N. 23 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 17 maggio 1991
N. 23 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 17 maggio 1991 (del commissario dello Stato per la regione Sicilia) Sanita' pubblica - Norme in materia di personale delle uu.ss.ll. - Inquadramento in una determinata qualifica mediante concorso riservato al personale di ruolo in possesso del prescritto titolo professionale - Inquadramento in ruolo, mediante selezione per titoli, di personale appartenente al secondo e quarto livello che abbia prestato servizio in posizione di precariato per almeno sei mesi nel biennio 1989-90 - Immissione in ruolo del personale proveniente dagli enti locali e da istituti mutualistici in profili professionali superiori rispetto a quelli indicati nella tabella di equiparazione - Violazione dei principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale in materia - Incidenza sui principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. - Altro motivo di illegittimita': comunicazione dell'approvazione del disegno di legge al commissario dello Stato oltre il prescritto termine di tre giorni - Critica, in proposito, alla pronuncia della Corte costituzionale (sentenza n. 365/1990) circa gli effetti di tale inosservanza. (Legge regione Sicilia 1-2 maggio 1991). (Cost., art. 97; statuto speciale regione Sicilia, artt. 17, lettere b) e c), 28 e 29).(GU n.24 del 19-6-1991 )
L'assemblea regionale siciliana, nella seduta n. 370 del 1º-2 maggio 1991, ha approvato il disegno di legge n. 745, 418, 539, 589, 628 e 701/A dal titolo "Norme in materia di personale delle unita' sanitarie locali", comunicato a questo commissariato dello Stato il successivo 6 maggio 1991. Con il predetto disegno di legge, il legislatore regionale prevede una serie di interventi a favore del personale in servizio nelle unita' sanitarie locali della Sicilia, ora finalizzato alla modificazione del profilo professionale rivestito ora alla acquisizione di specifiche professionalita' nonche' alla definizione di situazioni di precario (o alla integrazione delle tabelle di equiparazione gia' contenute nella legge regionale n. 34/1987). Tale intervento nella materia dello stato giuridico del personale delle unita' sanitarie locali desta non poche perplessita' sul piano della legittimita' costituzionale. Giova rilevare infatti, preliminarmente, che la competenza legislativa della Regione in subiecta materia deriva dall'art. 47, della legge n. 833, del 23 dicembre 1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale, che, nel delegare al Governo la predisposizione di provvedimenti intesi a disciplinare in maniera uniforme, per tutto il territorio nazionale, la materia dello stato giuridico del personale in questione, affida - al quarto comma - alle regioni il potere di "emanare norme per la loro attuazione", in relazione alla rispettiva competenza legislativa. Per la regione siciliana, l'art. 17, lett. b) e c), dello statuto speciale nel prevedere l'esercizio della potesta' legislativa, cosiddetta concorrente, "entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato" nel settore della sanita', ne circoscrive, dunque, l'ambito entro i confini ristretti della mera attuazione delle disposizioni statali per quanto attiene il personale di cui trattasi. Queste ultime disposizioni sono contenute prevalentemente nel decreto legislativo delegato (d.P.R. n.761 del 20 dicembre 1979), che ha individuato puntualmente i meccanismi e le regole che informano la gestione del personale del servizio sanitario nazionale il quale, benche' inserito in ruoli nominativi a livello regionale, viene ad essere considerato unitariamente. Tale uniformita', sia nella fase dell'accesso alle carriere e alle singole qualifiche, sia nel corso della progressione nelle carriere medesime corrisponde al duplice generale interesse dello Stato di assicurare omogeneita' di trattamento del personale sanitario - rendendone peraltro cosi' attuabile la mobilita' anche extraregionale - ma, in definitiva per garantire attraverso professionalita' omogenee l'uniformita' delle condizioni e garanzie della salute su tutto il territorio nazionale. Invero, dalle disposizioni regionali qui in esame non sembra emergere un risultato "attuativo" delle previsioni statali nella materia, atteso che esse sembrano tendere, invece, alla realizzazione di interessi confliggenti con i principi ricavabili dalla legislazione nazionale e in pari tempo rivolti essenzialmente ad assicurare il perseguimento di scopi particolaristici, attraverso modalita' non consentite dalla legislazione statale di riferimento per le singole fattispecie assunte ad oggetto delle disposizioni medesime. Passando ora ad una disamina delle singole previsioni, si rileva anzitutto che il meccanismo dell'inquadramento in una determinata qualifica mediante concorso riservato al personale di ruolo in possesso del prescritto titolo professionale e/o di studio, contemplato negli artt. 1, 2, 4 e 7, si pone nettamente in contrasto con la normativa generale delle assunzioni mediante pubblico concorso, garantite dagli artt. 51 e 97 della Costituzione, e dettata nella specie dall'art. 12 del d.P.R. n. 761/1979 e dal relativo decreto del Ministero della sanita' 30 gennaio 1982. Vero e' che lo stesso d.P.R. n. 761/1979 nonche' la legge n. 207/1985 prevedono la possibilita' di espletamento di concorsi riservati; ma entrambe le ipotesi non sono conferenti con le fattispecie ora prese in considerazione dal legislatore regionale, atteso che non si tratta del personale precario, cola' previsto, bensi' di personale gia' inserito nei ruoli delle unita' sanitarie locali, cui viene solo chiesto di essere in possesso di un determinato titolo professionale senza fare riferimento nemmeno ad altri requisiti quali, per esempio, le mansioni svolte oppure l'anzianita' di servizio. Altro modo di superare le disposizioni statali si ravvisa nell'art. 8 del disegno di legge in questione, laddove e' previsto l'inquadramento in ruolo di personale appartenente al secondo e quarto livello, che abbia prestato servizio in posizione di precariato per un limitato periodo di tempo (almeno sei mesi nel biennio 1989-1990), sempre mediante selezione riservata, per titoli, e prescindendo dall'iscrizione nelle liste di collocamento. L'illegittimita' costituzionale della norma in considerazione risulta determinata, intanto, dalla circostanza che l'inquadramento del personale in questione non sembra rispondere ad effettive esigenze di servizio dell'Amministrazione, tant'e' che ne viene previsto il mantenimento, anche in soprannumero (art. 8, terzo comma), violando cosi' il principio del buon andamento, di cui all'art. 97 della Costituzione. Ma la violazione, che questa disposizione realizza, e' quella che deriva dalla stessa previsione dell'inquadramento in ruolo, a domanda, prescindendosi dall'iscrizione nelle liste di collocamento. Al riguardo, puo' ben osservarsi che mentre la regione siciliana non ha la potesta' legislativa per definire nel modo prescritto (con l'inquadramento) la posizione dei precari che hanno prestato servizio nelle u.s.l. nel biennio 1989/1990, l'avere previsto l'esclusione del requisito dell'iscrizione nelle liste di collocamento estromette di fatto il procedimento dettato per le assunzioni nel pubblico impiego - settore sanita' compreso e relativamente ai primi quattro livelli funzionali - con i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 392/1987 e del 27 dicembre 1988, in attuazione dell'art. 16 della legge n. 56 del 28 febbraio 1987. Gli articoli 5, 9 e 10 del disegno di legge, benche' riguardino destinatari che rivestono posizioni giuridiche diverse, possono essere esaminati congiuntamente poiche' utilizzano lo stesso tipo di provvedimento ai fini dell'inserimento del personale nei profili professionali di cui agli stessi articoli, ma sempre in contrasto con le puntuali definizioni contenute nella legislazione statale e segnatamente nelle tabelle di equiparazione