) - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 123/1990 (di illegittimita' costituzionale di disposizione di legge diversa ma di analogo contenuto), la quale, benche' non condivisa dal giudice rimettente, non gli consente di ritenere la questione manifestamente infondata. (Legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 24).(GU n.8 del 20-2-1991 )
IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento civile iscritto al r.g.l. n. 6262/1990 promosso da Palme Margarete assistita dall'avv. Giuseppe Bosso, contro l'I.N.P.S., assistito dall'avv. Maria Teresa Caratozzolo; Sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 30 ottobre 1990; Tenuto conto dell'eccezione di illegittimita' costituzionale formulata dalla parte ricorrente nei confronti dell'art. 24 della legge n. 153/1969, nella parte in cui subordina alla durata di due anni di matrimonio, il diritto di reversibilita' del coniuge superstite del pensionato, ove questi abbia contratto matrimonio in eta' superiore a settantadue anni; O S S E R V A 1. - in data 1 agosto 1980 Palme Margarete ved. Sessa inoltrava all'I.N.P.S. domanda di pensione reversibilita', a seguito della morte del marito, Sessa Luigi, nato a Cremella in data 18 agosto 1897, deceduto il 18 novembre 1979, gia' titolare di pensione di invalidita' con decorrenza 1 maggio 1955 a carico del Fondo pensioni della Banca Commerciale Italiana; in data 10 dicembre 1980 la sede I.N.P.S. di Milano comunicava che la domanda era respinta "in quanto alla data del matrimonio, contratto in epoca successiva alla decorrenza della pensione diretta di cui il defunto era titolare, questi aveva compiuto l'eta' di settantadue anni, ed il matrimonio era durato meno di due anni". La questone di costituzionalita' formulata dalla ricorrente in relazione all'art. 4 della legge n. 153/1969 e' quindi rilevante, poiche' l'I.N.P.S. ha rigettato la domanda attorea, tenuto conto che il citato articolo cosi' recita: "l'art. 7 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, modificata dall'art. 24 della legge n. 903/1965 e' sostituita dal seguente: 'non ha diritto alla pensione prevista dall'art. 13 del r.d.-l. 14 aprile 1939, n. 636, modificata dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218, il coniuge: 1) quando sia passata in giudicato la sentenza di separazione personale per sua colpa; 2) quando, dopo la decorrenza della pensione, il pensionato abbia contratto matrimonio in eta' superiore ai settantadue anni, ed il matrimonio sia durato meno di due anni....'". 2. - Quanto alla fondatezza dell'eccezione sollevata dalla ricorrente, osserva il pretore che quest'ultima si e' richiamata alla sentenza n. 123/1990, emessa da codesta Corte nell'ambito di un giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale sull'art. 81, terzo comma, del d.P.R. n. 1092/1973, che, al pari del citato art. 24 della legge n. 153/1969, nega la pensione di reversibilita' ai vedovi di dipendenti civili militari dello Stato, ove manchi il requisito della durata biennale di matrimonio. La Corte, nell'accogliere tale eccezione, ha osservato che l'avvocatura dello Stato ha prospettato come razionale e coerente la norma in questione, poiche' intesa a difendere da iniziative "maliziose e fraudolente" non soltanto l'erario ma anche il pensionato propenso alle nozze; questa Corte ha dunque cosi' proseguito nella sua argomentazione: "L'assunto riecheggia quei precedenti parlamentari che portarono all'adozione della norma di cui in fattispecie. Tuttavia dai medesimi atti esso appare gia' vivacemente contrastato, in quanto emerge dalla discussione del tempo che la legge avrebbe meglio dovuto disciplinare, in astratto, la normalita' dei casi rappresentati dai regolari vincoli matrimoniali contratti col consapevole assenso di entrambe i coniugi, e non gia', invece, venire predisposta sol tenendosi conto di pur possibili situazioni-limite, per le quali altra dovrebbe essere la remora positiva. Queste asserzioni si pongono oggi tanto piu' valide, ove si considerino talune connotazioni del rapporto coniugale, che nella societa' attuale, con ovvia rilevanza sul piano