N. 93 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 novembre 1990
N. 93 Ordinanza emessa il 5 novembre 1990 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Ancona nel procedimento penale a carico di Tanfani Ivo Processo penale - Richiesta di archiviazione non condivisa dal g.i.p. - Restituzione atti al p.m. per ulteriori indagini - Omessa (o parziale) ottemperenza - Lamentata carenza normativa in materia - Obbligatorieta' dell'avocazione delle indagini preliminari da parte del p.g. o della corte di appello - Mancata previsione Trattamento discriminato rispetto all'ipotesi del mancato esercizio dell'azione penale (art. 412, primo comma, del c.p.p.) Lesione dei principi di buon andamento della p.a., in particolare: Amministrazione della giustizia, nonche' dell'obbligatorieta' dell'azione penale e della soggezione del giudice alla sola legge. (C.P.P. 1988, art. 409, quarto comma, in relazione all'art. 412, secondo comma). (Cost., artt. 2, 3, 97, 101 e 112).(GU n.9 del 27-2-1991 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Letta la ennesima richiesta del p.m. di archiviazione della notitia criminis pervenuta il 3 dicembre 1990; Atteso che di per se', tanto in astratto quanto in concreto, la stessa non potrebbe nella specie trovare accoglimento, stante l'inidoneita' delle ulteriori indagini preliminari a fornire elementi decisori, essendo stato il detto supplemento svolto soltanto in misura minima, contrariamente a quanto disposto dalla lettera dell'art. 409 del nuovo c.p.p. secondo cui al quarto comma "A seguito dell'udienza, il giudice, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indica con ordinanza al p.m., fissando il termine indispensabile per il compimento di esse" ed a questo proposito, ad avviso dello scrivente, il giudice non richiede indagini, come sostenuto dall'a.g.o. requirente, bensi' le dispone e le commissiona, concretizzandosi, nell'ipotesi di inottemperanza-inadempimento delle stesse (sia pure parziale), il venir meno dei presupposti di cui al quarto comma, porre cioe' l'a.g. giudicante in condizione di poter decidere, mentre d'altronde l'art. 409 si salda ermeneuticamente ed esegeticamente all'art. 407, n. 3) stesso codice laddove e' detto "Qualora il p.m. non abbia esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine non possono essere utilizzati" e deve intendersi, sempre ad avviso di chi scrive, che la dizione "prorogato dal giudice" non si riferisca alla sola ipotesi della proroga richiesta dal p.m. ed avallata dal g.i.p. ex art. 406 stesso cod. (con le attualissime recentissime modifiche) ma si estende all'ipotesi della proroga iussu iudicis cioe' ex officio nolente il p.m., giacche' ove la fissazione di un termine indispensabile per il compimento di ulteriori indagini trovasse limite e remora nella naturale scadenza dei termini (artt. 405 e 407), l'archiviazione diverrebbe atto dovuto e cio' urterebbe contro l'art. 112 della Costituzione sull'esercizio dell'azione penale da parte del p.m. (obbligatorio anche quando posto in essere a seguito di apposito controllo giurisdizionale) e contro l'art. 101 della Costituzione, giacche' in tal caso il giudice sarebbe non piu' soggetto alla sola legge ma ad altro organo giudiziario (la pubblica accusa facente parte, come e' giusto che sia, della magistratura ordinaria, ma non a.g. giudicante, stante il principio della differenziazione dei relativi poteri); Premesso che nel caso in esame l'ordinanza non puo' non essere intesa in senso vincolante, giacche' una mera richiesta non potrebbe mai essere corredata dalla fissazione di un termine indispensabile, e cio' vale per tutte le situazioni del genere; Poiche' il p.m. si e' limitato all'escussione del teste Castelletti Fabio, laddove l'ordinanza 9 novembre 1990 faceva riferimento ad altri due nominativi (indicati dalla parte lesa) e trattasi quindi, a tutti gli effetti, di autentica "inerzia processuale" dell'a.g.o. requirente, anche se motivata sulla base di interpretazione giuridica della norma, ne' e' stata espletata la indicata c.t.u. infortunistico-stradale; Poiche' in ogni caso l'art. 194 sulla testimonianza statuisce che il testimone e' esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova e ai sensi del terzo comma non puo' esprimere apprezzamenti