allegate al d.P.R. n. 761/1979. In particolare, con gli artt. 5 e 10 viene previsto l'inquadramento di personale proveniente rispettivamente dagli enti locali e da istituti mutualistici in profili professionali superiori rispetto a quelli indicati nelle cennate tabelle di equiparazione; l'art. 9 formula, invece, una equiparazione non prevista in sede nazionale, determinando cosi' una possibile difformita' rispetto ad analoghe figure professionali nel rimanente territorio nazionale. Non ci si puo' esimere, ancora dal censurare pure l'art. 11, che prospetta l'applicazione agli assistenti amministrativi ancorche' siano in possesso di diploma di scuola media superiore e di una anzianita' nella qualifica di appartenenza di cinque anni, del "beneficio" dell'inquadramento nella qualifica di collaboratore direttivo - per la quale, in via normale e' richiesta la laurea - in applicazione di un accordo nazionale unico del 1979, che faceva riferimento ad un'epoca, il 1º marzo 1978, in cui il servizio sanitario nazionale e la relativa disciplina del personale non esistevano ancora. Parimenti censurabili, dal punto di vista della legittimita' costituzionale, si ritengono, ancora, gli artt. 12 e 13 che prevedono la istituzione di posti della qualifica intermedia mediante trasformazione di quella iniziale, rispettivamente per i profili dei medici e degli psicologi dei consultori familiari. Tale trasformazione, che comprende la totalita' dei posti in questione, pare non tenere conto delle indicazioni contenute negli artt. 78 e 8 del d.P.R. n. 384/1990, che autorizzano le regioni ad operare unicamente la detta trasformazione, peraltro entro ben definiti limiti percentuali, e non anche a prevedere la relativa copertura dei posti risultanti, la cui disciplina e' invece demandata al Ministero della Sanita'. Da quanto teste' esposto, la previsione del concorso "riservato" agli assistenti medici ed ai collaboratori psicologi in servizio presso le strutture in questione, oltre alle gia' esposte censure di carattere generale, relativamente alla procedura in questione (concorso riservato) si connota come un'ulteriore ingerenza del legislatore regionale in un ambito che gli e' estraneo. Non puo', infine, omettersi dal rilevare che pure le disposizioni contenute nell'art. 6 danno modo di formulare rilievi sul piano della legittimita' costituzionale, atteso che la regione siciliana, sulla base di analoga disciplina statale (legge n. 243 del 3 giugno 1980), autorizza la istituzione di corsi speciali per infermieri professionali, riservati agli operatori professionali di seconda categoria (infermieri generici), che abbiano prestato servizio continuativo per un periodo non inferiore a quattro anni. Da un raffronto tra le disposizioni statale e regionale sopra riferite, non puo' farsi a meno di rilevare che mentre la legge n. 243/1980 contiene una efficacia limitata nel tempo e in via straordinaria e cio' riveste particolare valenza sia in relazione al regime delle ammissioni (quale si delinea per l'esclusione dell'esame colloquio, in determinati casi) sia per l'articolazione dei corsi stessi su "particolari piani di studio" (per le singole pregresse esperienze abilitative e lavorative degli allievi), il legislatore regionale, invece, assume gli stessi criteri per prevedere lo svolgimento di detti corsi "a regime", consentendo agli infermieri generici una via privilegiata, rispetto agli esterni, per l'accesso alla qualifica immediatamente superiore. Vero e' che la stessa regione siciliana, con la legge regionale n. 22 del 1978, istitutiva di scuole di formazione professionale per personale sanitario non medico, aveva previsto (art. 19 della legge regionale 22/1/978) particolari agevolazioni per l'ammissione a detti corsi degli infermieri generici gia' in servizio, ma e' altrettanto vero che la successiva legge statale n. 243 del 1980 aveva inteso razionalizzare e porre anche un limite temporale, oltre che di perseguibilita', a certi sistemi di