N. 449 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 aprile 1991
N. 449 Ordinanza emessa il 9 aprile 1991 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Catanzaro nel procedimento penale a carico di Costa Giulio Vito ed altri Reato in genere - Reati contro la pubblica amministrazione - Interesse privato in atti di ufficio e abuso innominato d'ufficio - Intervenuta abrogazione della prima fattispecie criminosa e modificazione della seconda a seguito dell'entrata in vigore della legge di riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione - Conseguenze nell'ipotesi di applicazione della nuova legge a fatti anteriormente commessi: previsione di un trattamento di favore (non punibilita') per fattispecie di piu' grave rilevanza penale (quale l'interesse privato in atti di ufficio) rispetto ad altre (quale l'abuso in atti d'ufficio) per le quali persiste una punibilita' - Ingiustificata disparita' di trattamento. (Legge 26 aprile 1990, n. 86, art. 13, del combinato disposto della legge 26 aprile 1990, n. 86, art. 20, in relazione al c.p., artt. 323 e 324). (Cost., art. 3).(GU n.27 del 10-7-1991 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI All'esito della udienza preliminare; Valutate le risultanze del processo a carico di Costa Giulio Vito ed altri, imputati, tra l'altro, del delitto di interesse privato in atti di ufficio (art. 324 del c.p.), di cui al capo b); R I L E V A La legge 26 aprile 1990, n. 86, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 27 aprile 1990, intitolata "Modifiche in tema dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione", in particolare con l'art. 13, ha sostituito il testo dell'art. 323 del codice penale introducendo una nuova e complessa fattispecie di abuso di ufficio, e, con l'art. 20, ha espressamente abrogato l'art. 324 del codice penale che disciplinava la fattispecie di "interesse privato in atti di ufficio". La combinata valutazione del nuovo regime introduce, nel passato, una chiara disparita' di trattamento tra gli autori di un semplice abuso (punibile ex art. 323 del cod. pen.) e gli autori del piu' grave delitto di interesse privato (gia' punibili ex art. 324 del cod. pen.). Al fine di chiarire l'enunciato, nucleo di un ravvisato eccesso di potere legislativo, pare evidente, innanzitutto precisare che la "nuova" fattispecie di abuso di ufficio, applicabile per i fatti commessi dopo la vigenza della legge in esame, si incentra sull'elemento oggettivo, dell'abuso dell'ufficio, nel che consiste la condanna, e sul qualificante elemento soggettivo, del fine di procurare a se' o ad altri un ingiusto vantaggio non patrimoniale o di arrecare ad altri un danno ingiusto (primo comma), oppure ancora del fine di procurare a se' o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale (secondo comma). Tale fattispecie e', sia in astratto che in concreto, senz'altro piu' sfavorevole, nel trattamento sanzionatorio, rispetto al vecchio "abuso innominato di ufficio", perche' ha, nella versione minore, escluso l'alternativita' della pena, mentre, rispetto al vecchio "interesse privato in atti di ufficio", ha introdotto un duplice raffronto, di maggior favore, rispetto alla "presa di interesse" non patrimoniale (reclusione fino a due anni) e di maggior favore, rispetto alla "presa di interesse" patrimoniale (reclusione da due a cinque anni). Ma, a parte l'evidenziato raffronto sanzionatorio, non puo' essere affatto trascurato il raccordo diacronico tra i momenti fattuali delle fattispecie. Sotto tale profilo, vi e' certamente omogeneita' di evoluzione normativa tra il vecchio e il nuovo disposto dall'art. 323; perche', a parte la estensione di punibilita' soggettiva (per l'aggiunta, tra i soggetti agenti, dell'incaricato di pubblico servizio), il nuovo delitto continua ad essere imputato a titolo di dolo specifico (con una maggiore specificita' antigiuridica, mediante l'introduzione del requisito dell'ingiustizia del vantaggio o del danno preso di mira e con la graduazione del profilo del vantaggio, se di contenuto patrimoniale o non) e si fonda su un elemento materiale soltanto meglio formulato, non piu' in modo dinamico ed equivocamente strumentale, tra abuso e atto di ufficio, ma in modo semplice ed univocamente fattuale, di commissione di un atto di ufficio abusivo. Analoga omogeneita' non sussiste, per la parte che interessa, tra il vecchio art. 324 e il nuovo art. 323, perche', nonostante l'intendimento legislativo, di formulazione di una fattispecie unificante, l'art. 324 non richiedeva la sussistenza di un atto amministrativo oggettivamente illegittimo o abusivo, anzi, la sicura configurazione di offensivita' potenziale della fattispecie (di pericolo e non di danno) si raccordava, sul piano di tipicita' materiale, ad una presa di interesse anche convergente e sovrapposto rispetto all'interesse pubblico, senza che ne fosse necessariamente deviata la "causa" dell'atto. La disomogeneita' oggettiva di condotte e' accentuata della proclamata abrogazione della vecchia norma, sicche', laddove, come nel caso in esame, la contestazione configuri la presa di un interesse di contenuto patrimoniale, non e' applicabile la nuova norma, in quanto vi osta il divieto di irretroattivita', e non e' applicabile la vecchia, perche' espressamente abrogata. Tale risultato, cui si perviene applicando gli ormai pacifici orientamenti dottrinari in materia di successione di norme penali nel tempo (richiedenti una continuita' di illecito per progressiva specificazione o continenza di fatti), e' palesemente iniquo, in questa fase di regime transitorio, dunque di convergenza conflittuale di discipline diverse nel tempo, tra il momento del fatto incriminato (quello di attuazione della condotta) e il momento del giudizio su di esso. La iniquita' sta nella (persistita) punibilita' di fattispecie di abuso innominato, ad offensivita' penale meno grave, rispetto alla (sopravvenuta) liceita' di fattispecie di presa di interesse patrimoniale, sicuramente ad antigiuridicita' di tasso piu' elevato. L'effetto, espressamente abrogativo, porta a soluzioni perverse, imponendo la improcedibilita' (o, nelle fasi a piena giurisdizione di merito, la assoluzione) "perche' il fatto non e' preveduto dalla legge come reato", piuttosto che la emissione del decreto ordinativo del giudizio (o, parallelamente, di condanna) per il delitto, come contestato. Per le esposte considerazioni la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 13 e 20 della legge 26 aprile 1990, n. 86, in relazione al trattamento punitivo delle fattispecie gia' qualificate come di "interesse privato in atti di ufficio", e' rilevante. Si tratta, infatti, di questione riguardante, come gia' si e' evidenziato, il delitto che e' oggetto di contestazione, la norma della fattispecie penale incriminatrice che e' oggetto di giudizio preliminare. La questione medesima non appare manifestamente infondata, in relazione all'art. 3 della Costituzione, per l'evidenziato trattamento decisamente piu' favorevole (di impunita') riservato a fattispecie di piu' grave rilevanza penale rispetto ad altre di abuso generico di ufficio, con concreto stravolgimento di valori, tutelati anche a livello costituzionale, di buon andamento e di imparzialita' dell'amministrazione.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 13 e 20 della legge 26 aprile 1990, n. 86, in relazione agli artt. 323 e 324 del codice penale, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione; Dispone la sospensione del giudizio e la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che il presente provvedimento sia notificato, a cura della cancelleria, al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicato ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Catanzaro, addi' 9 aprile 1991 Il giudice: BAUDI 91C0823