N. 262 SENTENZA 23 maggio - 12 giugno 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Nuovo codice - Misure cautelari - Disposizione
 da parte del giudice dichiaratosi incompetente - Mancato  intervento
 del giudice competente - Cessazione di efficacia - Mancata previsione
 anche  nel  caso  di  trasmissione  degli  atti  da  parte  del  p.m.
 procedente  al  p.m.  del  giudice  ritenuto  competente  -   Pretesa
 omogeneita'  della disciplina di due situazioni affatto diverse nella
 nuova logica processuale - Non fondatezza.
 
 (C.P.P., art. 27).
 
 (Cost., artt. 3, 24 e 25).
(GU n.24 del 19-6-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Ettore GALLO;
 Giudici: dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott.
    Francesco GRECO, prof.  Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,
    prof.  Francesco  Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof.
    Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.
    Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 27 del codice
 di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 7 gennaio  1991
 dal  Tribunale  di  Milano  nel procedimento penale a carico di Doria
 Donatella, iscritta al n. 78 del registro ordinanze 1991 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale,
 dell'anno 1991;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 10 aprile 1991 il Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza del 7 gennaio 1991 il Tribunale di Milano ha
 sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25  della  Costituzione,
 una  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 27 del codice
 di procedura penale, nella parte  in  cui  non  prevede  che  la  ivi
 contemplata cessazione dell'efficacia della misura cautelare disposta
 dal  giudice  dichiaratosi  incompetente,  ove  quello competente non
 provveda "a norma degli articoli 292, 317 e 321" "entro venti  giorni
 dalla  ordinanza  di  trasmissione degli atti", non si applichi anche
 nel caso di trasmissione degli atti disposta dal  pubblico  ministero
 ai sensi dell'art. 54 stesso codice.
    Nel  caso di specie - premette il Tribunale rimettente - la misura
 cautelare della custodia in carcere era stata disposta il  14  luglio
 1990  dal  Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
 Genova,  che  aveva  poi  emesso  altri  provvedimenti,  tra  l'altro
 respingendo,  il  21  settembre  dello  stesso  anno, la richiesta di
 revoca della predetta misura. Il 3 ottobre successivo, gli atti erano
 stati trasmessi dal locale pubblico  ministero  a  quello  presso  il
 Tribunale di Milano, ritenutosi competente per connessione, e riuniti
 ad  altro  procedimento gia' ivi pendente. Il Giudice per le indagini
 preliminari presso il Tribunale  di  Milano  aveva  rigettato,  il  9
 novembre,  un'istanza  di  revoca della misura cautelare e poi, il 1›
 dicembre,  un'istanza  di   scarcerazione   con   cui   si   invocava
 l'applicazione  dell'impugnato  art.  27  per non avere detto giudice
 provveduto  ai  sensi  dell'art.  292  entro   venti   giorni   dalla
 trasmissione degli atti.
    Decidendo  sull'appello  proposto  ai  sensi dell'art. 310 avverso
 quest'ultima ordinanza, il Tribunale rimettente
 condivide innanzitutto - anche sulla scorta di  una  pronuncia  della
 Corte   di   cassazione   (sez.   V,  27  giugno  1990,  n.  2700)  -
 l'interpretazione adottata nel provvedimento impugnato secondo cui la
 cessazione dell'efficacia della misura prevista dall'art. 27 concerne
 il  solo  caso  di  pronuncia   "giurisdizionale"   declinatoria   di
 competenza  emessa dal giudice che ha disposto le misure cautelari, e
 non anche  quello  di  trasmissione  degli  atti,  nella  fase  delle
 indagini  preliminari,  da  parte del pubblico ministero procedente a
 quello  presso  il  giudice  competente  (art.  42),  trattandosi  di
 provvedimento  emesso  da organo sfornito di poteri giurisdizionali e
 parte del processo.
