N. 595 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 luglio 1991
N. 595 Ordinanza emessa il 5 luglio 1991 dal pretore di Napoli sul ricorso proposto da Esposito Luigi contro la Cassa nazionale di previdenza e assistenza avvocati e procuratori Avvocato e procuratore - Pensioni di anzianita' - Diritto condizionato alla cancellazione dall'albo ed incompatibilita' con l'iscrizione a qualsiasi albo professionale o elenco di lavoratori autonomi e con qualsiasi attivita' di lavoro dipendente - Determinazione della pensione stessa in relazione ai soli redditi assoggettati alla maggiore contribuzione prevista dall'art. 10 della legge n. 576/1980 - Ingiustificato deteriore trattamento della pensione di anzianita' rispetto a quella di vecchiaia - Incidenza sul diritto al lavoro, nonche' sui principi della tutela del lavoro e sull'assicurazione di mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore in caso di vecchiaia - Riferimento alla sentenza n. 1008/1988. (Legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 3, secondo comma). (Cost., artt. 3, 4, 35 e 38).(GU n.39 del 2-10-1991 )
IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza, n. 14400/90 R.ta. Prev. Esposito contro C.N.P.A.P. Con ricorso depositato il 5 ottobre 1990 e notificato il 25 gennaio 1991, l'avvocato Luigi Esposito conveniva in giudizio, dinanzi al pretore di Napoli in funzione di giudice del lavoro, la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza avvocati e procuratori e, premesso che, avendo conseguito i requisiti previsti dall'art. 3 della legge 20 settembre 1980, n. 576, aveva chiesto la pensione di anzianita' con decorrenza dal 1ยบ gennaio 1990; che la Cassa, nel riconoscergli il diritto alla pensione suddetta, aveva disposto che essa gli fosse erogata dal mese successivo all'avvenuta cancellazione dall'albo professionale; che tale richiesta non era legittima, perche' la pensione, cosi' come liquidata (pari a L. 1.791.692 nette mensili), non gli avrebbe permesso di soddisfare le esigenze di vita come stabilito dal secondo comma dell'art. 38 della Costituzione; che inoltre la Cassa non liquidava la pensione in base a tutti i contributi versati corrispondenti ai redditi conseguiti, ma soltanto in relazione ai redditi assoggettati alla maggiore contribuzione prevista dall'art. 10 della legge n. 576/1980, con cio' contrastando ancora l'art. 38 della Costituzione sulla adeguatezza della pensione alle esigenze di vita del lavoratore anziano; che egli, percio', aveva diritto ad ottenere il pagamento della pensione senza cancellazione dall'albo professionale e che detta pensione fosse liquidata in base a tutti i redditi da lui conseguiti ed assoggettati a contribuzione; che, in subordine, la causa andava sospesa e gli atti trasmessi alla Corte costituzionale per accertare se il secondo comma dell'art. 2 della legge n. 576/1980 violasse l'art. 38 della Costituzione nella parte in cui non stabiliva la liquidazione della pensione in base a tutti i redditi assoggettati a contribuzione e se il secondo comma dell'art. 3 della stessa legge non violasse gli artt. 38, 35 e 33 della Costituzione, i primi due articoli impedendo in assoluto il proseguimento di ogni attivita' lavorativa e conseguentemente non assicurando mezzi adeguati alle esigenze di vita del titolare di pensione di anzianita', e l'art. 33 in quanto la norma in esame avrebbe sostituito la volonta' privata (domanda di cancellazione) al potere pubblico, come legislativamente sancito dagli artt. 17, 20 e 30 del r.d. 27 novembre 1933, n. 1578. Con una memoria aggiuntiva, depositata il 19 ottobre 1990, il ricorrente sollevava ulteriori dubbi di legittimita' costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge n. 576/1980 in relazione agli artt. 1, 3, 13 e 35 della Costituzione. La Cassa convenuta, nel costituirsi ritualmente, chiedeva il rigetto della domanda perche' posto in contrasto con la normativa vigente e, in ordine alle eccezioni di incostituzionalita', rilevava come in parte la Corte si fosse gia' pronunziata e come esse fossero, comunque, del tutto infondate in base ad una serie di motivi sviluppati nella memoria di costituzione. Ritiene questo pretore la non manifesta infondatezza di alcune delle questioni di illegittimita' costituzionali proposte dal ricorrente, pur con il sostegno anche con argomentazioni svolte di ufficio, riservandosi di motivare, in sede di definizione del giudizio, in ordine alla manifesta infondatezza delle altre. In relazione all'art. 3, secondo comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576, una prima violazione ipotizzabile e' quella dell'art. 3 della Costituzione, in quanto sarebbe stato infranto il principio di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge: cio' vale, in