N. 156 SENTENZA 8 - 12 aprile 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza e assistenza- Assicurato I.N.A.I.L.- Rendita per  malattia
 professionale-  Crediti previdenziali- Condanna giudiziale dell'ente-
 Maggior danno subito dal titolare per  il  ritardo  dell'adempimento-
 Pagamento  di  un'ulteriore  somma  per  il  ristoro del pregiudiziio
 subito per la mancata  disponibilita'  della  somma  dovuta  fin  dal
 giorno  della  previdenziale avuto riguardo al risarcimento del danno
 causato dal ritardato  adempimento-  Assimilabilita'  ai  crediti  di
 retribuzione - Illegittimita' costituzionale parziale.
 
 (C.P.C., art. 442).
 
 (Cost., artt. 3 e 38).
(GU n.16 del 17-4-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Ettore GALLO;
 Giudici: dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott.
    Francesco  GRECO,  prof.  Gabriele  PESCATORE,  avv. Ugo SPAGNOLI,
    prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio  BALDASSARRE,  prof.
    Vincenzo  CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof.
    Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA; prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 442 del  codice
 di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 12 ottobre 1990
 dalla  Corte  di  cassazione  sul  ricorso  proposto  da INAIL contro
 Tempesti Remo iscritta al  n.  744  del  registro  ordinanze  1990  e
 pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica n. 1, prima
 serie speciale dell'anno 1990;
    Visti gli atti di costituzione  di  Tempesti  Remo  e  dell'INAIL,
 nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito nell'udienza  pubblica  del  26  febbraio  1991  il  Giudice
 relatore Luigi Mengoni;
    Uditi  gli  avvocati  Giorgio  Bellotti per Tempesti Remo, Saverio
 Muccio per l'INAIL e l'avvocato dello Stato Giorgio  D'Amato  per  il
 Presidente del Consiglio dei Ministri;
                           Ritenuto di fatto
    1.  -  Nel giudizio sul ricorso per Cassazione proposto dall'INAIL
 contro la sentenza del Tribunale  di  Firenze  8  ottobre  1988  che,
 confermando la sentenza di primo grado, aveva condannato l'istituto a
 corrispondere  al  signor  Renzo  Tempesti  la  rendita  per malattia
 professionale con la rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT
 e  gli  interessi  legali  sulla  somma  rivalutata,  la   Corte   di
 cassazione,  con  ordinanza  del  12  ottobre  1990, ha sollevato, in
 riferimento agli artt.  3  e  38  Cost.,  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 442 cod. proc. civ. "nella parte in cui, non
 includendo  nel  rinvio da esso operato anche la norma dell'art. 429,
 terzo comma, cod. prov. civ., non assicura - nelle ipotesi in cui  le
 somme  per  prestazioni previdenziali siano destinande essenzialmente
 alle comuni esigenze di vita - oltre l'adeguamento dell'entita' della
 prestazione alle variazioni del valore della moneta, anche un ristoro
 del  pregiudizio  subito  per  la  mancata disponibilita' della somma
 dovuta fin dal giorno della maturazione del diritto".
    Il giudice remittente rileva che l'orientamento consolidato  delle
 Sezioni  unita'  della  Corte  di cassazione nega l'estensibilita' ai
 crediti previdenziali della norma di  diritto  sostanziale  contenuta
 nell'art.  429,  terzo  comma,  cod.  proc. civ., in quanto il rinvio
 operato dall'art. 442 alle disposizioni relative alle controversie di
 lavoro deve intendersi limitato alle norme di natura processuale.  Ne
 consegue  che  per  i  crediti previdenziali il danno da svalutazione
 monetaria, imputabile al ritardo del pagamento, e' regolato dall'art.
 1224 cod. civ., a stregua del quale -  diversamente  dal  trattamento
 privilegiato  dell'art.  429  cod. proc. civ. - non e' ammissibile il
 cumulo della rivalutazione con gli interessi legali di mora.
    Cosi'  interpretata,  la  norma  denunciata   contrasterebbe   col
 principio  di  eguaglianza  perche'  esclude  dalla  tutela speciale,
 prevista dall'art. 429 cod. proc.  civ.  per  i  crediti  di  lavoro,
 situazioni  soggettive  non  dissimili, quali i crediti previdenziali
 aventi per oggetto prestazioni  destinate  alle  comuni  esigenze  di
 vita.