conseguimento "straordinario" della professionalita', anche se riferiti ad una categoria di personale (i generici, appunto) ormai in esaurimento. Tutte queste considerazioni, in esame con quella, non meno rilevante, ad avviso del ricorrente, della possibilita' di adeguamento degli organici "in relazione al numero degli abilitati", oltre che con la normativa statale di settore, configurano un netto contrasto anche, e forse soprattutto, con quei principi di ragionevolezza e di non arbitrarieta' che stanno alla base del "buon andamento" nell'attivita' della Pubblica amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione. Sulla base di quanto precede, non puo' a questo punto farsi a meno di porre mente alle conseguenze che deriverebbero presumibilmente dall'attuazione delle disposizioni contenute nella legge regionale teste' approvata e che consistono in un inevitabile accrescimento delle dotazioni organiche ai vari livelli - a causa delle disponibilita' che si verificherebbero nei profili di provenienza dei dipendenti transitati alle qualifiche superiori, per esempio - determinandosi, al contempo, una lievitazione della spesa sostenuta per il personale; e tutto questo proprio in un momento in cui le tendenze della legislazione nazionale, in vigore e in itinere, si rivolgono verso tutt'altra direzione. Le sopra esposte motivazioni in ordine alla illegittimita' del provvedimento di cui trattasi, con riferimento ai parametri legislativi che limitano, in questa materia forse piu' che in ogni altra, la potesta' di intervento del legislatore regionale, trovano del resto conforto ed autorevole sostegno, nella ricorrente e consolidata giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte nella materia, che ha contribuito a delimitarne i confini in maniera talmente netta e precisa che si ritiene davvero superfluo, e quasi irriguardoso, richiamarla in questa sede. Ma questo, ancora, induce a rafforzare la tesi sostenuta con il presente gravame riguardo alla totale incostituzionalita' dell'articolato che ora viene sottoposto al giudizio di codesto Consesso, articolato che, in relazione ai contenuti ed alla finalita' perseguita, si ritiene assumere piuttosto i connotati di una "classica" legge di fine legislatura, una.. .. .. zattera lanciata in mezzo alla procella della disoccupazione, giovanile in particolare, su cui s'imbarca chiunque, con l'aiuto di chiunque.. .. .. Non per nulla, difatti, in Assemblea (si vedano al riguardo i resoconti parlamentari anche perche' non vogliamo appropriarci di.. .. .. materia altrui), un deputato ha proposto, dalla tribuna parlamentare, di immettere, nel ruolo del personale dipendente delle uu.ss.ll., anche "i degenti" (si', proprio questi³) che abbiano avuto la ventura (la fortuna) di essere ricoverati in un ospedale delle uu.ss.ll. siciliane, per un periodo di almeno 180 giorni in un quinquennio, pure se discontinuamente.. .. .. Queste considerazioni - che possono sembrar fuori di luogo in un ricorso a codesta ecc.ma Corte, cui comunque e sempre si porta la massima deferenza e il doveroso rispetto - si espongono qui soltanto per far conoscere a codesta ecc.ma Corte il clima e le temperie in cui questo disegno di legge - che doverosamente non si poteva non impugnare - e' nato, tra una ridda di emendamenti, votazioni ed interminabili discussioni. La "dequalificazione" del servizio sanitario nazionale, che e' sotto gli occhi, anche disattenti, di tutti, cosi' certamente non diminuisce, proprio quando si tenta, in sede nazionale, di migliorarlo, di renderlo funzionale quasi come il servizio reso dai privati e dagli altri Stati europei. Sicuramente un provvedimento che ha come unico scopo - sembra almeno - quello di "favorire" il personale, di svariate qualifiche e funzioni (i diritti e gli interessi legittimi di questa fascia di lavoratori non si vogliono qui assolutamente disattendere; non e' questa la sede), trascurando il "pubblico", la salute pubblica nel caso. Se le retribuzioni - ed e' questo, in