N. 208 ORDINANZA 23 aprile - 13 maggio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale - Procedimento pretorile - Richiesta di applicazione
 della pena - Termini - Incongruita'  -  Ragionevolezza  della  scelta
 legislativa - Manifesta inammissibilita' e manifesta infondatezza.
 
 (C.D.  degli artt. 446, primo comma, 549 e 563, primo e quarto comma,
 del c.p.p.; c.p.p., art. 563, quarto comma).
 
 (Cost., artt. 76 e 25, primo comma)
(GU n.20 del 22-5-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
    CASAVOLA,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 563, quarto
 comma, del codice di procedura penale, "e, in ipotesi, del  combinato
 disposto  degli  artt.  446, primo comma, 549 e 563, primo comma, del
 codice di procedura penale", promossi con  12  ordinanze  emesse  dal
 Pretore  di  Perugia, iscritte rispettivamente ai nn. 22, 36, 37, 38,
 54, 55, 56, 57,  74,  75,  76,  77  del  registro  ordinanze  1991  e
 pubblicate  nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica artt. 6, 7 e 8,
 prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 10 aprile 1991 il Giudice
 relatore Mauro Ferri;
    Ritenuto che il  Pretore  di  Perugia,  con  dodici  ordinanze  di
 contenuto identico, ha sollevato - in riferimento agli artt. 76 e 25,
 primo   comma,   della   Costituzione  -  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 563, quarto comma, del codice  di  procedura
 penale, "e, in ipotesi, del combinato disposto degli artt. 446, primo
 comma, 549 e 563, primo comma, del codice di procedura penale", nella
 parte in cui consente all'imputato, anche nel procedimento pretorile,
 di presentare la richiesta prevista nell'art. 444, primo comma, dello
 stesso  codice  dopo  la  scadenza  del  termine  di  15 giorni dalla
 notificazione del decreto di citazione a giudizio  (art.  555,  primo
 comma,   lett.   e),  e  fino  alla  dichiarazione  di  apertura  del
 dibattimento;
      che il giudice remittente osserva,  innanzitutto,  in  punto  di
 rilevanza,  che  a suo avviso e' unicamente l'art. 563, quarto comma,
 del codice di procedura penale  (secondo  cui  "Se  la  richiesta  e'
 formulata dopo la scadenza del termine previsto nell'art. 555 comma 1
 lettera  e), e' competente a decidere il pretore del dibattimento") a
 consentire all'imputato la anzidetta facolta', ma che, tuttavia,  ove
 la  disposizione  impugnata  dovesse  ritenersi meramente esplicativa
 della disciplina comunque applicabile al giudizio pretorile in virtu'
 del richiamo operato dagli artt. 549 e  563,  primo  comma,  all'art.
 446,  primo  comma,  del  codice  di  procedura  penale, la sollevata
 questione di costituzionalita'  andrebbe,  in  tale  ipotesi,  estesa
 anche al combinato disposto di queste ultime norme;
      che,  in  punto  di non manifesta infondatezza, il giudice a quo
 osserva che la normativa in esame viola, in primo  luogo,  l'art.  76
 della  Costituzione,  per  contrasto  con  la  direttiva n. 103 della
 legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, la quale renderebbe necessitata
 un'ulteriore semplificazione degli istituti  del  giudizio  pretorile
 rispetto  a  quelli previsti per il procedimento dinanzi al tribunale
 e,    in    particolare,    richiederebbe,    quanto     all'istituto
 dell'applicazione  della  pena  su  richiesta,  l'eliminazione  della
 possibilita'  per  l'imputato  di  formulare  tale   richiesta   fino
 all'apertura  del  dibattimento  -  come  stabilito  nei  giudizi  di
 tribunale - anziche' entro il piu' ristretto  termine  di  15  giorni
 dalla notificazione del decreto di citazione;
      che  il  prolungamento  del  termine  fino alla dichiarazione di
 apertura del dibattimento, prosegue il  giudice  remittente,  sarebbe
 del  tutto incongruo nel giudizio pretorile, stante l'assenza in tale
 procedimento  dell'udienza   preliminare   e   la   cristallizzazione
 dell'accusa  nel decreto di citazione, per cui il detto prolungamento
 avrebbe l'unica conseguenza di rendere necessario  il  compimento  di
 una   serie   di   incombenti   finalizzati   alla  celebrazione  del
 dibattimento e tuttavia suscettibili di essere posti nel nulla da una
 successiva richiesta di  patteggiamento  avanzata  dall'imputato  col
 consenso del pubblico ministero;
      che,  infine,  la  norma impugnata violerebbe anche il principio
 del giudice naturale precostituito di cui all'art. 25,  primo  comma,
 della  Costituzione, consentendo all'imputato di scegliere il giudice
 competente a  decidere  sulla  richiesta  (giudice  per  le  indagini
 preliminari  o  pretore  del  dibattimento) sulla base della semplice
 opzione in  ordine  alla  fase  del  giudizio  in  cui  formulare  la