    Ritiene,  poi,  che   l'ipotesi,   prevista   dall'art.   27,   di
 incompetenza  dichiarata "successivamente" all'emissione della misura
 cautelare  si  riferisca  solo  a  quella  pronunciata   nell'udienza
 preliminare,   dato  che,  ai  sensi  dell'art.  22,  secondo  comma,
 l'incompetenza dichiarata nel corso  delle  indagini  preliminari  ha
 effetto  solo ai fini del provvedimento richiesto al giudice di dette
 indagini e  non  pregiudica  -  come  precisato  nella  Relazione  al
 progetto  definitivo  -  ne' una diversa valutazione di costui ove ne
 venga  successivamente  richiesto   l'intervento,   ne'   l'eventuale
 prosecuzione  delle  indagini da parte del pubblico ministero: con la
 conseguenza, nel caso di specie, che la trasmissione degli  atti  non
 poteva trovar ostacolo nella declaratoria di competenza implicita nei
 provvedimenti  assunti  dal Giudice delle indagini preliminari presso
 il Tribunale di  Genova  successivamente  all'adozione  della  misura
 cautelare.
    Cio'  premesso,  il  giudice  a  quo  osserva  che la norma di cui
 all'art. 27 - ispirata al principio di  conservazione  degli  atti  e
 concernente   tutte  le  categorie  di  incompetenza  -  mira  non  a
 consentire una rivalutazione  sull'opportunita'  di  applicazione  di
 quella  od altra misura - secondo la previsione di cui all'art. 299 -
 ma a garantire all'indagato che il giudizio sulla  sussistenza  delle
 condizioni  che  legittimano  la  misura  cautelare  venga nuovamente
 espresso  dal  giudice  competente,  che  e'  il   giudice   naturale
 precostituito per legge.
    La   mancata   previsione   della  stessa  garanzia  nel  caso  di
 trasmissione degli atti ex art. 54 viola, secondo il giudice  a  quo,
 gli  artt.  3  e 25 della Costituzione. Ne' a cio' potrebbe supplirsi
 con la richiesta di riesame da parte dell'indagato,  sia  perche'  il
 giudice  delle  indagini  preliminari  presso  il  pubblico ministero
 ricevente potrebbe declinare la propria competenza,  sia  perche'  il
 rivolgersi,  in  tal caso, a quello che ha emesso la misura cautelare
 potrebbe dar luogo a provvedimenti confliggenti (ad es., revoca della
 misura  da  parte  di  quest'ultimo  e  applicazione  di   una   piu'
 afflittiva, su richiesta del pubblico ministero, da parte del primo).
    Sarebbe violata, inoltre, la garanzia di difesa di cui all'art. 24
 Cost.,  dato  che  sarebbe  pregiudicato "il diritto dell'indagato ad
 esercitare  il  diritto  attribuitogli  dall'art.  299,  III   comma,
 C.P.P.".
    2.  -  Il  Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato e
 difeso dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  deduce  innanzitutto
 l'inammissibilita'  della questione, dato che nella specie il giudice
 per le indagini preliminari presso il  cui  ufficio  e'  il  pubblico
 ministero  ricevente  ha  gia'  provveduto, il 9 novembre 1990, sulla
 richiesta di revoca della misura cautelare.
    La  questione  sarebbe  comunque  infondata.  La  declaratoria  di
 incompetenza  "successiva"  prevista  dall'art.  27, presupponendo un
 nuovo  intervento  del  giudice  per  le  indagini  preliminari  dopo
 l'adozione   della  misura  cautelare,  e'  infatti  solo  eventuale,
 sicche', ove tale ipotesi non si verifichi, il giudice investito dopo
 la trasmissione degli atti ex art. 54 verrebbe a  pronunciarsi  sulla
 liberta'  dell'indagato  ai  sensi  dell'art.  299  "esattamente come
 dovrebbe fare a seguito della declaratoria di  incompetenza  a  norma
 dell'art. 27".
