N. 173 SENTENZA 8 - 22 aprile 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Proprieta'- Espropriazione- Pagamento  della  indennita'  provvisoria
 dall'espropriando-     Facolta'     di     opposizione    da    parte
 dell'espropriante- Mancata  previsione-  Violazione  del  diritto  di
 agire in giudizio- Illegittimita' costituzionale.
 
 (Legge  22  ottobre  1971,  n. 865, art. 12, quinto comma, cosi' come
 modificato dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10).
 
 (Cost., art. 24).
 
 Proprieta'  -  Espropriazione  -   Indennita'   provvisoria   -   Sua
 rideterminazione   -  Pubblicita'  -  Modalita'  dell'accettazione  -
 Modalita' del pagamento - Non fondatezza.
 
 (Legge 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 11, primo e terzo comma, e
 12, secondo, terzo e settimo comma, cosi' come modificato dalla
 legge 28 gennaio 1977, n. 10).
 
 (Cost., art. 24).
(GU n.17 del 24-4-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe  BORZELLINO,  dott.  Francesco  GRECO,  prof.
 Gabriele   PESCATORE,   avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
 CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,  avv.
 Mauro  FERRI,  prof.  Luigi  MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.  Renato
 GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 11, commi
 primo e terzo, e 12, commi secondo, terzo, quinto  e  settimo,  della
 legge   22   ottobre   1971,   n.   865  (Programmi  e  coordinamento
 dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla  espropriazione  per
 pubblica  utilita'),  modificata  con  legge  28  gennaio 1977, n. 10
 (Norme per la  edificabilita'  dei  suoli),  promosso  con  ordinanza
 emessa   l'8   giugno  1990  dalla  Corte  d'appello  di  Torino  nel
 procedimento civile vertente tra  il  Comune  di  Sale  e  Giuseppina
 Stella  ed  altre,  iscritta  al n. 737 del registro ordinanze 1990 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  50,  prima
 serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 27 febbraio  1991  il  Giudice
 relatore Gabriele Pescatore;
                           Ritenuto in fatto
    1. - La Corte d'appello di Torino, con ordinanza 8 giugno 1990, ha
 sollevato,   in   riferimento   all'art.   24   Cost.,  questione  di
 legittimita' costituzionale degli artt. 11, commi primo  e  terzo,  e
 12, commi secondo, terzo, quinto e settimo, della l. 22 ottobre 1971,
 n.  865, cosi' come modificati dalla l. n. 10 del 1977, in quanto non
 consentono all'espropriante di agire in giudizio  per  contestare  la
 determinazione    dell'indennita'   provvisoria   di   espropriazione
 accettata dall'espropriando.
    Nell'ordinanza si espone che il Comune di Sale, in data 19  maggio
 1988,  aveva  promosso  un  giudizio deducendo che con decreto del 25
 maggio 1977, il  Presidente  della  Giunta  regionale  della  Regione
 Piemonte  aveva disposto l'espropriazione di un terreno, in favore di
 esso Comune, ai fini  della  realizzazione  di  uno  spazio  a  verde
 pubblico  e  di  un  piazzale.  Per  tale  espropriazione  era  stata
 determinata dapprima un'indennita' provvisoria (non accettata) e  poi
 quella   definitiva  (non  comunicata).  Successivamente,  a  seguito
 d'istanza degli espropriati, il Presidente  della  giunta  regionale,
 con  decreto  9  marzo  1988,  aveva  rideterminato l'indennita', sul
 presupposto che quella  precedentemente  fissata  non  era  diventata
 definitiva  e  che,  per  l'intervenuta declaratoria d'illegittimita'
 costituzionale dei criteri di liquidazione previsti dalla l.  n.  865
 del  1971, occorreva riliquidare l'indennita' stessa in base all'art.
 39 della legge n. 2359 del 1865.
    Sulla base di tali circostanze  il  Comune  di  Sale  chiedeva  di
 dichiararsi  l'intervenuta prescrizione del diritto all'indennita' al
 momento della sua rideterminazione; in subordine, l'incompetenza  del
 Presidente  della  giunta  a  determinare  la misura dell'"indennita'
 definitiva";  in  ulteriore  subordine  -  previo   espletamento   di
 consulenza tecnica - stabilirsi il giusto prezzo dell'area, da valere
 quale  indennita'  definitiva  di  espropriazione,  essendo eccessiva
 quella stabilita dal Presidente della giunta.
