N. 126 SENTENZA 18 - 26 marzo 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza e assistenza - Lavoratori pubblici dipendenti - Diritto al
 trattamento  di  quiescenza  -  Imprescrittibilita'  -  Richiamo alla
 giurisprudenza della Corte dei conti  e  alla  sentenza  n.  151/1981
 della Corte costituzionale - Non fondatezza.
 
 (D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 5).
 
 (Cost., artt. 3 e 38).
(GU n.14 del 3-4-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Ettore GALLO;
 Giudici: dott. Aldo  CORASANITI,  prof.  Giuseppe  BORZELLINO,  dott.
 Francesco  GRECO,  prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof.   Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof.  Enzo CHELI,
 dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 5 del d.P.R. 29
 dicembre  1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul
 trattamento di quiescenza dei  dipendenti  civili  e  militari  dello
 Stato),  promosso  con  ordinanza emessa il 4 aprile 1990 dalla Corte
 dei conti, sezione quarta giurisdizionale, sul  ricorso  proposto  da
 Previti  Luigi,  iscritta  al  n.  684  del registro ordinanze 1990 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  44,  prima
 serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di costituzione di Previti Luigi, nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza  pubblica  del  26  febbraio  1991  il  Giudice
 relatore Francesco Paolo Casavola;
    Udito  l'Avvocato  dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - La Corte  dei  conti,  sezione  quarta  giurisdizionale,  con
 ordinanza  emessa  il  4  aprile  1990,  ha  sollevato di ufficio, in
 riferimento agli artt.  3  e  38  della  Costituzione,  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 5 del d.P.R.  29 dicembre 1973,
 n.  1092  per la parte in cui ha stabilito la imprescrittibilita' del
 diritto  al  trattamento  di  quiescenza  dei   lavoratori   pubblici
 dipendenti,  consentendo l'impugnabilita' in sede giurisdizionale dei
 relativi  provvedimenti  amministrativi  senza   limiti   di   tempo,
 diversamente  da quanto stabilito nella stessa materia dagli artt. 58
 della  legge  30 aprile 1969, n. 153, e 47 del d.P.R. 30 aprile 1970,
 n. 639, per tutti gli altri lavoratori.
    Decidendo sul ricorso presentato da un soldato in congedo  (classe
 1927)  avverso  decreto  del Ministero della difesa con cui era stata
 respinta la domanda di pensione privilegiata per  non  dipendenza  da
 causa  di  servizio dell'infermita' denunciata, il giudice rimettente
 accoglie l'eccezione, sollevata dal  Vice  procuratore  generale,  di
 intempestivita' del ricorso, che ne precluderebbe l'esame nel merito,
 essendo  trascorsi  ben  ventitre'  anni  tra la notifica del decreto
 impugnato (avvenuta in data 16 giugno 1958) e il deposito del ricorso
 (avvenuto in data 29 luglio  1981).  L'inerzia  dell'interessato,  da
 interpretare  come  implicita  acquiescenza  al  disposto di predetto
 decreto, sarebbe incompatibile con la volonta' d'impugnare il decreto
 medesimo, manifestata allorche' era trascorso non solo il termine  di
 decadenza  di  novanta giorni di cui all'art. 63 del regio decreto 12
 luglio 1934, n. 1214, ma anche il termine decennale  di  prescrizione
 previsto dall'art. 2946 del codice civile.
