N. 633 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 novembre 1990- 27 settembre 1991
N. 633 Ordinanza emessa il 22 novembre 1990 (pervenuta alla Corte costituzionale il 27 settembre 1991) dal tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da Stramacci Paolo ed altra contro il comune di Roma Edilizia popolare, economica e sovvenzionata - Piani di edilizia popolare ex lege 18 aprile 1967, n. 167, con scadenza entro il 31 dicembre 1987 - Possibilita' di attuazione di detti piani qualora entro sei mesi dalla data di scadenza siano adottati gli atti o iniziati i procedimenti comunque preordinati all'acquisizione delle aree o all'attuazione degli interventi - Mancata previsione di un termine certo entro il quale deve avvenire l'acquisizione delle aree o l'attuazione degli interventi - Irragionevolezza ed incidenza sul diritto di proprieta' - Riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 384/1991, 92/1982, 71/1980, 260/1976 e 55/1968. (Legge 1º marzo 1985, n. 42, art. 1-bis, primo e secondo comma). (Cost., artt. 3 e 42).(GU n.41 del 16-10-1991 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso 1406/1987 proposto da Stramacci Paolo e Stramacci Serenella, rappresentati e difesi dall'avv. Claudio Manzia, nel suo studio elettivamente domiciliati in Roma, via Costabella n. 23, contro il comune di Roma, rappresentato e difeso dall'avv. Mauro Martis, presso la propria avvocatura elettivamente domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove n. 21, per l'annullamento della deliberazione della giunta municipale n. 7220 del 7 agosto 1985 e della deliberazione consiliare di ratifica n. 253 del 29 aprile 1986, nonche' di ogni altro atto della procedura espropriativa. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del comune di Roma; Vista la memoria difensiva prodotta dal comune di Roma; Visti gli atti tutti della causa; Udita alla pubblica udienza del 22 novembre 1990 la relazione del consigliere Aldo Ravalli e uditi, altresi', l'avv. Manzia per il ricorrente e l'avv. Barbicinti, per delega dell'avv. Martis, per l'amministrazione resistente. Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F A T T O I nominati in epigrafe sono proprietari in Roma di un immobile in zona Arco di Travertino, adibito in parte ad abitazione ed in parte ad uso commerciale, realizzato negli anni trenta. Detto immobile e' stato inserito nel piano delle zone destinate ad edilizia economica e popolare, approvato con decreto Ministeriale dei lavori pubblici n. 3266 dell'11 agosto 1964, con specifica destinazione a parco pubblico. Solo il 12 dicembre 1986 e' stato notificato ai proprietari l'avviso ex art. 10 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, di espropriazione per la realizzazione del piano di zona n. 18 - Arco del Travertino (nota n. 4396 del 14 novembre 1986). Da cio' il ricorso contro gli atti della procedura espropriativa, e cioe' contro la deliberazione della giunta municipale di Roma n. 7220 del 7 agosto 1985, recante "espropriazione aree occorrenti per la costruzione del p.z. 18 - Arco del Travertino (completamento)", contro la deliberazione consiliare n. 253 del 29 aprile 1986 di ratifica della precedente, nonche' contro lo stesso avviso di cui si e' detto. Si deduce: 1. - Violazione dell'art. 10 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, in relazione all'art. 1- bis della legge 1º marzo 1985, n. 42. Eccesso di potere per contraddittorieta' e falsita' dei presupposti. Violazione dell'art. 140 del testo unico n. 148/1915. L'efficacia temporale del p.e.e.p. sarebbe scaduta l'11 agosto 1984 (venti anni dalla sua approvazione), ne' la deliberazione impugnata sarebbe valida a far rivivere gli effetti del p.e.e.p. ex art. 1- bis legge n. 42/1985 non avendo alcun contenuto precettivo, come dimostrerebbe il fatto che il deposito e la pubblicazione dei relativi atti espropriativi e' avvenuta solo il 6 febbraio 1987, fuori del termine semestrale indicato nel citato art. 1- bis. 2. - Violazione e falsa applicazione dell'art. 13 della legge n. 2359/1985; difetto di motivazione. Sarebbe stata omessa la indicazione dei termini prescritti dalla norma sopra citata, ne' varrebbero i termini di durata del p.e.e.p. fissati ex lege in ulteriori diciotto anni. 3. - Illegittimita' costituzionale della legge n. 42/1985 per contrasto con gli articoli 3 e 42 della Costituzione. 4. - Violazione dell'art. 5 della legge 18 aprile 1962, n. 167, in relazione all'art. 284 del testo unico n. 383/1934; eccesso di potere per omessa motivazione. La reminiscenza del p.e.e.p. scaduto avrebbe dovuto comportare una riformulazione delle previsioni di spesa, per evitare che quelle originarie divenissero palesemente fittizie ed inattendibili. 