N. 630 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 luglio 1991
N. 630 Ordinanza emessa il 9 luglio 1991 dal pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Silmo Malinverni Elba ed altri e l'I.N.P.S. Previdenza e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Riliquidazione - Determinazione della misura - Computabilita' della retribuzione imponibile eccedente il limite massimo di retribuzione pensionabile prevista - Trattamento riservato ai pensionati posti in quiescenza con decorrenza successiva al 31 dicembre 1980 e al 1º gennaio 1985 - Mancata previsione di detti benefici a favore dei soggetti gia' pensionati a tali date - Ingiustificata disparita' di trattamento di situazioni identiche in base al mero elemento temporale - Riferimenti alla sentenza n. 173/1986 e all'ordinanza n. 120/1989. (Legge 23 aprile 1981, n. 155, art. 19; legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, tredicesimo comma; legge 15 aprile 1985, n. 140, art. 9; d.-l. 22 dicembre 1990, n. 409, artt. 1, quarto comma, e 2, convertito in legge 27 febbraio 1991, n. 59). (Cost., art. 3).(GU n.41 del 16-10-1991 )
IL PRETORE Ha pronuncito la seguente ordinanza r.g.l. n. 11924/90, promossa da Silmo Malinverni Elba e altri 435, rappresentati e difesi dagli avv.ti Marino Bin e Giovanni Villani, parti ricorrenti, contro l'I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza sociale, rappresentato e difeso dai dott. proc. Franco Borla e Adele Olla', parte convenuta. Letti gli atti, ascoltati i patroni delle parti, osserva quanto segue: 1. - I ricorrenti, titolari di pensione I.N.P.S. a carico del Fondo pensioni lavoatori dipendenti, a far tempo da date comprese tra il 1976 ed il 1987, sono stati assoggettati alle disposizioni sui limiti massimi di retribuzione annua pensionabile (c.d. "tetto") via via succedutesi nel tempo ed operanti all'atto del pensionamento. E chiedono al pretore: a) in via principale, di estendere a loro beneficio le modifiche alla disciplina dei tetti introdotte dall'art. 19 della legge 23 aprile 1981, n. 155 (che ha elevato il massimale, quale previsto dall'art. 5, quinto comma, del D.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, in L. 12.601.600, a L. 18.500.000, con riferimento alle pensioni liquidate con decorrenza successiva al 31 dicembre 1980), dall'art. 3, tredicesimo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (che dal 1º gennaio 1983 ha indicizzato il precedente massimale, elevato dal 1º gennaio 1983 a L. 20.271.000 e dal 1º gennaio 1984 a L. 21.271.000), dall'art. 9 della legge 15 aprile 1985, n. 140 (che ha elevato il massimale a L. 32.000.000 dal 1º gennaio 1985). Il tutto a decorrere dalle rispettive date ivi indicate e con conseguente rideterminazione della retribuzione media pensionabile e ricalcolo pensionistico; b) in via subordinata, di ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni di legge citate sub a), in riferimento al principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non operano anche a beneficio dei gia' pensionati, i quali vengono cosi' discriminati rispetto a queli futuri, anche sotto il profilo del diverso e piu' svantaggioso collegamento tra retribuzione e pensione. Una parte dei ricorrenti, titolari di pensione con decorrenza iniziale compresa tra il 1976 ed il 1984, beneficia ora delle nuove disposizioni sui limiti mssimi di retribuzione pensionabile, introdotti dall'art. 2 del d.P.C.M. 16 dicembre 1989 (in Gazzetta Ufficiale, n. 299 del 23 dicembre 1989) e recepito dagli artt. 1, quarto comma, e 2, del decreto-legge 22 dicembre 1990, n. 409, convertito nella legge 27 febbraio 1991, n. 59. E chiede al pretore: c) in via principale, di far decorrere il ricalcolo pensionistico ivi previsto dalle rispettive date di iniziale decorrenza della pensione; d) in