N. 93 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 novembre 1990

                                 N. 93
 Ordinanza  emessa  il  5  novembre  1990  dal giudice per le indagini
 preliminari presso il tribunale di Ancona nel procedimento  penale  a
 carico di Tanfani Ivo
 Processo penale - Richiesta di archiviazione non condivisa dal g.i.p.
 - Restituzione atti al  p.m.  per  ulteriori  indagini  -  Omessa  (o
 parziale)  ottemperenza  -  Lamentata  carenza normativa in materia -
 Obbligatorieta' dell'avocazione delle indagini preliminari  da  parte
 del  p.g.  o  della corte di appello - Mancata previsione Trattamento
 discriminato rispetto all'ipotesi del mancato  esercizio  dell'azione
 penale  (art.  412,  primo comma, del c.p.p.) Lesione dei principi di
 buon andamento della p.a.,  in  particolare:   Amministrazione  della
 giustizia,  nonche'  dell'obbligatorieta'  dell'azione penale e della
 soggezione del giudice alla sola legge.
 (C.P.P.  1988,  art.  409,  quarto  comma, in relazione all'art. 412,
 secondo comma).
 (Cost., artt. 2, 3, 97, 101 e 112).
(GU n.9 del 27-2-1991 )
                 IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Letta la ennesima richiesta del p.m. di archiviazione della notitia
 criminis pervenuta il 3 dicembre 1990;
    Atteso  che  di  per se', tanto in astratto quanto in concreto, la
 stessa  non  potrebbe  nella  specie  trovare  accoglimento,   stante
 l'inidoneita' delle ulteriori indagini preliminari a fornire elementi
 decisori, essendo stato  il  detto  supplemento  svolto  soltanto  in
 misura   minima,  contrariamente  a  quanto  disposto  dalla  lettera
 dell'art. 409 del nuovo c.p.p. secondo cui al quarto comma "A seguito
 dell'udienza,  il  giudice, se ritiene necessarie ulteriori indagini,
 le indica con ordinanza al p.m., fissando il  termine  indispensabile
 per  il  compimento  di  esse" ed a questo proposito, ad avviso dello
 scrivente,  il  giudice  non  richiede   indagini,   come   sostenuto
 dall'a.g.o.   requirente,   bensi'   le  dispone  e  le  commissiona,
 concretizzandosi, nell'ipotesi di inottemperanza-inadempimento  delle
 stesse  (sia  pure parziale), il venir meno dei presupposti di cui al
 quarto comma, porre cioe' l'a.g. giudicante in  condizione  di  poter
 decidere,  mentre  d'altronde l'art. 409 si salda ermeneuticamente ed
 esegeticamente all'art. 407, n. 3) stesso  codice  laddove  e'  detto
 "Qualora  il  p.m.  non  abbia esercitato l'azione penale o richiesto
 l'archiviazione nel termine stabilito dalla  legge  o  prorogato  dal
 giudice,  gli  atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine
 non possono essere utilizzati" e deve intendersi, sempre ad avviso di
 chi  scrive,  che la dizione "prorogato dal giudice" non si riferisca
 alla sola ipotesi della proroga richiesta dal p.m.  ed  avallata  dal
 g.i.p.  ex  art.  406  stesso  cod. (con le attualissime recentissime
 modifiche) ma si estende  all'ipotesi  della  proroga  iussu  iudicis
 cioe'  ex  officio  nolente il p.m., giacche' ove la fissazione di un
 termine  indispensabile  per  il  compimento  di  ulteriori  indagini
 trovasse  limite  e remora nella naturale scadenza dei termini (artt.
