N. 33 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 5 settembre 1991

                                 N. 33
  Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
        cancelleria il 5 settembre 1991 (della regione Umbria)
 Finanza regionale - Obbligo del legislatore delegato di indicare
    l'ammontare del tributo dovuto per ciascun atto o provvedimento ad
    esso  soggetto  - Statuizione in caso di provvedimenti o atti gia'
    soggetti a tassa di concessione governativa, regionale o  comunale
    che  l'ammontare  del tributo sia pari a quello dovuto prima della
    data di entrata in vigore della tariffa - In caso di provvedimenti
    gia'  assoggettati  a  tassa di concessione regionale di ammontare
    diverso in ciascuna  regione,  determinazione  dell'ammontare  del
    tributo  da indicare nella nuova tariffa in misura pari al 90% del
    tributo di ammontare piu' elevato  e  comunque  non  inferiore  al
    tributo  di  ammontare  meno  elevato  - Asserita indebita lesione
    dell'autonomia finanziaria della regione - Richiami alle  sentenze
    della Corte costituzionale nn. 183/1987, 272/1988 e 617/1988.
 (Legge 14 giugno 1990, n. 158, art. 4 e d.lgs. 22 giugno 1991, n.
    230).
 (Cost., artt. 76, 117, 118 e 119).
(GU n.37 del 18-9-1991 )
   Ricorre  la  regione  dell'Umbria,  in persona del presidente della
 giunta regionale in carica pro-tempore  rappresentata  e  difesa  per
 procura  a  margine  del presente atto degli avvocati Dante Duranti e
 Goffredo Gobbi nello studio del quale in Roma, via Maria Cristina  n.
 8  e'  elettivamente  domiciliata, contro la Presidenza del Consiglio
 dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica  pro-
 tempore,  per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle
 disposizioni dell'art. 4 della legge 14 giugno 1990, n. 158,  che  ha
 sostituito l'art. 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281, con specifico
 riferimento  a  quelle  di  cui  al  secondo  comma,  in  generale e,
 comunque, con  particolare  riguardo  alla  previsione  di  cui  alla
 lettera c) ove e' stabilito che il legislatore delegato deve indicare
 "l'ammontare  del  tributo dovuto per ciascun atto o provvedimento ad
 esso soggetto. Nel caso di provvedimenti  od  atti  gia'  soggetti  a
 tassa  di  concessione,  sia  governativa  che  regionale o comunale,
 l'ammontare del tributo sara' pari a quello dovuto prima  della  data
 di  entrata  in vigore della tariffa. In caso di provvedimenti o atti
 gia' assoggettati a  tassa  di  concessione  regionale  di  ammontare
 diverso  in  ciascuna  regione,  l'ammontare  del tributo da indicare
 nella nuova tariffa sara' pari al novanta per cento  del  tributo  di
 ammontare  piu'  elevato,  e  comunque  non  inferiore  al tributo di
 ammontare meno elevato, nonche' del  decreto  legislativo  22  giugno
 1991, n. 230, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 1º agosto 1991,
 n.  179,  con  cui  e'  stata  approvata la tariffa delle tasse sulle
 concessioni regionali in attuazione della delega disposta con  l'art.
 4  suddetto,  per  violazione  degli  articoli  117,  118 e 119 della
 Costituzione.
    In subordine per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale
 delle previsione della  tariffa  ora  menzionata  contrassegnate  dai
 numeri  d'ordine  1,  lettera a); 7, punto 1, lettere c), d), e), f);
 punto 2, lettere c), d), e), punto 3; 16, punto 1; 41, punti 1, 2,  3
 e  5 per violazione dell'art. 76, oltre che delle citate norme, della
 Costituzione.
