N. 78 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 gennaio 1991

                                 N. 78
 Ordinanza  emessa  il  7 gennaio 1991 dal tribunale della liberta' di
 Milano nel procedimento penale a carico di Doria Donatella
 Processo penale - Misure cautelari - Arresto - Convalida del g.i.p. -
 Successiva trasmissione degli atti ad altro ufficio ex  art.  54  del
 cod.  proc.  pen.  -  Mancata declaratoria di incompetenza - Ritenuta
 inapplicabilita' dell'art. 27 del  cod.  cit.  -  Conseguente  omessa
 garanzia  di  verifica  dell'applicabilita' della misura cautelare da
 parte del giudice competente - Disparita' di trattamento tra imputati
 - Pregiudizio per il diritto di difesa.
 (C.P.P. 1988, art. 27).
 (Cost., artt. 3, 24 e 25).
(GU n.8 del 20-2-1991 )
                              IL TRIBUNALE
   Riunito in sede di tribunale per il riesame ex art. 310 del c.p.p.;
    Sciogliendo  la  riserva di cui al verbale di udienza in camera di
 consiglio in data 4 gennaio 1991.
    Visto  l'appello  proposto dalla difesa di Donatella Doria avverso
 l'ordinanza in data 1› dicembre 1991 con  cui  il  g.i.p.  presso  il
 tribunale  in  sede  respingeva  la  richiesta  di  scarcerazione per
 cessazione di efficacia della  misura  cautelare  della  custodia  in
 carcere ai sensi dell'art. 27 del c.p.p.;
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Con  ordinanza del 14 luglio 1990 il g.i.p. presso il tribunale di
 Genova  convalidava  l'arresto  di  Donatella  Doria  avvenuto  nella
 flagranza  del  reato di cui agli artt. 110 del c.p. e 71 della legge
 n.  685/1975  (commesso  in  concorso   con   il   marito,   Raffaele
 Chiaravallotti)  e  contestualmente  applicava  alla stessa la misura
 cautelare della custodia in carcere.
    In  data  26  luglio  1990  il  p.m. presso il tribunale di Genova
 trasmetteva ex art. 371 del c.p.p. copia degli atti al p.m. presso il
 tribunale  di Milano, che li aveva richiesti a seguito di informativa
 della questura di Milano relativa al rinvenimento di un  quantitativo
 di  eroina  nella  abitazione  della  Doria  e  di  Chiaravallotti in
 localita' Arlate (Como); con lo stesso provvedimento di  trasmissione
 di  copia  degli  atti  ex  art.  371  del  c.p.p.  il p.m. di Genova
 segnalava che era in  corso  la  consulenza  tecnica  sulla  sostanza
 stupefacente  sequestrata  a Doria e Chiaravallotti in data 11 luglio
 1990.
    In  seguito  il g.i.p. presso il tribunale di Genova emetteva vari
 provvedimenti   nell'ambito   del   procedimento   instauratosi    in
 quell'ufficio  con  il  n.  3182/90  r.g. notizie di reato (in data 8
 agosto 1990 disponeva visita specialistica sulla persona della Doria,
 quindi disponeva una consulenza medica sulla compatibilita' delle sue
 condizioni di salute con la prosecuzione  della  carcerazione,  e  in
 data 21 settembre 1990 respingeva la richiesta di revoca della misura
 cautelare della  custodia  in  carcere  avanzata  in  relazione  alle
 condizioni di salute della Doria).
    Il 3 ottobre 1990 il p.m. presso il tribunale di Milano richiedeva
 la trasmissione degli atti ai sensi dell'art. 54  del  c.p.p.:  dalle
 indagini  effettuate  in  Milano  circa un vasto traffico di sostanze
 stupefacenti facenti capo a Morabito Santo Pasquale emergeva  che  il
 Chiaravallotti   aveva   acquistato  in  Milano  il  quantitativo  di
 stupefacente sequestrato a lui e alla Doria in data 11  luglio  1990,
 tanto   che   il  2  ottobre  1990  era  stato  emesso  provvedimento
 restrittivo  anche  nei  confronti  del  Chiaravallotti;  stante   la
 connessione  tra  il  procedimento  penale pendente a Milano e quello
 instauratosi a Genova,  il  p.m.  di  Milano  richiedeva  appunto  la
 trasmissione degli atti ex art. 54 del codice di procedura penale.
