N. 119 SENTENZA 27 febbraio - 15 marzo 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Magistrati - Indennita' di funzione  ex art. 3 della legge 19
 febbraio 1981, n. 27 - Pensionabilita' - Esclusione - Congruita'  e
 ragionevolezza della scelta legislativa - Non fondatezza.
 
 (Legge 19 febbraio 1981, n. 27, art. 3, primo comma).
 
 (Cost., artt. 36 e 38).
(GU n.12 del 20-3-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Ettore GALLO;
 Giudici: dott. Aldo CORASANITI, dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele
 PESCATORE,  avv.  Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof.
 Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI,
 prof.  Luigi  MENGONI,  prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof.
 Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma,
 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale  di
 magistratura),  promosso  con ordinanza emessa il 2 maggio 1990 dalla
 Corte dei conti - Sez. III giurisdizionale sul  ricorso  proposto  da
 Arata  Luigi,  iscritta  al  n.  669  del  registro  ordinanze 1990 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  44,  Prima
 Serie Speciale, dell'anno 1990;
   Visto   l'atto   di   intervento  dell'Associazione  Nazionale  dei
 magistrati ex combattenti in pensione ed  altri,  nonche'  l'atto  di
 intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 13 febbraio 1991 il Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio  instaurato  da  Luigi  Arata,
 consigliere  a  riposo della Corte dei conti, avverso la nota con cui
 gli  era  stata  respinta  la  domanda  di  inclusione   nella   base
 retributiva  pensionabile dell'indennita' istituita dall'art. 3 della
 legge 19 febbraio 1981,  n.  27  (Provvidenze  per  il  personale  di
 magistratura)  ed  estesa  ai  magistrati  non ricompresi nell'ordine
 giudiziario  dall'art.  2  della  legge  6  agosto   1984,   n.   425
 (Disposizioni  relative  al trattamento economico dei magistrati), la
 Corte dei conti, con l'ordinanza riportata in epigrafe, ha  sollevato
 questione  di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 36
 della  Costituzione,  dell'art. 3, primo comma, della citata legge n.
 27 del 1981, nella parte in  cui  esclude  la  pensionabilita'  della
 indennita' ivi prevista.
    Nell'ordinanza   di   rimessione   si   osserva  che  la  predetta
 indennita', come affermato anche nella motivazione della sentenza  n.
 238  del  1990  di  questa  Corte,  rientra  nella  retribuzione  dei
 magistrati  e  di  essa   costituisce   una   "componente   normale",
 corrisposta  non  in  via  provvisoria,  dal  momento  che  la stessa
 disposizione  impugnata,   che   ne   prevede   l'istituzione   "fino
 all'approvazione  di  una  nuova disciplina del trattamento economico
 del personale di magistratura", esprimerebbe una garanzia di  stabile
 riassorbimento  dell'indennita'  in  una  futura  legge contenente la
 completa disciplina degli emolumenti dei magistrati.
    Pertanto,  ritenuta  la  natura  retributiva  e  non   provvisoria
 dell'indennita'  di  cui  all'art.  3  della  legge  n.  27 del 1981,
 l'esclusione della sua pensionabilita' integrerebbe, ad avviso  della
 Corte  dei  Conti,  una  violazione  dell'art. 36 della Costituzione,
 considerato che il principio di proporzionalita'  della  retribuzione
 alla  qualita' e quantita' del lavoro svolto va esteso al trattamento
 di quiescenza, anche per quanto affermato con la sentenza n. 302  del
 1983 di questa Corte.
    2.  -  La  Presidenza del Consiglio dei ministri e' intervenuta in
 giudizio per chiedere che la questione venga dichiarata non fondata.
    Premesso che la previsione di non pensionabilita'  dell'indennita'
 di  cui  all'art.  3  della  legge n. 27 del 1981 e' sistematicamente
 coerente con l'indicazione chiusa e tassativa della base pensionabile
 del trattamento economico dei  dipendenti  civili  e  militari  dello
 Stato,   contenuta   nell'art.  43  del  d.P.R.  n.  1092  del  1973,
 l'Avvocatura dello Stato osserva  che  il  parametro  indicato  dalla
 Corte  dei Conti non pare pertinente, considerato che la controversia
 concerne un trattamento pensionistico, e non una retribuzione, e che,
 inoltre,  nell'ordinanza  di  rimessione  non  si  fa  questione   di
 proporzione  alla  qualita' del lavoro prestato e di sufficienza alle
 esigenze personali e familiari.