    Secondo  il  giudice a quo, la sentenza della Corte costituzionale
 n.  8  del  14  gennaio  1976,   con   cui   era   stata   dichiarata
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  63  del regio decreto 12
 luglio 1934, n. 1214, ha inteso dare a tutti i ricorrenti  la  stessa
 possibilita' di fruire del termine decennale di prescrizione in luogo
 del  piu'  breve  termine  di  decadenza  di novanta giorni, non piu'
 giustificato sul piano  della  razionalita'.  Peraltro,  prosegue  il
 giudice  rimettente,  il  richiamo,  contenuto nella citata decisione
 della Corte costituzionale, all'art. 5 del d.P.R. 29  dicembre  1973,
 n.  1092  -  a  termini  del  quale  "il  diritto  al  trattamento di
 quiescenza,  diretto  o  di  riversibilita',   non   si   perde   per
 prescrizione"  -  ha fatto si' che alla Corte dei conti si affermasse
 un indirizzo giurisprudenziale per cui si e'  ritenuto  insussistente
 un  termine  per  la  proposizione dei ricorsi in materia di pensione
 ordinaria.
    Ritiene pertanto  il  giudice  a  quo  di  condividere  il  dubbio
 dell'organo  requirente  sull'ammissibilita'  del  ricorso, in quanto
 sostanziale e'  la  differenza  tra  il  diritto  al  trattamento  di
 quiescenza normale (art. 42 e segg. del d.P.R. n. 1092 del 1973) e il
 diritto  al trattamento privilegiato e quello spettante ai soldati di
 leva in particolare - rivendicato dal ricorrente nel caso  di  specie
 (art.  64  e  segg.  del  d.P.R.  n. 1092 del 1973) - che, "in quanto
 tabellare, non ha natura retributiva  ma  risarcitoria,  per  cui  il
 relativo  provvedimento amministrativo non e' di carattere paritetico
 ma autoritativo": infatti, nel  primo  caso,  il  riconoscimento  del
 diritto   consegue   solo   al  raggiungimento  di  una  prestabilita
 anzianita' di servizio, nel secondo caso consegue occasionalmente  al
 verificarsi  di  fatti  lesivi per cui, "mentre nel primo caso appare
 pertinente  il  riferimento  alla  imprescrittibilita'  del  diritto,
 allorche' sia venuto ad esistenza, non altrettanto appare nel secondo
 caso,  allorche' sia stata negata l'esistenza del diritto". A cio' si
 aggiunga - prosegue il giudice rimettente - che, per quanto  riguarda
 la  stessa  materia  che  interessa tutti gli altri lavoratori le cui
 prestazioni pensionistiche sono affidate all'I.N.P.S.,  le  decisioni
 di quest'ultimo sono impugnabili in sede giudiziaria entro il termine
 decennale  (art. 58 della legge n. 153 del 1969, confermato dall'art.
 47 del d.P.R. n. 639 del 1970).
    In  tal modo, mentre il diritto a pensione dei pubblici dipendenti
 e' imprescrittibile e i relativi  provvedimenti  amministrativi  sono
 impugnabili  avanti  alla  Corte  dei conti senza limiti di tempo, lo
 stesso diritto di tutti gli altri lavoratori risulta prescrittibile e
 i relativi provvedimenti amministrativi sono impugnabili nel  termine
 di  dieci  anni:  il  che evidenzia una disparita' di trattamento non
 conforme al dettato degli  artt.  3  e  38  della  Costituzione  che,
 statuendo  il  diritto  dei  lavoratori ad un adeguato trattamento di
 pensione ordinaria (per vecchiaia) o  privilegiata  (invalidita')  in
 condizioni   di   eguaglianza,  "ragionevolmente  non  consentono  la
 sussistenza  della  rilevata  disparita'  che  (..  ..   ..)   appare
 conseguente  soltanto  ad un difetto di coordinamento della normativa
 vigente in materia".
    2. - In una memoria presentata per la parte  privata,  la  difesa,
 dopo  aver  eccepito  la  incompetenza  del  giudice  rimettente, che
 avrebbe dovuto trasmettere il ricorso alla Sezione giurisdizionale di
 Palermo, essendo il ricorrente residente in Palermo  (e  non  essendo
 stata  emessa  pronuncia  interlocutoria presso la competente Sezione
 centrale della Corte dei conti: cfr. Corte costituzionale sentenza n.