personale salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti; il che sembra tuttavia limitato al caso di deposizione di persona particolarmente qualificata per speciale preparazione professionale che venga esaminata su fatti inerenti alla sua abituale e particolare attivita', assumendo la detta persona quasi una duplice veste di testimone e di perito, salva naturalmente al giudice la valutazione definitiva sul fatto riferito e sull'apprezzamento manifestato (Cass. pen., sezione terza, 12 febbraio 1985, n. 1542, ud. 26 ottobre 1984) (in tal senso ache Cass. pen., sezione terza, 26 gennaio 1984, n. 682, ud. 14 ottobre 1983, Cass. pen., sezione sesta, 20 giugno 1985, n. 6206, ud. 9 maggio 1985 giacche' in tal caso, a fronte della detta speciale preparazione professionale, l'apprezzamento diventa inscindibile dal fatto, stante l'ovvia riflessione che il fatto stesso e' percepito dalle persone in parola sotto un particolare angolo visuale), e tutto cio' non ricorre nella fattispecie, mentre al contrario il teste ha sconfinato in giudizi tecnici materia di c.t.u.; Poiche' contraddittoria si appalesa la "subordinata" del p.m. (rinvio a giudizio) essendo del tutto antitetica alla richiesta di archiviazione in via principale, pur essendo la subordinata ammissibile in estratto (dovendo tuttavia essere verificata in concreto); Premesso che l'essere il nuovo modello processuale tendenzialmente accusatorio non implica che lo stesso sia ispirato al principio dispositivo ma solo la piu' accentuata terzieta' della figura del giudice in un processo di parti ed e' quindi manifestamente infondata l'eccezione di illegittimita' costituzionale da parte del p.m. relativa all'art. 409, n. 5, del nuovo c.p.p., non concependosi il concetto dell'obiezione di coscienza per una figura processuale come quella del p.m., titolare di un autentico potere costituzionale (l'azione penale) contemperato, proprio nel quadro di detta obbligatorieta', dal potere di controllo (ieri del g.i. a livello di istruzione formale, oggi del g.i.p. a livello di ulteriori indagini preliminari), quando oltretutto trattasi di formulazione d'imputazione nel senso meramente tecnico del termine, che non obbliga certo il p.m. in sede di udienza preliminare a sostenere il rinvio a giudizio, cosi' come parallelamente lo stesso rinvio a giudizio richiesto dal p.m. ex artt. 416 e segg. del c.p.p. ha carattere tecnico e non ancora vincolante ai fini della decisione (l'udienza preliminare e' atto dovuto, ma non lo e' lo sbocco dell'udienza stessa) cosi' come l'avocazione da parte del p.g. ex art. 412 non vincola l'avocante nel merito, ancora suscettibile di riesame all'esito della stessa udienza preliminare; Poiche' quindi nessuna costituzionalita' e' lesa dall'art. 409, quinto comma, stante il detto contemperamento dei poteri ed in caso contrario l'azione penale tornerebbe discrezionale (come dal 1930 al 1948) ed al p.m. verrebbe, quale longa manus ed appendice del potere esecutivo, restituito quel potere di "cestinazione della notizia di reato" gia' eliminato dal d.l.l. 1944; Poiche' oltretutto non puo' concordarsi con il p.m. (che del resto in sede di udienza preliminare ben potrebbe convincersi della validita' del rinvio a giudizio, sulla sostanziale inutilita' del g.i.p. il quale non decide senza prove ma sulla base di quegli elementi di prova acquisiti dal p.m. nel corso delle indagini preliminari (o dal p.m. sua sponte o dal p.m. nolente); Trattandosi quindi di incombenza meramente tecnica e di udienza preliminare sui generis con la presenza pur sempre necessaria del p.m. ma senza l'atto tipico introduttivo (richiesta di rinvio a giudizio), sostituito da un atto atipico (provvedimento di fissazione ex officio adottato dal giudice) quale una udienza preliminare il cui presupposto e' la formulazione dell'accusa; Poiche' comunque deve ritenersi che il meccanismo di cui all'art. 409, n. 5, sia utilizzabile anche nell'ipotesi in cui, a seguito delle ulteriori indagini, il giudice per l'ennesima volta non concordi sulla richiesta di archiviazione, e non soltanto nel caso in cui egli non ritenga detta necessita' ed ordini l'immediata formulazione dell'accusa, giacche' in caso contrario, ancora una volta, l'archiviazione, all'esito di nuove