particolare, per le due categorie di pensionati, quelli per anzianita' e quelli per vecchiaia, le cui rispettive posizioni sono regolamentate dalla legge in esame in maniera tale da costituire discriminazione nei confronti dei pensionati per anzianita'. Va subito detto che non v'e' dubbio che le situazioni delle due categorie appaiono ben distinte tra loro, per cui era possibile e logico che il legislatore le regolamentasse in modo differente. Peraltro anche tali differenze dovevano essere dettate da criteri di logicita' e ragionevolezza, tanto piu' quanto la diversa disciplina conduceva a trattamenti radicalmente diversi. E cio' puo' dirsi che sia avvenuto, nel caso della legge in esame, in conseguenza dell'intervento della Corte costituzionale che, con sentenza n. 1008 del 26 ottobre 1988, ha dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 2, sesto comma, e dell'art. 2, ottavo comma, della legge n. 576/1980 nella parte in cui dispone che il supplemento di pensione, spettante a coloro che dopo il maturamento del diritto a pensione continuano per cinque anni l'esercizio della professione "e' pari, per ognuno di tali anni, alla meta' delle percentuali di cui al primo ed al quinto comma, riferite alla media dei redditi professionali risultanti dalle dichiarazioni successive a quelle considerate per il calcolo del pensionamento", anziche' alle percentuali intere. A seguito di tale pronunzia si e' venuta ulteriormente ad aggravare, a giudizio di questo pretore, quella situazione di squilibrio che gia' esisteva in precedenza tra i pensionati per vecchiaia e quelli per anzianita', ma che tuttavia poteva fino a quel momento ritenersi ragionevolmente giustificata, sia dalla diversita' delle situazioni di partenza, sia conseguentemente nell'ottica di attribuire una maggiore tutela a chi aveva raggiunto quell'eta' che, per la generale normativa pensionistica, coincide con la cessazione, nella maggior parte dei casi, dell'attivita' lavorativa, rispetto a chi, pur non, avendo ancora raggiunto tale eta', operasse la scelta di anticipare il momento in cui attingere al sistema previdenziale. Ed infatti le due norme cancellate dalla Corte costituzionale avevano lo scopo di disincentivare la prosecuzione dell'attivita' lavorativa per coloro che avessero gia' conseguito la pensione di vecchiaia. Si trattava della stessa ratio, anche se realizzata in termini ben piu' drastici, che avevano suggerito di imporre, per i pensionati per anzianita', la cancellazione dall'albo e le altre misure di cui al secondo comma dell'art. 3. Si erano voluti stabilire, in sostanza, in casi diversi (anzianita' e vecchiaia), pur nell'ambito di una stessa categoria (avvocati e procuratori gia' in pensione), criteri di disincentivazione necessariamente differenti. Ambedue i criteri, peraltro, erano essenziali ai fini di una corretta aderenza ai principi informatori della legge, perche' entrambi rispondevano ad una funzione primaria, che i lavoratori preparatori della legge n. 576/1980 avevano individuato nella tutela dell'"interesse di entrata dei giovani"; per cui, venuto meno uno dei due (quello cioe', che mirava a disincentivare i pensionati per vecchiaia dal proseguire l'attivita'), e' evidente che l'altro criterio appaia del tutto sbilanciato nella sua estrema severita', conseguendone, pur nella parziale disomogeneita' delle situazioni, una abnorme violazione del generale principio di uguaglianza. D'altra parte i rilievi mossi dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 1008/1988 possono validamente trasferirsi, senza nulla mutare, anche alla fattispecie: la ratio legis, cioe', sarebbe plausibile, anche nel caso in esame, e giustificherebbe la norma impugnata, solo ove concorressero le due condizioni di un livello delle pensioni corrisposte dalla Cassa idoneo a consentire al pensionato una vita dignitosa e di una stazionarieta' della richiesta di servizi nel campo dell'assistenza legale. E non puo' certo dirsi che nell'arco di tempo di tre anni scarsi siano intervenuti mutamenti tali da giustificare una trasformazione di quella realta' che fu verificata all'epoca dalla Corte, che rilevo' come nessuna delle due condizioni sussistesse. Anche sotto questo aspetto, quindi, sembra configurabile una violazione dell'art. 3 della Costituzione. Ma proprio riferendosi al "mediamente esiguo ammontare" (cosi' si esprime testualmente la Corte) delle pensioni corrisposte dalla Cassa, puo' ipotizzarsi anche la contemporanea violazione, da parte del secondo comma dell'art. 3, degli artt. 3 e 38 della Costituzione, sia esaminati in collegamento tra loro che disgiuntamente, ove si consideri che mentre il pensionato per vecchiaia puo' esercitare, oramai senza limitazioni, la professione, il pensionato per anzianita' non solo non