5. - Eccesso di potere per illegicita', contraddittorieta', perplessita', ingiustizia manifesta, difetto di motivazione. La scelta del comune di portare a compimento il p.e.e.p. del 1964 si porrebbe in insanabile contrasto con il comportamento tenuto medio tempore dall'amministrazione. 6. - Eccesso di potere per errore e falsita' dei presupposti; difetto di motivazione. Il comune non avrebbe valutato i contrapposti interessi e data motivazione della scelta effettuata. 7. - Eccesso di potere per illogicita' e difetto di pubblico interesse; violazione dell'art. 3, terzo comma, legge n. 167/1962. L'area dei ricorrente sarebbe inidonea all'intervento di cui al p.e.e.p., esistendo sulla stessa un fabbricato. Il comune di Roma, nella memoria del 20 novembre 1990, ha eccepito la inammissibilita' del ricorso in quanto propposto contro un atto preparatorio ed interno e, quindi, non lesivo; ha, comunque, sostenuto la infondatezza nel merito dei motivi di ricorso. D I R I T T O L'art. 1- bis del d.-l. 22 dicembre 1984, n. 901, aggiunto in sede di conversione con legge 1º marzo 1985, n. 42, stabilisce che l'attuazione dei piani ex legge 18 aprile 1967, n. 167, i quali scadano entro il 31 dicembre 1987 "puo' essere portata a compimento qualora entro sei mesi dalla data di scadenza siano adottati gli atti o iniziati i procedimenti comunque preordinati all'acquisizione delle aree o all'attuazione degli interventi". Il comune di Roma, con deliberazione di giunta del 7 agosto 1985, n. 7220 (ratificata dal consigli con atto n. 253 del 29 aprile 1986) - richiamata la legge n. 42/1985 ed atteso che i tempi di attuazione delle procedure di esproprio relative al piano di zona n. 18 - Arco del Travertino erano prossimi alla scadenza -, ha stabilito "di promuovere il procedimento di espropriazione per pubblica utilita' .... delle aree .. .. occorrenti per la realizzazione del p.z. n. 18 ... e, per l'effetto, di autorizzare il deposito presso la segreteria comunale dell'elenco dei proprietari riportati nel presente atto, nonche' della planimetria catastale di piano regolatore generale e della mappa catastale sulla quale sono indicate le aree da espropriare". Va considerato che il piano delle zone destinate ad edilizia economica e popolare, nel quale e' inserito il p.d.z. di cui trattasi, e' stato approvato con decreto ministeriale dei lavori pubblici n. 3266 dell'11 agosto 1964, per cui la sua efficacia temporale - pari a diciotto anni ex art. 51 della legge 5 agosto 1978, n. 457, cui vanno aggiunti ulteriori due anni ex decreto del presidente della giunta regionale del lazio n. 1383 dell'8 luglio 1982 -, e' scaduta l'11 agosto 1984. Va, ancora, considerato che, a norma del secondo comma art. 1- bis della legge n. 42/1985, per i piani scaduti prima dell'entrata in vigore di detta legge di conversione, il termine di sei mesi per la "reviviscenza" dei piani di zona, decorre dalla data di entrata in vigore della legge di conversione. Nel caso, quindi, la legge n. 42/1985 aggiunge ai venti anni di validita' del piano, piu' di un anno di ulteriore sua validita' (sette mesi fino alla data di entrata in vigore della legge, e poi i sei mesi da essa previsti). Va, infine considerato che l'art. 1- bis della legge n. 42/1985 citata dice idonea al fine del riacquisto della validita' del piano scaduto l'adozione di atti o l'inizio di procedimenti "comunque preordinati all'acquisizione delle aree o all'attuazione degli interventi". Tale condizione - secondo il giudizio del collegio espresso nella concomitante sentenza parziale - appare soddisfatta dalla deliberazione impugnata, che pronuncia l'avvio del procedimento espropriativi, autorizzando il deposito degli atti di cui all'art. 10 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, individuati e riportati nella deliberazione medesima. Deve osservarsi, peraltro, che pur essendo l'impugnata deliberazione il primo atto riferibile al procedimento di espropriazione - dopo l'ormai remota approvazione del piano con effetti ex lege di dichiarazione di pubblica utilita', indifferibilita' ed urgenza -, non e' necesario che contenga - come in effetti non contiene - l'indicazione dei termini di cui all'art. 13 della legge 25 giugno 1965, n. 2359 (Cons. St. Ad. pl. 23 maggio 1984, n. 11). D'altra parte, il termine di dieci giorni previsto al secondo comma dell'art. 10 della legge n. 865/1971 per la notifica agli esproprianti e la notizia al pubblico dell'avvenuto deposito, non ha natura perentoria (Cons. St. IV 22 aprile 1980, n. 416), ne' v'e' alcun termine entro il quale lo stesso deposito debba avvenire. Ora, se non appare sindacabile la