    Le parti convenute si costituivano deducendo, in particolare,  che
 il   Presidente   della   giunta   regionale  aveva  determinato  non
 l'indennita' definitiva di espropriazione, ma  quella  "provvisoria",
 di  cui all'art. 11 della legge n. 865 del 1971 e che gli espropriati
 avevano  comunicato  tempestivamente  per iscritto, alla regione e al
 comune, la  loro  accettazione,  rendendo  cosi'  inoppugnabile  tale
 determinazione       dell'indennita'.      Assumevano,      pertanto,
 l'improponibilita',avverso detta  indennita',  della  opposizione  ex
 art.  19  della  l.  n.  865  del  1971  ed  eccepivano il difetto di
 giurisdizione del giudice ordinario in ordine  ai  pretesi  vizi  del
 provvedimento  impugnato. Contestavano, comunque, che il loro diritto
 all'indennita' fosse prescritto  e  che  l'indennita'  stabilita  non
 fosse congruamente determinata.
    La  Regione Piemonte si costituiva, facendo proprie le eccezioni e
 conclusioni anzi dette.
    Tutto cio' premesso nell'ordinanza di rimessione, il giudice a quo
 ha affermato che il decreto 9 marzo 1988 del Presidente della  giunta
 regionale,   dal   punto  di  vista  formale  e  sostanziale,  e'  un
 provvedimento di  determinazione  dell'indennita'  "provvisoria",  ai
 sensi  degli  artt.  11 e 12 della legge n. 865 del 1971. Ha rilevato
 altresi' che risulta dagli atti l'accettazione di tale indennita'  da
 parte    degli   espropriati.   Ne   deriverebbe   l'improponibilita'
 dell'azione,  "sotto  il  duplice  profilo   della   inammissibilita'
 dell'opposizione  ex  art.  19  della  l.  n. 865 del 1971 avverso il
 provvedimento di determinazione provvisoria  dell'indennita'  di  cui
 all'art.  11  stessa  legge" (cio' secondo la giurisprudenza costante
 della Corte di cassazione) "e della inoppugnabilita' conseguita dallo
 stesso provvedimento, per effetto  dell'accettazione  dell'indennita'
 provvisoria da parte degli espropriati, ai sensi dell'art. 12 citato,
 comma secondo".
    Sarebbe  non  manifestamente  infondata, peraltro, la questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 11 e 12 suddetti, in  quanto,
 non  consentendo all'espropriante di agire in giudizio per contestare
 la determinazione dell'indennita' provvisoria di espropriazione,  ne'
 prima ne' dopo l'accettazione da parte dell'espropriato, violerebbero
 l'art. 24 della Costituzione.
    Infatti  l'art.  11  stabilisce, al primo comma, che il Presidente
 della giunta regionale - entro trenta giorni  dal  ricevimento  degli
 atti iniziali del procedimento espropriativo - dichiara, ove occorra,
 la  pubblica  utilita' dell'opera ed indica la misura dell'indennita'
 di espropriazione, da corrispondere a titolo provvisorio agli  aventi
 diritto.  Al  quarto  comma prescrive che l'ammontare dell'indennita'
 provvisoria e' comunicato ai  proprietari  espropriandi  a  cura  del
 Presidente  della  giunta  regionale, nelle forme della notificazione
 degli atti  processuali  civili,  senza  che  sia  prevista  ne'  una
 richiesta  ulteriore  dell'espropriante,  ne'  alcuna possibilita' di
 contestare il quantum dell'indennita'.