 270 del  1988),  eccepisce  la  nullita'  (  sic)  dell'ordinanza  di
 rimessione  e,  nel  merito,  la  infondatezza della stessa alla luce
 della   giurisprudenza   di    questa    Corte    in    materia    di
 imprescrittibilita' del diritto a pensione.
    3.  -  Intervenuta  in rappresentanza del Presidente del Consiglio
 dei ministri, l'Avvocatura dello  Stato  ricorda  anzitutto  come  la
 Corte  dei  conti,  mutando  la  sua  giurisprudenza, si era dapprima
 orientata nel senso di includere il diritto a pensione,  sia  normale
 che  privilegiata,  fra quelli indisponibili e di considerarlo quindi
 imprescrittibile;  tale  orientamento  venne  in  seguito  codificato
 dall'art.  5 del d.P.R. 1092 del 1973. Con la sentenza n. 8 del 1976,
 la  Corte  costituzionale  dichiaro'   poi   l'illegittimita'   delle
 previsioni,  relative  a  vari  settori  del  pubblico  impiego,  che
 stabilivano termini brevi di decadenza per la proposizione di ricorsi
 in materia pensionistica. Pertanto  la  norma  impugnata  s'inserisce
 perfettamente,  secondo  l'Avvocatura,  nella piu' ampia ed effettiva
 garanzia del principio costituzionale
  ex art. 38 della Costituzione di cui rappresenta non  violazione  ma
 piena attuazione.
    Quanto  al  preteso  contrasto  con  l'art. 3 della Costituzione -
 ricorda l'Avvocatura  -  la  Corte  costituzionale  ha  espressamente
 sottolineato  come  la  pensione  privilegiata  non  abbia  connotati
 risarcitori o di indennita', ma si ricolleghi essenzialmente, al pari
 del normale trattamento  di  quiescenza,  al  pregresso  rapporto  di
 dipendenza  e  sia  integrativo,  quando  non  sostitutivo, di quello
 ordinario (sentenza n. 151 del  15  luglio  1981).  Semmai,  prosegue
 l'Avvocatura,   la   questione   mirante   ad  istituire,  un  regime
 diversificato in tema di prescrittibilita' del diritto a  pensione  -
 ordinaria da un lato e privilegiata dall'altro - si pone in contrasto
 col    principio    di    eguaglianza    che   risulterebbe   violato
 dall'accoglimento  della  questione,  venendosi  ad  istituire,   per
 situazioni omogenee, un regime difforme.
    Per   quanto  riguarda,  infine,  il  rapporto  con  la  normativa
 I.N.P.S., l'Avvocatura, rilevata l'eterogenita' (pubblico e  privato)
 dei  settori  di  riferimento,  sottolinea che il principio ex art. 3
 della Costituzione e' impropriamente  invocato,  poiche',  semmai,  a
 creare  dubbi di disparita' dovrebbero essere le disposizioni assunte
 a raffronto che nel giudizio a quo non vengono in considerazione.
    L'Avvocatura  conclude  quindi  chiedendo  che  venga   dichiarata
 l'infondatezza della questione.
                        Considerato in diritto
    1.  -  La  Corte  dei  conti,  sezione quarta giurisdizionale, con
 ordinanza del 4 aprile 1990 (R.O. n.  684  del  1990),  solleva,  con
 riferimento  agli  artt.  3  e  38  della  Costituzione, questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre  1973,
 n.  1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di
 quiescenza dei dipendenti civili e militari  dello  Stato),  "per  la
 parte  in  cui  ha  stabilito  la  imprescrittibilita' del diritto al
 trattamento  di  quiescenza  dei  lavoratori  pubblici  dipendenti  e
 conseguentemente    ha   consentito   la   impugnabilita'   in   sede
 giurisdizionale  dei  relativi  provvedimenti  amministrativi   senza
 limiti  di  tempo,  in  difformita'  a  quanto stabilito nella stessa
 materia dagli artt. 58 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e  47  del
 d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, per tutti gli altri lavoratori".
