N. 631 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 marzo - 26 settembre 1991

                                N. 631
 Ordinanza  emessa  il   15   marzo   1991   (pervenuta   alla   Corte
 costituzionale  il  26  settembre 1991) dal consiglio di Stato - sez.
 sesta giurisdizionale -  sul  ricorso  proposto  da  Sargenti  Manlio
 contro Ministero della pubblica istruzione ed altro.
 Istruzione pubblica - Istruzione universitaria - Professori ordinari
    di  ruolo  -  Riconoscimento  ai fini pensionistici di attivita' e
    servizi prestati in precedenza nel limite massimo di otto  anni  -
    Irrazionalita' ed ingiustificato diverso trattamento di situazioni
    identiche  -  Incidenza  sui  principi  della  proporzionalita' ed
    adeguatezza   della   retribuzione   (anche   differita),    della
    imparzialita' e buon andamento della p.a.
 (D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 103, quinto comma).
 (Cost., artt. 3, 36 e 97).
(GU n.41 del 16-10-1991 )
                         IL CONSIGLIO DI STATO
   Ha  pronuncito  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso in appello n.
 1620/1989  proposto  da  Sargenti  Manlio,  rappresentato  e   difeso
 dall'avv.  Ambrogio  Robecchi  Majnardi  presso  cui e' elettivamente
 domiciliato in Roma,  via  Romagnosi  n.  20  presso  l'avv.  Alfredo
 Codacci  Pisanelli, contro il Ministero della pubblica istruzione, in
 persona del Ministro pro-tempore ed in  rettore  dell'universita'  di
 Pavia,  rappresentati e difesi ex lege dall'avvocatura generale dello
 Stato presso cui sono elettivamente  domiciliati  in  Roma,  via  dei
 Portoghesi  n.  12,  per  l'annullamento della sentenza del tribunale
 amministrativo regionale per la Lombardia, sez. terza  n.  82  dell'8
 marzo 1989;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni ap-
 pellate;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udita alla pubblica udienza del 15 marzo  1991  la  relazione  del
 consigliere  C.  Zucchelli e uditi altresi' l'avv. Ferrari per delega
 dell'avv. Robecchi Majnardi per il ricorrente e  l'avv.  dello  Stato
 Palmieri per l'amministrazione resistente;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Il   prof.   Sargenti,   ordinario   di   diritto   romano  presso
 l'Universita' di Pavia  dal  27  gennaio  1984,  nominato  professore
 straordinario  con decorrenza giuridica dal 1º novembre 1980, in data
 27 novembre 1984, presentava istanza chiedendo il riconoscimento  dei
 servizi  prestati  anteriormente alla nomina a straordinario ai sensi
 dell'art. 103, del d.P.R. il luglio 1980, n. 382.
    Con  decreto  rettorale  in  data 14 giugno 1985 n. 21299 venivano
 riconosciuti solo otto degli anni prestati  prima  della  nomina  dal
 1936  al  26 gennaio 1981 e cioe' il massimo consentito dall'art. 103
 citato.
    Impugnava pertanto il detto  provvedimento  rettorale  dinanzi  al
 tribunale    amministrativo   per   la   Lombardia,   lamentando   la
 illegittimita' costituzionale dell'art. 103 in riferimento agli artt.
 3, 36 e 97 della Costituzione per disparita' di trattamento.
    L'amministrazione  si  costituiva,  eccependo  la  tardivita'  del
 ricorso,  in quanto il decreto rettorale era stato comunicato in data
 12 settembre 1985 mentre il ricorso era stato notificato in  data  13
 giugno 1986.
    Il tribunale adito respingeva il ricorso osservando:
      1)  Quanto alla eccezione di tardivita', la respingeva in quanto
 il ricorrente aveva avuto notizia in  data  12  settembre  1985  solo
 della emanazione del decreto, ma non del suo contenuto lesivo.
      2)   nel  merito  riteneva  la  censura  di  incostituzionalita'
 manifestamente infondata.
    Osservava  infatti  che  non  appariva  sussistere  la  violazione
 dell'art.   3  della  Costituzione  in  quanto  non  si  trattava  di
 situazioni sostanzialmente identiche disciplinate in maniera difforme
 o situazioni oggettivamente diverse, ma regolate  in  identico  modo,
 atteso  che  rientra nella piu' lata discrezionalita' del legislatore
 riconoscere  o  non  riconoscere,  ovvero  riconoscere  parzialmente,
 periodi  di servizio ai fini di un inquadramento in ruolo, poiche' il
 periodo precedente costituisce una fase della carriera  completamente
 autonoma dal successivo inquadramento.