 405 e 407), l'archiviazione diverrebbe atto dovuto e  cio'  urterebbe
 contro  l'art.  112  della  Costituzione  sull'esercizio  dell'azione
 penale da parte del p.m.  (obbligatorio anche quando posto in  essere
 a  seguito di apposito controllo giurisdizionale) e contro l'art. 101
 della Costituzione, giacche' in tal caso il giudice sarebbe non  piu'
 soggetto  alla sola legge ma ad altro organo giudiziario (la pubblica
 accusa facente parte, come e'  giusto  che  sia,  della  magistratura
 ordinaria,   ma  non  a.g.  giudicante,  stante  il  principio  della
 differenziazione dei relativi poteri);
    Premesso  che  nel  caso  in esame l'ordinanza non puo' non essere
 intesa in senso vincolante, giacche' una mera richiesta non  potrebbe
 mai essere corredata dalla fissazione di un termine indispensabile, e
 cio' vale per tutte le situazioni del genere;
    Poiche'   il   p.m.   si  e'  limitato  all'escussione  del  teste
 Castelletti  Fabio,  laddove  l'ordinanza  9  novembre  1990   faceva
 riferimento  ad  altri  due  nominativi (indicati dalla parte lesa) e
 trattasi  quindi,  a  tutti  gli  effetti,  di   autentica   "inerzia
 processuale"  dell'a.g.o. requirente, anche se motivata sulla base di
 interpretazione giuridica della norma,  ne'  e'  stata  espletata  la
 indicata c.t.u. infortunistico-stradale;
    Poiche'  in ogni caso l'art. 194 sulla testimonianza statuisce che
 il testimone e' esaminato sui  fatti  che  costituiscono  oggetto  di
 prova  e  ai  sensi  del terzo comma non puo' esprimere apprezzamenti
 personale salvo che sia impossibile scinderli dalla  deposizione  sui
 fatti;  il  che  sembra  tuttavia  limitato al caso di deposizione di
 persona  particolarmente  qualificata   per   speciale   preparazione
 professionale che venga esaminata su fatti inerenti alla sua abituale
 e particolare attivita', assumendo la detta persona quasi una duplice
 veste  di  testimone  e  di  perito, salva naturalmente al giudice la
 valutazione  definitiva  sul  fatto  riferito  e   sull'apprezzamento
 manifestato  (Cass.  pen.,  sezione terza, 12 febbraio 1985, n. 1542,
 ud. 26 ottobre 1984) (in tal senso ache Cass. pen., sezione terza, 26
 gennaio 1984, n. 682, ud. 14 ottobre 1983, Cass. pen., sezione sesta,
 20 giugno 1985, n. 6206, ud. 9 maggio 1985 giacche' in  tal  caso,  a
 fronte    della    detta    speciale    preparazione   professionale,
 l'apprezzamento  diventa  inscindibile  dal  fatto,  stante   l'ovvia
 riflessione  che il fatto stesso e' percepito dalle persone in parola
 sotto un particolare angolo visuale), e tutto cio' non ricorre  nella
 fattispecie,  mentre  al  contrario il teste ha sconfinato in giudizi
 tecnici materia di c.t.u.;
    Poiche'  contraddittoria  si  appalesa  la  "subordinata" del p.m.
 (rinvio a giudizio) essendo del tutto antitetica  alla  richiesta  di
 archiviazione   in   via   principale,  pur  essendo  la  subordinata
 ammissibile  in  estratto  (dovendo  tuttavia  essere  verificata  in
 concreto);
    Premesso che l'essere il nuovo modello processuale tendenzialmente
 accusatorio non implica che  lo  stesso  sia  ispirato  al  principio
 dispositivo  ma  solo  la  piu' accentuata terzieta' della figura del
 giudice in un processo di parti ed e' quindi manifestamente infondata
 l'eccezione  di  illegittimita'  costituzionale  da  parte  del  p.m.
 relativa all'art. 409, n. 5, del nuovo c.p.p.,  non  concependosi  il
 concetto  dell'obiezione di coscienza per una figura processuale come
 quella del p.m.,  titolare  di  un  autentico  potere  costituzionale
 (l'azione   penale)   contemperato,   proprio  nel  quadro  di  detta
 obbligatorieta', dal potere di controllo (ieri del g.i. a livello  di
 istruzione  formale,  oggi del g.i.p. a livello di ulteriori indagini
 preliminari),   quando   oltretutto    trattasi    di    formulazione
 d'imputazione  nel  senso  meramente  tecnico  del  termine,  che non
 obbliga certo il p.m. in sede di udienza preliminare a  sostenere  il
 rinvio  a  giudizio,  cosi'  come  parallelamente  lo stesso rinvio a
 giudizio richiesto dal p.m. ex  artt.  416  e  segg.  del  c.p.p.  ha
 carattere  tecnico  e  non  ancora vincolante ai fini della decisione
 (l'udienza preliminare e'  atto  dovuto,  ma  non  lo  e'  lo  sbocco
 dell'udienza  stessa)  cosi'  come  l'avocazione da parte del p.g. ex
 art. 412 non vincola l'avocante nel merito,  ancora  suscettibile  di
 riesame all'esito della stessa udienza preliminare;
    Poiche'  quindi  nessuna  costituzionalita' e' lesa dall'art. 409,
 quinto comma, stante il detto contemperamento dei poteri ed  in  caso
 contrario  l'azione penale tornerebbe discrezionale (come dal 1930 al
 1948) ed al p.m. verrebbe, quale longa manus ed appendice del  potere
 esecutivo,  restituito  quel potere di "cestinazione della notizia di
 reato" gia' eliminato dal d.l.l. 1944;
    Poiche' oltretutto non puo' concordarsi con il p.m. (che del resto
 in  sede  di  udienza  preliminare  ben  potrebbe  convincersi  della
 validita'  del  rinvio  a  giudizio, sulla sostanziale inutilita' del
 g.i.p. il quale non decide  senza  prove  ma  sulla  base  di  quegli
 elementi  di  prova  acquisiti  dal  p.m.  nel  corso  delle indagini
 preliminari (o dal p.m. sua sponte o dal p.m. nolente);
    Trattandosi  quindi  di  incombenza meramente tecnica e di udienza
 preliminare sui generis con la presenza  pur  sempre  necessaria  del
 p.m.  ma  senza  l'atto  tipico  introduttivo  (richiesta di rinvio a
 giudizio), sostituito da un atto atipico (provvedimento di fissazione
 ex officio adottato dal giudice) quale una udienza preliminare il cui
 presupposto e' la formulazione dell'accusa;
    Poiche'  comunque deve ritenersi che il meccanismo di cui all'art.