indagini, resterebbe passaggio obbligato; Ritenuto che il g.i.p. e' stato destinato dal nuovo c.p.p. ad una funzione di "filtro selettore" tanto nel corso delle indagini preliminari quanto in sede di udienza preliminare, che consiste nella deflazione dibattimentale ed un tipico esempio di cio' e' costituito dal meccanismo di cui all'art. 422 del nuovo c.p.p., tale da consentire alle parti la ricerca dell'evidenza, o ai fini della decisivita' per il rinvio a giudizio, o ai fini della decisivita' per il non luogo a procedere; Stante la manifesta lacuna dell'art. 412, n. 2, del nuovo c.p.p. laddove statuisce la mera facoltativita', da parte della p.g., di disporre l'avocazione a seguito della comunicazione prevista dall'art. 409, terzo comma (fissazione di udienza in camera di consiglio), senza prevedere la conversione di detta facoltativita' in obbligatorieta' allorche' il p.m. non abbia esaurientemente svolto le indagini commissionate, mentre appare logica l'iniziale formulazione del comma in quanto, a seguito della detta ordinanza, il p.m. di secondo grado non e' ancora posto in grado di conoscere se il p.m. di prima istanza si atterra' o meno alle indagini indicate, non apparendo altrettanto logico il silenzio della norma nel caso della detta "inerzia processuale a posteriori"; Atteso che l'incostituzionalita' attiene alla lesione degli artt. 2 e 3 della Costituzione, essendo il secondo comma discriminato, nel trattamento, rispetto alla formulazione vincolante e tassativa del primo comma, nonche' all'art. 97 della Costituzione sull'organizzazione dei pubblici uffici e sul buon andamento della p.m., amministrazione della giustizia stante la riscontrata inefficienza-lacunosita' del secondo comma in tema di mancate conseguenze processuali a seguito dell'inerzia del p.m. (che tale, lo si ribadisce, rimane sotto il profilo processuale, sia pure sorretta da motivazione ritenuta dallo stesso p.m. valida sotto il profilo giuridico); Poiche' l'incostituzionalita' deriva anche dal fatto che una avocazione che resti facoltativa vede incriminato il triangolo processuale (giudice terzo, p.m., parti private) che diviene tronco (non corrispondendo piu' al giudice un p.m. rappresentante non tanto la pubblica accusa quanto l'accertamento della verita' materiale ex artt. 326 e 358 del nuovo c.p.p.); Ritenuto che, mentre e' logico che il p.g., a seguito della comunicazione prevista dall'art. 409, terzo comma, resti facoltizzato a disporre l'avocazione (e non coartato in quanto il p.m. di prima istanza, lo si ripete, ben potrebbe ancora ottemperare all'ordinanza), non altrettanto si concepisce che tale facoltativita' residui nell'ipotesi di inottemperanza del p.m. alle disposte supplementari indagini preliminari; Poiche' a tal punto si fa strada una certa interpretazione esegetico-ermeneutica secondo cui se il p.m. omette puramente e semplicemente (un parziale, ridotto, minimo adempimento equivale ad inadempimento), senza ovviamente esperire ricorso per Cassazione (praticabile solo nei casi di nullita' previsti dall'art. 127, quinto comma, dovrebbe comunque, per coerenza processuale, o richiedere il rinvio a giudizio sulla base delle stesse acquisizioni (originarie acquisizioni) che in precedenza lo avevano indotto a richiedere l'archiviazione (con la prospettiva che, presumibilmente il giudice dovrebbe provvedere in sede di udienza preliminare ai sensi dell'art. 422, primo comma, ovvero reiterare, sempre sulla base di dette originarie acquisizioni, la richiesta di archiviazione, eventualmente con nuove motivazioni, tesi questa secondo la quale il giudice in conseguenza di quanto sopra, potrebbe a sua volta, previa fissazione di nuova udienza, o reiterare l'ordinanza di effettuazione di nuove indagini o invitare il p.m. a formulare l'imputazione, nella ragionevole e presumibile prospettiva che anche in tal caso, in sede di udienza preliminare, egli dovrebbe poi provvedere ai sensi del cit. art. 422, primo comma); Ritenuto che tale problematica non sembra condivisibile, trattandosi di un superfluo meccanismo farraginoso, giacche' il rinvio a giudizio non sarebbe comunque condiviso dal p.m. (che non ha neppure espletato ulteriori indagini) mentre la richiesta di archiviazione (proprio perche' non espletate le predette