    Il  controllo  da  questa  previsto,  secondo  l'Avvocatura, trova
 ragione  "nella  necessita'   di   impedire   che   la   declaratoria
 giurisdizionale  di  incompetenza resti priva di immediata 'verifica'
 da parte di un altro giudice, che  potrebbe  a  sua  volta  ritenersi
 incompetente.  Laddove,  invece,  questa  necessita'  non sussiste se
 l'indagine   si   caratterizza   per    l'assenza    di    interventi
 giurisdizionali  successivi  a  quelli  dell'emissione  della  misura
 cautelare  e  quindi,  per  una  sorta  di   fluida   'competenza   a
 investigare'  che e' tipica del nuovo sistema processuale nella parte
 che attiene all'attivita' degli uffici requirenti".
                        Considerato in diritto
    1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di  Milano
 dubita  che  contrasti  con  gli  artt. 3, 24 e 25 della Costituzione
 l'art. 27 cod. proc. pen., nella parte in  cui  non  prevede  che  la
 cessazione  d'efficacia  delle  misure cautelari disposte dal giudice
 dichiaratosi incompetente, nel caso in cui sulla misura non  provveda
 il   giudice   competente   entro   venti  giorni  dall'ordinanza  di
 trasmissione  degli  atti, si applichi anche al caso in cui senza una
 declaratoria giudiziale di incompetenza gli atti  vengano  trasmessi,
 ai  sensi  dell'art.  54  cod.  proc.  pen.,  dal  pubblico ministero
 procedente a quello presso il  giudice  ritenuto  competente.  A  suo
 avviso,  infatti,  la  garanzia  di una verifica da parte del giudice
 competente della sussistenza delle condizioni legittimanti la  misura
 dovrebbe valere anche in tal caso, e in mancanza sarebbero violati il
 principio  di  uguaglianza,  il diritto di difesa dell'indagato ed il
 principio del giudice naturale.
    2.  -  L'Avvocatura  dello  Stato  ha   preliminarmente   eccepito
 l'inammissibilita'  della  questione,  rilevando che nel caso oggetto
 del giudizio principale il giudice per le indagini preliminari presso
 il cui ufficio e'  il  pubblico  ministero  che  ricevette  gli  atti
 trasmessi  ai  sensi dell'art. 54 cod. proc. pen. provvide in effetti
 in ordine alla misura  cautelare,  pronunciandosi  su  un'istanza  di
 revoca  di  questa.  Ma l'eccezione non puo' essere accolta, dato che
 tale pronuncia risulta essere intervenuta oltre il  ventesimo  giorno
 dalla trasmissione degli atti.
    3.  -  Nel merito, la questione non e' fondata, in quanto con essa
 si pretende di rendere omogenea la disciplina di due situazioni  che,
 nella logica del nuovo modello processuale, sono affatto diverse.
    L'art.  27,  invero,  da  un  lato  consente, a salvaguardia delle
 esigenze cautelari, che una misura finalizzata ad esse  sia  disposta
 da  un giudice che si ritenga incompetente; dall'altro, pero', impone
 - tanto nel caso che l'incompetenza sia  dichiarata  contestualmente,
 quanto  in  quello  in  cui  essa sia riconosciuta successivamente, e
 cioe' in occasione  di  altro  provvedimento  richiesto  al  medesimo
 giudice  -  che  intervenga  in tempi brevi (entro venti giorni dalla
 trasmissione  degli  atti)  una  nuova  ed  autonoma  valutazione   e
 decisione  da  parte  del giudice competente, in mancanza della quale
 quella interinalmente adottata  dal  primo  giudice  e'  destinata  a
 perdere la propria provvisoria efficacia.
    Presupposto  per l'applicazione di tale disciplina e', dunque, una
 declaratoria giurisdizionale di incompetenza che  -  pur  se  non  e'
 irreversibile  in  quanto  e'  emessa  allo stato degli atti e non e'
 fondata su una completa conoscenza di questi (art. 22, secondo comma)
 - rende necessaria una nuova  pronuncia  sulla  misura  cautelare  da
 parte  del giudice ritenuto competente e puo' essere rimossa, in caso
 di declinatoria da parte di entrambi i giudici, solo con la procedura
 dei conflitti (artt. 28 ss.).