 409, n. 5, sia utilizzabile anche  nell'ipotesi  in  cui,  a  seguito
 delle  ulteriori  indagini,  il  giudice  per  l'ennesima  volta  non
 concordi sulla richiesta di archiviazione, e non soltanto nel caso in
 cui   egli   non  ritenga  detta  necessita'  ed  ordini  l'immediata
 formulazione dell'accusa, giacche'  in  caso  contrario,  ancora  una
 volta,  l'archiviazione,  all'esito  di  nuove  indagini,  resterebbe
 passaggio obbligato;
    Ritenuto  che il g.i.p. e' stato destinato dal nuovo c.p.p. ad una
 funzione  di  "filtro  selettore"  tanto  nel  corso  delle  indagini
 preliminari quanto in sede di udienza preliminare, che consiste nella
 deflazione dibattimentale ed un tipico esempio di cio' e'  costituito
 dal  meccanismo  di  cui  all'art.  422  del  nuovo  c.p.p.,  tale da
 consentire alle parti la  ricerca  dell'evidenza,  o  ai  fini  della
 decisivita' per il rinvio a giudizio, o ai fini della decisivita' per
 il non luogo a procedere;
    Stante  la  manifesta lacuna dell'art. 412, n. 2, del nuovo c.p.p.
 laddove statuisce la mera facoltativita', da  parte  della  p.g.,  di
 disporre   l'avocazione   a   seguito  della  comunicazione  prevista
 dall'art. 409, terzo  comma  (fissazione  di  udienza  in  camera  di
 consiglio), senza prevedere la conversione di detta facoltativita' in
 obbligatorieta' allorche' il p.m. non abbia esaurientemente svolto le
 indagini  commissionate, mentre appare logica l'iniziale formulazione
 del comma in quanto, a seguito della  detta  ordinanza,  il  p.m.  di
 secondo grado non e' ancora posto in grado di conoscere se il p.m. di
 prima  istanza  si  atterra'  o  meno  alle  indagini  indicate,  non
 apparendo  altrettanto  logico il silenzio della norma nel caso della
 detta "inerzia processuale a posteriori";
    Atteso  che l'incostituzionalita' attiene alla lesione degli artt.
 2 e 3 della Costituzione, essendo il secondo comma discriminato,  nel
 trattamento,  rispetto  alla  formulazione vincolante e tassativa del
 primo    comma,    nonche'    all'art.    97    della    Costituzione
 sull'organizzazione  dei  pubblici  uffici e sul buon andamento della
 p.m.,  amministrazione  della   giustizia   stante   la   riscontrata
 inefficienza-lacunosita'   del  secondo  comma  in  tema  di  mancate
 conseguenze processuali a seguito dell'inerzia del p.m. (che tale, lo
 si  ribadisce, rimane sotto il profilo processuale, sia pure sorretta
 da motivazione ritenuta dallo stesso p.m.  valida  sotto  il  profilo
 giuridico);
    Poiche'  l'incostituzionalita'  deriva  anche  dal  fatto  che una
 avocazione  che  resti  facoltativa  vede  incriminato  il  triangolo
 processuale  (giudice  terzo, p.m., parti private) che diviene tronco
 (non corrispondendo piu' al giudice un p.m. rappresentante non  tanto
 la  pubblica  accusa quanto l'accertamento della verita' materiale ex
 artt. 326 e 358 del nuovo c.p.p.);
    Ritenuto  che,  mentre  e'  logico  che  il  p.g., a seguito della
 comunicazione prevista dall'art. 409, terzo comma, resti facoltizzato
 a  disporre  l'avocazione  (e non coartato in quanto il p.m. di prima
 istanza,   lo   si   ripete,   ben   potrebbe   ancora    ottemperare
 all'ordinanza), non altrettanto si concepisce che tale facoltativita'
 residui  nell'ipotesi  di  inottemperanza  del  p.m.  alle   disposte
 supplementari indagini preliminari;
    Poiche'  a  tal  punto  si  fa  strada  una  certa interpretazione
 esegetico-ermeneutica secondo cui  se  il  p.m.  omette  puramente  e
 semplicemente  (un  parziale, ridotto, minimo adempimento equivale ad
 inadempimento), senza  ovviamente  esperire  ricorso  per  Cassazione
 (praticabile solo nei casi di nullita' previsti dall'art. 127, quinto
 comma, dovrebbe comunque, per coerenza processuale, o  richiedere  il
 rinvio  a  giudizio  sulla base delle stesse acquisizioni (originarie
 acquisizioni) che in  precedenza  lo  avevano  indotto  a  richiedere
 l'archiviazione  (con  la prospettiva che, presumibilmente il giudice
 dovrebbe provvedere in sede di udienza preliminare ai sensi dell'art.
