N. 23 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 17 maggio 1991

                                 N. 23
 Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
 cancelleria  il  17  maggio  1991 (del commissario dello Stato per la
 regione Sicilia)
 Sanita' pubblica - Norme in materia di personale delle uu.ss.ll. -
    Inquadramento  in  una  determinata  qualifica  mediante  concorso
    riservato  al personale di ruolo in possesso del prescritto titolo
    professionale - Inquadramento in  ruolo,  mediante  selezione  per
    titoli,  di personale appartenente al secondo e quarto livello che
    abbia prestato servizio in posizione di precariato per almeno  sei
    mesi  nel  biennio  1989-90  -  Immissione  in ruolo del personale
    proveniente dagli  enti  locali  e  da  istituti  mutualistici  in
    profili  professionali  superiori rispetto a quelli indicati nella
    tabella di equiparazione - Violazione  dei  principi  fondamentali
    stabiliti  dalla  legislazione  statale in materia - Incidenza sui
    principi di imparzialita' e buon  andamento  della  p.a.  -  Altro
    motivo  di  illegittimita':  comunicazione  dell'approvazione  del
    disegno di legge al commissario dello Stato  oltre  il  prescritto
    termine  di  tre  giorni  -  Critica, in proposito, alla pronuncia
    della  Corte  costituzionale  (sentenza  n.  365/1990)  circa  gli
    effetti di tale inosservanza.
 (Legge regione Sicilia 1-2 maggio 1991).
 (Cost., art. 97; statuto speciale regione Sicilia, artt. 17, lettere
    b) e c), 28 e 29).
(GU n.24 del 19-6-1991 )
    L'assemblea  regionale  siciliana,  nella  seduta  n. 370 del 1º-2
 maggio 1991, ha approvato il disegno di legge n. 745, 418, 539,  589,
 628  e  701/A  dal titolo "Norme in materia di personale delle unita'
 sanitarie locali", comunicato a questo commissariato dello  Stato  il
 successivo 6 maggio 1991.
    Con il predetto disegno di legge, il legislatore regionale prevede
 una  serie  di  interventi  a  favore del personale in servizio nelle
 unita'  sanitarie  locali  della  Sicilia,   ora   finalizzato   alla
 modificazione   del   profilo   professionale   rivestito   ora  alla
 acquisizione  di specifiche professionalita' nonche' alla definizione
 di situazioni di precario  (o  alla  integrazione  delle  tabelle  di
 equiparazione gia' contenute nella legge regionale n. 34/1987).
    Tale  intervento nella materia dello stato giuridico del personale
 delle unita' sanitarie locali desta non poche perplessita' sul  piano
 della legittimita' costituzionale.
    Giova   rilevare   infatti,  preliminarmente,  che  la  competenza
 legislativa della Regione in subiecta materia  deriva  dall'art.  47,
 della  legge  n.  833,  del 23 dicembre 1978, istitutiva del servizio
 sanitario nazionale, che, nel delegare al Governo la  predisposizione
 di provvedimenti intesi a disciplinare in maniera uniforme, per tutto
 il  territorio  nazionale,  la  materia  dello  stato  giuridico  del
 personale in questione, affida - al quarto comma -  alle  regioni  il
 potere  di  "emanare norme per la loro attuazione", in relazione alla
 rispettiva competenza legislativa.
    Per la regione siciliana, l'art. 17, lett. b) e c), dello  statuto
 speciale   nel  prevedere  l'esercizio  della  potesta'  legislativa,
 cosiddetta concorrente, "entro i limiti  dei  principi  ed  interessi
 generali  cui  si  informa  la  legislazione dello Stato" nel settore
 della sanita', ne  circoscrive,  dunque,  l'ambito  entro  i  confini
 ristretti della mera attuazione delle disposizioni statali per quanto
 attiene il personale di cui trattasi.
    Queste  ultime  disposizioni  sono  contenute  prevalentemente nel
 decreto legislativo delegato (d.P.R. n.761 del 20 dicembre 1979), che
 ha individuato puntualmente i meccanismi e le regole che informano la
 gestione del personale del servizio  sanitario  nazionale  il  quale,
 benche'  inserito  in  ruoli nominativi a livello regionale, viene ad
 essere considerato unitariamente.