    Nella  specie, quindi, il riconoscimento della precedente carriera
 e' avvenuto, ma entro  limiti  di  compatibilita'  anche  finanziaria
 liberamente stabiliti dal legislatore.
    La  sentenza  era  notificata  in  data  5 giugno 1989, e con atto
 notificato il 28 agosto 1989 il prof. Sargenti la impugna lamentando:
      1) Incostituzionalita' dell'art. 103, quinto comma,  del  d.P.R.
 11   luglio   1980,   n.   382,  per  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione.  Osserva  che  rientra   nella   discrezionalita'   del
 legislatore  stabilire  le modalita' del riconosciemnto di periodi di
 carriera pregressi, ma in tale disciplina  il  legislatore  non  puo'
 determinare  modalita'  di  fatto  tali  che  inducano  disparita' di
 trattamento. Queste ultime per altro deriverebbero dalla  sostanziale
 equiparazione  dei  periodi di carriera eccedenti i dodici anni nella
 qualifica di assistente e/o incaricato, superati i quali  l'art.  103
 riconoscere  sempre  e  comunque un massimo di otto anni. Osserva che
 sotto  il  vigore  della  passata  disciplina  non  sussisteva   tale
 limitazione.
      2)  Violazione  dell'art.  36  della  Costituzione, in quanto il
 riconoscimento cosi'  operato  non  attribuirebbe  al  ricorrente  il
 trattamento   economico   realmente  corrispondente  alla  anzianita'
 effettiva.
      3) Violazione dell'art. 97 della Costituzione in quanto la norma
 cosi' concepita conduce alla violazione della imparzialita'.
    Si  costituiscono  in  giudizio  il   Ministero   della   pubblica
 istruzione e l'universita' di Pavia eccependo:
      1)  La  norma  sospettata  di  incostituzionalita' ha in realta'
 disciplinato  in  maniera  uniforme  il   trattamento   dei   docenti
 disponendo  per tutti l'eguale limite di otto anni nel riconoscimento
 di anzianita' pregresse, e cio' esclude il vizio denunciato.
      2) Costituisce circostanza di mero fatto che i  singoli  docenti
 possano trarre maggiore o minore vantaggio dalla norma stessa.
      3)  Il  richiamo  agli  artt.  36 e 97 della Costituzione non e'
 sorretto da adeguate argomentazioni ed e' comunque infondato.
                             D I R I T T O
    Il ricorrente, come meglio specificato in narrativa,  ha  percorso
 sin  dal  1936  tutte  le  tappe  del cursus honorum universitario, e
 precisamente:
       a) dall'anno accademico 1936/1937 al 1942/1943 quale assistente
 volontario presso l'universita' di Roma, per complessivi 7 anni;
       b) dall'anno accademico 1940/1941 al 1942/1943 quale professore
 incaricato presso l'universita' di Perugia, per complessivi 3 anni;
       c) dall'anno accademico 1945/1946 al 1972/1973 quale professore
 incaricato presso l'universita' di Pavia per complessivi 27 anni;
       d) dall'anno accademico 1973/1974  al  26  gennaio  1981  quale
 professore  incaricato  stabilizzato  nell'universita'  di Pavia, per
 complessivi ulteriori 8 anni;
       e)  dal  27  gennaio  1981  e'  professore  straordinario   con
 decorrenza  giuridica  dal  1º  novembre  1980 e cosi' per un periodo
 complessivo di 45  anni  di  servizio  di  cui  38  quale  professore
 incaricato.
    L'art.  103  del  d.P.R.  11  luglio  1980, n. 382, riconoscere ai
 professori di ruolo, all'atto della nomina ad ordinario, il  servizio
 prestato   in   qualita'  di  professori  universitari  associati  ed
 incaricati per i due terzi; per la meta' quello prestato in  qualita'
 di  ricercatori,  e  per un terzo quello prestato in una delle figure
 previste dall'art. 7 della legge 21 febbraio  1980,  n.  28,  o  come
 assistente volontario.
    Siffatto   conteggio   avrebbe  fruttato  al  prof.  Sargenti  una
 anzianita' pari a:
       a) 1 anno e 3 mesi per il  periodo  maturato  quale  assistente
 volontario;
       b)  23  anni  e 4 mesi per il periodo maturato quale professore
 incaricato ed incaricato stabilizzato.