    L'art. 54, invece, concerne i  rapporti  tra  diversi  uffici  del
 pubblico  ministero,  che  il nuovo codice disciplina secondo criteri
 diversi  da  quelli  che  regolano  la  materia   della   competenza-
 incompetenza tra giudici.
    Data  la natura di parte sia pure pubblica, del pubblico ministero
 e la circostanza che le ipotesi ricostruttive dei fatti  sono,  nelle
 indagini   preliminari,   suscettibili  di  modificazioni  idonee  ad
 influire sulla titolarita' di queste, si e'  privilegiata  l'esigenza
 di  efficacia  e tempestivita' della funzione investigativa e si sono
 percio'  adottati  criteri  di  elasticita'  nella  definizione   dei
 rapporti  tra  i  diversi uffici del pubblico ministero, evitando una
 netta e rigorosa separazione dei rispettivi poteri (cfr. Relazione al
 progetto preliminare, p. 24). Cosi' si e',  da  un  lato,  omesso  di
 apprestare  rimedi  per imporre al pubblico ministero non legittimato
 la  trasmissione  degli atti a quello che sia titolare delle indagini
 preliminari alla stregua dei criteri di cui all'art. 51, e consentito
 che il  pubblico  ministero  procedente  le  prosegua  nonostante  la
 declaratoria  di  incompetenza  intervenuta in tale fase da parte del
 corrispondente giudice per le indagini preliminari (arg. ex  art.  22
 cit.);  dall'altro, si sono regolati i conflitti negativi tra diversi
 uffici   del   pubblico   ministero   all'interno   della   struttura
 organizzativa   di   tale  parte,  attribuendone  la  risoluzione  al
 procuratore generale (art. 54, secondo comma) ed evitando, cosi',  di
 demandarla ad un giudice.
    Nel  contesto  di una tale disciplina, percio', la circostanza che
 il  pubblico  ministero  procedente  trasmetta  gli  atti  a   quello
 incardinato  presso  il giudice che egli ritenga competente (art. 54,
 primo comma)  non  e'  idonea  ne'  a  comportare  la  competenza  di
 quest'ultimo  giudice - che puo' infatti declinarla ove gli si chieda
 un provvedimento -; ne' ad escludere la competenza del giudice presso
 il quale il pubblico ministero trasmittente esercita le funzioni.  Di
 conseguenza,  tale  traslazione  degli  atti non vale ad infirmare la
 validita' della misura cautelare gia' disposta da quest'ultimo ne' ad
 attribuirle un'efficacia solo interinale; e  non  vi  e'  ragione  di
 ritenere  che  ad  essa  debba  sovrapporsi un nuovo provvedimento di
 altro giudice, mancando in tal caso  -  diversamente  che  in  quello
 contemplato dall'art. 27 - una pronuncia declinatoria di competenza.
    Non  sono  invocabili,  pertanto,  ne'  l'art.  3,  trattandosi di
 situazioni diverse, ne' l'art. 25 Cost., non essendo  la  traslazione
 degli atti attributiva di competenza; e nemmeno puo' dirsi violato il
 diritto di difesa, che ben puo' essere esercitato chiedendo la revoca
 della  misura  o  al  giudice  presso  il  cui ufficio e' il pubblico
 ministero che ha ricevuto gli atti ovvero - qualora egli  declini  la
 propria competenza - allo stesso giudice che l'ha emessa.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 27 del codice di  procedura  penale,  in  riferimento  agli
 artt.  3,  24  e  25  della  Costituzione, sollevata dal Tribunale di
 Milano con ordinanza del 7 gennaio 1991.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  Costituzionale,
 Palazzo della Consulta il 23 maggio 1991.
                         Il Presidente: GALLO
                        Il redattore: SPAGNOLI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 12 giugno 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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