    Tale uniformita', sia nella fase dell'accesso alle carriere e alle
 singole qualifiche, sia nel corso della progressione  nelle  carriere
 medesime  corrisponde  al  duplice  generale interesse dello Stato di
 assicurare omogeneita'  di  trattamento  del  personale  sanitario  -
 rendendone peraltro cosi' attuabile la mobilita' anche extraregionale
 -   ma,  in  definitiva  per  garantire  attraverso  professionalita'
 omogenee l'uniformita' delle condizioni e garanzie  della  salute  su
 tutto il territorio nazionale.
    Invero,  dalle  disposizioni  regionali  qui  in  esame non sembra
 emergere un risultato  "attuativo"  delle  previsioni  statali  nella
 materia, atteso che esse sembrano tendere, invece, alla realizzazione
 di   interessi   confliggenti   con   i   principi  ricavabili  dalla
 legislazione nazionale e in  pari  tempo  rivolti  essenzialmente  ad
 assicurare  il  perseguimento  di  scopi particolaristici, attraverso
 modalita' non consentite dalla legislazione  statale  di  riferimento
 per  le  singole  fattispecie  assunte  ad oggetto delle disposizioni
 medesime.
    Passando ora ad una disamina delle singole previsioni,  si  rileva
 anzitutto  che  il  meccanismo  dell'inquadramento in una determinata
 qualifica mediante  concorso  riservato  al  personale  di  ruolo  in
 possesso   del   prescritto   titolo  professionale  e/o  di  studio,
 contemplato negli artt. 1, 2, 4 e 7, si pone nettamente in  contrasto
 con   la   normativa  generale  delle  assunzioni  mediante  pubblico
 concorso, garantite dagli artt. 51 e 97 della Costituzione, e dettata
 nella specie dall'art. 12 del  d.P.R.  n.  761/1979  e  dal  relativo
 decreto del Ministero della sanita' 30 gennaio 1982.
    Vero  e'  che  lo  stesso  d.P.R.  n. 761/1979 nonche' la legge n.
 207/1985  prevedono  la  possibilita'  di  espletamento  di  concorsi
 riservati;  ma  entrambe  le  ipotesi  non  sono  conferenti  con  le
 fattispecie ora prese in considerazione  dal  legislatore  regionale,
 atteso  che  non  si  tratta  del personale precario, cola' previsto,
 bensi' di personale gia' inserito nei ruoli  delle  unita'  sanitarie
 locali,   cui  viene  solo  chiesto  di  essere  in  possesso  di  un
 determinato titolo professionale senza fare  riferimento  nemmeno  ad
 altri  requisiti  quali,  per  esempio,  le  mansioni  svolte  oppure
 l'anzianita' di servizio.
    Altro  modo  di  superare  le  disposizioni  statali  si   ravvisa
 nell'art.  8  del  disegno di legge in questione, laddove e' previsto
 l'inquadramento in ruolo  di  personale  appartenente  al  secondo  e
 quarto   livello,   che  abbia  prestato  servizio  in  posizione  di
 precariato per un limitato periodo di  tempo  (almeno  sei  mesi  nel
 biennio  1989-1990), sempre mediante selezione riservata, per titoli,
 e prescindendo dall'iscrizione nelle liste di collocamento.
    L'illegittimita'  costituzionale  della  norma  in  considerazione
 risulta  determinata,  intanto, dalla circostanza che l'inquadramento
 del  personale  in  questione  non  sembra  rispondere  ad  effettive
 esigenze  di  servizio  dell'Amministrazione,  tant'e'  che  ne viene
 previsto il  mantenimento,  anche  in  soprannumero  (art.  8,  terzo
 comma),  violando  cosi'  il  principio  del  buon  andamento, di cui
 all'art. 97 della Costituzione.
    Ma la violazione, che questa disposizione realizza, e' quella  che
 deriva   dalla  stessa  previsione  dell'inquadramento  in  ruolo,  a
 domanda, prescindendosi dall'iscrizione nelle liste di collocamento.