 422,  primo  comma,  ovvero  reiterare,  sempre  sulla  base di dette
 originarie acquisizioni, la richiesta di archiviazione, eventualmente
 con  nuove  motivazioni,  tesi  questa secondo la quale il giudice in
 conseguenza di quanto sopra, potrebbe a sua volta, previa  fissazione
 di  nuova  udienza, o reiterare l'ordinanza di effettuazione di nuove
 indagini  o  invitare  il  p.m.  a  formulare  l'imputazione,   nella
 ragionevole  e presumibile prospettiva che anche in tal caso, in sede
 di udienza preliminare, egli dovrebbe poi  provvedere  ai  sensi  del
 cit. art. 422, primo comma);
    Ritenuto   che   tale   problematica   non  sembra  condivisibile,
 trattandosi di  un  superfluo  meccanismo  farraginoso,  giacche'  il
 rinvio a giudizio non sarebbe comunque condiviso dal p.m. (che non ha
 neppure  espletato  ulteriori  indagini)  mentre  la   richiesta   di
 archiviazione  (proprio  perche'  non espletate le predette indagini)
 sembra  ripetitiva  e  non  puo'   contenere   alcuna   reale   nuova
 motivazione;
    Poiche'  comunque  detta interpretazione, riduttiva e forzata, non
 trova sostegno nella lettera del cod.;
    Ritenuto  che,  alla  base  delle  pregresse argomentazioni, e' da
 escludere  che  competa  al  p.m.  qualificare  come   "pleonastiche"
 determinate  indagini  commissionate  dal  giudice alla stessa a.g.o.
 requirente,  essendo  il  ragionamento  tanto  logico  e  da  circolo
 vizioso,  in quanto, se e' di per se' concepibile che all'esito delle
 dette indagini il p.m. modifichi la propria posizione e richieda  non
 piu'   l'archiviazione   bensi'  il  rinvio  a  giudizio  finalizzato
 all'udienza preliminare ex  artt.  416  e  segg.  del  nuovo  c.p.p.,
 dall'altro  cio' non costituisce un obbligo (mentre sembra esserlo, a
 tutti gli effetti, quello di espletare comunque le indagini;
    Poiche' la detta incostituzionalita' non si limita quindi all'art.
 412, primo comma (laddove e'  fra  l'altro  detto  "se  il  p.m.  non
 esercita  l'azione  penale o non richiede l'archiviazione nel termine
 stabilito  dalla  legge  o   prorogato   dal   giudice,   riferendosi
 quest'ultima  espressione  anche al termine prorogato non a richiesta
 del p.m. ex artt. 406 e 407 del nuovo c.p.p. bensi' iussu iudicis  ex
 art.  409,  n.  4),  ma  si estende a quest'ultima norma stesso comma
 laddove, come si e' detto,  non  si  cura  di  prevedere  conseguenze
 procedurali  a  fronte  di  inottemperanza  del p.m. all'espletamento
 delle dette indagini e prima ancora, di qualificare  come  vincolante
 per il p.m. la detta suppletiva ordinanza;
    Poiche'  oltretutto  le dette riscontrate lacune (artt. 409 e 412)
 violano l'art. 112 della Costituzione  sull'irrinunciabile  esercizio
 dell'azione  penale  e  l'art.  101 della stessa laddove statuisce la
 soggezione del giudice alla sola legge e non ad altra  a.g.o.  (quale
 il p.m.);
    Non contestandosi affatto che il p.m. nel processo accusatorio sia
 dominus assoluto dell'azione penale e quindi allo stesso sia  rimessa
 in  via  esclusiva  la  valutazione circa la sussistenza o meno delle
 condizioni nelle quali debba darsi luogo a detta azione, principi che
 tuttavia  vanno  conciliati e contemperati con la radicata tradizione
 di un controllo da parte del giudice sulla correttezza o meno di tale
 valutazione e con la conseguente possibilita' di una sostituzione, in
 caso di giudizio negativo,  della  volonta'  del  giudice  a  quella,
 mancante o comunque carente, del p.m., tradizione che risale all'art.