indagini) sembra ripetitiva e non puo' contenere alcuna reale nuova motivazione; Poiche' comunque detta interpretazione, riduttiva e forzata, non trova sostegno nella lettera del cod.; Ritenuto che, alla base delle pregresse argomentazioni, e' da escludere che competa al p.m. qualificare come "pleonastiche" determinate indagini commissionate dal giudice alla stessa a.g.o. requirente, essendo il ragionamento tanto logico e da circolo vizioso, in quanto, se e' di per se' concepibile che all'esito delle dette indagini il p.m. modifichi la propria posizione e richieda non piu' l'archiviazione bensi' il rinvio a giudizio finalizzato all'udienza preliminare ex artt. 416 e segg. del nuovo c.p.p., dall'altro cio' non costituisce un obbligo (mentre sembra esserlo, a tutti gli effetti, quello di espletare comunque le indagini; Poiche' la detta incostituzionalita' non si limita quindi all'art. 412, primo comma (laddove e' fra l'altro detto "se il p.m. non esercita l'azione penale o non richiede l'archiviazione nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, riferendosi quest'ultima espressione anche al termine prorogato non a richiesta del p.m. ex artt. 406 e 407 del nuovo c.p.p. bensi' iussu iudicis ex art. 409, n. 4), ma si estende a quest'ultima norma stesso comma laddove, come si e' detto, non si cura di prevedere conseguenze procedurali a fronte di inottemperanza del p.m. all'espletamento delle dette indagini e prima ancora, di qualificare come vincolante per il p.m. la detta suppletiva ordinanza; Poiche' oltretutto le dette riscontrate lacune (artt. 409 e 412) violano l'art. 112 della Costituzione sull'irrinunciabile esercizio dell'azione penale e l'art. 101 della stessa laddove statuisce la soggezione del giudice alla sola legge e non ad altra a.g.o. (quale il p.m.); Non contestandosi affatto che il p.m. nel processo accusatorio sia dominus assoluto dell'azione penale e quindi allo stesso sia rimessa in via esclusiva la valutazione circa la sussistenza o meno delle condizioni nelle quali debba darsi luogo a detta azione, principi che tuttavia vanno conciliati e contemperati con la radicata tradizione di un controllo da parte del giudice sulla correttezza o meno di tale valutazione e con la conseguente possibilita' di una sostituzione, in caso di giudizio negativo, della volonta' del giudice a quella, mancante o comunque carente, del p.m., tradizione che risale all'art. 6 del d.l.l. 14 settembre 1944, n. 288, modificativo ex novo del testo dell'art. 74 abrogato c.p.p. nel senso della sottrazione al p.m. del potere di disporre direttamente l'archiviazione ("cestinazione della notizia di reato"), nei casi in cui ovviamente egli non riteneva doversi promuovere l'azione penale, imponendogli, in detti casi, di richiedere al g.i. apposito provvedimento sotto forma di decreto e prevedendo che lo stesso g.i., ove non concordasse con la richiesta del p.m., disponesse direttamente il procedersi con istruzione formale; Ammettendosi che gia' tale meccanismo, pur nell'ambito di un sistema processuale inquisitorio, presentava difficolta' di adattamento e conciliazione con il principio del ne procedat iuden ex officio, valido anche nel modello inquisitorio, ed al riguardo si riteneva da un lato l'archiviazione come pur sempre un modo, una modalita' di esercizio dell'azione penale da parte del p.m. (sia pure allo scopo di ottenere l'archiviazione della notitia criminis), dall'altro la stessa richiesta di archiviazione non accolta come esercizio dell'azione penale da parte del p.m., sia pure "atipico" (e atipico non necessariamente significa anomalo), e cio' attesta l'infondatezza della tesi del p.m. sulla "forzatura della coscienza", in quanto anche il vecchio c.p.p., come emendato nel corso della Resistenza e della guerra di liberazione e come modificato dall'art. 101 e dall'art. 112 della Costituzione, inquadrava l'ipotesi, appartenente alla dialettica processuale di un esplicito dissenso del g.i. nei confronti del p.m. che propendeva per l'archiviazione; Dato atto che le diverse difficolta' legislative sono aumentate con il nuovo c.p.p. che conferisce al principio del ne procedat iudex ex officio una valenza ed importanza ancora maggiore, ma che ancora una volta non puo' entrare in conflitto con i principi della