    Al riguardo, puo' ben osservarsi che mentre la  regione  siciliana
 non  ha la potesta' legislativa per definire nel modo prescritto (con
 l'inquadramento) la posizione dei precari che hanno prestato servizio
 nelle u.s.l. nel biennio 1989/1990, l'avere previsto l'esclusione del
 requisito dell'iscrizione nelle liste di collocamento  estromette  di
 fatto  il procedimento dettato per le assunzioni nel pubblico impiego
 - settore sanita' compreso e relativamente ai primi  quattro  livelli
 funzionali  - con i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri
 n. 392/1987 e del 27 dicembre 1988, in attuazione dell'art. 16  della
 legge n. 56 del 28 febbraio 1987.
    Gli  articoli  5,  9 e 10 del disegno di legge, benche' riguardino
 destinatari  che  rivestono  posizioni  giuridiche  diverse,  possono
 essere  esaminati congiuntamente poiche' utilizzano lo stesso tipo di
 provvedimento ai fini  dell'inserimento  del  personale  nei  profili
 professionali di cui agli stessi articoli, ma sempre in contrasto con
 le  puntuali  definizioni  contenute  nella  legislazione  statale  e
 segnatamente nelle tabelle di equiparazione  allegate  al  d.P.R.  n.
 761/1979.
    In   particolare,   con   gli   artt.   5   e  10  viene  previsto
 l'inquadramento di personale proveniente rispettivamente  dagli  enti
 locali  e da istituti mutualistici in profili professionali superiori
 rispetto a quelli indicati nelle cennate  tabelle  di  equiparazione;
 l'art.  9  formula,  invece,  una  equiparazione non prevista in sede
 nazionale, determinando cosi' una possibile difformita'  rispetto  ad
 analoghe figure professionali nel rimanente territorio nazionale.
    Non  ci  si puo' esimere, ancora dal censurare pure l'art. 11, che
 prospetta l'applicazione  agli  assistenti  amministrativi  ancorche'
 siano  in  possesso  di  diploma  di  scuola media superiore e di una
 anzianita' nella  qualifica  di  appartenenza  di  cinque  anni,  del
 "beneficio"   dell'inquadramento  nella  qualifica  di  collaboratore
 direttivo - per la quale, in via normale e' richiesta la laurea -  in
 applicazione  di  un  accordo  nazionale  unico  del 1979, che faceva
 riferimento ad un'epoca,  il  1º  marzo  1978,  in  cui  il  servizio
 sanitario  nazionale  e  la  relativa  disciplina  del  personale non
 esistevano ancora.
    Parimenti censurabili,  dal  punto  di  vista  della  legittimita'
 costituzionale, si ritengono, ancora, gli artt. 12 e 13 che prevedono
 la   istituzione   di   posti  della  qualifica  intermedia  mediante
 trasformazione di quella iniziale, rispettivamente per i profili  dei
 medici   e   degli   psicologi   dei   consultori   familiari.   Tale
 trasformazione, che comprende la totalita' dei  posti  in  questione,
 pare  non tenere conto delle indicazioni contenute negli artt. 78 e 8
 del d.P.R.  n.  384/1990,  che  autorizzano  le  regioni  ad  operare
 unicamente  la  detta  trasformazione,  peraltro  entro  ben definiti
 limiti percentuali, e non anche a prevedere la relativa copertura dei
 posti risultanti, la cui disciplina e' invece demandata al  Ministero
 della Sanita'.
    Da  quanto  teste' esposto, la previsione del concorso "riservato"
 agli assistenti medici ed  ai  collaboratori  psicologi  in  servizio
 presso  le strutture in questione, oltre alle gia' esposte censure di
 carattere  generale,  relativamente  alla  procedura   in   questione
 (concorso  riservato)  si  connota  come  un'ulteriore  ingerenza del
 legislatore regionale in un ambito che gli e' estraneo.
    Non puo', infine, omettersi dal rilevare che pure le  disposizioni
 contenute nell'art. 6 danno modo di formulare rilievi sul piano della
 legittimita'  costituzionale,  atteso che la regione siciliana, sulla
 base di analoga disciplina statale (legge n. 243 del 3 giugno  1980),
 autorizza   la   istituzione   di   corsi   speciali  per  infermieri
 professionali, riservati  agli  operatori  professionali  di  seconda
 categoria   (infermieri  generici),  che  abbiano  prestato  servizio
 continuativo per un periodo non inferiore a quattro anni.