    Non  vi  e'  agli  atti il provvedimento con cui il p.m. presso il
 tribunale di Genova ha trasmesso a Milano gli atti ai sensi dell'art.
 54  del  c.p.p.,  anche  se da vari provvedimenti quali un invio, per
 unione agli atti,  da  parte  del  p.m.  di  Genova  del  decreto  di
 liquidazione  spese  per la consulenza tossicologica, e una ordinanza
 del g.i.p. presso il tribunale di Milano)  si  evince  che  gli  atti
 furono trasmessi il 3 ottobre 1990.
    In  data  10  ottobre  1990  il  procedimento  a carico di Doria e
 Chiaravallotti era iscritto al registro modello 21 presso la  procura
 della  Repubblica di Milano e in data 11 ottobre 1990 era disposta la
 riunione per connessione tra tale procedimento e quello gia' pendente
 presso quella procura.
    In  data  9  novembre 1990 il g.i.p. presso il tribunale di Milano
 respingeva l'istanza di revoca della  misura  cautelare  avanzata  in
 relazione alle condizioni di salute della Doria.
    In  data 28 novembre 1990 la difesa della Doria presentava istanza
 di scarcerazione per cessazione di efficacia della  misura  cautelare
 disposta  dal  g.i.p. presso il tribunale di Genova il 12 luglio 1990
 ai sensi dell'art. 27 del c.p.p., non essendosi  provveduto  a  norma
 dell'art.  292 del c.p.p. entro venti giorni dalla trasmissione degli
 atti ex art. 54 del c.p.p.
    Il  g.i.p.  respingeva  tale  istanza  con  ordinanza  in  data 1›
 dicembre 1990, avverso la quale era proposto appello ex art. 210  del
 c.p.p. davanti a questo tribunale.
    Nei  motivi addotti a sostegno dell'appello la difesa di Donatella
 Doria lamenta  in  primo  luogo  che  il  g.i.p.  abbia  ritenuto  la
 applicabilita'  dell'art.  27  del  c.p.p. solo nel caso di pronuncia
 giurisdizionale declinatoria di competenza e non anche nella  ipotesi
 di  trasmissione  degli  atti,  ai  sensi dell'art. 54 del c.p.p., da
 parte del pubblico ministero procedente  nella  fase  delle  indagini
 preliminari all'ufficio del p.m. presso il giudice competente, atteso
 che, anche in quest'ultimo caso,  il  titolo  detentivo  e'  comunque
 emesso da un giudice pacificamente incompetente.
    Nei  motivi  di  appello  si  solleva inoltre, nell'ipotesi in cui
 questo tribunale ritenesse condivisibile l'interpretazione  dell'art.
 27  del  c.p.p.  espressa  nell'appellato provvedimento, la questione
 della illegittimita' della norma  suddetta,  per  contrasto  con  gli
 artt. 3 e 24 della Costituzione.
    Quanto  al  primo motivo di appello - relativo alla applicabilita'
 del disposto dell'art. 27 del c.p.p. anche al  caso  di  trasmissione
 degli atti a norma dell'art. 54 del c.p.p. - questo tribunale ritiene
 condivisibile  la  motivazione  dell'appellata  ordinanza,   che   fa
 riferimento  alla  sentenza della Corte di cassazione, sezione quinta
 penale, in data 27 giugno 1990, n. 2700.
