N. 445 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 aprile 1991

                                N. 445
 Ordinanza emessa il 27 aprile 1991 dal pretore  di  Perugia,  sezione
 distaccata  di Assisi, nel procedimento penale a carico di Casagrande
 Cuppoloni Gianfranco
 Reati e pene - Emissione di assegni a vuoto - Causa di non
    punibilita' conseguente al pagamento degli assegni e accessori, da
    effettuarsi nel termine di novanta giorni decorrente  dall'entrata
    in  vigore  della legge 15 dicembre 1990, n. 386 - Impossibilita',
    per il fallito, di usufruire del beneficio, non  essendo  ad  esso
    consentito,  durante  la  procedura fallimentare, di effettuare il
    pagamento - Non  prevista  sospensione  del  suddetto  termine  di
    novanta  giorni fino alla definizione della procedura fallimentare
    - Ingiustificata  disparita'  di  trattamento  con  incidenza  sul
    diritto di difesa.
 (Legge 15 dicembre 1990, n. 386, art. 11, primo e secondo comma).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.27 del 10-7-1991 )
                              IL PRETORE
    All'udienza   del  27  aprile  1991  ha  pronunciato  la  seguente
 ordinanza dandone pubblicamente lettura.
                               FA T T O
    Casagrande Cuppoloni Gianfranco era condannato, con decreto del 27
 settembre 1990, al pagamento di L. 200.000  di  multa,  nonche'  alle
 pene  accessorie della pubblicazione e dell'interdizione per un anno,
 avendo emesso, il 20 e 30 gennaio ed il 30 marzo  1990,  tre  assegni
 bancari copertura per complessivi L. 9.512.454.
    Proposta  rituale  opposizione  nei termini, il 15 gennaio 1991 il
 decreto era revocato e le parti  instavano  per  la  sospensione,  ai
 sensi  dell'art.  11, secomdo comma, della legge 15 dicembre 1990, n.
 386.
    All'udienza di rinvio del 9 aprile 1991 il sostituto del difensore
 comunicava che il prevenuto era stato dichiarato fallito  e  chiedeva
 differimento  per  l'accertamento  di tale circostanza, nonche' della
 vigilanza della procedura, onde  poter  poi  sollevare  eccezione  di
 legittimita'  costituzionale  del  predetto  art.  11  della legge n.
 386/1990, nella parte in  cui  non  e'  previsto  un  meccanismo  che
 consenta  anche al fallito di beneficiare della speciale causa di non
 punibilita' conseguente al pagamento degli assegni e degli accessori.
    Richieste notizie  alla  cancelleria  del  tribunale  di  Perugia,
 questa  comunicava  che  il prevenuto era stato dichiarato fallito in
 data 11 luglio 1990, che la procedura era ancora in  atto  e  che  il
 beneficiario dei titoli si era insinuato per l'importo complessivo di
 L. 9.512.454.
                             D I R I T T O
    La  questione  appare rilevante per il procedimento in corso e non
 manifestamente infondata.
    Rilevante perche', ove l'art. 11, primo comma, della  legge  sulla
 nuova  disciplina  sanzionatoria degli assegni bancari sia dichiarato
 costituzionalmente illegittimo nel senso di seguito  indicato,  anche
 l'imputato,  attualmente  impossibilitato  a  giovarsi della speciale
 causa di improcedibilita', potrebbe usufruirne.
    Non manifestamente  infondata,  ipotizzandosi  una  situazione  di
 conflitto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.
    Con  l'art. 3 in quanto il Casagrande Cuppoloni, in relazione alla
 propria condizione personale di  fallito,  sarebbe  irragionevolmente
 discriminato,  non  avendo  la possibilita', pur volendolo, di pagare
 gli assegni e gli accessori, dato che durante la procedura  egli  non
 e'  in  bonis  e che un eventuale pagamento pro reo al possessore dei
 titoli,   al   fine   cioe'   del   verificarsi   della   causa    di
 improcedibilita',   non   potrebbe   essere  autorizzato  dall'organo
 competente per evidente violazione della par  condicio  creditorum  e
 per  l'impossibilita'  di  corrispondere  una  somma  (importo  degli
 assegni piu' accessori) superiore a quella per la quale il  creditore
 si e' insinuato al passivo.
    La  conseguenza  e' che l'imputato sarebbe escluso dal beneficio e
 non potrebbe esercitare adeguatamente il diritto alla difesa,  inteso
 come  possibilita' di far valere compiutamente le proprie ragioni nel
 giudizio penale.
    In tal senso  sembrerebbe,  allora,  anche  palese  la  violazione
 dell'art. 24 della Carta costituzionale.
    L'irragionevolezza di una siffatta conseguenza appare vieppiu' ove
 si  osservi  che,  nell'ipotesi  in  cui la procedura fallimentare si
 concludesse con il soddisfacimento  totale  o  parziale  di  tutti  i
 creditori  e  quindi  anche  del  prenditore  degli assegni di cui e'
 procedimento, l'imputato si troverebbe nell'iniqua condizione di aver
 subi'to  una  condanna  penale  passata   in   giudicato   che   egli
 presumibilmente   avrebbe  evitato  provvedendo  anche  al  pagamento
 dell'eventuale residuo debito e degli accessori (interessi, penale  e
 spese).
    Del  resto,  non  sembra  che  la presente situazione dia luogo ad
 un'ipotesi di infrequente  accadimento,  dato  che  non  vi  e'  oggi
 soggetto  fallito che non abbia, tra i creditori, anche possessori di
 assegni bancari emessi senza copertura nel periodo di dissesto.
    Sembra, allora in condizione, che l'art. 11,  primo  comma,  della
 legge 15 dicembre 1990, n. 386, sia illegittimo per contrasto con gli
 artt.  3  e  24 della Costituzione nella parte in cui non dispone che
 per l'imputato dichiarato fallito il termine dei novanta giorni debba
 decorrere dal momento di chiusura della procedura e cioe' dal rientro
 in bonis o che debba lo stesso  termine  esser  sospeso  dal  momento
 della dichiarazione di fallimento, successiva alla data di entrata in
 vigore della legge, fino all'esaurirsi della procedura stessa.
    Conseguentemente   e   per  gli  stessi  motivi,  sembra  che  sia
 illegittimo anche il secondo comma dello stesso art. 11 del punto  in
 cui  non  prevede che il periodo di novanta giorni di sospensione del
 procedimento  penale  debba  decorrere,  per  l'imputato   dichiarato
 fallito,  anziche' dalla data di entrata in vigore della legge, dalla
 conclusione della  procedura  fallimentare  o  che  debba  lo  stesso
 termine  esser sospeso dal momento della dichiarazione di fallimento,
 successiva  alla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge,   fino
 all'esaurirsi della procedura.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  la  rilevanza  e  la  non  manifesta  infondatezza della
 questione di legittimita' dell'art. 11 primo e secondo  comma,  della
 legge  15  dicembre  1990, n. 386, per contrasto con gli artt. 3 e 24
 della Costituzione nei termini indicati in motivazione;
    Sospende il procedimento;
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della   presente
 ordinanza   al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e  per  la
 comunicazione della stessa ai Presidenti dei due rami del Parlamento.
      Assisi, addi' 27 aprile 1991
                          Il pretore: TIMPANO
                              Il collaboratore di cancelleria: GENTILI
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