via subordinata, di dichiarare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle citate disposizioni di legge, in riferimento al principio di ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione, nella parte in cui fanno decorrere detto ricalcolo dal periodo successivo al 31 dicembre 1989, anziche' dall'anno di pensionamento, e fino al 31 dicembre 1990, in ragione solo del 60%. In giudizio resiste l'istituto convenuto, il quale ravvisa negli stessi enunciati normativi invocati dai ricorrenti insormontabili ostacoli all'accoglimento delle proposte domande di riliquidazione pensionistica, riferendosi tali enunciati solo ed esclusivamente alle pensioni liquidate successivamente alle rispettive date ivi contem- plate. Quanto poi alle censure di legittimita' costituzionale prospettate in subordine dagli attori, l'istituto chiede che vengano dichiarate manifestamente infondate. E in proposito richiama la motivazine della sentenza n. 173/1986 del giudice delle leggi. Chiarite in tal modo le rispettive e contrapposte posizioni delle parti, il pretore osserva quanto segue in ordine alle stesse. 2. - Le domande sub a) appaiono infondate. L'art. 19 della legge n. 155/1981 si riferisce esplicitamente solo agli assicurati con pensione avente decorrenza successiva al 31 dicembre 1980; talche' non e' consentita alcuna riliquidazione a favore dei gia' pensionati, neppure con decorrenza del ricalcolo a partire dal 1º gennaio 1981. Lo stesso dicasi quanto alle ulteriori norme, che hanno aggiornato il massimale di retribuzione pensionabile, e cioe' all'art. 3, tredicesimo comma, della legge n. 297/1982 e all'art. 9 della legge n. 140/1985. Tali disposizioni richiamano invero, esplicitamente, l'art. 19 della legge n. 155/1981 e, pertanto, pur nell'apparente diversa formulazione, non possono trovare applicazione ai gia' pensionati, attribuendo loro il diritto al ricalcolo del trattamento dalle date ivi rispettivamente indicate. 3. - La questione prospettata sub b), ancorche' gia' decisa dalla Corte (cfr. sent. 7 luglio 1986, n. 173, par. 11, in Foro it., 1986, I, c. 2095; nonche' ord. 16 marzo 1989 n. 120, in Gazzetta Ufficiale, serie speciale, 22 marzo 1989 n. 12), merita comunque di essere riproposta. La discrezionalita' legislativa e le esigenze di modificare con gradualita' la disciplina in oggetto, in vista di un suo definitivo superamento, certamente non autorizzano la violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione e cioe' di ugual trattamento a parita' di condizioni, non consentendo in tal modo l'introduzione di discriminazioni irrazionali. La qual cosa si e' appunto verificata con le disposizioni sopra richiamate, laddove queste hanno introdotto nuovi massimali di retribuzione pensionabile, in luogo di quelli antecedenti, a lungo cristallizzati o aggiornati in modo del tutto inadeguato, omettendo peraltro di estenderne i benefici anche ai gia' pensionati. Per avere una esatta dimensione del problema e' sufficiente considerare che il massimale di L. 12.601.600, introdotto nel 1968 e rimasto in vigore sino al 31 dicembre 1980, corrisponderebbe in base agli indici I.STAT. a L. 58.532.000 del 1981 e non a L. 18.500.000, come previsto dall'art. 19 della legge n. 155/1981 (cfr. AA.VV., Il trattamento di fine rapporto, Padova 1984, p. 161). Inoltre, secondo il sistema di indicizzazione menzionato nell'art. 3, tredicesimo comma, della legge n. 297/1982, il massimale dal 1º gennaio 1985 avrebbe dovuto essere pari a L. 22.819.000, se non fosse invece intervenuta la piu' favorevole disposizione di cui all'art. 9 della legge n. 140/1985, che lo ha viceversa elevato a L. 32.000.000 (cfr. Le nuove leggi civili commentate, 1986, p. 280). In conseguenza di siffatte disposizioni avviene allora che gli stessi anni di retribuzione, da prendere