    L'art. 12, al secondo comma, prescrive che,  entro  trenta  giorni
 dalla  notificazione  del  suddetto  avviso,  i  proprietari  possono
 comunicare al Presidente della giunta regionale e all'espropriante se
 intendono accettare l'indennita' provvisoria.  In  caso  di  silenzio
 l'indennita'  si intende rifiutata, mentre una volta che essi abbiano
 comunicato la loro accettazione, l'espropriante e' obbligato (terzo e
 quinto  comma)  al  pagamento  entro  sessanta  giorni,  senza  poter
 contestare  il quantum dell'indennita' e restando gravato d'interessi
 in misura pari al tasso di sconto in caso di  ritardo  nel  pagamento
 (settimo comma).
    Tale  normativa,  pertanto,  mentre  tutela  gli espropriandi, non
 tutela l'espropriante, al quale pure si estende la  garanzia  sancita
 dall'art. 24 della Costituzione.
    2.  -  Nel  giudizio  dinanzi  a  questa  Corte  e' intervenuto il
 Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato  dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato,  la  quale  ha  chiesto  che la questione sia
 dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata.
    Nell'atto di costituzione si osserva in proposito che, sulla  base
 degli  accertamenti compiuti dal giudice a quo, deve ritenersi che la
 pronuncia  del  decreto  d'esproprio  25  maggio  1977  fosse   stata
 preceduta  dalla  determinazione  d'una  indennita'  provvisoria "non
 accettata". Da cio' conseguirebbe che  l'indennita'  determinata  col
 decreto  del  Presidente  della  giunta  regionale  9  marzo  1988  -
 diversamente da quanto affermato nell'ordinanza di rimessione  -  non
 avrebbe  carattere provvisorio ma definitivo, atteso che, nel sistema
 delineato dalla legge n. 865 del 1971, e' "provvisoria"  soltanto  la
 determinazione   (o   indicazione)  dell'indennita'  che  precede  la
 pronuncia del decreto d'esproprio, di questa  costituendo  necessario
 presupposto.    La   determinazione   successiva   alla   pronunciata
 espropriazione non rileva piu' agli effetti della  conclusione  della
 procedura  ablativa, bensi' al solo fine della quantificazione (ormai
 autonoma) del giusto indennizzo per l'effetto traslativo del  diritto
 di  proprieta', gia' verificatosi. Ne deriverebbe l'impugnabilita' di
 tale indennita' - ex art. 19 della legge n. 865 del 1971 -  anche  da
 parte  dell'espropriante, con conseguente irrilevanza della questione
 proposta.
    Quanto al merito, l'Avvocatura generale dello Stato  afferma  che,
 in   conseguenza   della  dichiarata  incostituzionalita'  (parziale)
 dell'art. 19 della legge n. 865 del 1971 (sentenza n. 68  del  1990),
 non   costituendo   piu'   la  definitiva  determinazione  -  in  via
 amministrativa -  dell'indennita'  presupposto  d'ammissibilita'  del
 rimedio  contemplato  dall'art.  19  cit.,  nulla impedirebbe che una
 domanda giudiziale relativa alla indennita' venga proposta anche  con
 riferimento   ad  una  determinazione  soltanto  "provvisoria"  della
 stessa. Ne'  che  essa  venga  promossa  anche  dall'espropriante  in
 relazione  all'indennita'  "provvisoria"  accettata dall'espropriato,
 poiche' la conseguente definitivita' in relazione alla determinazione
 dell'indennizzo,  esplica  i  suoi  effetti  in  via  amministrativa:
 situazione  -  questa  -  ben  diversa dalla inoppugnabilita' in sede
 giudiziale, dalla cui fallace prospettiva avrebbe "tratto alimento il
 sospetto  d'incostituzionalita'  manifestato   con   l'ordinanza   di
 rimessione".  Pertanto, non ostandovi principi di ordine generale, la
 sostanziale equipollenza tra l'indennita' provvisoria  "accettata"  e
 l'indennita'   definitivamente   determinata   dall'U.T.E.   (in  via
 amministrativa) legittimerebbe "l'interprete ad estendere alla  prima
 il  rimedio  giurisdizionale  espressamente  previsto per la seconda,
 dall'art.  19",  con  la  conseguente  infondatezza  della  questione
 sollevata.