    L'art. 27 del c.p.p. prevede che "le misure cautelari disposte dal
 giudice  che   contestualmente   o   successivamente,   si   dichiara
 incompetente  per  qualsiasi causa cessano di avere effetto se, entro
 venti giorni dalla ordinanza di trasmissione degli atti,  il  giudice
 competente non provvede a norma degli artt. 292, 317 e 321".
    E' da notare che la espressione "successivamente" sembra riferirsi
 al solo caso della declaratoria di incompetenza pronunciata  in  sede
 di udienza preliminare (il che implica la applicabilita' dell'art. 27
 del c.p.p. ai soli casi di declaratoria di  incompetenza  pronunciata
 al  momento  di  emettere  la  misura  cautelare, cosi' come previsto
 dall'art. 291 cpv. del c.p.p., o in  sede  di  udienza  preliminare),
 posto  che  nel  rito  accusatorio  che  connota il nuovo processo il
 g.i.p. - durante le indagini preliminari condotte dal p.m.  ai  sensi
 dell'art. 327 del c.p.p. e fino all'udienza preliminare - e' "giudice
 senza fascicolo", ossia "giudice ad acta", dato che  riceve  soltanto
 di  volta  in  volta  gli  atti dal p.m. per provvedere sulle singole
 richieste  delle  parti  e  provvede  con  singoli  provvedimenti  in
 relazione  ai  quali,  e soltanto in riferimento ad essi, verifica di
 volta in volta  la  propria  competenza,  cosi'  come  e'  del  resto
 previsto dal primo e dal secondo comma dell'art. 22 del c.p.p.: nella
 parte  della  relazione  finale  al  codice   di   procedura   penale
 illustrativa  dei primi due commi della norma suddetta si afferma che
 l'incompetenza  dichiarata  dal  g.i.p.  nel  corso  delle   indagini
 preliminari  (e  quindi  prima  della udienza preliminare) ha effetto
 "soltanto ai fini del provvedimento per il quale e'  stato  richiesto
 il  suo intervento" ed e' stato pertanto previsto che in tal caso gli
 atti vengano ritrasmessi al p.m. senza pregiudizio  di  "una  diversa
 valutazione  della competenza che lo stesso giudice puo' compiere ove
 venga  successivamente  richiesto  il  suo   intervento"   e   "senza
 pregiudizio  della eventuale prosecuzione delle indagini da parte del
 p.m.".
    Da  cio'  consegue  che, anche se il g.i.p. presso il tribunale di
 Genova ha emesso vari provvedimenti nel procedimento  instauratosi  a
 carico   di   Doria   e   Chiaravallotti   (con  cio'  implicitamente
 riconoscendosi  competente)  correttamente  il   p.m.   presso   quel
 tribunale  ha  disposto la trasmissione degli atti ai sensi dell'art.
 54  del  c.p.p.,  non  essendone  certo  impedito   dalla   implicita
 affermazione   di   competenza   ravvisabile   nella   emissione   di
 provvedimenti da parte del "giudice ad acta".
    D'altro canto, analogamente a quanto ritenuto dalla sentenza della
 Corte di cassazione, sez. quinta penale, 27 giugno  1990,  si  evince
 dallo stesso tenore letterale dell'art. 27 del c.p.p. come tale norma
 presupponga  una  pronuncia  "giurisdizionale"   declinatoria   della
 competenza:  cio'  non  solo  perche' la norma parla di "giudice", ma
 anche perche' tratta del  caso  della  declaratoria  di  incompetenza
 emessa  dal  giudice  che  ha  disposto le misure cautelari, il quale
 giudice, nell'ambito  del  nuovo  processo  penale,  non  potra'  mai
 individuarsi nel p.m.
    Ne  consegue  che  il  disposto  dell'art.  27 del c.p.p. non puo'
 trovare applicazione nel caso di translatio  degli  atti  disposta  a
 norma dell'art. 54 del c.p.p., atto processuale di un organo sfornito
 di poteri giurisdizionali e parte nel processo.
    Quanto  alla  eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art.