    E quindi in totale 24 anni e 7 mesi.
    Tuttavia, come e' noto, il  quinto  comma  dello  stesso  articolo
 dispone  che il riconoscimento di attivita' e servizi di cui ai commi
 precedenti non puo' comunque superare il limite massimo di otto anni,
 ed a tale limitazione si e' infatti attenuto il decreto rettorale del
 14 giugno 1985 impugnato in primo grado.
    Appare  quindi  evidente   la   rilevanza   della   questione   di
 incostituzionalita'  dell'art.  103  or  ora  citato,  atteso  che la
 differenza di ben 16 anni e 7 mesi tra la  anzianita'  valutabile  ai
 sensi  dei  primi  commi del citato articolo e quella massima di otto
 anni riconoscibile ai sensi del quinto comma, comporta un trattamento
 economico e pensionistico notevolmente deteriore  e,  come  si  dira'
 innanzi, non giustificabile alla luce dei principi costituzionali.
    La  norma,  allo  stato  della  sua  interpretazione, e' diretta a
 contenere comunque il periodo di servizio valutabile  ai  fini  della
 carriera, e cio' a prescindere dalla effettiva durata di esso nonche'
 dalla  diversita'  delle  qualifiche  e dei ruoli nei quali sia stato
 maturato.
    Essa  appare quindi, allo stesso, non altrimenti interpretabile se
 non nel senso che, anche in presenza di  lunghi  periodi  in  cui  il
 professore  ordinario  da  inquadrare  abbia prestato servizio presso
 l'universita', l'anzianita' pregressa comunque non influisce ai  fini
 della carriera che nel limite degli otto anni.
    Sotto  questo  profilo  il  dubbio  di  costituzionalita'  che  il
 collegio  nutre  nei   riguardi   della   norma   si   appalesa   non
 manifestamente  infondata, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87.
    In effetti la  norma  cosi'  concepita  ed  interpretata  potrebbe
 violare il dettato di cui agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione.
    Ben   conosce   la   Sezione   la   giurisprudenza   della   Corte
 costituzionale in tema di violazione del  principio  di  uguaglianza,
 che  puo'  sintetizzarsi,  a fini meramente espositivi, nel senso per
 cui situazioni identiche devono  trovare  identica  regolamentazione,
 mentre  situazioni  difformi  reclamano una differenziata disciplina;
 cosi' come ben conoscere la giurisprudenza che esclude  il  vizio  di
 diseguaglianza  le  volte  in  cui  il diverso trattamento derivi non
 dalla norma giuridica in quanto tale, ma dalla situazione di fatto ad
 essa sottesa.
    Siffatte impostazioni conducono al corollario  per  cui  la  ampia
 discrezionalita'   del  legislatore  puo'  individuare  le  modalita'
 giuridiche  di  intervento  sulle  varie   situazioni,   purche'   la
 difformita' tra esse dia luogo ad una diversita' di disciplina che di
 per  se', ovvero prescindendo dalle situazioni di fatto, riconduca le
 situazioni difformi ad una sostanziale uguaglianza.
    Ritiene tuttavia la sezione che il principio  di  cui  all'art.  3
 della   Costituzione   sia  diretto  ad  assicurare  una  uguaglianza
 sostanziale e non meramente formale tra i cittadini, il che non  puo'
 perseguirsi  tralasciando  di  considerare  che il diritto vive nella
 realta' e tenta di modellarla, ma che tale  realta'  e'  di  per  se'
 multiforme e, talora, imprevedibile all'atto della normazione.
    Non  puo'  quindi  prescindersi  dalle  situazioni  di  fatto  che
 conducono ad una applicazione diseguale  della  norma  apparentemente
 egalitaria,  quando  esse  non  siano  casuali,  ma  costituiscano la
 concreta fattispecie su cui la norma opera. Ed infatti, la norma  non
 vive  per  se' quale precetto astratto, ma e' destinata a regolare la
 realta'  conferendo  alla  fattispecie  una  configurazione  conforme
 all'intento del legislatore; ove tale configurazione finale, sia pure
 per  influsso  della  fattispecie  concreta,  appaia discriminate nei
 confronti  di  altre  fattispecie,  se  ne   dovra'   necessariamente
 conludere che la norma non era in grado di dettare una disciplina che
 assicurasse   l'identico   trattamento   per   casi   identici  o  il
 differenziato trattamento per casi difformi.
    Nella fattispecie sottoposta all'esame del  Collegio,  la  sezione
 ritiene che si verta in un simile accadimento.