                        Considerato in diritto
    1.  -  La  Corte  d'appello  di  Torino  ha sollevato questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 11, commi primo  e  terzo,  e
 12, commi secondo, terzo, quinto e settimo, della l. 22 ottobre 1971,
 n.  865, cosi' come modificati dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10, in
 quanto - non consentendo all'espropriante di agire  in  giudizio  per
 contestare   la   determinazione   dell'indennita'   provvisoria   di
 espropriazione accettata  dall'espropriando  -  contrasterebbero  con
 l'art. 24 della Costituzione.
    Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi in giudizio
 col  patrocinio  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato, ha eccepito
 l'inammissibilita'  della  questione,  sotto  il  profilo  della  sua
 irrilevanza  nel  giudizio a quo, deducendo che esso aveva ad oggetto
 la contestazione della misura di un'indennita' di espropriazione  che
 doveva  ritenersi  definitiva  e,  come  tale, impugnabile ex art. 19
 della l. n. 865 del 1971. In via  subordinata  l'Avvocatura  generale
 dello Stato ha dedotto l'infondatezza della questione.
    2. - L'eccezione d'inammissibilita' della questione per difetto di
 rilevanza deve essere respinta.
    Va   osservato   in   proposito   che,   secondo   quanto  risulta
 dall'ordinanza di rimessione, il Presidente  della  Giunta  regionale
 del   Piemonte,   con   decreto   25   maggio  1977,  aveva  disposto
 l'espropriazione di un terreno in  favore  del  Comune  di  Sale.  In
 relazione  a  detta  espropriazione  era  stata  determinata dapprima
 l'indennita' provvisoria e poi - non essendo stata questa accettata -
 quella definitiva, che non era stata comunicata  ai  proprietari  dei
 suoli espropriati.
    Intervenuta  la  declaratoria  d'illegittimita' costituzionale dei
 criteri fissati dalla l. n. 865 del 1971 per  la  liquidazione  delle
 indennita'  di  espropriazione relative ad aree edificabili (sentenza
 n.  5  del  1980),  il  Presidente  della  giunta   regionale   aveva
 riliquidato   l'indennita'   con   decreto   9  marzo  1988,  facendo
 applicazione dei criteri stabiliti dall'art. 39 della l. n. 2359  del
 1865.
    Il  Comune  di  Sale  aveva  impugnato sotto vari profili la nuova
 determinazione dell'indennita', deducendo - tra  l'altro  -  che  era
 eccessiva  e  chiedendone  una  piu' equa liquidazione da parte della
 Corte  d'appello.  I   proprietari   dei   suoli   avevano   eccepito
 l'improponibilita'  della domanda, sostenendo che il Presidente della
 regione aveva riliquidato l'indennita' provvisoria ai sensi dell'art.
 11 della l. n. 865 del 1971 e quindi,  avendo  essi  accettato  detta
 indennita' ai sensi dell'art. 12, l'espropriante non aveva azione per
 contestarne la misura.
    Il  giudice  a  quo,  con  una valutazione che e' di sua esclusiva
 competenza - e non puo' essere, pertanto, oggetto di riesame da parte
 di questa Corte, implicando valutazioni di fatto  e  di  diritto  del
 tutto  estranee  al  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  - ha
 ritenuto che il Presidente della giunta regionale, con il suo decreto
 9 marzo 1988,  ha  rideterminato  l'indennita'  provvisoria  prevista
 dall'art. 11 della l. n. 865 del 1971. Di conseguenza sarebbe fondata
 l'eccezione  d'improponibilita'  formulata  dai  proprietari dei beni
 espropriati, in quanto gli artt. 11 e 12 della l. n. 865 del 1971 non
 attribuiscono all'espropriante alcun rimedio giurisdizionale  avverso
 la  determinazione  dell'indennita'  di espropriazione, effettuata ex
 art. 11 e divenuta definitiva ex art. 12 per  accettazione  da  parte
 degli espropriati.
    Osserva  inoltre  la  Corte  che  la  proponibilita' della domanda
 proposta dinanzi al giudice a quo, non  puo'  fondarsi  sull'art.  19
 della  l.  n.  865  del 1971, che disciplina l'opposizione alla stima
 effettuata in via definitiva ex art. 16 della stessa  legge.  Secondo
 giurisprudenza  consolidata,  infatti,  tale  norma,  devolvendo alla
 cognizione in unico grado della Corte  d'appello  l'opposizione  alla
 stima  e'  di carattere eccezionale e non e' applicabile, quindi, per
 analogia.