in considerazione ai fini del calcolo della retribuzione media pensionabile, vengano assoggettati a diverso massimale, a seconda che il calcolo in oggetto sia effettuato in una data piuttosto che in un'altra. Talche' "due lavoratori aventi la stessa anzianita' contributiva e lo stesso livello possono trovarsi titolari di pensioni che si differenziano di circa 6.000.000 di lire per il solo fatto che l'uno risulti quiescente ventiquattrore prima dell'altro" (cosi' Foro it., 1986, I, c. 2089). Il che comporta un annullamento del collegamento o un piu' svantaggioso collegamento tra retribuzione e pensione, con conseguente "disparita' di trattamento tra i pensionati a seconda della decorrenza della prestazione" (cosi' Le nuove leggi civili, cit., p. 280). 4. - Anche la questione sub c), che concerne quelli tra i ricorrenti la cui pensione decorre da epoca anteriore al 31 dicembre 1984, non pare poter trovare favorevole accoglimento. La riliquidazione in oggetto decorre invero dal 1º gennaio 1990 o da epoca successiva, in relazione alla data di presentazione della domanda da parte dell'assicurato. Il che sicuramente pone un problema di legittimita' costituzionale, con riferimento all'art. 3 della Costituzione e al principio di ragionevolezza che da esso puo' essere desunto. Per intendere la questione negli esatti termini in cui va collocata, occorre peraltro introdurre, a questo punto, un doveroso chiarimento. 5. - Nella concreta esperienza della Corte costituzionale l'art. 3 della Costituzione e' in un primo tempo stato inteso ed utilizzato per introdurre un giudizio essenzialmente ternario e cioe' relazionale; fondato cioe' sul rapporto di identita'-similitudine- diversita' tra due o piu' pesone o cose ed un determinato bene o un determinato standard di misura. In questo quadro concettuale sono venuti assumendo un ruolo fondamentale ed imprescindibile i c.d. tertia comparationis e cioe' le norme o i principi positivi dalla cui (non contestata) operativita' discende, in virtu' di altra norma contestata, la disparita' di trattamento. In ordine a cio' v. Corte costituzionale 30 gennaio 1980, n. 10 (in Giur. cost., 1980, I, p. 87) ove si legge che "le valutazioni di legittimita' costituzionale sul rispetto del principio di eguaglianza (. . . ) comportanto per definizione che la normativa impugnata venga posta a raffronto con un'altra o con altre normative (. . .), per stabilire in tal modo se il legislatore abbia dettato disposizioni cosi' poco ragionevoli da doversi ritenere costituzionalmente illegittime". Per un verso la progressiva e crescente individuazione di sempre nuovi tertia comparationis, rappresentati anche da principi generali dell'ordinamento, e, per l'altro, l'approfondimento (sulla scia dei risultati cui e' pervnuta la dottrina tedesca in tema di Gleichheit) del profilo di "ragionevolezza" delle disposizioni impugnate, hanno consentito alla Corte, nel periodo piu' recente, di ammettere alcuni casi di giudizio ex art. 3 della Costituzione, sciolto peraltro da considerazioni comparative e cioe' consistente in un controllo di logicita' irrelato. L'indagine imperniata sulla verifica della possibile violazione del principio di eguaglainza ha cosi' finito, ad. es. "per sfociare nel sindacato sulla giustificatezza delle norme legislative impugnate", sindacato che "viene fatto dipendere dalla corrispondenza delle norme stesse agli scopi perseguiti dal legislatore"; "andando cosi' (la Corte) alla ricerca delle contraddizioni nelle quali potrebbe esser caduta la regolamentazione sindacata" (cosi' Giur. cost., 1984, I, pp. 254-55). Gli esempi piu' significativi di questo recente indirizzo sono costituiti dalle seguenti pronunce: a) sent. 18 dicembre 1987 n. 560 (cfr. Giur. cost., 1987, I, p. 3534), che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 