suprema legge fondamentale dello Stato (la Carta costituzionale), cio' in quanto il tradizionale potere, unilaterale ed incontrastato, riconosciuto al p.m., di "cestinazione della notizia di reato" trovava giustificazione nella posizione del p.m. longa manus del potere esecutivo, sotto il diretto controllo (non semplice vigilanza) del Ministero di grazia e giustizia, svincolato, nel quadro dell'ordinamento giudiziario, dalla magistratura giudicante, e come tale esercente l'azione penale in modo di assoluta discrezionalita', refrattaria ad ogni controllo che non fosse quello della sfera esecutiva cui era assoggettato; Poiche' quindi anche la nuova procedura ha disciplinato detto controllo in sede giudiziale per evitare che l'archiviazione diventasse "atto dovuto", disponendo che il giudice, ove dissenta dal p.m., ordini allo stesso la formulazione dell'imputazione, dando ovviamente ex officio impulso alla fissazione dell'udienza preliminare, prevedendo tuttavia e l'ipotesi in cui a detta soluzione si arrivi senza ulteriori indagini preliminari, e l'ipotesi in cui ci si pervenga a seguito di ulteriori indagini disposte dallo stesso giudice ed espletate da un p.m. "nolente ma necessitato"; Ritenendosi quindi che la fissazione dell'udienza preliminare da parte del giudice, a fronte della richiesta di archiviazione formulata dal p.m., si trovi soltanto formalmente in contraddizione con il disposto dell'art. 416 del nuovo c.p.p. che prevede, quale presupposto dell'udienza stessa, la "richiesta di rinvio a giudizio" da parte del p.m., cio' in quanto, se e' innegabile, di per se', che ex art. 421, secondo comma, egli dovrebbe sostenere detta richiesta con la esposizione degli elementi di prova che la giustificano, tuttavia l'udienza di cui all'art. 409, quinto comma, non ricalca predissequamente la disciplina prevista dagli artt. 416 e segg., trattandosi in realta' di una udienza preliminare "atipica", derogando la lex specialis data dal detto comma del 409 alla lex generalis offerta dalla normativa ex artt. 416 e segg., quando oltretutto la stessa relazione del Guardasigilli fa presente che la locuzione "udienza preliminare" contenuta nelle direttive 50 e 51 (quelle stesse in attuazione delle quali sono stati formulati l'articolo in esame ed il successivo art. 410) non poteva interpretarsi come richiamo all'istituto delineato nella direttiva 52 (cioe' l'udienza preliminare "tipica" disciplinata dagli artt. 416 e segg.), il cui classico presupposto e' costituito dalla formulazione dell'accusa; Poiche' quindi un incombente meramente tecnico, quale la formulazione di un'imputazione sulla base di cio' che astrattamente potrebbe essere penalmente rilevante in relazione ad un determinato fatto, non puo' ritenersi affetto da incostituzionalita' e lesivo dell'autonomia, indipendenza, liberta' di coscienza del p.m., e non implica affatto una volonta' (di per se' assolutamente incoercibile) diretta a far si' che il giudice disponga un rinvio a giudizio di cui il p.m. non ravvisa i presupposti; Poiche' del resto anche nei procedimenti penali di competenza pretorile esiste un meccanismo simile, piu' drastico e riduttivo nella sua formulazione originaria di cui all'art. 554, secondo comma, che prevede addirittura il rinvio a giudizio, a fronte del mancato accoglimento della richiesta di archiviazione da parte del giudice, disposto dallo stesso p.m., attualmente meno rigido a seguito della recentissima giurisprudenza della Corte costituzionale declaratoria di illegittimita' costituzionale della cit. norma laddove inibisce, contrariamente a quanto previsto dinanzi al tribunale, apposito supplemento di indagini preliminari a seguito del quale, eventualmente, il g.i.p. c/o la pretura disponga (ordini) la formulazione dell'accusa, e quindi in entrambe le fattispecie giuridiche (pretura e tribunale) l'atto del p.m. (sia pure nelle differenti peculiari modalita' di estrinsecazione, che tengano conto dell'inesistenza dell'udienza preliminare in pretura), pur frutto di una volonta' necessitata (cioe' scaturita dalla legge e non spontanea) non contiene alcuna reale "espressione di volonta'" diretta a far si' che il giudice provveda in un modo o nell'altro, e si traduce quindi in un mero e semplice adempimento di ordine tecnico, atto