    Da un raffronto tra le  disposizioni  statale  e  regionale  sopra
 riferite,  non  puo'  farsi a meno di rilevare che mentre la legge n.
 243/1980  contiene  una  efficacia  limitata  nel  tempo  e  in   via
 straordinaria  e cio' riveste particolare valenza sia in relazione al
 regime delle ammissioni (quale si delinea per l'esclusione dell'esame
 colloquio, in determinati casi) sia  per  l'articolazione  dei  corsi
 stessi  su  "particolari  piani  di studio" (per le singole pregresse
 esperienze abilitative e lavorative degli  allievi),  il  legislatore
 regionale,  invece,  assume  gli  stessi  criteri  per  prevedere  lo
 svolgimento di detti corsi "a regime",  consentendo  agli  infermieri
 generici  una  via privilegiata, rispetto agli esterni, per l'accesso
 alla qualifica immediatamente superiore.
    Vero e' che la stessa regione siciliana, con la legge regionale n.
 22 del 1978, istitutiva di scuole  di  formazione  professionale  per
 personale  sanitario  non medico, aveva previsto (art. 19 della legge
 regionale 22/1/978) particolari agevolazioni per l'ammissione a detti
 corsi degli infermieri generici gia' in servizio, ma  e'  altrettanto
 vero  che  la  successiva  legge statale n. 243 del 1980 aveva inteso
 razionalizzare e porre  anche  un  limite  temporale,  oltre  che  di
 perseguibilita',  a  certi  sistemi  di conseguimento "straordinario"
 della  professionalita',  anche  se  riferiti  ad  una  categoria  di
 personale (i generici, appunto) ormai in esaurimento.
    Tutte  queste  considerazioni,  in  esame  con  quella,  non  meno
 rilevante,  ad  avviso  del   ricorrente,   della   possibilita'   di
 adeguamento  degli organici "in relazione al numero degli abilitati",
 oltre che con la normativa statale di settore, configurano  un  netto
 contrasto   anche,   e   forse  soprattutto,  con  quei  principi  di
 ragionevolezza e di non arbitrarieta' che stanno alla base del  "buon
 andamento"  nell'attivita'  della  Pubblica  amministrazione  di  cui
 all'art. 97 della Costituzione.
    Sulla base di quanto precede, non puo' a questo punto farsi a meno
 di porre mente alle  conseguenze  che  deriverebbero  presumibilmente
 dall'attuazione  delle  disposizioni  contenute nella legge regionale
 teste' approvata e che consistono  in  un  inevitabile  accrescimento
 delle   dotazioni   organiche   ai  vari  livelli  -  a  causa  delle
 disponibilita' che si verificherebbero nei profili di provenienza dei
 dipendenti  transitati  alle  qualifiche  superiori,  per  esempio  -
 determinandosi,  al  contempo, una lievitazione della spesa sostenuta
 per il personale; e tutto questo proprio in  un  momento  in  cui  le
 tendenze  della  legislazione  nazionale,  in vigore e in itinere, si
 rivolgono verso tutt'altra direzione.
    Le sopra esposte motivazioni in  ordine  alla  illegittimita'  del
 provvedimento   di   cui   trattasi,  con  riferimento  ai  parametri
 legislativi che limitano, in questa materia forse piu'  che  in  ogni
 altra,  la  potesta' di intervento del legislatore regionale, trovano
 del  resto  conforto  ed  autorevole  sostegno,  nella  ricorrente  e
 consolidata giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte nella materia, che
 ha  contribuito  a  delimitarne i confini in maniera talmente netta e
 precisa che si  ritiene  davvero  superfluo,  e  quasi  irriguardoso,
 richiamarla in questa sede.