    La  discrezionalita' del legislatore nel riconoscimento ai fini di
 carriera,   dei   periodi   precedenti   l'inquadramento   in   ruolo
 costituisce,  in  materia di pubblico impiego, una acquisizione certa
 ed  indiscutibile.  La  stessa  diversita',  per  definizione,  delle
 qualifiche  precedenti  rispetto  a  quella di inquadramento induce a
 ritenere che il legislatore possa operare un giudizio di  valore  sui
 periodi  pregressi,  al  fine  di  valutare,  nel  nuovo incarico, la
 professionalita' maturata e se, ed in quale misura, essa sia idonea a
 far avanzare anticipatamente in carriera il dipendente.
    Le limitazioni contenute nei primi commi dell'art. 103  in  esame,
 ovvero  sostanzialmente  la  valutabilita' pro-quota dei vari periodi
 prestati come professore, incaricato, assistente,  ricercatore  etc.,
 rispondono appunto a tale logica e a siffatta discrezionalita'.
    La  norma  di  cui al quinto comma, invece, sembra interrompere la
 logicita' del sistema imponendo un  tetto  massimo  di  valutabilita'
 indipendente  sia  dalla  durata  che  dalla  qualifica  dei  servizi
 pregressi.
    Orbene, non vi e' dubbio  che  il  legislatore  abbia  individuato
 all'art. 103 una gamma di servizi valutabili, riunendoli in categorie
 cui   corrisponde   una  percentuale  di  valutabilita'  diversa,  in
 relazione alla utilizzabilita' nel nuovo ruolo della professionalita'
 ivi acquisita.  Cio'  implica  il  riconoscimento  di  situazioni  di
 partenza  assai  difformi le une dalle altre, tanto che a ciascuna di
 esse corrisponde una diversa valutazione automatica. Ma se  cio'  e',
 la  norma  in  esame, che, prescindendo dai diversi servizi prestati,
 comunque ne limita la riconoscibilita' ad un massimo  di  otto  anni,
 attribuisce   a   situazioni   oggettivamente  difformi  un  identico
 trattamento. Ed infatti,  mentre  i  servizi  valutabili  sono  dallo
 stesso legislatore considerati come aventi una valutazione, un "peso"
 si  potrebbe  dire,  diverso,  cio' nonostante all'interno del limite
 degli otto  anni  situazioni  completamente  difformi  finiscono  col
 ricevere  l'identico trattamento:  solo a mo' di esempio si consideri
 che  gli  otto  anni  possono  gia'  maturarsi,  per  ciascuna  delle
 categorie  individuate,  con:  12  anni  quale professore associato o
 incaricato; 16 anni di ricercatore universitario o quiparato; 24 anni
 di assistente volontario, fermo restando, pero', che  qualsiasi  anno
 ulteriore prestato in una qualsiasi delle categorie viene, ai fini di
 carriera, definitivamente perduto.
    E  cio'  dicasi  per  qualsiasi delle combinazioni possibili nella
 multiforme varieta' della vita concreta, il che sembrerebbe non  solo
 condurre  a  conclusioni  non  egalitarie,  ma  anche collidere con i
 principi di razionalita' cui la norma  deve  attenersi.  Infatti,  la
 logica  sottesa  alla differente valutabilita' dei periodi, di cui ai
 primi commi dell'articolo, si perde definitivamente con l'imposizione
 del tetto massimo  che  abbraccia,  comunque,  le  tre  categorie  di
 valutabilita',  si  che,  in  sostanza, il legislatore ha dettato due
 norme logicamente in contrasto tra di loro in quanto perseguono  fini
 contrapposti  ed  inconciliabili.  In  effetti,  la limitazione della
 valutabilita' gia' e' di per se' sufficiente a contenere, anche da un
 punto di vista economico, il riconoscimento ai fini della carriera, e
 non e' poi a dire che  il  legislatore  non  fosse  dotato  di  piena
 discrezionalita'  nel  determinare  la  misura  della  percentuale di
 valutabilita' senza che della  legittimita'  costituzionale  di  tale
 aspetto  della questione potesse dubitarsi in alcun modo. Ne' a dubbi
 avrebbe condotto un sistema che  individuasse  un  tetto  massimo  di
 valutabilita'  all'interno  delle  tre  categorie,  ed opportunamente
 differenziato  tra  di  esse.  Il  far  confluire,  invece,  l'intera
 valutazione  in  una  unica misura sembra decisamente collidere con i
 principi  di  uguaglianza  e  di  logica  cui  il  legislatore   deve
 attenersi.