a porre il giudice nelle reali obiettive condizioni tecnico-giuridiche di poter decidere, in forma di sentenza o decreto (sentenza di non luogo a procedere ex artt. 129 e 425 del nuovo c.p.p., decreto che dispone il rinvio a giudizio ex art. 429 stesso cod.); Poiche' non potrebbe mai ammettersi, pena lo snaturamento dei principi-cardine dell'intero ordinamento processuale e della civilta' giuridica, che il giudice possa procedere senza effettivo prodomico introduttivo esercizio della relativa azione penale da parte dell'unico soggetto a cio' legittimato; Ritenuto quindi, quanto sempre al quinto comma del 409, che la sola formulazione dell'accusa-imputazione, necessario presupposto della decisione di merito (art. 425 o art. 429 come gia' detto), costituisca pur sempre esercizio, sia pure "atipico" dell'azione penale e che la formulazione della stessa imputazione, costituisca, nel nuovo sistema parzialmente accusatorio o meglio tendenzialmente accusatorio senza quei profili di dispositivita' che caratterizzano al contrario il sistema processuale anglosassone, globalmente accusatorio, adempimento formale strettamente ed esclusivamente connesso all'esercizio dell'azione penale, da non confondersi, in alcun modo, con la redazione del capo d'imputazione che, per ovvie necessita', venga effettuata dal p.m. nel corso delle indagini preliminari, anche se, come altrettanto ovvio, nella maggior parte delle fattispecie, la formulazione in questione non fara' altro che operare la riproduzione di quel capo e quindi, fino a che non venga effettuata nell'anzidetto modo la formulazione dell'imputazione, l'azione penale non puo' certo dirsi esercitata; Poiche' comunque coartazione della volonta' del p.m. non puo' sussistere in quanto in sede di udienza preliminare l'a.g.o. requirente e' vincolata alla partecipazione ma non a concludere per il rinvio a giudizio, cosi' come il g.i.p. non e' vincolato a disporre il detto rinvio, ne' in senso contrario il non luogo a procedere, e del resto detta coercizione non sussiste neppure in sede di udienza preliminare ex artt. 416 e segg., giacche' il rinvio a giudizio depositato dal p.m. nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari (primo comma, cit. norma) indica soltanto che ex art. 405 e' stata esercitata l'azione penale anziche' la richiesta di archiviazione, azione penale del resto esercitabile o tramite la richiesta di udienza preliminare, o tramite la richiesta di giudizio immediato, o tramite la richiesta di applicazione della pena ex art. 444, uno dei tre modi che segnano il passaggio dalla fase delle indagini preliminari (ove ci troviamo di fronte a persona indagata-indiziata cioe' assoggettata alle dette indagini, fase quindi pre-imputazione cioe' precedente all'esercizio dell'azione penale) alla fase non piu' del procedimento (art. 121, primo comma, del c.p.p.) bensi' dell'autentico processo (dominato dalla figura dell'imputato); Poiche' quindi anche il detto rinvio a giudizio e' ancora "tecnico" cioe' rinvio a giudizio dinanzi all'udienza preliminare del relativo giudice, udienza che puo' concludersi con la richiesta del p.m. di non luogo a procedere (autonoma anche la conseguente statuizione da parte del g.i.p.) come puo' concludersi con la richiesta di rinvio a giudizio (cui il giudice non e' vincolato essendo il suo unico vincolo l'obbligo di provvedere comunque, in un senso o nell'altro, all'esito della stessa udienza preliminare); Poiche' comunque neppure il p.g. che avoca ex art. 412 e' vincolato, in sede di udienza preliminare, a richiedere il rinvio a giudizio in sede dibattimentale, cosi' come anche in detta sede tanto il p.m. quanto il p.g. sono autonomi nel merito delle loro richieste (cosi' come lo e' il collegio penale autore della sentenza decisoria, o di condanna o di assoluzione); Ritenuto infine, su avviso difforme da quello del p.m., che il g.i.p., concetto questo gia' accennato e che va ulteriormente approfondito, non e' una figura di ufficio giudiziario che perde significato dovendo rinviare a giudizio "senza prove", in primo luogo non essendo obbligato a detto rinvio ove egli non ritenga sussistenti sufficienti elementi in tal senso, ma un giudice filtro selettore, tramite l'udienza preliminare o l'applicazione della pena ex