    Ma  questo,  ancora,  induce a rafforzare la tesi sostenuta con il
 presente   gravame   riguardo   alla    totale    incostituzionalita'
 dell'articolato  che  ora  viene  sottoposto  al  giudizio di codesto
 Consesso, articolato che, in relazione ai contenuti ed alla finalita'
 perseguita,  si  ritiene  assumere  piuttosto  i  connotati  di   una
 "classica" legge di fine legislatura, una.. .. .. zattera lanciata in
 mezzo  alla  procella della disoccupazione, giovanile in particolare,
 su cui s'imbarca chiunque, con l'aiuto di chiunque.. .. ..
    Non per nulla, difatti, in Assemblea  (si  vedano  al  riguardo  i
 resoconti  parlamentari  anche perche' non vogliamo appropriarci di..
 .. ..   materia altrui),  un  deputato  ha  proposto,  dalla  tribuna
 parlamentare,  di immettere, nel ruolo del personale dipendente delle
 uu.ss.ll., anche "i degenti" (si', proprio questi³) che abbiano avuto
 la ventura (la fortuna) di essere ricoverati  in  un  ospedale  delle
 uu.ss.ll.    siciliane,  per  un  periodo  di almeno 180 giorni in un
 quinquennio, pure se discontinuamente.. .. ..
    Queste considerazioni - che possono sembrar fuori di luogo  in  un
 ricorso  a  codesta  ecc.ma  Corte, cui comunque e sempre si porta la
 massima deferenza e il doveroso rispetto - si espongono qui  soltanto
 per  far  conoscere  a codesta ecc.ma Corte il clima e le temperie in
 cui questo disegno di legge - che doverosamente  non  si  poteva  non
 impugnare  -  e'  nato,  tra  una  ridda di emendamenti, votazioni ed
 interminabili discussioni.
    La  "dequalificazione"  del  servizio  sanitario nazionale, che e'
 sotto gli occhi, anche disattenti, di  tutti,  cosi'  certamente  non
 diminuisce,   proprio   quando   si  tenta,  in  sede  nazionale,  di
 migliorarlo, di renderlo funzionale quasi come il servizio  reso  dai
 privati e dagli altri Stati europei.
    Sicuramente  un  provvedimento  che  ha  come unico scopo - sembra
 almeno - quello di "favorire" il personale, di svariate qualifiche  e
 funzioni  (i  diritti  e  gli interessi legittimi di questa fascia di
 lavoratori non si vogliono qui  assolutamente  disattendere;  non  e'
 questa  la  sede),  trascurando il "pubblico", la salute pubblica nel
 caso. Se le retribuzioni - ed e' questo, in ultima analisi,  il  fine
 precipuo  di  provvedimenti  legislativi  del  genere  - si ritengono
 inadeguate,  insufficienti,  si   provveda   allora   ad   aumentarle
 deliberatamente  ove  possibile,  senza ricorrere ad "espedienti" del
 genere attribuendo, o facendo conseguire,  a  dipendenti  del  S.S.N.
 siciliano  qualifiche  e funzioni cui si puo' pervenire con ben altre
 selezioni e titoli, in conformita' al  disposto  dell'art.  97  della
 Costituzione  e  violando  anche  il principio di uguaglianza (art. 3
 della Costituzione); senza dire che, cosi' operandosi, si dilatano  a
 dismisura  -  come  gia' detto - e gli organici e la spesa pubblica e
 non si consente ai giovani, specie in cerca di prima occupazione,  di
 poter   partecipare   a  concorsi  pubblici  (dalla  terza  qualifica
 funzionale in poi, in  Sicilia).  E  cio'  proprio  quando  lo  Stato
 nazionale  ha  ridotto i fondi alle Regioni per il S.S.N., ponendosi,
 pertanto, anche da questo versante, la legge,  in  contrasto  con  le
 norme nazionali di riforma e di principio.
    Questa  legge  (almeno,  sommessamente,  cosi'  sembra)  non e' il
 deliberato di un Parlamento pienamente  responsabile.  Un  Parlamento
 dimostratosi,  nelle  sue  ultime  ore  di  vita,  per  ammissione di
 numerosi suoi stessi componenti, prigioniero di  se  stesso  e  della
 realta' siciliana, che non ha saputo (voluto?), per tempo, governare.
 Senza che, percio', si possa (o si voglia) mancare di riguardo ad una
 istituzione  in  cui  i  siciliani,  nonostante  tutto,  continuano a
 credere e in cui tornano  a  sperare  con  la  nuova  legislatura  di
 giugno.