    In  particolare,  il  giudice  rimettente  rileva l'irrazionalita'
 della   denunziata   normativa   con   riferimento   al   trattamento
 privilegiato  spettante  ai  soldati di leva, il quale non consegue -
 come la pensione ordinaria - al  raggiungimento  di  una  determinata
 anzianita',  ma  deriva dall'occasionale verificarsi di fatti lesivi,
 derivanti dall'adempimento di obblighi di servizio.
    2. - La questione e' infondata.
    La  norma  impugnata  e'  la  legificazione  di  un   orientamento
 giurisprudenzialedella  stessa  Corte  dei  conti,  che  includeva il
 diritto sia alla pensione ordinaria sia a quella privilegiata  tra  i
 diritti indisponibili e imprescrittibili.
    La  singolarita' del caso di specie - ricorso depositato ventitre'
 anni dopo la notifica di decreto che respingeva domanda  di  pensione
 privilegiata  presentata  da  soldato  di  leva  in  congedo, per non
 dipendenza da causa di servizio della  denunciata  infermita'  -  non
 presenta   alcuna  anomalia  rilevante  ai  fini  della  verifica  di
 costituzionalita' della norma impugnata.
    Come questa Corte ha statuito (sentenza n. 151 del  1981)  sia  la
 pensione  normale  sia  quella  privilegiata  hanno  per necessario e
 comune presupposto un rapporto di impiego o di servizio,  il  che  e'
 decisivo connotato della loro unitaria natura.
    Non  si  puo'  pertanto  argomentare  per  una imprescrittibilita'
 pertinente o ragionevole del diritto alla  pensione  normale,  e  non
 altrettanto  pertinente  o  ragionevole  del  diritto  alla  pensione
 privilegiata, sol perche' nell'un caso il diritto viene ad  esistenza
 col  raggiungimento  di  una prestabilita anzianita' di servizio, nel
 secondo con l'accertamento medico-legale  e  conseguente  valutazione
 autoritativa  dell'Amministrazione, che potrebbero negare l'esistenza
 del diritto vantato.
    L'identita' della natura retributiva e il comune  presupposto  del
 rapporto  di  dipendenza  caratterizzano  l'unicita' della figura del
 diritto al trattamento pensionistico sia normale sia privilegiato, il
 che non puo' non riflettersi nella unitaria  garanzia  sostanziale  e
 processuale della imprescrittibilita'.
   3.  - Il giudice a quo rileva che per le prestazioni pensionistiche
 affidate all'Istituto nazionale della previdenza sociale  il  termine
 per  impugnare  in  sede giudiziaria le decisioni dell'Istituto e' di
 dieci anni ( ex art. 58 della  legge  n.  153  del  1969,  confermato
 dall'art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970).
    Sembra  al  giudice  a quo che l'imprescrittibilita' del diritto a
 pensione dei lavoratori dipendenti  pubblici  sia  in  contrasto  col
 principio  di  eguaglianza  di cui all'art. 3 e - data la specialita'
 della  materia  -  all'art.  38  della  Costituzione,  rispetto  alla
 prescrizione   decennale  dell'eguale  diritto  di  tutti  gli  altri
 lavoratori.
    La comparazione non puo' essere istituita tra norme che non  hanno
 lo  stesso oggetto: quella impugnata prevede la non prescrittibilita'
 del  diritto  sostanziale  mentre  le   altre   due,   impropriamente
 confrontate,  stabiliscono  il termine di decadenza per l'impugnativa
 in giudizio dei provvedimenti dell' I.N.P.S.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  5  del  d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del
 testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei  dipendenti
 civili  e militari dello Stato), sollevata, in riferimento agli artt.
 3 e 38 della Costituzione, dalla  Corte  dei  conti,  sezione  quarta
 giurisdizionale, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 18 marzo 1991.
                         Il Presidente: GALLO
                        Il redattore: CASAVOLA
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 26 marzo 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 91C0390