 27 del c.p.p. pare a questo tribunale che la questione sia  non  solo
 rilevante nel caso di specie (dato che si e' ritenuto non applicabile
 il disposto dell'art. 27 del c.p.p. al  caso  di  trasmissione  degli
 atti  ai  sensi dell'art. 54 del c.p.p., anche se il g.i.p. presso il
 tribunale di Milano non ha  provveduto  a  norma  dell'art.  292  del
 c.p.p.  entro  i  venti giorni dalla trasmissione degli atti relativi
 alla Doria), ma anche non manifestamente infondata per le ragioni che
 verranno di seguito esposte.
    Nella  relazione  al  codice  si  precisa  che con la norma di cui
 all'art. 27 del c.p.p. si e' fatto riferimento a tutte  le  categorie
 di   incompetenza,   superando   il  sistema  processuale  previgente
 caratterizzato dalla netta  distinzione  -  sotto  il  profilo  della
 perdita   o  meno  di  efficacia  degli  atti  compiuti  dal  giudice
 incompetente -  tra  incompetenza  per  materia  e  incompetenza  per
 territorio:  negli stessa relazione si legge ancora che il "principio
 della conservazione degli  atti"  assunti  dal  giudice  incompetente
 (principio  che riguarda anche gli atti diversi da quelli applicativi
 di misure cautelari, per i quali il legislatore ha provveduto a norma
 dell'art.  26  del  c.p.p.)  in  un  sistema nel quale le limitazioni
 all'operativita' della connessione  renderanno  difficili  e  rari  i
 possibili   abusi,   giova   alla  speditezza  processuale  ed  evita
 pericolose  "strumentalizzazioni"  da  parte  degli   imputati   meno
 sprovveduti.  Fermo  restando il "principio della conservazione degli
 atti" si e' dunque stabilito che la misure disposte dal  giudice  che
 dichiara la propria incompetenza, qualunque sia il tipo di competenza
 declinata, "cessano di avere effetto se,  entro  venti  giorni  dalla
 ordinanza  di  trasmissione  degli  atti,  il  giudice competente non
 provvede a norma degli artt. 292, 317 e 321".
    Orbene, ritiene questo tribunale che nel caso di specie, in cui si
 tratta di ordinanza applicativa di misura cautelare personale (ma  il
 ragionamento  puo'  essere  applicato,  mutatis  mutandis, anche alle
 ordinanze  applicative  di  sequestro  conservativo  o  di  sequestro
 preventivo  ex  artt.  317 e 321 del c.p.p.) la ratio di questa norma
 consista  nell'assicurare  all'indagato  che  il  giudice  competente
 verifichi,  attraverso l'ordinanza di cui all'art. 292 del c.p.p., la
 sussistenza delle specifiche esigenze cautelari e  degli  indizi  che
 giustificano  in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli
 elementi di fatto da  cui  sono  desunti  e  dei  motivi  della  loro
 rilevanza,  ossia,  in sostanza, la sussistenza delle condizioni che,
 ai sensi degli artt. 273 e 274 del c.p.p., legittimano l'applicazione
 della misura cautelare personale.
    Tale  norma  ha  dunque  il  fine di garantire all'indagato che il
 giudizio sulla applicabilita' della misura cautelare venga nuovamente
 espresso  dal giudice competente; e che la ratio della norma consista
 proprio nell'assicurare la detta garanzia appare evidente laddove  si
 consideri  che,  in  mancanza  di  un provvedimento preso dal giudice
 competente a norma degli artt. 292, 317 e 321 del c.p.p. entro  venti
 giorni  dalla  ordinanza  di  trasmissione degli atti, e' prevista la
 perdita di efficacia della misura disposta dal giudice  incompetente:
 tale  previsione  ha  significato  soltanto  in  vista della suddetta
 garanzia dell'indagato e non certo in relazione al potere del p.m.  o
 del   g.i.p.   o  del  giudice  del  dibattimento  di  rivalutare  la
 opportunita' di applicazione di  quella  misura  o  di  una  diversa,
 atteso  che,  ai  sensi  dell'art.  299  del  c.p.p.  il p.m. puo' in
 qualunque momento richiedere al giudice la revoca o  la  sostituzione
 delle   misure  cautelari,  ed  il  giudice  puo'  provvedervi  anche
 d'ufficio quando assume l'interrogatorio della persona  in  stato  di
 custodia  cautelare  o  quando e' richiesto della proroga del termine
 per le indagini preliminari o dell'assunzione di incidente probatorio
 (ossia  quando  agisce  come giudice ad acta), nonche' quando procede
 all'udienza preliminare o al giudizio.