scelta legislativa circa lo strumento amministrativo per la reviviscenza o il protrarsi di vincoli preordinati all'espropriazione (nel caso, adottati atti o iniziati provvedimenti "comunque preordinati ...", l'indeterminatezza dello strumento, connesso con l'indeterminazione del termine dell'espropriazione, rendono non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale - prospettata dai ricorrenti - dell'art. 1- bis, primo e secondo comma, della legge n. 42/1985 in relazione agli articoli 3 e 42 della Costituzione. Giova, in proposito, rammentare che una eguale questione di costituzionalita' dell'art. 51 della legge 5 agosto 1978, n. 457, di proroga per ulteriori tre anni dei p.e.e.p., era stata ritenuta manifestamente infondata (Cons. St. IV 6 ottobre 1983, n. 704) nella considerazione che la norma conteneva pur sempre un vincolo di scadenza temporale predeterminata e non eccessivamente lunga. L'art. 1- bis ora in esame pone in effetti unicamente un termine all'onere dell'amministrazione di compiere atti o iniziare procedimenti "comunque preordinati all'acquisizione delle aree o all'attuazione degli interventi" il cui effetto e' il protrarsi della validita' dei piani di cui alla legge n. 167/1962; la medesima norma, tuttavia, non ha posto, ne' direttamente ne' indirettamente, alcun termine certo entro il quale deve avvenire l'acquisizione delle aree o l'attuazione degli interventi pena una nuova scadenza dei piani. Nel caso, che la norma ammetta termini di scadenza indeterminati, che non consentono in quanto tali la valutazione a priori neppure della ragionevolezza della loro lunghezza, risulta evidente dal fatto che l'atto idoneo secondo la legge al protrarsi del vincolo e' del 7 agosto 1985 (deliberazione g.m. n. 7220), la comunicazione al privato ex art. 10 della legge n. 865/1971 e' di oltre un anno successiva (14 novembre 1986), mentre la pubblicazione sul F.A.L. e' preannunciata nella medesima comunicazione solo per il 6 febbraio 1987. Quindi, solo per atti preliminari del procedimento espropriativo il sistema ex art. 1- bis citato ha consentito all'amministrazione il mantenimento del vincolo per ben oltre ulteriori due anni. Vero e' che le finalita' proprie dell'edilizia residenziale pubblica consentono al legislatore di dare prevalenza all'interesse pubblico rispetto a quello del privato, senza che cio' porti a violazione dei principi costituzionali (Corte costituzionale 31 luglio 1990, n. 384); peraltro, costante appare nell'insegnamento della Corte costituzionale il collegamento della prevalenza degli interessi pubblici con limiti preordinati e ragionevoli di tempo entro cui tali interessi debbono esser portati a realizzazione (sentenze 12 maggio 1982, n. 92, 29 dicembre 1976, n. 260, 29 maggio 1968, n. 55, nonche' quanto al regime vincolistico delle locazioni, 20 maggio 1980, n. 71), ovvero con limiti di tempo preordinati e ragionevoli entro i quali la persistenza di vincoli preordinati all'espropriazione non si pongono in contrasto con l'art. 42 della Costituzione. Vero, inoltre, che la diversa finalita' che possono avere i vincoli non consente di ritenere violato l'art. 3 per la differente durata della loro validita' (cinque anni i vincoli da piano regolatore; dieci i vincoli piano particolareggiato; diciotto, fino alla legge n. 42/1986, i vincoli da p.e.e.p.). Peraltro, non e' manifestamente infondato il sospetto di violazione della norma costituzionale quando uno di tali vincoli (e, cioe', quello da p.e.e.p.) viene ad avere una durata cosi' notevolmente differenziata, da apparire la norma che lo consente per cio' stesso priva di ragionevolezza. In conseguenza di tutto quanto precede, il collegio, stante la evidente rilevanza della questione ai fini del decidere, e ritenuta la sua non manifesta infondatezza, rimette alla Corte costituzionale l'esame di legittimita' costituzionale dell'art. 1- bis, primo e secondo comma, della legge 1º marzo 1985, n. 42, in relazione ai principi di cui agli artt. 3 e 42 della Costituzione, secondo e terzo comma.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1- bis, primo e secondo comma, della legge 1º marzo 1985, n. 42, in relazione agli artt. 3 e 42, secondo e terzo comma, della Costituzione; Ordina che a cura della segreteria della sezione siano trasmessi alla Corte costituzionale gli atti di causa, la concomitante sentenza parziale e la presente ordinanza; Dispone la sospensione del giudizio; Ordina che a cura della segreteria della sezione la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Roma il 22 novembre 1990, in camera di consiglio. Il presidente: CAMOZZI Il consigliere estensore: RAVALLI Il consigliere: MILLEMAGGI 91C1109