                               F A T T O
    Con l'art. 4 della legge 14 giugno 1990, n. 158 contenente  "norme
 di  delega  in  materia di autonomia impositiva delle regioni e altre
 disposizioni concernenti i rapporti finanziari  tra  lo  Stato  e  le
 regioni"  il  Governo  e'  stato delegato a definire "con decreto del
 Presidente della Repubblica avente valore  di  legge  ordinaria",  la
 tariffa delle tasse sulle concessioni regionali inerenti gli atti e i
 provvedimenti   adottati  dalle  regioni  nell'esercizio  delle  loro
 funzioni o dagli enti locali nell'esercizio delle funzioni  regionali
 ad   essi   delegate   ai  sensi  degli  articoli  117  e  118  della
 Costituzione.
   Secondo il secondo comma di detta  norma  il  legislatore  delegato
 doveva  indicare:  gli atti e provvedimenti cui si applicano le tasse
 sulle concessioni regionali (lett. a); i termini  entro  i  quali  il
 tributo  deve  essere  corrisposto  (lett.  b);  eventuali  norme  di
 disciplina particolare del tributo (lett. d); l'ammontare del tributo
 per  ciascun   atto   o   provvedimento   (lett.   e);   quest'ultima
 disposizione,   in   particolare   precisa  puntualmente  i  modi  di
 definizione  del  detto  ammontare  stabilendo  che  "nel   caso   di
 provvedimenti  od  atti  gia'  soggetti  a  tassa  di concessione sia
 governativa che regionale o comunale; l'ammontare del  tributo  sara'
 pari  a  quello  dovuto  prima  della data di entrata in vigore della
 tariffa. In caso di provvedimenti o atti gia' assoggettati a tassa di
 concessione regionale  di  ammontare  diverso  in  ciascuna  regione,
 l'ammontare del tributo da indicare nella nuova tariffa sara' pari al
 novanta  per  cento del tributo di ammontare piu' elevato, e comunque
 non inferiore al tributo di ammontare meno elevato".
    Si tratta, come si puo' constatare, di una normativa, espressa  in
 forma  di  principi  e  criteri  direttivi  al  legislatore delegato,
 estremamente minuziosa tesa ad uniformare  rigidamente  su  tutto  il
 territorio   nazionale   il   regime   giuridico  delle  tasse  sulle
 concessioni regionali senza lasciare alle singole regioni  il  minimo
 spazio di disciplina autonoma in modo da adattare la regolamentazione
 del tributo e, quantomeno, il suo ammontare, alle proprie particolari
 condizioni e alle proprie peculiari esigenze.
    Una  simile  disciplina  ha sostituito quella dettata per le tasse
 sulle concessioni regionali, dall'art. 3 della legge 15 maggio  1970,
 n.  281:  questa norma, facendo richiamo alle leggi regolatrici delle
 tasse sulle concessioni  governative  limitatava,  a  sua  volta,  in
 misura   decisiva  la  possibilita'  di  intervento  del  legislatore
 regionale nella materia, che restava  disciplinata  in  tutto  e  per
 tutto da quelle leggi.
    Alla  regione, peraltro, la legge concedeva un certo margine nella
 determinazione  del   tributo;   questo,   infatti,   poteva   essere
 inizialmente fissato "in misura non superiore al centoventi per cento
 e  non  inferiore  all'ottanta  per  cento delle corrispondenti tasse
 erariali", con possibilita' di disporre, a intervalli  non  superiori
 al  quinquennio,  maggiorazioni  "nel limte del venti per cento delle
 tasse regionali vigenti nel periodo precedente" (secondo comma).
    Va ricordato altresi', per completezza,  che,  ferma  restando  la
 determinazione iniziale del tributo da parte della regione nei limiti
 indicati, alla medesima, in conseguenza della perdita di valore della
 moneta  e'  stata,  poi,  a  piu' riprese riconosciuta la facolta' di
 aumentare  gli  importi  delle  tasse  sulle  concessioni   regionali
 originariamente  fissati  (legge 23 novembre 1979, 594; decreto-legge
 28 febbraio 1983, n. 55, art. 25 conv. nella legge 26 aprile 1983, n.
 131) fino a consentire - cosi' come ha pure disposto il quinto  comma
 dello stesso art. 4, della legge n. 158/1990 - un aumento annuale non
 superiore al venti per cento (Legge n. 131/1983 citato).
