N. 40 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 3 ottobre 1991

                                 N. 40
 Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria il 3 ottobre 1991 (della regione Toscana)
 Igiene e sanita' - Legge quadro in materia di animali di affezione e
    prevenzione  del  randagismo  -  Disciplina  degli  interventi   a
    protezione  degli  animali domestici - Istituzione, da parte delle
    regioni, di un'anagrafe canina, risanamento dei canili comunali  e
    costruzione  di  rifugi  per  cani  -  Obbligo  delle  regioni  di
    indennizzare gli agricoltori per le perdite di  capi  di  bestiame
    causate  da cani randagi od inselvatichiti - Obbligo delle regioni
    e  province  autonome  di  adeguare  la  propria  legislazione  ai
    principi  contenuti nella legge impugnata - Previsione di sanzioni
    amministrative pecuniarie confluenti nel  fondo  per  l'attuazione
    della  legge  stessa  -  Ripartizione  tra  le  regioni e province
    autonome del fondo per l'attuazione delle leggi in  questione  con
    decreto del Ministro della sanita' di concerto con il Ministro del
    tesoro  sentita  la  Conferenza  permanente  per i rapporti tra lo
    Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano  -
    Asserita violazione della sfera di competenza regionale in materia
    di  igiene  e  assistenza  veterinaria ivi compresa la profilassi,
    l'ispezione, la polizia e la vigilanza sugli animali - Riferimento
    alle sentenze della  Corte  costituzionale  nn.  382/1990,  740  e
    1034/1988, 77/1987 e 307/1983.
 (Legge 14 agosto 1991, n. 281, artt. 3, sesto comma, 5, primo,
    secondo, terzo, quarto e sesto comma, e 8).
 (Cost., artt. 97, 117, 118 e 119).
(GU n.41 del 16-10-1991 )
   Ricorso  per  la  regione  Toscana  in  persona del presidente pro-
 temporedella giunta regionale rappresentato e difeso  per  mandato  a
 margine del presente dall'avv. Alberto Predieri, e presso il suo stu-
 dio elettivamente domiciliato in Roma, via G. Carducci n. 4, in forza
 di  deliberazione  g.r.  n.  8033  del  20  settembre 1991, contro il
 Presidente  del  Consiglio   dei   Ministri   pro-tempore,   per   la
 dichiarazione  di illegittimita' costituzionale, degli artt. 3, sesto
 comma, 5, primo, secondo, terzo, quarto e sesto comma, e otto,  della
 legge  14  agosto 1991, n. 281 "legge-quadro in materia di animali di
 affezione e prevenzione del randagismo".
    1. - In data 30 agosto 1991 e'  stata  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale la legge n. 281/1991, legge-quadro in materia di animali di
 affezione e prevenzione del randagismo.
    La legge riconosce, come risulta dalla sua stessa intitolazione di
 legge-quadro  e dal contenuto dell'art. 3, la competenza regionale in
 materia, inserendosi in un contesto  normativo  gia'  inaugurato  dal
 d.P.R.   n.   4/1972,   art.   1,  ultimo  comma,  che  disponeva  il
 trasferimento alle regioni della competenza in materia di  assistenza
 zooiatrica.
    Tuttavia,  l'art.  6, n. 22, del citato d.P.R. disponeva nel senso
 della riserva  statale  in  ordine,  fra  l'altro  "alla  profilassi,
 polizia, ispezione e vigilanza sanitaria sugli animali".
   Tale materia era poi delegata alle regioni dall'art. 13, n. 17, del
 d.P.R.   n.   4/1972  e,  successivamente,  il  d.P.R.  n.  616/1977,
 attribuiva la materia alla competenza regionale, stabilendo  all'art.
 27,  lett.  l),  che  spettano  alle regioni, in quanto relative alla
 materia dell'assistenza sanitaria ed ospedaliera, tutte  le  funzioni
 amministrative  che  tendono all'igiene e assistenza veterinaria, ivi
 compresa la profilassi, l'ispezione, la polizia e la vigilanza  sugli
 animali".
    Si  puo' aggiungere che ai sensi dell'art. 6 lett. u), della legge
 n. 833/1978, spetta allo Stato  la  determinazione  degli  interventi
 obbligatori  in  materia  di  zooprofilassi:  ma  l'attuazione  degli
 adempimenti disposti dall'autorita'  sanitaria  statale  e'  delegata
 alle regioni, ai sensi dell'art. 7, primo comma, lett. b).