giuridico, affiorano e sono vivamente avvertite: con il crescere dell'eta' media sempre piu' si manifesta la propensione, da parte di soggetti in eta' meno giovane, per un rapporto tendenziale alle dimensioni di rimedio alla solitudine individuale (sic)... Il rapporto di coppia e' ricercato e contratto, quindi, da persone in eta' avanzata, quale fonte di reciproco conforto nell'attuazione di una unione volta ad affrontare nelle migliori reciproche condizioni di vita le quotidiane esigenze.... La normativa qui largamente descritta nei suoi effettivi presupposti, si pone percio' irrazionale, per la generalita' dei casi, in quanto collegata alla mera durata del matrimonio". Veniva quindi dichiarata l'incostituzionalita' del citato art. 81, ed ai principi affermati in tale sentenza, si richiama fermamente parte attrice, per ottenere da codesta Corte una analoga declaratoria in relazione al citato art. 24 della legge n. 153/1969, con riferimento all'art. 3 della Costituzione. 3. - Ritiene in realta' il pretore di non poter assolutamente condividere le considerazioni formulate da codesta Corte nella citata sentenza; tale pronuncia costituisce anzi un esempio paradigmatico delle difficolta' che si incontrano in una corretta gestione della cosa pubblica, sotto il profilo finanziario, anche quando il legislatore, sottraendosi, (come non sempre accade) a spinte di carattere demagogico, appresta una normativa tendente a salvaguardare la spesa pubblica (e quindi la collettivita') da specifici quanto facili abusi. D'altro canto nella stessa citata sentenza n. 123 di codesta Corte non sembra sia stato fatto il minimo cenno alla precedente ordinanza n. 273/1976, sempre emessa da codesto organo, con la quale veniva dichiarata manifestamente infondata l'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 24 della legge n. 453/1969 (cioe' proprio la norma di cui e' controversia), nella parte in cui esclude che il coniuge superstite abbia diritto alla pensione di riversibilita' "..... quando, dopo la decorrenza della pensione, il pensionato abbia contratto matrimonio in eta' superiore a 72 anni ed il matrimonio sia durato meno di due anni". In tale ordinanza di rigetto la Corte richiamava esplicitamente la propria sentenza n. 3 del 16 gennaio 1975 con la quale la medesima aveva dichiarato non fondate analoghe questioni di legittimita' costituzionale, proposte in ordine ad altre diverse norme riguardanti le limitazioni del diritto alla pensione di reversibilita' per il coniuge di dipendente di ente locale e per il coniuge del pensionato statale. Ed infatti, ben altre (e, a parere di questo giudice, piu' razionali) considerazioni codesta Corte aveva formulato nella citata sentenza n. 3/1975, nella quale si affermava: ".... i criteri di riversibilita' derivanti da matrimoni conclusi da gia' pensionati, sono stati dettati in via generale dal legislatore come remora all'ipotesi, non infrequente, di matrimoni contratti non per naturale affetto, e quindi in tal senso sospettabili; sicche' le condizioni restrittive volte a garantire, in qualche modo, la genuinita' e la serieta' del tardivo coniugio, si risolvono anche nella tutela del pubblico erario contro maliziose e fraudolenti iniziative. Cosi' riconosciuta, di conseguenza, la ragionevole giustificazione della norma, va esclusa la dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione". Dopo tali equilibrate e condivisibili considerazioni, la Corte si faceva altresi' carico di valutare se il restrittivo sistema di legge sopra delineato potesse in qualche modo ostacolare i diritti della famiglia, garantiti dall'art. 29, primo comma, della Costituzione, affermando in proposito: "Invero, la normativa in esame, non riguarda il campo dei diritti e doveri reciproci tra i membri della famiglia, cui e' informato l'art. 29 della Costituzione. Nemmeno detta normativa puo' riconoscersi come elemento negativo influente sulla possibilita' di contrarre matrimonio. La libera' di formare una famiglia non puo' ritenersi concretamente limitata dal ridimensionamento di una mera aspettativa, futura ed incerta, come quella di conseguire una pensione