 6 del d.l.l. 14 settembre 1944, n.  288,  modificativo  ex  novo  del
 testo  dell'art.  74  abrogato  c.p.p. nel senso della sottrazione al
 p.m.   del   potere   di   disporre   direttamente    l'archiviazione
 ("cestinazione  della  notizia di reato"), nei casi in cui ovviamente
 egli non riteneva doversi promuovere l'azione  penale,  imponendogli,
 in  detti  casi,  di  richiedere al g.i. apposito provvedimento sotto
 forma di decreto e prevedendo che lo stesso g.i., ove non concordasse
 con  la richiesta del p.m., disponesse direttamente il procedersi con
 istruzione formale;
    Ammettendosi  che  gia'  tale  meccanismo,  pur  nell'ambito di un
 sistema   processuale   inquisitorio,   presentava   difficolta'   di
 adattamento e conciliazione con il principio del ne procedat iuden ex
 officio, valido anche nel modello inquisitorio,  ed  al  riguardo  si
 riteneva  da  un  lato  l'archiviazione  come pur sempre un modo, una
 modalita' di esercizio dell'azione penale da parte del p.m. (sia pure
 allo  scopo  di  ottenere  l'archiviazione  della  notitia criminis),
 dall'altro la stessa richiesta  di  archiviazione  non  accolta  come
 esercizio dell'azione penale da parte del p.m., sia pure "atipico" (e
 atipico  non  necessariamente  significa  anomalo),  e  cio'  attesta
 l'infondatezza della tesi del p.m. sulla "forzatura della coscienza",
 in quanto anche il vecchio c.p.p.,  come  emendato  nel  corso  della
 Resistenza  e della guerra di liberazione e come modificato dall'art.
 101  e  dall'art.  112  della  Costituzione,  inquadrava   l'ipotesi,
 appartenente alla dialettica processuale di un esplicito dissenso del
 g.i. nei confronti del p.m. che propendeva per l'archiviazione;
   Dato atto che le diverse difficolta' legislative sono aumentate con
 il nuovo c.p.p. che conferisce al principio del ne procedat iudex  ex
 officio  una valenza ed importanza ancora maggiore, ma che ancora una
 volta non puo' entrare in conflitto  con  i  principi  della  suprema
 legge  fondamentale  dello  Stato  (la Carta costituzionale), cio' in
 quanto  il  tradizionale  potere,   unilaterale   ed   incontrastato,
 riconosciuto  al  p.m.,  di  "cestinazione  della  notizia  di reato"
 trovava giustificazione nella posizione  del  p.m.  longa  manus  del
 potere esecutivo, sotto il diretto controllo (non semplice vigilanza)
 del  Ministero  di  grazia  e  giustizia,  svincolato,   nel   quadro
 dell'ordinamento  giudiziario,  dalla magistratura giudicante, e come
 tale esercente l'azione penale in modo di assoluta  discrezionalita',
 refrattaria  ad  ogni  controllo  che  non  fosse  quello della sfera
 esecutiva cui era assoggettato;
    Poiche'  quindi  anche  la  nuova  procedura ha disciplinato detto
 controllo  in  sede  giudiziale  per  evitare   che   l'archiviazione
 diventasse "atto dovuto", disponendo che il giudice, ove dissenta dal
 p.m., ordini allo  stesso  la  formulazione  dell'imputazione,  dando
 ovviamente   ex   officio   impulso   alla   fissazione  dell'udienza
 preliminare, prevedendo tuttavia e l'ipotesi in cui a detta soluzione
 si arrivi senza ulteriori indagini preliminari, e l'ipotesi in cui ci
 si pervenga a seguito di ulteriori  indagini  disposte  dallo  stesso
 giudice ed espletate da un p.m. "nolente ma necessitato";
    Ritenendosi  quindi  che la fissazione dell'udienza preliminare da
 parte  del  giudice,  a  fronte  della  richiesta  di   archiviazione
 formulata  dal  p.m., si trovi soltanto formalmente in contraddizione
 con il disposto dell'art. 416 del nuovo  c.p.p.  che  prevede,  quale
 presupposto  dell'udienza stessa, la "richiesta di rinvio a giudizio"
 da parte del p.m., cio' in quanto, se e' innegabile, di per se',  che
 ex  art.  421, secondo comma, egli dovrebbe sostenere detta richiesta
 con la esposizione degli  elementi  di  prova  che  la  giustificano,
 tuttavia  l'udienza  di  cui  all'art. 409, quinto comma, non ricalca
 predissequamente la disciplina prevista  dagli  artt.  416  e  segg.,
 trattandosi   in   realta'  di  una  udienza  preliminare  "atipica",
 derogando la lex specialis data dal detto  comma  del  409  alla  lex
 generalis  offerta  dalla  normativa  ex  artt.  416  e segg., quando
 oltretutto la stessa relazione del Guardasigilli fa presente  che  la