    La  regione  Umbria  ha  provveduto  in  materia  di  tasse  sulle
 concessioni regionali con le leggi regionali 30 dicembre 1971, n.  2;
 28  maggio  1980, n. 57; 23 luglio 1981, n. 44; 2 aprile 1982, n. 12;
 14 maggio 1982, n. 22; 18 marzo 1983, n. 7; 20 ottobre 1983, n. 40; 3
 dicembre  1984,  n. 47; 26 aprile 1985, n. 24; 23 giugno 1986, n. 23;
 21 dicembre 1987, n. 56; 24 ottobre 1989, n. 35; 14 gennaio 1991,  n.
 1.
    In  attuazione  della  delega  disposta dall'art. 4 della legge n.
 158/1990  e'  stato  emanato  il  d.lgs.  22  giugno  1991,  n.  230,
 contenente,  appunto  "approvazione  della  tariffa delle tasse sulle
 concessioni regionali ai sensi dell'art.  3  della  legge  16  maggio
 1970,  n. 281 come sostituito dall'art. 4 della legge 14 giugno 1990,
 n. 158".
    La pubblicazione - in Gazzetta Ufficiale 1º agosto 1991, n. 179  -
 e  l'entrata  in  vigore del decreto legislativo n. 230 del 1991 - di
 per  se  stesso  costituzionalmente  illegittimo   nelle   previsioni
 specificate,   per  eccesso  di  delega  -  dando  applicazione  alle
 statuizioni della legge di delegazione e, in  particolare,  a  quelle
 contenute  nell'art.  4,  secondo  comma, hanno rimosso la condizione
 frapposta all'immediata incidenza di queste  ultime  sulla  autonomia
 finanziaria  e  sulla  potesta' legislativa regionale e reso attuale,
 secondo i principi elaborati da questa eccellentissima Corte  con  la
 sentenza n. 111/1972 (preceduta, su questo terreno, dalla sentenza n.
 13/1964),  la  lesione  della detta autonomia e della detta potesta',
 consentendo cosi' la proposizione del ricorso per la dichiarazione di
 illegittimita' costituzionale delle
 norme indicate in epigrafe le quali, pertanto, si impugnano avanti  a
 questa eccellentissima Corte per i seguenti motivi di:
                             D I R I T T O
    1)   L'art.   119   della  Costituzione  garantisce  alle  regioni
 "autonomia finanziaria" pur "nelle forme e nei  limiti  stabiliti  da
 leggi  della Repubblica che la coordinano con la finanza dello Stato,
 delle province e dei comuni" (primo comma);  in  questo  quadro  alle
 regioni sono attribuiti "per le spese necessarie ad adempiere le loro
 funzioni  normali",  oltre  che  "quote  di  tributi erariali", anche
 "tributi propri".
    Pur   essendo   la   disciplina   costituzionale    dell'autonomia
 finanziaria regionale assai generica, certo e' che la stessa non puo'
 essere intesa in senso meramente atecnico come semplice necessita' di
 assicurare  alle  regioni  i mezzi sufficienti per esercitare le loro
 funzioni.
    Una effettiva autonomia finanziaria implica infatti per le regioni
 il potere di autonoma determinazione delle entrate (per quel che  qui
 interessa) e delle spese, sempre, ovviamente, nel quadro dei principi
 fondamentali  stabiliti  dalle  leggi  dello  Stato, dettati anche in
 funzione del necessario coordinamento della  finanza  pubblica,  pure
 previsto dallo stesso art. 119.
    Puo'   dunque  dirsi  che  autonomia  finanziaria  (tributaria  in
 particolare quantomeno con riguardo ai "tributi propri") e  autonomia
 legislativa regionale non possono non avere la stessa ampiezza.