    2.  - In questo quadro di attribuzione alle regioni delle funzioni
 amministrative in materia va inserita la  legge-quadro  n.  281/1991,
 che   volutamente   colloca   le   proprie  disposizioni  nel  quadro
 dell'assistenza zooiatrica (dato che, come risulta  dall'art.  1,  lo
 Stato  promuove e disciplina "la tutela degli animali di affezione" e
 colloca  altresi'  quest'ultima  nell'ambito   del   rapporto,   gia'
 evidenziato  dal primo comma dell'art. 27 del d.P.R. n. 616/1977, tra
 assistenza  agli  animali  e   tutela   della   salute   pubblica   e
 dell'ambiente.
    Come detto, l'art. 3 della legge (salvo il sesto comma, che appare
 costituzionalmente  illegittimo  nei  limiti  che diremo) riserva poi
 alle   regioni   competenze   fondamentali,    quali    l'istituzione
 dell'anagrafe   canina,   la   determinazione   dei  criteri  per  il
 risanamento dei canili comunali e la costruzione dei rifugi per cani,
 la ripartizione tra i comuni dei contributi  per  gli  interventi  di
 loro   competenza,   l'adozione   di  programmi  di  prevenzione  del
 randagismo, la previsione di indennizzi a favore  degli  imprenditori
 agricoli  al fine di tutelare il patrimonio zootecnico per le perdite
 di capi di bestiame causate da cani randagi o inselvatichiti.
    3. - In questo quadro, le disposizioni dell'art. 3,  sesto  comma,
 dell'art.  5  e dell'art. 8 contraddicono il quadro normativo sin qui
 ricordato  e  in  parte  confermato  dalla  stessa   legge   con   le
 disposizioni  dell'art.  3  (salvo  il  sesto  comma),  e  violano le
 competenze costituzionalmente garantite alle  regioni  nella  materia
 dell'assistenza sanitaria ed ospedaliera.
    L'art.  5  disciplina  le sanzioni amministrative, individuando le
 ipotesi in cui esse si applicano, il loro ammontare, la  destinazione
 delle entrate da esse derivanti.
    Come   la   Corte  ha  altre  volte  ricordato  "la  competenza  a
 disciplinare e irrogare le sanzioni amministrative  deve  seguire  le
 medesime  regole  di  attribuzione  o  di  affidamento  relative alle
 competenze sostanziali cui quelle sanzioni si riferiscono" (sent.  n.
 1034/1988,  punto  9, del diritto). Tale principio, afferma la Corte,
 e' desumibile dall'art. 9 del d.P.R. n. 616/1977 che attribuisce alle
 regioni le funzioni di polizia amministrativa relative  non  soltanto
 alle  materie  trasferite,  ma anche a quelle delegate e che pertanto
 risulta indebitamente violato dall'art. 5 della legge in  esame,  nel
 principio che esso pone e che e' stato riaffermato dalla Corte.
    Altrettanto  chiaramente,  nella  sentenza  n. 740/1988, la Corte,
 sulla  base  della  considerazione  della  "lievitazione  a   livelli
 superiori impressa alla polizia amministrativa dalla sua ricondizione
 alle  funzioni  di amministrativa attiva (dei comuni, delle province,
 delle  regioni),  ai  sensi  dell'art.  9  del d.P.R. n. 616/1977" ha
 affermato che "per effetto di tale ridefinizione - come e' confermato
 dal successivo art. 19 - il contenuto  della  polizia  amministrativa
 deve   rinvenirsi   in   quella   regolazione  limitativa  (ma  anche
 orientativa) e in quella superiore vigilanza che si  esplicano  sulle
 attivita'  dei  privati nelle materie oggetto delle suddette funzioni
 mediante  previsioni  regolamentari  (di  obblighi,  facolta',   modi
 procedimentali,  sanzioni  amministrative  e  mediante  provvedimenti
 dispositivi  concreti  (di  licenza,   autorizzazione,   concessione,
 revoca,  decadenza, applicazione di sanzioni amministrative" (punto 3
 del diritto): e analoghe considerazioni  sono  state  espresse  dalla
 Corte   nella   sentenza   n.   77/1987,   in   cui  e'  sottolineata
 l'interdipendenza funzionale tra le materie attribuite alla regione e
 le attivita' di polizia amministrativa.
    Conformemente all'insegnamento della Corte, anche la  dottrina  in
 modo  unanime  ha  attribuito alla disposizione contenuta nell'art. 9
 del   d.P.R.   n.   616/1977    il    significato    di    consentire
 all'amministrazione  di  indirizzare  e  coordinare  l'attivita'  dei
 privati  nelle  materie  in  cui   esplica   le   proprie   funzioni,
 sottolineando  costantemente  come, in base a tale norma, le funzioni
 di  polizia  amministrativa   siano   state   pienamente   ricondotte
 nell'ambito  delle materie di competenza regionale cui si riferiscono
 (cfr. Mor Art. 9 in I nuovi poteri delle regioni e degli enti locali.