21, primo comma, della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (Fondo di garanzia per le vittime della strada) "per la parte in cui non prevede l'adeguamento dei valori monetari ivi indicati"; e cio', come si legge in motivazione, per "la irrazionalita' della disposizione legislativa che non colloca nel flusso temporale la ponderazione dei valori monetari della prestazione risarcitoria"; b) sent. 11 febbraio 1988 n. 156 (cfr. Giur. cost., 1988, I, p. 525), che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 6, terzo comma, del decreot-legge 22 dicembre 1981, n. 791, conv. nella legge 26 febbraio 1982, n. 54 (Opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro sino al sessantacinquesimo anno di eta' o sino al conseguimento dell'anzianita' contributiva massima) "nella parte in cui non dispone che il termine ivi previsto per l'esercizio della facolta' di opzione. . . non possa comunque scadere prima che siano trascorsi sei mesi dall'entrata in vigore del decreto-legge medesimo"; e cio' in quanto "il legislatore (. . . ) e' caduto nella singolare contraddizione di prevedere ad un tempo che in tal caso (cioe' per chi ha maturato gia' il diritto a pensione n.d.r.) si prescinde dalla comunicazione al datore di lavoro e, subito dopo, che, invece, tale comunicazione deve essere effettuata non oltre la data in cui i predetti requisiti vengono maturati", contraddizione che "segnala l'irrazionalita' intrinseca della disposizione ora richiamata"; c) sent. 26 luglio 1988, n. 882, (cfr. Giur. cost., 1988, I, p. 4153), che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, ultimo comma, del decreto-legge 9 dicembre 1986, n. 832, conv. nella legge 6 febbraio 1987, n. 15 (Indennita' di buonuscita a favore di conduttore che gestisca un'attivita' di impresa); e cio' per "l'interna contraddizione di una mens legis che contemporaneamente vuole e disvuole l'affermazione di un atto di autonomia privata", risultando cosi' "violato il principio di ragionevolezza imposto al legislatore dall'art. 3 della Costituzione"; d) sent. 23 febbraio 1989, n. 55 (cfr. Giur. cost., 1989, I, p. 316), che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 28, terzo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (Divieto di rinnovare per piu' di cinue anni i contratti annuali tra Universita' e lettori di lingua straniera), nella parte in cui non consente la prosecuzione del rapporto oltre l'anzidetto limite temporale; apparendo tale divieto irrazionale sia alla stregua delle finalita' dell'art. 28, sia alla luce delle conseguenze pratiche aberranti da esso determi- nate" e cioe' in contrasto "con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione"; e) sent. 21 marzo 1989, n. 141 (cfr. Giur. cost., 1989, I, p. 678), che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 29, terzo comma, della legge 4 febbraio 1952, n. 218 (Pensione spettante agli iscritti all'assicurazione facoltativa) "nella parte in cui non prevede un meccanismo di adeguamento dell'importo nominale dei contributi versati dal giorno della sua entrata in vigore in poi"; e cio' in quanto "l'omissione oggetto di censura rende la norma stessa non rispondente al fine medesimo sotto il profilo dell'effettivita', in esso naturalmente implicito". L'importanza di questo orientamento interpretativo in tema di art. 3 della Costituzione e' stata del resto evidenziata dallo stesso presidente della Corte, nella relazione annuale su "La giustizia costituzionale nel 1987" (cfr. Giur. cost., 1988, II, p. 180), ove al par. 3.2 si legge quanto segue: ". . . pur astenendosi naturalmente dal sindacare le scelte politiche del legislatore, la Corte ha portato il suo esame sull'intrinseca ragionevolezza della norma, in se' considerata, allorquando non era prospettabile il confronto con altre disposizioni: e cosi', con la sent. n. 560, ha ritenuto irragionevole il mancato adeguamento dei criteri di determinazione dell'indennizzo dovuto dal Fondo di solidarieta' per le vittime della strada, quando l'autore dell'illecito sia rimasto ignoto overo risulti non assicurato". 