    Ma  anche  a  non  voler  accedere  a  questa  tesi interpretativa
 dell'art. 119 e a voler riconoscere al legislatore statale,  in  nome
 del  principio  dell'"unitarieta'  della  finanzia pubblica", la piu'
 ampia potesta' di intervento,  anche  in  dettaglio,  in  materia  di
 finanza, e di autonomia finanziaria, regionale, fino a configurare la
 legislazione in proposito come legislazione semplicemente "attuativa"
 di   quella   dello   Stato  non  si  potra'  negare,  comunque,  che
 "l'autonomia   finanziaria"   e'  anche,  necessariamente  "autonomia
 normativa" oltre che "autonomia organizzatoria".
    In tale direzione questa stessa eccellentissima  Corte,  ha  avuto
 modo  di  chiarire  che  il  richiamo  contenuto  nell'art. 119 della
 Costituzione alle "forme" e ai "limiti"  stabiliti  da  "leggi  della
 Repubblica"  non  identifica  affatto, anche in relazione all'art. 23
 della  Costituzione,  una  riserva  assoluta  a  favore  della  legge
 statale: invero "ove la disposizione per cui nessuna prestazione puo'
 essere imposta se non in base alla legge dovesse intendersi nel senso
 che  solo la legge dello Stato possa imporre tributi, si escluderebbe
 con cio' stesso la potesta' normativa tributaria  della  regione;  ma
 cio'   contrasterebbe  con  quelle  altre  norme  costituzionali  che
 attribuiscono  tale  potesta'",   segnatamente   l'art.   119   della
 Costituzione (sentenza n. 64/1965).
    Vi  e', quindi, comunque un parallelismo tra autonomia finanziaria
 e autonomia legislativa regionale; tra queste, in ogni caso, non puo'
 non intercorrere  un  nesso  di  coerenza  sostanziale  (sentenza  n.
 307/1983; ma anche n. 9/1957; n. 79/1972, n. 47/1973) che postula una
 "potesta' normativa tributaria" autonoma per la quale la regione deve
 quantomeno essere messa, in diritto (e in fatto), nella condizione di
 poter   percepire   entrate  derivanti  da  una  propria  imposizione
 tributaria e  di  poter  avere  un  reale  margine  di  scelta  nella
 regolamentazione  e nella manovra dei tributi. Di quelli "propri", in
 particolare: i quali non sono tali soltanto in quanto assegnati  alla
 regione  ma  anche,  e  soprattutto, in quanto da essa istituiti e in
 qualche, non  esigua,  misura,  disciplinati,  come,  del  resto,  ha
 riconosciuto,  sin  dall'inizio,  lo stesso legislatore nazionale con
 l'art. 23, secondo comma, n. 3, della legge 10 febbraio 1953, n.  62,
 secondo  cui "spetta al consiglio regionale.. .. ..) la deliberazione
 dei tributi regionali".
    Per   unanime   riconoscimento   della   dottrina   la   normativa
 costituzionale  in  materia  di  autonomia  finanziaria delle regioni
 quale definita dall'art. 119, pure interpretata nel senso restrittivo
 ora ricordato, ha avuto da parte del legislatore statale, che  ne  ha
 definito  le  "forme"  e i "limiti" un'applicazione assai restrittiva
 non in armonia con la Costituzione stessa.
    A  partire  dalla  legge  16  maggio  1970,  n.  281,  in  poi  al
 legislatore  regionale non e' stato in pratica concesso alcun margine
 di scelta in materia tributaria e  finanziaria  in  genere,  sia  con
 riguardo  alla  spesa  che,  per  quel  che  qui rileva, con riguardo
 all'entrata, tanto da determinare, sia  pure  per  aspetti  specifici
 particolarmente  vessatori,  ma  con  enunciati  di  valore generale,
 l'intervento riparatore di questa eccellentissima Corte (sentenza  n.
 307/1983).
    Cionondimeno anche nel contesto di una legislazione siffatta, pure
 entro  limiti  minimi e massimi predeterminati dalla legge, era stato
 lasciato all'autonomo esercizio della potesta' regionale  uno  spazio
 minimo:  la  regione,  invero, poteva fissare le aliquote dei tributi
 propri con la conseguente possibilita' di condurre,  quantomeno,  una
 parvenza di politica tributaria autonoma e differenziata.