    Sarebbe  violato anche l'art. 38, secondo comma, Cost. perche' "il
 mancato riconoscimento della suddetta forma di  tutela  incide  sulla
 garanzia  del  trattamento  previdenziale  fissato dal legislatore al
 livello ritenuto idoneo ad assicurare all'interessato mezzi  adeguati
 di vita".
    2.  -  Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  si  e'  costituito  il
 resistente  ribadendo  le  argomentazioni  svolte  nell'ordinanza  di
 rimessione e concludendo per una pronuncia di fondatezza.
    Si  e' costituito anche l'INAIL con atto successivamente integrato
 da  ampia  memoria,  chiedendo  che  la  questione   sia   dichiarata
 inammissibile  o, in subordine, infondata. Inammissibile, perche' nel
 giudizio di merito non sono state fatte indagini in ordine al credito
 previdenziale di cui e' causa, le quali consentano di stabilire se il
 titolare abbia o no la qualita' di "modesto consumatore", e  comunque
 perche'  il  titolare di una rendita INAIL non potrebbe in alcun modo
 essere annoverato in tale categoria, attesa la natura indennitaria  e
 non  alimentare  della  prestazione. Infondata, perche' le differenze
 strutturali che separano  i  crediti  previdenziali  dai  crediti  di
 lavoro, e in particolare mancanza di un nesso di corrispettivita' tra
 prestazioni  e contributi, escludono che la limitazione ai crediti di
 lavoro della  tutela  dell'art.  429  possa  ritenersi  contraria  al
 principio di eguaglianza.
    Del  resto,  anche  sotto  il profilo funzionale e' venuta meno la
 regione di fondo per la quale nella sentenza di questa Corte  n.  408
 del  1988  si  e'  adombrata  la  possibilita'  che  la differenza di
 trattamento  delle  due   categorie   di   crediti   possa   apparire
 ingiustificata.  La ragione era ravvisata nella diversa portata della
 tutela automatica attribuita ai  crediti  previdenziali  dalla  norma
 generale  dell'art. 1224, primo comma, cod. civ. rispetto alla tutela
 prevista dall'art. 429 cod. proc. civ. per i crediti  di  lavoro,  la
 prima  limitata  agli interessi legali, la seconda comprendente anche
 la rivalutazione monetaria. Questa ragione e' venuta meno in  seguito
 alla  legge  26  novembre  1990,  n. 353, il cui art. 1 ha elevato ai
 dieci per cento annuo il saggio degli interessi  legali.  A  giudizio
 dell'INAIL, dopo questo provvedimento e' l'art. 429, terzo comma, che
 suscita  sospetti  di  illegittimita'  costituzionale  in riferimento
 all'art. 3, considerata l'esorbitanza della tutela ora  accordata  ai
 crediti  di  lavoro  dal  cumulo  irrazionale  di  due  strumenti  di
 copertura dell'inflazione, che invece dovrebbero essere alternativi.
    3. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato dall'avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione
 sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
    Inammissibile,  sia perche' posta in termini astratti con riguardo
 alla categoria dei  soggetti  definibili  come  modesti  consumatori,
 senza  precisare  se tale categoria sia applicabile al titolare della
 prestazione previdenziale di cui e' causa, sia perche' tende  ad  una
 pronunzia   manipolativa   del   sistema   legislativo  previdenziale
 prospettando l'introduzione di  una  regola  valoristica  attualmente
 estranea,  ai crediti vantati verso l'ente pubblico erogatore, per di
 piu' - con ulteriore scelta di merito - limitata a una sola categoria
 di fruitori da individuare  attraverso  il  riferimento  alla  labile
 nozione   di   "modesto   consumatore",   finora   utilizzata   dalla
 giurisprudenza  a  soli  fini  probatori  nei  giudizi  relativi   al
 risarcimento del maggior danno.
    Infondata,  perche'  la  rivalutazione monetaria a norma dell'art.