6. - Cio' posto, torniamo a considerare il caso oggetto di causa. L'art. 2 del d.P.C.M. 16 dicembre 1989 (Gazzetta Ufficiale n. 299 del 23 dicembre 1989), ora recepito dgli artt. 1, quarto comma, e 2, del decreto-legge 22 dicembre 1990, n. 409, conv. nella legge 27 febbraio 1991, n. 59, ha introdotto nuovi massimali di retribuzione pensionabile, in sostituzione dei precedenti, ritenuti iniqui e inadeguati; e li ha innalzati, rispetto a quelli vigenti all'epoca, in modo decisamente considerevole. In pari tempo ha previsto un sistema di riliquidazione dei trattamenti pensionistici, a favore dei pensionati sottoposti alla precedente disciplina dei tetti. Senonche' ha limitato temporalmente la corresonsaione degli arretrati solo al periodo successivo al 31 dicembre 1989 e inizialmente, e cioe' fino al 31 dicembre 1990, in ragione solo del 60% del dovuto. In tal modo la legge ha messo capo ad una disciplina normativa contrassegnata internamente da elementi assai evidenti di irrazionalita', irrispettosi come tali del canone ex art. 3 della Costituzione, come sopra precisato. Da un lato riconosce infatti iniquita' dei vecchi tetti e inadeguatezza del loro aggiornamento; dall'altro fa decorrere la liquidazione degli arretrati da data sensibilmente posteriore a quella in cui tale iniquita' risulta riconosciuta. Crea in tal modo un divario tra il momento in cui per il pensionato si e' consumato il danno e il momento in cui si provvede ora alla riparazione della perdita subita. Il nuovo sistema comporta inoltre nuove sperequazioni nell'ambito della fascia di pensionati che sono divenuti tali nell'arco temporale in cui era operante la vecchia disciplina dei tetti, ora aggiornata. E' indubbio infatti che le maggiori perdite, come del resto attestato dalla c.t.u. contabile in atti, sono state subite dai titolari di trattamento pensionistico con decorenza iniziale piu' remota nel tempo. Questi, peraltro, anziche' essere magiormente ristorati, in quanto piu' estesi furono il sacrificio imposto e la perdita subita, sono viceversa risarciti in modo proporzionalmente minore e decrescente ispetto all'entita' del danno loro derivato. Il che appare contraddittorio con lo scopo perseguito dalla norma in oggetto, scopo che in tal modo viene in buona sostanza vanificato.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 19 della legge 23 aprile 1981, n. 155, dell'art. 3, tredicesimo colonnino, della legge 29 maggio 1982, n. 297, dell'art. 9 della legge 15 aprile 1985, n. 140, in riferimento al principio di eguaglainza sancito dall'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non operano anche a beneficio dei gia' pensionati, i quali vengono cosi' discriminati rispetto a quelli futuri, anche sotto il profilo del diverso e piu' svantaggioso collegamento tra retribuzione e pensione; degli artt. 1, quarto comma, e 2 del decreto-legge 22 dicembre 1990, n. 409, convertito nella legge 27 febbraio 1991, n. 59, in riferimento al principio di rfgionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui fanno decorrere il ricalcolo pensionistico, correlato ai nuovi limiti massimi di retribuzione pensionabile indicati nell'art. 2 del d.P.C.M. 16 dicembre 1989 (Gazzetta Ufficiale n. 299 del 23 dicembre 1989), da periodo successivo al 31 dicembre 1989 anziche' dall'anno di pensionamento e, fino a tutto il 31 dicembre 1990, in ragione solo del 60%; Dispone la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Torino, addi' 9 luglio 1991 Il pretore: CIOCCHETTI 91C1106