    "Prima  che  il  gallo  canti" di Cesare Pavese e "Ultimo venne il
 corvo" di Italo Calvino ci danno  modo  di  introdurre  un  ulteriore
 motivo di gravame, in rito; l'ultimo.
    E  cio'  invertendo quello che e' il normale ordine di esposizione
 nei ricorsi.
    Si solleva, in rito,  l'eccezione  di  tardiva  "comunicazione"  e
 percio' di tardivita' dell'impugnato d.d.l.
    Tale  comunicazione  e' difatti avvenuta il 6 maggio 1991 (dopo le
 14), che e' il quarto (4º) giorno  dall'approvazione  del  d.d.l.  da
 parte  dell'a.r.s.; addirittura il quinto giorno se si fa riferimento
 al verbale  dell'ultima  seduta  dell'assemblea  regionale  (la  370a
 seduta),  che  porta  la data del 1º maggio, anche se la stessa si e'
 chiusa alle  ore  8,45  del  2  successivo,  dopo  oltre  23  ore  di
 ininterrotti lavori assembleari. Si precisa peraltro che il d.d.l. in
 questione  e'  stato  approvato nella ultima parte dell'ultima seduta
 legislativa, nelle prime ore del 2 maggio. Si precisa altresi' che il
 giorno precedente a quello della comunicazione era festivo (domenica,
 5 maggio).
    Gia'  con  altro  ricorso  commissariale  (notificato il 12 aprile
 1990), lo scrivente aveva sollevato dinnanzi a codesta  ecc.ma  Corte
 identica  eccezione  procedurale e codesta ecc.ma Corte, con sentenza
 n. 365 dell'11-24 luglio 1990, l'ha respinta, insegnando che il  modo
 di  procedere  censurato,  e  ora  denunciato  "altra conseguenza non
 produce se non che il termine di cinque giorni  dato  al  Commissario
 dello  Stato  per  la  impugnazione  della  legge  regionale  decorre
 dall'ultimo giorno dell'effettivo invio della legge stessa".
    Cio' vuol dire che i giorni in questione (art.  29/2º)  potrebbero
 essere  anche  "nove"; oppure di piu' nel caso di piu' giorni festivi
 consecutivi (e per quello che si dira' anche piu' appresso).
    In concreto, difatti, seguendo l'impostazione gia' data da codesta
 ecc.ma Corte, potrebbe verificarsi quanto segue, con le conseguenze..
 .. .. conseguenti:
    1) la regione "comunica" il d.d.l. il quarto  giorno,  essendo  il
 terzo festivo;
    2) il Presidente della regione, avvalendosi del disposto dell'art.
 29/2º  dello  Statuto, promulga e pubblica il d.d.l. nel nono giorno,
 non avendo ricevuto "entro gli otto giorni" (e percio'  "scorsi  otto
 giorni"), comunicazione impugnativa;
    3)  il  Commissario dello Stato, nel suo quinto giorno utile (che,
 secondo  l'interpretazione  di  codesta  ecc.ma  Corte,  puo'   anche
 benissimo essere il nono), impugna il d.d.l. e notifica il ricorso (a
 legge  gia'  pubblicata³).  E,  sul  punto,  si veda, inoltre, qui di
 seguito.
    Cio'  con  tutto  il..  ..  ..  guazzabuglio  che  ne  deriva.  E'
 possibile,  e'  corretto  cio'?  Contro  tale  tesi  si  e'  espressa
 autorevole dottrina e l'Avvocatura Generale dello Stato perche' si va
 (si andrebbe) contro la lettera ed il chiaro volere del  legislatore,
 su cui peraltro non mette conto qui ulteriormente approfondire.
    Lo   scrivente  prega  pertanto  codesta  ecc.ma  Corte  di  voler
 ritornare, per  un  maggiore  approfondimento,  sulla  questione  dal
 momento  che,  altrimenti,  non  si  potrebbe attribuire una valida e
 costruttiva interpretazione  e  senso  logico  alla  norma  contenuta
 nell'art.   29/2º  dello  statuto  regionale  siciliano,  laddove  e'
 esplicitamente precisato  che  "decorsi  otto  giorni  senza  che  al
 presidente  regionale sia pervenuta copia della impugnazione ovvero..