ultima analisi, il fine precipuo di provvedimenti legislativi del genere - si ritengono inadeguate, insufficienti, si provveda allora ad aumentarle deliberatamente ove possibile, senza ricorrere ad "espedienti" del genere attribuendo, o facendo conseguire, a dipendenti del S.S.N. siciliano qualifiche e funzioni cui si puo' pervenire con ben altre selezioni e titoli, in conformita' al disposto dell'art. 97 della Costituzione e violando anche il principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione); senza dire che, cosi' operandosi, si dilatano a dismisura - come gia' detto - e gli organici e la spesa pubblica e non si consente ai giovani, specie in cerca di prima occupazione, di poter partecipare a concorsi pubblici (dalla terza qualifica funzionale in poi, in Sicilia). E cio' proprio quando lo Stato nazionale ha ridotto i fondi alle Regioni per il S.S.N., ponendosi, pertanto, anche da questo versante, la legge, in contrasto con le norme nazionali di riforma e di principio. Questa legge (almeno, sommessamente, cosi' sembra) non e' il deliberato di un Parlamento pienamente responsabile. Un Parlamento dimostratosi, nelle sue ultime ore di vita, per ammissione di numerosi suoi stessi componenti, prigioniero di se stesso e della realta' siciliana, che non ha saputo (voluto?), per tempo, governare. Senza che, percio', si possa (o si voglia) mancare di riguardo ad una istituzione in cui i siciliani, nonostante tutto, continuano a credere e in cui tornano a sperare con la nuova legislatura di giugno. "Prima che il gallo canti" di Cesare Pavese e "Ultimo venne il corvo" di Italo Calvino ci danno modo di introdurre un ulteriore motivo di gravame, in rito; l'ultimo. E cio' invertendo quello che e' il normale ordine di esposizione nei ricorsi. Si solleva, in rito, l'eccezione di tardiva "comunicazione" e percio' di tardivita' dell'impugnato d.d.l. Tale comunicazione e' difatti avvenuta il 6 maggio 1991 (dopo le 14), che e' il quarto (4º) giorno dall'approvazione del d.d.l. da parte dell'a.r.s.; addirittura il quinto giorno se si fa riferimento al verbale dell'ultima seduta dell'assemblea regionale (la 370a seduta), che porta la data del 1º maggio, anche se la stessa si e' chiusa alle ore 8,45 del 2 successivo, dopo oltre 23 ore di ininterrotti lavori assembleari. Si precisa peraltro che il d.d.l. in questione e' stato approvato nella ultima parte dell'ultima seduta legislativa, nelle prime ore del 2 maggio. Si precisa altresi' che il giorno precedente a quello della comunicazione era festivo (domenica, 5 maggio). Gia' con altro ricorso commissariale (notificato il 12 aprile 1990), lo scrivente aveva sollevato dinnanzi a codesta ecc.ma Corte identica eccezione procedurale e codesta ecc.ma Corte, con sentenza n. 365 dell'11-24 luglio 1990, l'ha respinta, insegnando che il modo di procedere censurato, e ora denunciato "altra conseguenza non produce se non che il termine di cinque giorni dato al Commissario dello Stato per la impugnazione della legge regionale decorre dall'ultimo giorno dell'effettivo invio della legge stessa". Cio' vuol dire che i giorni in questione (art. 29/2º) potrebbero essere anche "nove"; oppure di piu' nel caso di piu' giorni festivi consecutivi (e per quello che si dira' anche piu' appresso). In concreto, difatti, seguendo l'impostazione gia' data da codesta ecc.ma Corte, potrebbe verificarsi quanto segue, con le conseguenze.. .. .. conseguenti: 1) la regione "comunica" il d.d.l. il quarto giorno, essendo il terzo festivo; 2) il Presidente della regione, avvalendosi del disposto dell'art. 29/2º dello Statuto, promulga e pubblica il d.d.l. nel nono giorno, non avendo ricevuto "entro gli otto giorni" (e percio' "scorsi otto giorni"), comunicazione impugnativa; 3) il Commissario dello Stato, nel suo quinto giorno utile (che, secondo l'interpretazione di codesta ecc.ma Corte, puo' anche benissimo essere il nono), impugna il d.d.l. e notifica il ricorso (a legge gia' pubblicata³). E, sul punto, si