puo' esercitarla in assoluto, ma neppure puo' essere iscritto a qualsiasi, altro albo professionale o elenco di lavoratori autonomi, ne' esercitare qualsiasi attivita' di lavoro dipendente (come recita il secondo comma dell'art. 2). E tutto cio' si concreta in una differente, complessiva disciplina che, ancorche' si riferisca, come detto, a situazioni non del tutto omogenee, appare da un lato discriminatoria perche' comporta disposizioni non tanto differenziate, quanto addirittura tra loro antitetiche, e tali da superare ogni limite di ragionevolezza, anche al di la' della parziale disomogeneita' delle situazioni; e si manifesta dall'altro certamente lesiva del diritto a vedersi assicurati mezzi adeguati alle esigenze di vita in un momento della vita stessa ritenuto particolarmente meritevole di tutela dalla Costituzione. Ne' appare rilevante l'obiezione avanzata in proposito da parte convenuta, secondo cui la tutela dell'art. 38 sarebbe rivolta all'ipotesi di vecchiaia e non a quella di anzianita', perche' essa si ferma ad un dato meramente lessicale, laddove risulta chiaro che il termine "vecchiaia" usato dall'art. 38 sta ad indicare un'eta' della vita che non puo' essere delimitata con assoluta precisione, come e' invece necessario fare in sede pensionistica e previdenziale (peraltro con continui mutamenti che mal si concilierebbero con il dato immutabile della norma costituzionale), e che sicuramente comprende anche il concetto di anzianita'. Un ultimo profilo di illegittimita' costituzionale puo' configurarsi in relazione alla norma in esame, se rapportata agli artt. 4 e 35 della Costituzione, anch'essi, comunque, valutati in rapporto all'art. 3 della Costituzione. Se, infatti, tenuto conto della ratio legis cosi' come individuata dallo stesso legislatore nei lavori preparatori e dalla Corte costituzionale nella citata sentenza, potrebbe anche apparire ragionevole (nei limiti e sotto le condizioni in precedenza ricordate) un divieto di esercitare la professione forense fino a che non si pervenga a conseguire le condizioni per il riconoscimento della pensione di vecchiaia, non si comprende come l'art. 2 abbia introdotto non una sospensione, ma una radicale cancellazione che, oltre a provocare una ulteriore discriminazione nel momento in cui siano conseguiti i requisiti per la pensione di vecchiaia, contrasta con gli artt. 4 e 35 della Costituzione, costituendo da un canto un'evidente violazione del principio della tutela del diritto al lavoro e dell'obbligo di promuoverne le condizioni per l'effettivo esercizio (soprattutto in relazione alla categoria degli anziani ancora validi ed in grado di impiegare proficuamente le residue energie), e dall'altro un'altrettanto evidente violazione del principio che sancisce la tutela del lavoro in tutte le sue forme. Del tutto incomprensibili, poi, sono gli ulteriori divieti imposti dal secondo comma dell'art. 3, dal momento che risultano completamente privi di connessione con l'interesse sociale che la norma in oggetto intende proteggere e che, come si e' rilevato, consiste nella tutela del c.d. interesse di entrata dei giovani (si badi bene, inteso, come da Corte costituzionale n. 1008/1988, in relazione alla sola categoria degli avvocati e procuratori legali e non alla generalita' delle categorie di lavoratori). Ne' va dimenticato che la norma generale dettata dall'art. 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153, nel reintrodurre la pensione di anzianita' nell'assicurazione generale obbligatoria per lavoratori dipendenti, coltivatori diretti, artigiani e commercianti, stabilisce solo, come condizione per la concessione, che i destinatari "non prestino attivita' lavorativa subordinata alla data di presentazione della domanda di pensione". Ed ancora una volta non si riesce ad individuare il motivo per cui, nell'ambito della generale, e questa volta unitaria, categoria dei pensionati per anzianita', le limitazioni imposte possano essere cosi' differenti tra loro, a parita' dei motivi ispiratori delle stesse. Per tutte le ragioni fin qui esposte, e verificatane la rilevanza ai fini della decisione, deve dichiararsi la non manifesta infondatezza delle questioni proposte dal ricorrente e di quelle sollevate di ufficio: di conseguenza il giudizio va sospeso e gli atti devono essere trasmessi alla Corte costituzionale.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576, in relazione agli artt. 3, 4, primo comma, 35, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione; Dispone che la cancelleria trasmetta gli atti alla Corte costituzionale; Ordina la sospensione di questo giudizio; Dispone che questa ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica. Napoli, addi' 5 luglio 1991 Il pretore: (firma illeggibile) 91C1068