 1224, secondo comma, cod. civ. - praticamente automatica, grazie alla
 presunzione  del  giudice  collegata   alla   qualita'   di   modesto
 consumatore  -  rappresenta  l'intero  ammontare del danno patito dal
 creditore, onde non e' ravvisabile  alcuna  violazione  dell'art.  38
 Cost.  Tanto  meno  risulta violato l'art. 3, quando si consideri che
 pretendere il pagamento degli interessi legali sulla somma rivalutata
 significa "supporre ad un tempo, del tutto contraddittoriamente,  che
 la    somma    oggetto   del   credito   originario,   ove   ricevuta
 tempestivamente, da un lato sarebbe stata spesa in beni  di  consumo,
 cosi'  da  giustificare il riconoscimento di un credito accessorio ed
 aggiuntivo pari alla differenza  dei  valori  monetari  riscontrabile
 sino al momento della relativa liquidazione, dall'altro sarebbe stata
 risparmiata cosi' da fruire degli interessi".
                        Considerato in diritto
    1.  - La Corte di cassazione ritiene contrastante con gli artt. 3,
 primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione l'art. 442  cod.
 proc. civ. nella parte in cui, non includendo nel rinvio ivi disposto
 la  norma  sostanziale di cui all'art. 429, terzo comma, dello stesso
 codice,  ne  esclude  l'applicabilita'  ai  crediti  per  prestazioni
 previdenziali   destinati   a   "soggetti   definibili  come  modesti
 consumatori".
    2.   -   Vanno   respinte   preliminarmente   le   eccezioni    di
 inammissibilita' opposte dall'INAIL e dall'avvocatura dello Stato. Si
 obietta  anzitutto  che  la  questione  e' stata sollevata in termini
 astratti  con  riguardo  ai   soggetti   definibili   come   "modesti
 consumatori",  senza  precisare  se tale categoria sia applicabile in
 concreto al creditore della prestazione previdenziale di cui e' causa
 (rendita per infortunio), e  anzi,  aggiunge  l'INAIL,  senza  tenere
 conto  che  l'applicabilita'  e'  esclusa  a  ragione  della  "natura
 indennitaria e non alimentare delle prestazioni  INAIL".  In  secondo
 luogo  si  obietta  che  il giudice remittente "tende a una pronunzia
 palesemente  manipolativa  del  sistema   legislativo   in   materia"
 prospettando  la trasformazione di una categoria meramente probatoria
 in presupposto sostanziale di una regola di rivalutazione automatica,
 la  cui  applicazione ai crediti previdenziali sarebbe cosi rimessa a
 un apprezzamento discrezionale del giudice  guidato  da  un  criterio
 impreciso quale la labile nozione di "modesto consumatore".
    La Corte osserva in contrario che il dispositivo dell'ordinanza di
 rimessione  deve  essere interpretato alla luce della motivazione. In
 essa e' precisato che "la classificazione del creditore tra i modesti
 consumatori ha una rilevanza eslcusivamente probatoria,  dal  momento
 che  tale categoria non si differenzia dalle altre per una diversita'
 della  disciplina  giuridica  dell'inadempimento",  cioe'   serve   a
 facilitare la prova per presunzioni del maggior danno da svalutazione
 monetaria, di cui sia chiesto il risarcimento a norma dell'art. 1224,
 secondo comma, cod. civ. Tale classificazione perde percio' rilevanza
 quando la disciplina generale del codice civile sia sostituita da una
 regola     speciale     di    rivalutazione    automatica    operante
 indipendentemente dalla  prova  del  danno,  onde  il  richiamo,  nel
 dispositivo  dell'ordinanza,  della categoria del modesto consumatore
 non va inteso come limite del petitum, ma soltato come una coloritura
 riferita all'ipotesi sociologicamente di gran lunga piu' importante.
    3. - La questione e' fondata.