    Se dunque la ratio dell'art. 27 del c.p.p. deve essere individuata
 nel garantire all'indagato che  il  giudizio  circa  l'applicabilita'
 della  misura cautelare venga espresso dal giudice competente (che e'
 il giudice naturale precostituito per legge) e se e'  vero  che  tale
 norma  si applica soltanto nei casi in cui vi sia stata una pronuncia
 giusdizionale  declinatoria  della  competenza  e   non   anche   una
 trasmissione  degli  atti  ai  sensi  dell'art. 54 del c.p.p., appare
 quantomeno fondato ritenere che l'art. 27 del  c.p.p.  contrasti  con
 gli  artt.  3  e 25 della Costituzione, posto che non prevede analoga
 garanzia  per  l'indagato  nel  caso   che,   durante   le   indagini
 preliminari,  vi sia stata translatio degli atti a norma dell'art. 54
 del c.p.p.
    La  questione d'altra parte non puo' essere risolta affermando che
 il rinnovato giudizio ai sensi  dell'art.  292  del  c.p.p.  potrebbe
 essere   richiesto   dalla   parte   anche   immediatamente  dopo  la
 trasmissione degli atti ex art. 54 del c.p.p.  all'ufficio  del  p.m.
 presso il "giudice competente" (secondo il letterale tenore dell'art.
 54 del c.p.p.).
   Cio'  non  solo perche' non puo' ammettersi un effetto negativo per
 l'indagato, quale la perdita della garanzia di cui  sopra,  derivante
 dalla  sua  inerzia  nel  richiedere  al  giudice  competente a norma
 dell'art.  54  del  c.p.p.  di  riesaminare  la  sua  posizione,  ma,
 soprattutto,  perche' potrebbe verificarsi l'ipotesi in cui il g.i.p.
 presso il cui ufficio e' il p.m. che ha ricevuto gli atti ex art.  54
 del  c.p.p.  -  richiesto di pronunciarsi a norma degli artt. 292 del
 c.p.p. o anche degli artt. 317 e 324 del c.p.p. - declini la  propria
 competenza ai sensi dell'art. 22, primo e secondo comma, del c.p.p. e
 ritrasmetta gli atti al p.m. presso il suo ufficio: poiche',  per  il
 disposto  dell'art.  22,  secondo  comma,  del c.p.p., tale ordinanza
 produce  effetti  limitatamente  al  provvedimento  richiesto  e  non
 pregiudica  la  possibilita'  per  il  p.m. di proseguire le indagini
 preliminari (con conseguente conservazione degli atti presso  il  suo
 ufficio),  l'indagato  si  troverebbe  nella situazione di non potere
 esercitare il diritto conferitogli dal terzo comma dell'art. 299  del
 c.p.p.