di riversibilita'. L'istituto della famiglia, costituzionalmente tutelato, ha contenuti e risponde a scopi etico-sociali piu' pregnanti di quello che sarebbe dato rinvenire in un rapporto istituito con finalita' cosi' limitate e ristrette". Nell'ottica poi dell'art. 36 della Costituzione, la Corte in tal modo argomentava: "Altro motivo di illegittimita' viene sollevato in relazione all'art. 36 della Costituzione in quanto dovendosi ritenere che il trattamento di quiescenza rivesta per l'impiegato carattere retributivo e costituisca parte del compenso dovutogli per il lavoro prestato e differito alla cessazione dell'attivita' lavorativa, in nessun caso la vedova potrebbe essere privata dell'esercizio del diritto di subentrare al marito, come esercizio di un suo diritto autonomo. Anche questo motivo non e' fondato. Va osservato (infatti..) che la preminenza della tutela della retribuzione differita non costituisce un principio invalicabile, tale da non consentire in via assoluta alcuna deroga od eventuali adattamenti a particolari situazioni. Infatti, appunto perche' nel caso in esame il diritto della vedova alla pensione di riversibilita' e' da considerarsi un diritto spettante come diritto autonomo, sono ammissibili le condizioni poste dal legislatore, dettate dall'intento cautelativo di ovviare alle frodi presunte, a difesa del pubblico erario, come si e' detto al numero precedente". Concludeva infine la Corte affermando che le limitazioni legislative di cui trattasi costituivano effettivamente una "... remora per i casi di matrimoni contratti al solo scopo difar conseguire la pensione alla vedova....", incentivandosi in tal modo, d'altro canto, matrimoni ispirati, non a contingenti motivi utilitari, ma all'esistenza di un reale affetto tra due esseri umani. Nulla ritiene il pretore di poter utilmente aggiungere a quanto limpidamente considerato dalla Corte con la sentenza sopra largamente citata. Tuttavia parte ricorrente puo' ora con indubbia sicurezza richiamarsi alla sentenza n. 123/1990, che ha contribuito ad ulteriormente scardinare le (ormai per la verita' ben poche) norme razionalmente poste a tutela degli interessi della collettivita' in settori dove eventuali abusi non potrebbero essere altrimenti prevenuti. E, fondatamente confidando (a questo punto non e' difficile riconoscerlo) che la Corte non vorra' porsi in contrasto con quanto dalla medesima statuito con la citata sentenza n. 123/1990, la ricorrente si appresta quindi a godere della pensione di riversibilita' nei confronti del marito, deceduto in data 18 novembre 1979, e sposato in data 14 novembre 1979 e cioe' 4 giorni (dicasi quattro) prima di tale decesso, alla cui data la ricorrente signora Palme Margarete, nata il 3 ottobre 1938, aveva l'eta' di anni 41 (dicasi quarantuno), da poco convolata a giuste nozze con il sig. Luigi Sessa, di anni 82 (dicasi ottantadue) alla data del matrimonio, coincidente in pratica con il suo exitus. Dopo aver amaramente constatato che proprio per porre un freno alla fattispecie analoghe a quelle di cui trattasi, il legislatore aveva saggiamente posto dei vincoli in termini temporali al godimento delle pensioni di riversibilita', e fermo restando che a nessun essere umano sarebbe stato inibito di poter contrarre matrimonio, e di poter quindi godere dell'affetto (in quel caso si') disinteressato di altri esseri umani, non rimane a questo punto al Pretore che dichiarare infondata, ma certo non in maniera manifesta, la questione di illegittimita' costituzionale del citato art. 24, ai sensi dell'art. 23 della legge 1 marzo 1953, n. 87, nella parte in cui la norma impugnata esclude che il coniuge superstite abbia diritto alla pensione di riversibilita' "quando, dopo la decorrenza della pensione, il pensionato abbia contratto matrimonio in eta' superiore a settantadue anni ed il matrimonio sia durato meno di due anni".
Si ordina alla cancelleria la trasmissione della presente ordinanza alla Corte costituzionale, disponendone la notifica alle parti in causa nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Torino, addi' 23 novembre 1990 Il pretore: GRASSI 91C0184