 locuzione  "udienza  preliminare"  contenuta  nelle direttive 50 e 51
 (quelle  stesse  in  attuazione  delle  quali  sono  stati  formulati
 l'articolo   in   esame   ed  il  successivo  art.  410)  non  poteva
 interpretarsi come richiamo all'istituto delineato nella direttiva 52
 (cioe'  l'udienza preliminare "tipica" disciplinata dagli artt. 416 e
 segg.), il cui classico presupposto e' costituito dalla  formulazione
 dell'accusa;
    Poiche'   quindi   un   incombente  meramente  tecnico,  quale  la
 formulazione di un'imputazione sulla base di cio'  che  astrattamente
 potrebbe  essere  penalmente rilevante in relazione ad un determinato
 fatto, non puo' ritenersi affetto  da  incostituzionalita'  e  lesivo
 dell'autonomia,  indipendenza,  liberta' di coscienza del p.m., e non
 implica affatto una volonta' (di per se' assolutamente  incoercibile)
 diretta a far si' che il giudice disponga un rinvio a giudizio di cui
 il p.m. non ravvisa i presupposti;
    Poiche'  del  resto  anche  nei  procedimenti penali di competenza
 pretorile esiste un meccanismo  simile,  piu'  drastico  e  riduttivo
 nella sua formulazione originaria di cui all'art. 554, secondo comma,
 che prevede addirittura il rinvio a giudizio, a  fronte  del  mancato
 accoglimento  della  richiesta di archiviazione da parte del giudice,
 disposto dallo stesso p.m., attualmente meno rigido a  seguito  della
 recentissima  giurisprudenza  della Corte costituzionale declaratoria
 di illegittimita' costituzionale della cit. norma  laddove  inibisce,
 contrariamente  a  quanto  previsto  dinanzi  al  tribunale, apposito
 supplemento  di   indagini   preliminari   a   seguito   del   quale,
 eventualmente,   il  g.i.p.  c/o  la  pretura  disponga  (ordini)  la
 formulazione  dell'accusa,  e  quindi  in  entrambe  le   fattispecie
 giuridiche  (pretura  e  tribunale)  l'atto  del p.m. (sia pure nelle
 differenti peculiari modalita' di estrinsecazione, che tengano  conto
 dell'inesistenza  dell'udienza preliminare in pretura), pur frutto di
 una  volonta'  necessitata  (cioe'  scaturita  dalla  legge   e   non
 spontanea)  non  contiene  alcuna  reale  "espressione  di  volonta'"
 diretta a far si' che il giudice provveda in un modo o nell'altro,  e
 si  traduce  quindi  in  un  mero  e  semplice  adempimento di ordine
 tecnico, atto a porre il giudice  nelle  reali  obiettive  condizioni
 tecnico-giuridiche  di poter decidere, in forma di sentenza o decreto
 (sentenza di non luogo a procedere ex  artt.  129  e  425  del  nuovo
 c.p.p.,  decreto  che dispone il rinvio a giudizio ex art. 429 stesso
 cod.);
    Poiche'  non  potrebbe  mai  ammettersi,  pena lo snaturamento dei
 principi-cardine dell'intero ordinamento processuale e della civilta'
 giuridica,  che  il giudice possa procedere senza effettivo prodomico
 introduttivo  esercizio  della  relativa  azione  penale   da   parte
 dell'unico soggetto a cio' legittimato;
    Ritenuto  quindi,  quanto  sempre  al quinto comma del 409, che la
 sola  formulazione  dell'accusa-imputazione,  necessario  presupposto
 della  decisione  di  merito  (art.  425 o art. 429 come gia' detto),
 costituisca pur sempre  esercizio,  sia  pure  "atipico"  dell'azione
 penale  e  che la formulazione della stessa imputazione, costituisca,
 nel nuovo sistema parzialmente accusatorio o  meglio  tendenzialmente
 accusatorio  senza  quei profili di dispositivita' che caratterizzano
 al  contrario  il  sistema  processuale   anglosassone,   globalmente
 accusatorio,   adempimento  formale  strettamente  ed  esclusivamente
 connesso all'esercizio dell'azione penale,  da  non  confondersi,  in
 alcun  modo,  con  la redazione del capo d'imputazione che, per ovvie
 necessita', venga  effettuata  dal  p.m.  nel  corso  delle  indagini
 preliminari,  anche  se,  come altrettanto ovvio, nella maggior parte
 delle fattispecie, la formulazione in questione non fara'  altro  che
 operare  la  riproduzione di quel capo e quindi, fino a che non venga
 effettuata  nell'anzidetto  modo  la  formulazione  dell'imputazione,
 l'azione penale non puo' certo dirsi esercitata;
   Poiche'  comunque  coartazione  della  volonta'  del  p.m. non puo'
 sussistere  in  quanto  in  sede  di  udienza  preliminare   l'a.g.o.