    Ora,  pero',  con  l'innovazione  introdotta  dall'art. 4, secondo
 comma della legge n. 158/1990, che ha sostituito l'art. 3 della legge
 n. 281/1970, e al quale ha dato attuazione in via delegata, il d.lgs.
 n. 230/1991,  anche  questo  simulacro  di  autonomia  tributaria  e'
 caduto.
    La  nuova  legge, infatti, non solo individua gli atti per i quali
 il tributo e'  dovuto,  i  termini,  le  discipline  particolari,  ma
 determina  l'ammontare  della tassa comunque in misura fissa e uguale
 per tutti dal momento che la' dove si riscontrino tasse di  ammontare
 diverso  nelle varie regioni l'ammontare deve essere "pari al novanta
 per cento del tributo  di  ammontare  piu'  elevato  e  comunque  non
 inferiore  al  tributo  di  ammontare  meno elevato" (art. 4, secondo
 comma, lett. c), seconda parte, della legge n.  158/1990).  Si  viene
 cosi'  ad  uniformare  integralmente,  al  di la' di ogni ragionevole
 esigenza  di  coordinamento  della  finanza  regionale   con   quella
 nazionale,  la  quantificazione  del  tributo  in tutto il territorio
 nazionale. E' stata annullata in tal modo qualsiasi  autonomia  delle
 singole  regioni in tema di determinazione dell'ammontare della tassa
 sulle concessioni: vale a dire  si  e'  soppressa  qualsiasi  residua
 possibilita',  sicuramente postulata dall'art. 119 della Costituzione
 di adeguare l'importo della tassa sulle  concessioni  regionali  alle
 specifiche  condizioni, alle peculiari esigenze della collettivita' e
 del territorio di ciascuna regione  quali  valutate  dal  legislatore
 regionale.
    Palese  e'  dunque il contrasto delle disposizioni del nuovo testo
 dell'art. 3 della legge n. 281/1970, quale definito dall'art. 4 della
 legge n. 158/1990, nonche' delle disposizoni del d.lgs. n.  230/1991,
 che  ha approvato la nuova tariffa, con l'art. 119 della Costituzione
 che sancisce il principio dell'autonomia finanziaria -  intesa  anche
 come  autonomia  normativa  - delle regioni e con gli artt. 117 e 118
 inerenti la potesta' legislativa regionale e quella amministrativa.
    2) L'ulteriore e definitiva stretta operata, con  l'art.  4  della
 legge  n.  158/1990  e  con  il  d.lgs.  n.  230/1991, sull'autonomia
 finanziaria  delle   regioni   con   particolare   riferimento   alla
 possibilita'  di  disciplinare le tasse sulle concessioni regionali e
 di determinarne per lo meno l'ammontare - cosi' come pur  consentiva,
 anche se entro determinati limiti, l'art. 3 della legge n. 281/1970 -
 appare  tanto piu' sconcertante e ancor piu' chiaramente illegittima,
 per violazione delle ricordate norme della  Costituzione,  quando  si
 considera  che  la necessita' di riconoscere alle regioni un adeguato
 margime  di  "autonomia  impositiva"  costituisce  un   fatto   ormai
 politicamente  e istituzionalmente acquisito. E non soltanto in linea
 di principio: la stessa legge 14 giugno 1990,  n.  158,  infatti,  e'
 espressamente  volta,  sin  dall'intitolazione,  a conferire un primo
 concreto contenuto a tale autonomia.
    Ora, come si e' gia' precisato, puo' anche convenirsi,  in  questa
 sede,  sul  fatto che il legislatore statale goda di un ampio margine
 di discrezionalita' nel definire le forme, i  contenuti  e  i  limiti
 dell'autonomia   finanziaria,  e  impositiva  in  particolare,  delle
 regioni: non puo',  pero',  certamente  annullarla.  Per  contro  nel
 momento  stesso  in  cui  era  lecito attendersi un ampliamento della
 facolta' delle regioni di imporre tributi si  e'  assistito,  invece,
 per  lo  meno con riferimento alla tassa sulle concessioni regionali,
 alla chiusura anche di quel minimo  spazio  di  manovra,  consistente
 nella  possibilita'  di  stabilite l'aliquota che, fino alla legge n.