artt. 444, 447 e 448 o l'emissione di decreto che dispone il giudizio immediato, e prima ancora tramite il detto controllo ex art. 409, con il compito specifico di deintasamento-deflazione dell'udienza dibattimentale, come attestato chiaramente dalla lettera dell'art. 422, primo comma (indicazione alle parti di temi nuovi o incompleti sui quali si rende necessario acquisire ulteriori informazioni ai fini della decisione) e secondo comma (ammissione delle prove richieste dalle parti pubbliche e private, a seconda che ne risulti manifesta la decisivita' ai fini dell'eventuale rinvio a giudizio o che ne appaia evidente la decisivita' ai fini dell'eventuale non luogo a procedere), facendosi notare che per potersi pervenire a detto controllo-garanzia in sede di udienza preliminare (ove si ricerca la prova dell'evidenza di cui al 425 ben differente dall'evidenza ictu oculi, lampante di cui all'art. 129) (ove la prova dell'evidenza e' in re ipsa) devesi prima impostare e percorrere la fase del controllo sulla fase delle indagini preliminari, senza il quale la lettera ed il contenuto dell'udienza preliminare resterebbero vuoti della materia prima processuale; Poiche' comunque un conto e' constatare che il legislatore non ha definito con chiarezza e proprieta' di linguaggio i mezzi di prova di cui all'art. 422, numeri 1 e 2, la cui rilevanza rimane comunque circoscritta alla fase delle indagini preliminari o meglio ancora alla fase terminale delle stesse (o di chiusura, cioe' l'udienza preliminare stessa) e quindi endoprocessuale, cioe' non utilizzabile a fini di prova legale (al contrario dell'incidente probatorio, richiesto esclusivamente dalle parti e non attivato dal g.i.p., raccolta anticipata della prova, utilizzabile al dibattimento), un conto e' sottolineare la sostanziale "inutilita' processuale" del detto giudice, sul che non puo' certo concordarsi soltanto per divergenze che attengono meramente alla dialettica processuale, inerendo ovviamente al merito della questione, e sotto il profilo sostanziale e sotto l'aspetto procedurale; Poiche' in sintesi, mentre l'eccezione in tema di artt. 409 e 412 del c.p.p., rilevabile d'ufficio, e' da ritenersi non manifestamente infondata e rilevante nel corrente giudizio, in quanto lo scrivente reputa di non essere stato posto dal p.m. in condizione di poter decidere globalmente, al contrario l'eccezione del p.m. si appalesa manifestamente infondata, il tutto come da dispositivo che segue;
P. Q. M. Letti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dispone l'immediata trasmissione degli atti procedurali alla Corte costituzionale, non ritenendosi la questione sollevata d'ufficio manifestamente infondata e non potendo il presente giudizio essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 409, n. 4, nuovo c.p.p., laddove non sancisce esplicitamente il carattere ordinatorio e vincolante per il p.m. dell'indicazione di ulteriori indagini in quanto ritenute necessarie e laddove non contempla e prevede esplicite conseguenze procedurali quali l'avocazione delle indagini preliminari da parte del p.g. c/o la corte d'appello nell'ipotesi in cui il p.m. non abbia ottemperato all'espletamento delle ulteriori indagini preliminari come indicate, e relativa all'art. 412, secondo comma, stesso cod. laddove la detta avocazione ha carattere facoltativo (contrariamente al primo comma) anche nel caso della detta richiamata inottemperanza, il tutto in violazione degli artt. 2, 3 e 97 della Costituzione sul buon andamento e sulla organizzazione della p.a., amministrazione della giustizia, nonche' degli artt. 101, secondo commma e 112 della Costituzione; Respinge l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 409, n. 5, nuovo c.p.p. formulata dal p.m. per genericita', irrilevanza ed infondatezza manifesta; Sospende il procedimento in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata alle parti in causa (indagato e suoi difensori di fiducia, p.o. e suo difensore di fiducia, tutti soggetti indicati in sede di ordinanza 9 novembre 1990) ed al p.m. nonche' alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e comunicata anche alla Presidenza delle due Camere del Parlamento. Ancona, addi' 5 novembre 1990 Il giudice per le indagini preliminari: BONIVENTO 91C0225