    Deve     dichiararsi     infondata,     pertanto,      l'eccezione
 d'inammissibilita'   della   questione   prospettata  dall'Avvocatura
 generale dello Stato.
    3. - Nel merito la questione e' fondata  nei  limiti  che  saranno
 indicati.
    Secondo  la  procedura  espropriativa regolata dalla l. n. 865 del
 1971 il Presidente della giunta regionale (art. 11) nel decreto,  col
 quale  dichiara  la  pubblica utilita' delle opere, "indica la misura
 dell'indennita'  di  espropriazione,  da   corrispondere   a   titolo
 provvisorio  agli  aventi  diritto".  Tale  decreto e' pubblicato per
 estratto nel bollettino ufficiale della regione e  nel  foglio  degli
 annunci  legali  della  provincia  e  l'ammontare  dell'indennita' e'
 comunicato ai proprietari espropriandi, nelle forme previste  per  la
 notificazione degli atti processuali civili.
    Della  liquidazione  dell'indennita'  non  va  data  comunicazione
 all'espropriante;  ne'  e'  a  questo  attribuito  alcun   mezzo   di
 contestazione della misura di essa.
    I  proprietari espropriati (art. 12), entro trenta giorni, possono
 comunicare   al   Presidente   della   giunta   e    all'espropriante
 l'accettazione  dell'indennita':  in  tale  caso ne viene ordinato il
 pagamento da parte dell'espropriante agli espropriati entro  sessanta
 giorni.
    Qualora  l'indennita'  non  sia accettata, si apre (art. 15, primo
 comma)   la   procedura   amministrativa   per   la    riliquidazione
 dell'indennita' a titolo definitivo.
    Avvenuta la determinazione definitiva, l'espropriante "comunica le
 indennita'   ai  proprietari  degl'immobili  ai  quali  le  stime  si
 riferiscono,  mediante  avvisi  notificati  nelle  forme  degli  atti
 processuali  civili" (art. 15, secondo comma) e deposita la relazione
 di stima nella segreteria comunale, dandole pubblicita' con avviso da
 affiggere nell'albo del comune e da inserire nel foglio degli annunci
 legali della provincia. Entro trenta giorni da tale inserzione  (art.
 19) i proprietari, gli altri interessati al pagamento dell'indennita'
 e l'espropriante possono proporre opposizione alla stima davanti alla
 Corte d'appello competente per territorio.
    4. - Da tale quadro normativo emerge che l'espropriante, mentre ai
 sensi  dell'art.  19  puo' proporre opposizione alla stima avverso la
 determinazione dell'indennita' effettuata ai sensi dell'art. 16,  non
 puo'  proporla  avverso  quella  effettuata  ai  sensi  dell'art. 11,
 divenuta definitiva  in  base  all'art.  12  per  l'accettazione  dei
 proprietari dei beni espropriati.
    Detta  disciplina,  pertanto, come ha dedotto il giudice a quo, si
 pone in contrasto con l'art. 24 Cost.,  che  garantisce  a  tutti  il
 diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti.
    Va  osservato  al  riguardo  che  l'art.  42,  terzo comma, Cost.,
 prescrive che la proprieta' privata puo' essere,  nei  casi  previsti
 dalla  legge  e  salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse
 generale.
    Tale  disposizione  conferisce  una  posizione  costituzionalmente
 protetta al soggetto espropriato, con la conseguente pretesa  diretta
 ad  ottenere  la corresponsione dell' indennita', intesa come congruo
 ristoro  per  la  perdita  del  bene  (e  non  necessariamente   come
 corrispettivo  commisurato  al  suo  valore  reale: cfr. da ultimo la
 sentenza n. 216 del 1990). Peraltro, il contenuto della  disposizione
 non si esaurisce in cio'.
    Essa,  stabilendo  il  principio dell'indennizzo, da quantificarsi
 entro il limite massimo del valore reale del bene (sentenza  n.  1022
 del 1988), garantisce anche all'espropriante la pretesa di non essere
 tenuto  a  pagare,  in conseguenza dell'espropriazione, nulla di piu'
 del congruo ristoro.