    Per altro osserva la sezione che anche la efficenza della pubblica
 amministrazione,  garantita  dall'art.  97 della Costituzione, sembra
 essere violata.
    Si consideri infatti che  la  ratio  sottesa  alla  individuazione
 delle tre categorie di valutabilita' (per due terzi, meta', un terzo)
 e'  quella  di  attribuire  un "peso" diverso alle diverse esperienze
 professionali, e cio' ai fini di assicurare un  maggior  sviluppo  di
 carriera,  con  assunzione di conseguenti maggiori responsabilita', a
 quei soggetti che abbiano maturato una maggiore professionalita'.  La
 norma   in   esame,   invece,   impedisce   la   valutabilita'  e  la
 considerazione delle  differenziate  professionalita'  acquisite.  in
 effetti,  se  il  primo  comma  dell'art. 103 istituisce una sorta di
 equiparazione tra, rispettivamente, 12, 18  e  24  anni  di  servizio
 delle  tre categorie, e' logico ritenere che qualsiasi anno ulteriore
 di servizio abbai permesso l'acquisizione  di  una  professionalita',
 sia  pure  nel rispetto delle proporzioni dettate, maggiore. La norma
 in esame impedisce di considerare tale accadimento e  quindi  finisce
 coll'attribuire   a  soggetti  che  abbiano  acquisito  una  maggiore
 professionalita'  un  punteggio  uguale  a  quelli  che  ne   abbiano
 acquisito,  secondo il giudizio dello stesso legislatore, una minore.
 Sotto il profilo dell'interesse pubblico cio'  conduce  a  situazioni
 contrastanti  con  l'efficienza  della  pubblica  amministrazione  in
 quanto  attribuisce  a  soggetti  di  diseguale  professionalita'  il
 medesimo sviluppo di carriera.
    La  norma  infine  sembra  collidere  altresi' con l'art. 36 della
 Costituzione.
    Il diritto alla  proprozionalita'  del  trattamento  economico  e'
 visto nella giurisprudenza costituzionale in relazione alla quantita'
 e  qualita' del lavoro prestato e quindi al grado di professionalita'
 acquisito.
    Il meccanismo descritto  nelle  righe  che  precedono  conduce  ad
 attribuire  a soggetti dotati di professionalita' diversa un medesimo
 trattamento  economico,  il  che  e'  indice,  a  contrario,  di  una
 violazione della proporzionalita' nei confronti del dipendente dotato
 di   maggiore   professionalita'.   Ne'  potrebbe  ritenersi  che  la
 uniformita' delle funzioni sia di  per  se'  elemento  giustificatore
 della  uguaglianza  della retribuzione. Se cio' fosse vero, lo stesso
 meccanismo delle classi stipendiali e degli scatti biennali  dovrebbe
 essere  tacciato  di incostituzionalita', quando e' invece indiscusso
 che  proprio  la  maggiore  professionalita'  acquisita  nel   lavoro
 costituisce  parametro  di quella proporzionalita' di cui all'art. 36
 della Costituzione. Ma se cio' e', ne  consegue  che  della  maggiore
 professionalita'  acquisita  nei  periodi  precedenti, secondo quanto
 riconoscere esplicitamente lo stesso legislatore,  deve  darsi  conto
 all'atto dell'inquadramento nel nuovo ruolo.
                                P. Q. M
    Non definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe;
    Visti  gli  artt.  1  della legge 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della
 legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 costituzionalita'  dell'art.  103, quinto comma, del d.P.R. 11 luglio
 1980, n. 382, in relazione agli artt. 3, 36 e 97  della  Costituzione
 ed ai principi di logica cui deve attenersi il legislatore ordinario;
    Sospende il giudizio;
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Manda  alla segreteria della sezione perche' la presente ordinanza
 sia notificata alle parti in causa, al Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri  e  comunicata  al Presidente della Camera di Deputati ed al
 Presidente del Senato.
    Cosi' deciso in Roma, il 15 marzo 1991 dal Consiglio di  Stato  in
 sede giurisdizionale (sezione sesta), riunito in Camera di Consiglio.
                        Il presidente: LASCHENA
 Il consigliere estensore: ZUCCHELLI
                                                  Il segretario: GHERA
    Depositata in segreteria il 12 luglio 1991.
      Roma, 15 luglio 1991
                 Il direttore della segreteria: GHERA

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