    Le sezioni unite della Corte di cassazione interpretano l'art. 442
 cod. proc. civ nel senso che il rinvio alle disposizioni  di  cui  al
 capo  precedente  del  medesimo  titolo, essendo previsto in funzione
 della disciplina dei "procedimenti", riguarda le sole disposizioni di
 natura   processuale,   restano   ecslusa   l'applicabilita'    nelle
 controversie   relative   a  prestazioni  previdenziali  della  norma
 sostanziale contenuta nell'art. 429, terzo comma.  La  disparita'  di
 disciplina  che  l'art.  442  cosi' interpretato comporta tra crediti
 previdenziali e crediti di lavoro in ordine al risarcimento del danno
 da svalutazione monetaria - regolato per i primi dalla norma generale
 dell'art.  1224  cod.  civ.,  per  i  secondi  dalla  norma  speciale
 dell'art.  429  cod. proc. civ. - e' ritenuta lesiva del principio di
 eguaglianza  non  tanto  sotto  il  profilo  dell'onere  della  prova
 (fortemente  attenuato,  e  anzi  praticamente  rimosso per i crediti
 previdenziali di modesta entita', dalle presunzioni del giudice elab-
 orate in tema di art. 1224, secondo comma, cod. civ.),  quanto  sotto
 il  profilo  del  diritto  agli  interessi  legali. Mentre l'art. 429
 ammette il cumulo della rivalutazione (automatica)  del  credito  con
 gli  interessi  legali,  da  calcolarsi, secondo l'opinione prevalsa,
 sulla somma rivalutata, invece  il  risarcimento  nella  forma  della
 rivalutazione  del credito e' previsto dall'art. 1224, secondo comma,
 in  alternativa  al  risarcimento  forfettario  nella   forma   degli
 interessi  legali di cui al primo comma (cfr. Cass., Sez. un. n. 5299
 del  1989).  La  differenza  di  trattamento  si   e'   ulteriormente
 accentuata  in  seguito  alla recente legge 26 novembre 1990, n. 353,
 che ha elevato al dieci per cento annuo  il  saggio  degli  interessi
 legali, ne' la Corte puo' tenere conto nel presente giudizio sospetti
 di   illegittimita'   costituzionale   che,   ad  avviso  dell'INAIL,
 graverebbero ora sullo stesso art. 429, terzo comma, in relazione  al
 principio di razionalita' di cui all'art. 3 Cost.
    La  valutazione comparativa del giudice a quo procede dal punto di
 vista funzionale, dal quale i crediti previdenziali sono assimilabili
 ai crediti di retribuzione  in  ragione  della  comune  finalita'  di
 sostentamento  del  lavoratore  e  della sua famiglia, prospettandosi
 cosi  anche  per i secondi la ratio sottesa al piu' volte citato art.
 429, cioe' l'esigenza di difendere il potere di acquisto destinato  a
 tale  finalita'  commisurando  ai  nuovi valori della moneta le somme
 spettanti al lavoratore e inoltre compensandolo, nella  misura  degli
 interessi  legali, del pregiudizio sofferto per la mancata tempestiva
 disponibilita'.
    Piu' esattamente - tenendo conto del caso di  specie,  in  cui  si
 tratta  di  una  prestazione previdenziale alla quale una parte della
 giurisprudenza attribuisce natura indennitaria  e  non  alimentare  -
 cio'   che  avvicina,  sotto  l'aspetto  funzionale,  le  prestazioni
 previdenziali ai crediti di retribuzione non e'  tanto  la  finalita'
 alimentare  o  di sostentamento del lavoratore del lavoratore e della
 sua famiglia (che in certi casi,  o  oltre  una  certa  misura,  puo'
 mancare),  quanto  la funzione di surrogare o integrare un reddito di
 lavoro cessato o ridotto a causa  di  uno  degli  aventi  considerati
 dall'art.  38,  secondo comma, Cost. Per il tramite e nella misura di
 questa  norma   si   rende   applicabile   anche   alla   prestazioni
 previdenziali l'art. 36, primo comma, quale parametro della "esigenze
 di  vita"  del  lavoratore  (cfr.  sent.  n. 119 del 1991); e poiche'
 l'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. e'  un  modo  di  attuazione
 dell'art.  36  (sent. n. 204 del 1989), appare fondata la valutazione
 del giudice remittente che nella mancata  previsione  di  una  regola
 analoga  per  i crediti previdenziali ravvisa una violazione non solo
 dell'art. 3 Cost., ma altresi' dell'art. 38.