    Questo si configura,  infatti,  come  misura  economica  unitaria,
 diretta  a regolare i rapporti tra i diversi soggetti interessati; la
 sua sfera di applicabilita' non si  limita,  dunque,  alla  posizione
 originaria  dell'espropriato,  ma,  operando gli stessi presupposti e
 finalita', comprende anche l'espropriante, per ragioni di omogeneita'
 di trattamento e, quindi, di  eguaglianza  nell'ambito  dello  stesso
 procedimento espropriativo.
    Invero,  l'espropriante, essendo il beneficiario del trasferimento
 del bene (e dell'opera alla quale il bene serve),  si  pone  come  il
 soggetto  sostanzialmente  interessato  all'acquisizione  della  cosa
 trasferita  e  come  obbligato  alla  corresponsione  dell'indennizzo
 liquidato ed accettato.
    5.  -  Le anzidette garanzie dell'espropriato e dell'espropriante,
 debbono trovare (alla stregua dell'art. 24 della Costituzione) tutela
 giurisdizionale,  che   le   leggi   regolatrici   dei   procedimenti
 espropriativi non possono pretermettere.
    Incorre  pertanto  nella  violazione dell'art. 24 Cost. l'art. 12,
 quinto comma, della l. 22 ottobre  1971,  n.  865.  Tale  norma,  per
 l'ipotesi     dell'accettazione,     da    parte    dell'espropriato,
 dell'indennita'  provvisoria  liquidata  ai   sensi   dell'art.   11,
 stabilisce  che  l'espropriante  deve  procedere al pagamento di essa
 entro sessanta giorni dal provvedimento col quale il Presidente della
 giunta  regionale  dispone  detto  pagamento,  senza  prevedere   che
 l'espropriante  - ove ritenga l'indennita' eccedente i limiti innanzi
 indicati - possa agire in giudizio per contestarne la misura.
    La norma anzidetta (nel testo modificato dall'art. 14 della l.  n.
 10  del  1977),  va quindi dichiarata costituzionalmente illegittima,
 nella parte in cui non prevede che l'espropriante, in alternativa  al
 pagamento  dell'indennita'  accettata, possa esperire, entro sessanta
 giorni, opposizione ai sensi dell'art. 19.
   Pronunciata   l'illegittimita'   anzidetta,   nessuna    violazione
 dell'art.  24 Cost. residua negli art. 11, commi primo e terzo, e 12,
 commi secondo, terzo e settimo della l. n. 865 del 1971 - riguardanti
 la determinazione dell'indennita' provvisoria, la pubblicita' che  ne
 deve  essere  data,  le modalita' della sua accettazione da parte dei
 proprietari   espropriati   e   del   suo    pagamento    da    parte
 dell'espropriante - cosicche' la questione va dichiarata infondata in
 parte qua.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
       a)  dichiara  l'illegittimita'  costituzionale del quinto comma
 dell'art.  12  della  l.  22  ottobre  1971,  n.  865  (Programmi   e
 coordinamento   dell'edilizia   residenziale  pubblica;  norme  sulla
 espropriazione per pubblica utilita'), cosi'  come  modificato  dalla
 legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilita' dei suoli),
 nella  parte in cui non prevede che l'espropriante, in alternativa al
 pagamento dell'indennita' accettata dall'espropriato, possa  esperire
 entro sessanta giorni opposizione ai sensi dell'art. 19;
       b)   dichiara   non   fondata   la  questione  di  legittimita'
 costituzionale degli artt. 11,  commi  primo  e  terzo  e  12,  commi
 secondo,  terzo e settimo, della predetta l. 22 ottobre 1971, n. 865,
 cosi' come modificato dalla l. 28 gennaio 1977, n. 10,  sollevata  in
 riferimento  all'art. 24 della Costituzione, dalla Corte d'appello di
 Torino, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'8 aprile 1991.
                       Il Presidente: CORASANITI
                        Il redattore: PESCATORE
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 22 aprile 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 91C0519