 158/1990, era assicurata dall'art. 3 della legge n. 281/1970.
    L'eliminazione  anche  di  tale  esiguo  ambito  di  deteminazione
 autonoma ha dunque comportato, per quel che concerne la  tassa  sulle
 concessioni  regionali,  il  totale disconoscimento e la soppressione
 dell'autonomia  impositiva  regionale  che  costituisce   il   nucleo
 essenziale  dell'autonomia  tributaria,  normativa  e  organizzativa,
 riconosciuta alle regioni dall'art.  119  della  Costituzione  e  che
 implica   necessariamente   affinche'   possa  dirsi  sussistente  il
 riconoscimento di un minimo di  potesta'  regionale  nel  determinare
 l'ammontare  del  tributo  con riferimento alla realta' delle singole
 regioni.
    Avendo dunque soppresso, con riguardo alla tassa sulle concessioni
 regionali, anche quel minimo di autonomia impositiva  garantita  alle
 regioni dall'art. 119 della Costituzione, le disposizioni dell'art. 4
 della  legge  n.  158/1990  impugnate  come  in  epigrafe, nonche' la
 tariffa approvata col d.lgs. n.  230/1991,  si  pongono,  ancor  piu'
 chiaramente  della  precedente  normativa  statale  nella materia, in
 contrasto insanabile con detta norma e, di  conseguenza,  con  quelle
 degli artt. 117 e 118 della stessa Costituzione.
    3) Prescindendo dai rilievi di costituzionalita' ora enunciati con
 riguardo  all'art.  4,  secondo  comma,  della legge n. 158/1990 e al
 d.lgs. n. 230/1991 nel suo complesso,  si  eccepisce,  in  subordine,
 l'illegittimita'  costituzionale  della tariffa approvata col decreto
 legislativo  considerato  per  violazione  dei  principi  e   criteri
 direttivi  previsti  dalla  legge  di delega e, percio', dell'art. 76
 della Costituzione.
    La censura appare senz'altro ammissibile  nel  presente  giudizio,
 promosso  in  via principale dalla regione Umbria, dal momento che il
 principio (o, meglio, il criterio direttivo) che si  assume  violato,
 quello  della  lett. c), del secondo comma dell'art. 4 della legge n.
 159/1990 incide sicuramente sulla  competenza  regionale,  in  quanto
 volto   a   garantire   un  certo  ammontare  dell'entrata  regionale
 corrispondente alla tassa: si' che la sua violazione  -  ammesso  che
 detta  prescrizione  possa  a  sua volta ritenersi costituzionalmente
 legittima - finisce per ripercuotersi sugli  artt.  117,  118  e  119
 della   Costituzione   (Corte  costituzionale  sentt.  nn.  183/1987;
 272/1988; 617/1988).
    Precisamente appaiono determinate in violazione del detto criterio
 direttivo le tariffe contrassegnate da numeri d'ordine:
      1)  concessione  per  l'apertura  e  l'esercizio  di   farmacie,
 limitatamente alla lett. a);
      7)   autorizzazione   igienico   sanitaria   per   l'apertura  e
 vidimazione annuale di pubblici esercizi, limitatamente ai  punti  1,
 strutture  ricettive alberghiere e altre strutture ricettive, lettere
 c), d), e), f); 2, esercizi  per  la  somministrazione  di  alimenti,
 lettere c), d) e); 3, esercizi per la somministrazione di bevande;
      16)  n. 1, concessione per la costituzione di azienda faunistico
 venatoria;
      41)   concessione   di   servizi    pubblici    automobilistici,
 limitatamente ai punti 1, 2, 3 e 5.