    Secondo l'Avvocatura, poiche'  la  disciplina  dell'indennita'  ne
 vincolerebbe   la   corresponsione  alla  effettiva  prestazione  del
 servizio, appare coerentemente disposta l'esclusione  dell'indennita'
 medesima dal computo della base retributiva pensionabile.
    3.  -  Sono  intervenuti  in  giudizio,  pur non essendo parti nel
 processo  a  quo,  l'Associazione   nazionale   dei   magistrati   ex
 combattenti   in   pensione,  nonche'  i  magistrati  ex  combattenti
 Francesco Loforti e Michele Pagliarulo.
                        Considerato in diritto
    1. - In considerazione del fatto che l'Associazione nazionale  dei
 magistrati  ex  combattenti  in  pensione  e  gli  altri interventori
 indicati  non  sono  parte  nel  giudizio  a  quo,  se  ne   dichiara
 inammissibile  l'intervento  (v. sentt. nn. 272 e 230 del 1987, 298 e
 152 del 1985, e 65 del 1984).
    2. - La Corte dei conti, con l'ordinanza introduttiva del presente
 giudizio di legittimita' costituzionale, dubita che l'art.  3,  primo
 comma,  della  legge  19  febbraio  1981,  n.  27 (Provvidenze per il
 personale di magistratura), nella parte in cui  qualifica  come  "non
 pensionabile"  la  speciale  indennita' di funzione ivi istituita, si
 ponga  in  contrasto  con  il  principio  di   proporzionalita'   del
 trattamento  economico  dei  lavoratori alla qualita' e quantita' del
 lavoro prestato (art.  36  della  Costituzione),  il  quale  dovrebbe
 ritenersi  applicabile tanto alla retribuzione, quanto al trattamento
 di quiescenza. Secondo il giudice a  quo,  infatti,  la  riconosciuta
 natura  retributiva  e  il  carattere  non provvisorio della predetta
 indennita', conseguenti all'estensione della stessa ai magistrati non
 appartenenti all'ordine giudiziario e  agli  avvocati  e  procuratori
 dello  Stato  (art.  2  della  legge  6  agosto  1984,  n.  425), non
 giustificherebbero, anche alla luce di talune affermazioni  contenute
 in  decisioni  di  questa  Corte,  l'esclusione della pensionabilita'
 della medesima indennita'.
    3. - La questione non e' fondata.
   Sebbene il giudice a quo non richiami espressamente tra i parametri
 di costituzionalita' l'art. 38 della  Costituzione,  quest'ultimo,  a
 una  lettura complessiva dell'ordinanza di rimessione, deve ritenersi
 invocato accanto all'art. 36 della  Costituzione,  in  considerazione
 del fatto che la questione di legittimita' costituzionale e' posta in
 riferimento al principio della proporzionalita' della pensione, quale
 retribuzione  differita,  rispetto alla qualita' e alla quantita' del
 lavoro prestato, vale a dire in riferimento  al  principio  contenuto
 nell'art.  36 nella misura in cui viene mutuato dall'art. 38 per quel
 che concerne il trattamento previdenziale.