 .. .." (cio' anche in relazione a  quanto  disposto  dall'art.  13/2º
 dello Statuto).
    Ora, gli otto giorni, il computo - meglio - degli otto giorni, cui
 fa  riferimento il Costituente e' dato dalla somma dei tre (3) giorni
 previsti dallo statuto (art. 28), entro i quali deve essere fatta  la
 "comunicazione"  dei  dd.dd.ll.,  approvati dall'a.r.s.; e dei cinque
 (5) giorni entro i quali il Commissario dello Stato  per  la  regione
 siciliana  deve  notificare il gravame alla regione; e cosi' anche se
 il primo o l'ultimo ovvero uno qualsiasi  dei  giorni  intermedi  sia
 festivo:  i giorni sarebbero, cioe', tutti uguali, festivi e feriali,
 al fine del computo degli otto giorni in questione.
    Una interpretazione che segua il filo del ragionamento  svolto  da
 codesta   ecc.ma   Corte,   nella   decisione   citata,   non   pare,
 verosimilmente e sommessamente,  conducente  e  non  giustificherebbe
 appieno  e compiutamente la norma statutaria, che sembra di lapidaria
 chiarezza.
    Esula,  pertanto  e  peraltro, da questa esposizione e motivazione
 l'esame di altre eventuali ragioni per cui il legislatore costituente
 ha stabilito in otto giorni il termine dopo il  quale  il  Presidente
 della regione puo' promulgare e pubblicare le leggi regionali; e cio'
 dal  momento che in claris non fit interpretatio, come recita un noto
 brocardo latino, ancora attuale. La lettera (anzi  il  numero)  dello
 statuto  e',  sul  punto,  estremamente  chiara (chiaro) ed altro non
 serve ne' per avvalorare la  tesi,  che  si  ostina  lo  scrivente  a
 riproporre, ne' smentirla e confutarla.
    A  codesta ecc.ma Corte comunque il compito di dire, dall'alto del
 suo magistero e scranno, l'ultima, definitiva parola  chiarificatrice
 al riguardo per dare un taglio netto (un "cesareo") ad incertezza che
 si protraggono da e per parecchi lustri.
    E  se  lo  stesso  modo  di  computare  il  tempo e di considerare
 l'ultimo  giorno  festivo  -  come  si  opina  per   uniformita'   di
 interpretazione  - va applicato pure al termine di cinque (5) giorni,
 assegnato  per  l'impugnativa  costituzionale  al  Commissario  dello
 Stato,  il  tempo  (termine)  complessivo,  che dovrebbe precedere la
 promulgazione e la pubblicazione di una legge regionale, si  potrebbe
 potrarre  anche fino a dieci giorni (4 + 6). Ma cio' e' razionalmente
 e logicamente possibile? Che tipo di termine, allora,  e'  quello  di
 cui all'art. 29/2º dello Statuto?
                               P. Q. M.
    E  con  riserva  di presentare memorie illustrative nei termini di
 legge,  il  sottoscritto  prefetto  Antonio   Prestipino   Giarritta,
 commissario  dello Stato per la regione siciliana, ai sensi dell'art.
 28 dello Statuto speciale, con il presente atto, impugna  il  disegno
 di  legge  n. 745, 718, 539, 628, 701/A, dal titolo "Norme in materia
 di personale delle  unita'  sanitarie  locali",  per  violazione  del
 d.P.R.  20  dicembre  1979,  n. 761, dell'art. 47, quarto comma della
 legge  23  dicembre  1978,  n.  833  nonche'   dell'art.   97   della
 Costituzione,  in  relazione ai limiti posti dall'art. 17, lett. b) e
 c)  dello  Statuto   speciale   chiedendone   la   dichiarazione   di
 incostituzionalita'  e, in rito, l'inefficacia del d.d.l. per tardiva
 comunicazione allo scrivente.
      Palermo, addi' 10 maggio 1991
 Il commissario dello  Stato  per  la  regione  siciliana:  PRESTIPINO
 GIARRITTA
 91C0640