    Invero,  come  si  e'  visto,  con  riferimento  all'ammontare del
 tributo dovuto per ciascun atto o  provvedimento,  l'art.  4  secondo
 comma, lett. c), ultima parte, della legge n. 158/1990 stabilisce che
 "in  caso  di  provvedimenti  o  atti  gia'  assoggettati  a tassa di
 concessione regionale  di  ammontare  diverso  in  ciascuna  regione,
 l'ammontare del tributo da indicare nella nuova tariffa sara' pari al
 90% del tributo di ammontare piu' elevato e comunque non inferiore al
 tributo di ammontare meno elevato".
    Ai sensi dei tale disposizione, dunque, il legislatore delegato e'
 tenuto  a stabilire l'ammontare della tassa in misura pari al novanta
 per cento del tributo  regionale  piu'  elevato:  ove,  peraltro,  il
 tributo regionale meno elevato risulti superiore al novanta per cento
 di  quello  piu'  elevato  l'ammontare  della tassa non potra' essere
 inferiore a detto importo.
    Da tutto cio' discende che la misura della tassa pari  al  novanta
 per  cento  del  tributo  regionale piu' elevato, rappresenta, per il
 legislatore delegato, un limite minimo inderogabile, posto a garanzia
 delle entrate regionali,  con  l'ulteriore  conseguenza  che  non  e'
 comunque  legittima  la  previsione di tasse di concessione regionale
 con ammontare inferiore al  novanta  per  cento  degli  importi  gia'
 previsti nelle singole regioni dal momento che tale novanta per cento
 non  potra'  che  essere  inferiore  al novanta per cento del tributo
 regionale piu' elevato.
    Per contro le previsioni sopraindicate della tariffa approvata col
 decreto legislativo n. 230/1991 si collocano  tutte,  avuto  riguardo
 agli  importi vigenti nella regione Umbria - che, per le voci consid-
 erate, debbono essere ritenuti come quelli di ammontare piu'  elevato
 -  al  di sotto del detto novanta per cento, cosi' come risulta dalla
 tabella che  si  produce  e  che  costituisce  parte  integrante  del
 presente  ricorso,  con  grave  danno  finanziario  per  la regione e
 conseguente violazione del criterio direttivo stabilito  dalla  lett.
 c), seconda parte del secondo comma dell'art. 4 della legge di delega
 n.  158/1991. Di qui l'illegittimita' costituzionale delle previsioni
 considerate per contrasto con l'art. 76 e con gli artt.  117,  118  e
 119 della Costituzione.
                               P. Q. M.
    Si   chiede   che   l'ecc.ma  Corte  costituzionale  adita  voglia
 dichiarare costituzionalmente illegittime le disposizioni dell'art. 4
 della legge 14 giugno 1990, n. 158, che ha sostituito l'art. 3  della
 legge  16  maggio  1970,  n.  281,  con  specifico  riguardo a quelle
 previste al secondo comma in generale e,  comunque,  in  particolare,
 con  riferimento  a  quella  di  cui alla lett. c), nonche', nel loro
 complesso, le  disposizioni  del  d.lgs.  22  giugno  1991,  n.  230,
 pubblicato  in  Gazzetta  Ufficiale  n.  179  del 1º agosto 1991, col
 quale, in attuazione della delega disposta col detto art. 4, e' stata
 approvata la tariffa delle tasse  sulle  concessioni  regionali,  per
 violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione;
    In  subordine  voglia dichiarare costituzionalmente illegittime le
 previsioni della tariffa delle  tasse  sulle  concessioni  regionali,
 approvata  con  d.lgs.  22  giugno  1991,  n. 230, contrassegnate dai
 numeri d'ordine: 1, limitatamente alla lett. a); 7, limitatamente  ai
 punti  1,  lettere  c),  d),  e), f), 2, lettere c), d), e), e 3; 16,
 punto 1; 41, punti 1, 2, 3 e 5, per violazione degli artt.  76,  117,
 118 e 119 della Costituzione;
    Con ogni effetti di legge.
      Roma, addi' 27 agosto 1991
               Avv. Dante DURANTI - Avv. Goffredo GOBBI

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