    4. - L'avvocatura dello Stato obietta, alla stregua della sentenza
 n. 46 del 1983, che "ai fini dell'art. 3 Cost. e'  determinante,  per
 impedire una valutazione comparativa, la diversita' strutturale delle
 prestazioni  raffrontate"  piu'  volte  riconosciute  da questa Corte
 (sentenze nn. 350 del 1990 e  55  del  1991)  e  non  superabile  con
 l'argomento  della coincidenza di finalita'. Ma il criterio enunciato
 dalla sentenza n. 46 del 1983 non puo' essere assolutizzato. In  quel
 contesto era in discussione la disparita' dei presupposti di fatto di
 due  attribuzioni  aventi  finalita' analoghe: poiche' la fattispecie
 appartiene alla struttura di un determinato istituto,  ben  s'intende
 come  la Corte abbia considerata decisiva, ai fini dell'art. 3 Cost.,
 la diversita' strutturale delle attribuzioni messe a  confronto.  Nel
 presente  giudizio,  invece,  e' in discussione non una diversita' di
 fattispecie, ma una diversita' di disciplina dei crediti  retributivi
 e  dei  crediti previdenziali per quanto riguarda il risarcimento del
 danno causato dal ritardo dell'adempimento.  Vale  percio'  l'opposto
 criterio, enunciato dalla sentenza n. 1045 del 1988, per cui, ai fini
 della  valutazione  comparativa  di  due  discipline alla stregua del
 principio di eguaglianza, "rileva piuttosto il profilo funzionale che
 quello strutturale".
    5. - La regola della  rivalutazione  automatica  non  puo'  essere
 estesa  ai  crediti  previdenziali in termini ricalcati integralmente
 sul testo dell'art. 429.
    Posto che tra questa norma e l'art. 1224 cod. civ. "intercorre  un
 rapporto  di  specialita'" (Cass., ord. n. 74 del 1990, alla quale e'
 largamente improntata l'ordinanza introduttiva del presente  giudizio
 incindentale),   essa   trae   dal   sistema   della  responsabilita'
 contrattuale del codice  civile,  in  cui  si  inserisce  come  norma
 speciale,  il  criterio  di  determinazione  del  dies  a  quo  della
 rivalutazione  e  degli  interessi  legali.  Tale  criterio  e'  dato
 dall'art. 1219, secondo  comma,  n.  3,  applicabile  ai  crediti  di
 lavoro,  per  cui  il  debitore  e'  automaticamente  in  mora, ossia
 risponde  del  ritardo  dell'adempimento,  fin   dal   giorno   della
 maturazione del diritto;
    Questa  regola e' incompatibile con le esigenze organizzative e di
 gestione degli enti pubblici previdenziali, nei confronti dei quali i
 crediti alle rispettive prestazioni non possono  diventare  esigibili
 se  non in conseguenza di un provvedimento amministrativo (da tenersi
 distinto  dai  procedimenti  contabili  afferenti  all'emissione  del
 mandato  di  pagamento).  Su questi crediti gli interessi legali e la
 rivalutazione  delle  somme   dovute   decorrono   dalla   data   del
 provvedimento  di  reiezione  della  domanda  oppure  dopo centoventi
 giorni dalla presentazione della medesima  senza  l'istituto  si  sia
 pronunciato  (arg.  ex  artt.  47, quarto comma, del d.P.R. 30 aprile
 1970, n. 639, e 7 della legge 11 agosto 1973  n.  533,  in  relazione
 all'art. 1219, secondo comma, n. 2, cod. civ.).
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 442 cod. proc.
 civ. nella parte in cui non prevede che il giudice, quando  pronuncia
 sentenza  di  condanna  al  pagamento  di somme di denaro per crediti
 relativi a prestazioni di previdenza sociale, deve determinare, oltre
 gli interessi nella misura legale,  il  maggior  danno  eventualmente
 subito  dal  titolare  per la diminuzione del valore del suo credito,
 applicando l'indice dei prezzi calcolato dall'ISTAT per la scala  mo-
 bile  nel  settore  dell'industria  e  condannando al pagamento della
 somma relativa con decorrenza dal giorno in cui si sono verificate le
 condizioni legali di responsabilita' dell'istituto  o  ente  debitore
 per il ritardo dell'adempimento.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'8 marzo 1991.
                         Il Presidente: GALLO
                         Il redattore: MENGONI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 12 aprile 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 91C0467