 requirente  e'  vincolata alla partecipazione ma non a concludere per
 il rinvio a giudizio,  cosi'  come  il  g.i.p.  non  e'  vincolato  a
 disporre  il  detto  rinvio,  ne'  in  senso contrario il non luogo a
 procedere, e del resto detta coercizione non sussiste neppure in sede
 di  udienza  preliminare  ex  artt. 416 e segg., giacche' il rinvio a
 giudizio depositato dal p.m. nella cancelleria  del  giudice  per  le
 indagini preliminari (primo comma, cit. norma) indica soltanto che ex
 art. 405 e' stata esercitata l'azione penale anziche' la richiesta di
 archiviazione,  azione  penale  del  resto  esercitabile o tramite la
 richiesta di udienza preliminare, o tramite la richiesta di  giudizio
 immediato,  o tramite la richiesta di applicazione della pena ex art.
 444, uno dei tre modi che  segnano  il  passaggio  dalla  fase  delle
 indagini   preliminari   (ove   ci   troviamo  di  fronte  a  persona
 indagata-indiziata  cioe'  assoggettata  alle  dette  indagini,  fase
 quindi  pre-imputazione  cioe'  precedente  all'esercizio dell'azione
 penale) alla fase non piu' del procedimento (art. 121,  primo  comma,
 del  c.p.p.)  bensi'  dell'autentico  processo (dominato dalla figura
 dell'imputato);
    Poiche'  quindi  anche  il  detto  rinvio  a  giudizio  e'  ancora
 "tecnico" cioe' rinvio a giudizio dinanzi all'udienza preliminare del
 relativo  giudice,  udienza che puo' concludersi con la richiesta del
 p.m.  di  non  luogo  a  procedere  (autonoma  anche  la  conseguente
 statuizione  da  parte  del  g.i.p.)  come  puo'  concludersi  con la
 richiesta di rinvio a giudizio  (cui  il  giudice  non  e'  vincolato
 essendo  il suo unico vincolo l'obbligo di provvedere comunque, in un
 senso o nell'altro, all'esito della stessa udienza preliminare);
    Poiche'  comunque  neppure  il  p.g.  che  avoca  ex  art.  412 e'
 vincolato, in sede di udienza preliminare, a richiedere il  rinvio  a
 giudizio in sede dibattimentale, cosi' come anche in detta sede tanto
 il p.m. quanto il p.g. sono autonomi nel merito delle loro  richieste
 (cosi' come lo e' il collegio penale autore della sentenza decisoria,
 o di condanna o di assoluzione);
    Ritenuto  infine,  su  avviso  difforme da quello del p.m., che il
 g.i.p.,  concetto  questo  gia'  accennato  e  che  va  ulteriormente
 approfondito,  non  e'  una  figura  di ufficio giudiziario che perde
 significato dovendo rinviare a giudizio "senza prove", in primo luogo
 non essendo obbligato a detto rinvio ove egli non ritenga sussistenti
 sufficienti elementi in tal senso, ma un  giudice  filtro  selettore,
 tramite  l'udienza  preliminare  o l'applicazione della pena ex artt.
 444, 447 e 448 o l'emissione  di  decreto  che  dispone  il  giudizio
 immediato, e prima ancora tramite il detto controllo ex art. 409, con
 il  compito  specifico   di   deintasamento-deflazione   dell'udienza
 dibattimentale,  come  attestato  chiaramente dalla lettera dell'art.