 richiesta stessa;
      che e' intervenuto nei presenti giudizi (tranne che in quelli di
 cui  alle  ordinanze  artt.  37, 38 e 56 reg. 1991) il Presidente del
 Consiglio  dei  ministri,  concludendo   per   l'infondatezza   della
 questione;
    Considerato  che  i giudizi, concernendo identica questione, vanno
 riuniti e decisi congiuntamente;
      che, innanzitutto, va  ritenuta  ammissibile  esclusivamente  la
 questione   relativa  all'art.  563,  quarto  comma,  del  codice  di
 procedura penale, in quanto e' questa la sola  disposizione  che,  ad
 avviso  del  giudice  a  quo,  consente  all'imputato  la facolta' di
 richiedere l'applicazione  della  pena  fino  alla  dichiarazione  di
 apertura del dibattimento, ed e', quindi, l'unica che egli ritiene di
 dover applicare nella fattispecie;
     che,  di  conseguenza,  la  questione  concernente  il  combinato
 disposto degli artt. 446, primo comma, 549  e  563,  primo  e  quarto
 comma,  del  codice  di  procedura penale, essendo prospettata in via
 subordinata ed in forma meramente ipotetica (ipotesi, peraltro, dallo
 stesso giudice  a  quo  chiaramente  non  condivisa),  va  dichiarata
 manifestamente  inammissibile,  secondo la costante giurisprudenza di
 questa Corte (cfr., ad esempio, sentt. nn.  182  del  1984,  146  del
 1985, 456 del 1989);
      che,  nel  merito,  la  dedotta  violazione  della  legge-delega
 evidentemente non sussiste, in quanto la direttiva artt.  103  lascia
 al legislatore delegato un ampio spazio di discrezionalita' in ordine
 alla   disciplina  delle  concrete  modalita'  di  funzionamento  del
 processo pretorile e, in particolare, in merito  alla  individuazione
 dei  casi  e  dei  limiti  nei  quali  attuare  in  tale processo una
 semplificazione degli istituti previsti per il  procedimento  davanti
 al  tribunale,  onde  adeguarli  alla  naturale  maggior  celerita' e
 snellezza del giudizio pretorile;
      che, nel caso di specie,  tale  discrezionalita'  non  e'  stata
 certamente  adoperata  in modo irragionevole, in quanto e' assorbente
 rilevare che l'aver lasciato inalterata -  rispetto  al  procedimento
 dinanzi  al  tribunale  -  la facolta' per l'imputato di formulare la
 richiesta di applicazione di una pena fino all'ultimo  momento  utile
 (dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento) costituisce evidente
 espressione del favor per  i  riti  differenziati  -  alternativi  al
 dibattimento  -  la  cui  incentivazione,  come  si legge anche nella
 relazione al progetto preliminare, mira in  definitiva  a  perseguire
 proprio  quella  finalita'  di  massima  semplificazione invocata dal
 remittente;
      che, infine, e'  chiaramente  da  escludere  la  violazione  del
 principio   del   giudice  naturale  (art.  25,  primo  comma,  della
 Costituzione), in quanto, come questa Corte ha gia'  avuto  occasione
 di  osservare  proprio  in relazione all'istituto in esame (cfr. ord.
 artt. 353 del  1990),  il  fatto  che  l'imputato  sia  abilitato  ad
 avanzare   la   richiesta  di  applicazione  della  pena  nell'una  o
 nell'altra  fase  del  giudizio  non  implica  lesione  del  suddetto
 principio,  giacche'  e'  pur  sempre  la legge che precostituisce il
 giudice competente ad applicare la pena nelle varie fasi  durante  la
 pendenza del termine;
      che,  in  conclusione, la questione va dichiarata manifestamente
 infondata sotto ogni profilo;
    Visti gli artt. 26, secondo comma,  della  legge  11  marzo  1953,
 artt.  87,  e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi
 davanti alla Corte costituzionale;
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
       a)  dichiara  la  manifesta inammissibilita' della questione di
 legittimita' costituzionale del combinato disposto degli  artt.  446,
 primo comma, 549 e 563, primo e quarto comma, del codice di procedura
 penale,  in  riferimento  agli  artt.  76  e  25,  primo comma, della
 Costituzione, sollevata dal Pretore di Perugia con  le  ordinanze  in
 epigrafe;
       b)  dichiara  la  manifesta  infondatezza  della  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 563, quarto comma,  del  codice
 di  procedura penale, in riferimento agli artt. 76 e 25, primo comma,
 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Perugia con le  medesime
 ordinanze.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 23 aprile 1991.
                       Il Presidente: CORASANITI
                          Il redattore: FERRI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 13 maggio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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