veda, inoltre, qui di seguito. Cio' con tutto il.. .. .. guazzabuglio che ne deriva. E' possibile, e' corretto cio'? Contro tale tesi si e' espressa autorevole dottrina e l'Avvocatura Generale dello Stato perche' si va (si andrebbe) contro la lettera ed il chiaro volere del legislatore, su cui peraltro non mette conto qui ulteriormente approfondire. Lo scrivente prega pertanto codesta ecc.ma Corte di voler ritornare, per un maggiore approfondimento, sulla questione dal momento che, altrimenti, non si potrebbe attribuire una valida e costruttiva interpretazione e senso logico alla norma contenuta nell'art. 29/2º dello statuto regionale siciliano, laddove e' esplicitamente precisato che "decorsi otto giorni senza che al presidente regionale sia pervenuta copia della impugnazione ovvero.. .. .." (cio' anche in relazione a quanto disposto dall'art. 13/2º dello Statuto). Ora, gli otto giorni, il computo - meglio - degli otto giorni, cui fa riferimento il Costituente e' dato dalla somma dei tre (3) giorni previsti dallo statuto (art. 28), entro i quali deve essere fatta la "comunicazione" dei dd.dd.ll., approvati dall'a.r.s.; e dei cinque (5) giorni entro i quali il Commissario dello Stato per la regione siciliana deve notificare il gravame alla regione; e cosi' anche se il primo o l'ultimo ovvero uno qualsiasi dei giorni intermedi sia festivo: i giorni sarebbero, cioe', tutti uguali, festivi e feriali, al fine del computo degli otto giorni in questione. Una interpretazione che segua il filo del ragionamento svolto da codesta ecc.ma Corte, nella decisione citata, non pare, verosimilmente e sommessamente, conducente e non giustificherebbe appieno e compiutamente la norma statutaria, che sembra di lapidaria chiarezza. Esula, pertanto e peraltro, da questa esposizione e motivazione l'esame di altre eventuali ragioni per cui il legislatore costituente ha stabilito in otto giorni il termine dopo il quale il Presidente della regione puo' promulgare e pubblicare le leggi regionali; e cio' dal momento che in claris non fit interpretatio, come recita un noto brocardo latino, ancora attuale. La lettera (anzi il numero) dello statuto e', sul punto, estremamente chiara (chiaro) ed altro non serve ne' per avvalorare la tesi, che si ostina lo scrivente a riproporre, ne' smentirla e confutarla. A codesta ecc.ma Corte comunque il compito di dire, dall'alto del suo magistero e scranno, l'ultima, definitiva parola chiarificatrice al riguardo per dare un taglio netto (un "cesareo") ad incertezza che si protraggono da e per parecchi lustri. E se lo stesso modo di computare il tempo e di considerare l'ultimo giorno festivo - come si opina per uniformita' di interpretazione - va applicato pure al termine di cinque (5) giorni, assegnato per l'impugnativa costituzionale al Commissario dello Stato, il tempo (termine) complessivo, che dovrebbe precedere la promulgazione e la pubblicazione di una legge regionale, si potrebbe potrarre anche fino a dieci giorni (4 + 6). Ma cio' e' razionalmente e logicamente possibile? Che tipo di termine, allora, e' quello di cui all'art. 29/2º dello Statuto?
P. Q. M. E con riserva di presentare memorie illustrative nei termini di legge, il sottoscritto prefetto Antonio Prestipino Giarritta, commissario dello Stato per la regione siciliana, ai sensi dell'art. 28 dello Statuto speciale, con il presente atto, impugna il disegno di legge n. 745, 718, 539, 628, 701/A, dal titolo "Norme in materia di personale delle unita' sanitarie locali", per violazione del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, dell'art. 47, quarto comma della legge 23 dicembre 1978, n. 833 nonche' dell'art. 97 della Costituzione, in relazione ai limiti posti dall'art. 17, lett. b) e c) dello Statuto speciale chiedendone la dichiarazione di incostituzionalita' e, in rito, l'inefficacia del d.d.l. per tardiva comunicazione allo scrivente. Palermo, addi' 10 maggio 1991 Il commissario dello Stato per la regione siciliana: PRESTIPINO GIARRITTA 91C0640