 422, primo comma (indicazione alle parti di temi nuovi  o  incompleti
 sui  quali  si  rende  necessario acquisire ulteriori informazioni ai
 fini  della  decisione)  e  secondo  comma  (ammissione  delle  prove
 richieste  dalle  parti pubbliche e private, a seconda che ne risulti
 manifesta la decisivita' ai fini dell'eventuale rinvio a  giudizio  o
 che  ne  appaia  evidente  la  decisivita' ai fini dell'eventuale non
 luogo a procedere), facendosi notare  che  per  potersi  pervenire  a
 detto  controllo-garanzia  in  sede  di  udienza  preliminare (ove si
 ricerca  la  prova  dell'evidenza  di  cui  al  425  ben   differente
 dall'evidenza ictu oculi, lampante di cui all'art. 129) (ove la prova
 dell'evidenza e' in re ipsa) devesi prima impostare e  percorrere  la
 fase  del  controllo  sulla fase delle indagini preliminari, senza il
 quale  la  lettera   ed   il   contenuto   dell'udienza   preliminare
 resterebbero vuoti della materia prima processuale;
    Poiche'  comunque un conto e' constatare che il legislatore non ha
 definito con chiarezza e proprieta' di linguaggio i mezzi di prova di
 cui  all'art.  422,  numeri  1  e 2, la cui rilevanza rimane comunque
 circoscritta alla fase delle indagini  preliminari  o  meglio  ancora
 alla  fase  terminale  delle  stesse  (o di chiusura, cioe' l'udienza
 preliminare stessa) e quindi endoprocessuale, cioe' non  utilizzabile
 a  fini  di  prova  legale  (al  contrario dell'incidente probatorio,
 richiesto esclusivamente dalle  parti  e  non  attivato  dal  g.i.p.,
 raccolta  anticipata  della  prova, utilizzabile al dibattimento), un
 conto e' sottolineare la  sostanziale  "inutilita'  processuale"  del
 detto  giudice,  sul  che  non  puo'  certo  concordarsi soltanto per
 divergenze  che  attengono  meramente  alla  dialettica  processuale,
 inerendo  ovviamente  al  merito  della questione, e sotto il profilo
 sostanziale e sotto l'aspetto procedurale;
    Poiche'  in sintesi, mentre l'eccezione in tema di artt. 409 e 412
 del c.p.p., rilevabile d'ufficio, e' da ritenersi non  manifestamente
 infondata  e  rilevante nel corrente giudizio, in quanto lo scrivente
 reputa di non essere stato posto dal  p.m.  in  condizione  di  poter
 decidere  globalmente,  al contrario l'eccezione del p.m. si appalesa
 manifestamente infondata, il tutto come da dispositivo che segue;
                                P. Q. M.
    Letti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1
 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dispone l'immediata trasmissione degli atti procedurali alla Corte
 costituzionale, non  ritenendosi  la  questione  sollevata  d'ufficio
 manifestamente  infondata  e  non potendo il presente giudizio essere
 definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione  di
 legittimita'  costituzionale  relativa  all'art.  409,  n.  4,  nuovo
 c.p.p., laddove non sancisce esplicitamente il carattere  ordinatorio
 e  vincolante  per  il p.m. dell'indicazione di ulteriori indagini in
 quanto  ritenute  necessarie  e  laddove  non  contempla  e   prevede
 esplicite  conseguenze  procedurali quali l'avocazione delle indagini
 preliminari da parte del p.g. c/o la corte d'appello nell'ipotesi  in
 cui  il  p.m.  non abbia ottemperato all'espletamento delle ulteriori
 indagini preliminari come indicate, e relativa all'art. 412,  secondo
 comma,   stesso  cod.   laddove  la  detta  avocazione  ha  carattere
 facoltativo (contrariamente al primo  comma)  anche  nel  caso  della
 detta  richiamata  inottemperanza, il tutto in violazione degli artt.
 2,  3  e  97  della  Costituzione  sul   buon   andamento   e   sulla
 organizzazione  della  p.a., amministrazione della giustizia, nonche'
 degli artt. 101, secondo commma e 112 della Costituzione;
    Respinge  l'eccezione  di incostituzionalita' dell'art. 409, n. 5,
 nuovo c.p.p. formulata  dal  p.m.  per  genericita',  irrilevanza  ed
 infondatezza manifesta;
    Sospende il procedimento in corso;
    Ordina  che  a  cura  della  cancelleria  la presente ordinanza di
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata alle
 parti  in  causa  (indagato  e  suoi difensori di fiducia, p.o. e suo
 difensore di fiducia, tutti soggetti indicati in sede di ordinanza  9
 novembre  1990)  ed al p.m. nonche' alla Presidenza del Consiglio dei
 Ministri e comunicata anche alla  Presidenza  delle  due  Camere  del
 Parlamento.
      Ancona, addi' 5 novembre 1990
           Il giudice per le indagini preliminari: BONIVENTO

 91C0225