    Secondo  la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte  (v.,  ad
 esempio,  sentt.  nn. 213 del 1972, 83 del 1979, 26 del 1980, 302 del
 1983, 348 del 1985, 173 del 1986, 531 del 1988, 96 del  1991),  dagli
 articoli  appena  menzionati discende il principio che, al pari della
 retribuzione  percepita  in  costanza  del  rapporto  di  lavoro,  il
 trattamento  di  quiescenza,  che  della  retribuzione costituisce un
 prolungamento a  fini  previdenziali,  dev'esser  proporzionato  alla
 qualita'  e  quantita'  del  lavoro  prestato  e  deve, in ogni caso,
 assicurare al lavoratore e alla  sua  famiglia  mezzi  adeguati  alle
 esigenze  di  vita  per  un'esistenza  libera  e dignitosa. Tuttavia,
 secondo  la  medesima  giurisprudenza,  i   ricordati   principi   di
 proporzionalita'  e  di  adeguatezza,  i  quali  vanno  costantemente
 assicurati in tutto il periodo di quiescenza, non comportano che  sia
 garantita  in ogni caso l'integrale corrispondenza fra retribuzione e
 pensione,  ma,  pur  presupponendo   che   quest'ultimo   costituisca
 l'obiettivo   ottimale,  esigono  piuttosto  una  commisurazione  del
 trattamento di  quiescenza  al  reddito  percepito  in  costanza  del
 rapporto   di   lavoro   secondo   determinazioni  discrezionali  del
 legislatore,  le  quali  devono   essere   basate   sul   ragionevole
 bilanciamento   del   complesso   dei   valori   e   degli  interessi
 costituzionali coinvolti nell'attuazione graduale di  quei  principi,
 compresi quelli connessi alla concreta e attuale disponibilita' delle
 risorse  finanziarie e dei mezzi necessari per far fronte ai relativi
 impegni di spesa.
    Pertanto, contrariamente a quanto suppone il  giudice  a  quo,  al
 fine  di dimostrare l'asserita incostituzionalita' della disposizione
 impugnata rispetto ai parametri invocati non e'  sufficiente  addurre
 la   riconosciuta  "natura  retributiva"  o,  piu'  precisamente,  il
 carattere  "di  componente  del  normale  trattamento  economico  dei
 magistrati",  propri dell'indennita' di funzione (v. sent. n. 238 del
 1990), ma occorre provare che la scelta compiuta dal legislatore  con
 l'esclusione   della   predetta  indennita'  dalla  base  retributiva
 computabile  ai  fini  pensionistici  sia  manifestamente incongrua o
 irragionevole alla  luce  del  complesso  dei  valori  costituzionali
 coinvolti nella suddetta scelta.
    Sotto  tale  profilo, viene soprattutto in rilievo il fatto che la
 predetta indennita' e' sottoposta a un regime  speciale,  comportante
 fra  l'altro  la  non  pensionabilita'  e la non corresponsione della
 stessa in periodi in cui il servizio non e' prestato (v. sent. n. 238
 del 1990 e ord. n. 594 del 1990), ed e' stata istituita per fini, che
 risultano anche in sede  di  lavori  preparatori,  di  valorizzazione
 delle   funzioni  giudiziarie,  in  attesa  dell'approvazione  di  un
 riordino complessivo  del  trattamento  economico  del  personale  di
 magistratura  (come  espressamente  dispone lo stesso art. 3, oggetto
 della presente impugnazione).  Sicche',  in  considerazione  di  tali
 elementi,  che non possono ritenersi modificati o superati dalla mera
 estensione della medesima indennita' a  magistrati  non  appartenenti
 all'ordine  giudiziario  e  agli  avvocati  e procuratori dello Stato
 (art. 2 della legge 6 agosto 1984, n. 425), e in  considerazione  del
 potere  del  legislatore  di graduare e di modulare i fini perseguiti
 anche in rapporto a valutazioni di ordine  finanziario,  l'esclusione
 della pensionabilita' dell'indennita' in questione, operata dall'art.
 3  della  legge  19  febbraio  1981,  n.  27,  non costituisce un uso
 arbitrario e  irragionevole  della  discrezionalita'  legislativa  in
 ordine  all'attuazione  dei  valori  incorporati  negli artt. 36 e 38
 della Costituzione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  3,  primo  comma,  della  legge  19  febbraio  1981, n. 27
 (Provvidenze per il personale di magistratura), nella  parte  in  cui
 definisce  come  "non  pensionabile"  l'indennita'  di  funzione  ivi
 istituita, sollevata,  in  riferimento  agli  artt.  36  e  38  della
 Costituzione,  dalla  Corte  dei  conti,  con l'ordinanza indicata in
 epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 1991.
                         Il Presidente: GALLO
                       Il redattore: BALDASSARRE
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 15 marzo 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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