    Ne'  si  puo' ritenere che in tal caso l'indagato possa rivolgersi
 al g.i.p. che ha emesso la  misura  cautelare:  da  un  lato  perche'
 nell'ipotesi  di  translatio  ex  art.  54  del  c.p.p. gli atti sono
 normalmente trasmessi in originale e quindi il p.m. presso il  g.i.p.
 che  ha emesso la misura cautelare non e' piu' nel possesso materiale
 degli  atti;  dall'altro  lato  perche'  anche  in  ipotesi  di   una
 trasmissione  della  sola  copia  degli  atti  con prosecuzione delle
 indagini preliminari anche da parte del  p.m.  che  il  ha  trasmessi
 (ipotesi  in se' non ammissibile, dato che in tal caso i rapporti tra
 i due uffici  del  pubblico  ministero  sarebbero  regolati  a  norma
 dell'art.  371  del  c.p.p.  e  non a norma dell'art. 54 del c.p.p.),
 potrebbe verificarsi il caso  di  provvedimenti  confliggenti  emessi
 rispettivamente  dal  g.i.p.  presso il cui ufficio e' il p.m. che ha
 trasmesso gli atti e dal g.i.p. presso il cui ufficio e' il p.m.  che
 li ha ricevuti ex art. 54 del c.p.p.: potrebbe infatti verificarsi il
 caso in cui il g.i.p. che ha emesso la misura cautelare  ritenga,  su
 richiesta   dell'indagato,  di  revocarla  o  di  disporne  una  meno
 afflittiva, mentre il g.i.p. presso il cui ufficio e' il p.m. che  ha
 ricevuto gli atti ritenga, su richiesta del p.m., di applicare invece
 una misura maggiormente afflittiva.
    E'  evidente, a parere di questo collegio, un vuoto normativo che,
 nel caso di trasmissione degli atti ai sensi dell'art. 54 del c.p.p.,
 pregiudica   il   diritto  dell'indagato  ad  esercitare  il  diritto
 attribuitogli  dall'art.  299,  terzo  comma,  del  c.p.p.,   e,   di
 conseguenza, il diritto sancito dall'art. 24 della Costituzione.
    Questo  collegio  ritiene  dunque  non manifestamente infondata la
 questione della illegittimita' dell'art. 27 del c.p.p., per contrasto
 con gli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, questione che appare nel
 caso  di  specie  rilevante,  atteso  che  il  collegio  non  ritiene
 applicabile  la  norma  di  cui  all'art.  27  del c.p.p., cosi' come
 attualmente formulata, all'ipotesi in cui il  g.i.p.  presso  il  cui
 ufficio  si trova il p.m. che ha ricevuto gli atti ai sensi dell'art.
 54 del c.p.p., non provveda a norma dell'art. 292 del  c.p.p.,  entro
 venti giorni dalla trasmissione degli atti.
                                P. Q. M.
    Visti l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e
 l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 illegittimita' costituzionale dell'art.  27  del  c.p.p.  (d.P.R.  22
 settembre  1988,  n. 447) per violazione degli artt. 3, 24 e 25 della
 Costituzione nella parte in cui non prevede che,  anche  in  caso  di
 trasmissione  degli  atti  ex art. 54 del c.p.p., la misura cautelare
 cessi di avere efficacia se, entro venti  giorni  dalla  trasmissione
 degli  atti, il giudice presso cui si trova l'ufficio del p.m. che ha
 ricevuto gli atti non provvede a norma degli artt. 292, 317 e 321 del
 c.p.p.;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale e sospende il giudizio in corso;
    Ordina  che  a  cura  della  cancelleria la presente ordinanza sia
 notificata a Donatella Doria e al suo difensore avv.  Luigi  Turchio,
 nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Visto  l'art.  1 della deliberazione della Corte costituzionale 16
 marzo 1956;
    Dispone  che  la  presente  ordinanza  sia  trasmessa  alla  Corte
 costituzionale  insieme  con  gli  atti  e   con   la   prova   delle
 notificazioni  e  delle  comunicazioni  prescritte dall'art. 23 della
 legge 11 marzo 1953, n. 87, come sopra ordinate.
     Milano, addi' 7 gennaio 1991
                        Il presidente: DE BURGIS
   Il giudice: CAPPELERI
                                        Il giudice estensore: MANNOCCI
 91C0195