 Commentario al decreto n.  616/1977  di  attuazione  della  legge  n.
 382/1996  a  cura  di  Barbera e Bassanini, Bologna 1978, 143 e seggi
 Bozzi, Art. 9 in commento al D.P.R. 616 a cura di Capaccioli e Satta,
 Milano 1980, 237).
    4. - In questa prospettiva l'aver sottratto alle regioni il potere
 di determinare l'entita', l'ambito e  le  modalita'  di  applicazione
 delle  sanzioni  amministrative in materia e in relazione a poteri di
 competenza  regionale,  comporta  la  violazione   delle   competenze
 regionali  costituzionalmente  garantite  dagli artt. 117 e 118 della
 Costituzione e dalla norma  interposta  dell'art.  9  del  d.P.R.  n.
 616/1977, come interpretata dalla Corte.
    5  -  Con  l'art.  8  della  legge n. 281/1991, e' stato istituito
 presso il Ministero della sanita' un  fondo  per  l'attuazione  della
 legge  (la  cui  dotazione  e'  determinata  inizialmente  in lire un
 miliardo per il 1991 e  lire  due  miliardi  a  decorrere  dal  1992,
 essendo  tuttavia  prescritto  che  nel  fondo  confluiscono anche le
 entrate derivanti dalle sanzioni amministrative di cui ai comma  uno,
 due,  tre  e  quattro dell'art. 5 della legge), che viene annualmente
 ripartito tra le regioni e le province autonome di Trento  e  Bolzano
 con  decreto  del  Ministro  della  sanita'  e  sulla base di criteri
 stabiliti anch'essi con decreto del Ministro della  sanita'  adottato
 di  concerto  con  il  Ministro  del  tesoro,  sentita  la conferenza
 permanente per i rapporti tra Stato e regioni.
    Le disposizioni dell'art. 8, e in particolare quelle  del  secondo
 comma  concernenti  i  criteri  per  la  ripartizione del fondo, sono
 ugualmente  lesive  delle  competenze  regionali   costituzionalmente
 garantite e dell'art. 119 delle Costituzione.
    La  Corte  ha  gia'  avuto  modo  di  dichiarare  incostituzionali
 disposizioni  legislative  che  demandano  ad  atti  governativi   la
 determinazione   di  criteri  di  ripartizione  dei  fondi  con  esse
 istituiti   senza   porre   nessun   limite   alla   discrezionalita'
 dell'esecutivo, come avviene nel caso di specie.
    Nella sentenza n. 382/1990 (ma gia' nella sentenza n. 307/1983) la
 Corte,  pronunziandosi sulla legittimita' costituzionale dell'art. 17
 terzo comma, del d.l. n. 415/1989, nella parte in cui  prevedeva  che
 il  residuo importo del fondo comune ivi indicato fosse "ripartito ed
 erogato con i criteri che all'uopo verranno fissati con  decreto  del
 Presidente   del  Consiglio  dei  Ministri",  sentita  la  conferenza
 permanente per i rapporti fra lo Stato e le  regioni,  ha  dichiarato
 incostituzionale tale disposizione, affermando che "nel rinviare a un
 atto  governativo  la  determinazione  di  qualsivoglia  criterio  di
 ripartizione del fondo residuo senza porre in  proposito  il  benche'
 minimo  limite alla discrezionalita' dell'Esecutivo, l'art. 17, terzo
 comma, viola il principio della riserva di legge stabilito  dall'art.
 119, primo comma, della Costituzione".
    Nel  nostro  caso abbiamo una disposizione di identico tenore, che
 merita  pertanto   l'identico   trattamento.   Non   solo,   infatti,
 l'istituzione,   ad   opera   del  legislatore  nazionale,  di  fondi
 settoriali iscritti in capitoli di bilancio di singoli  ministeri  in
 relazione  a  materie  di  competenza regionale implica la successiva
 ripartizione di detti fondi tra le regioni  anche  laddove  cio'  non
 venga  esplicitato  (come  la  Corte  ha  affermato nell'ordinanza n.
 163/1988, e' nelle sentenze n. 64/1987 e 356/1985), ma i  criteri  di
 ripartizione  di  tali fondi non possono essere attribuiti ad un atto
 governativo senza che esso trovi il proprio fondamento in indicazioni
 puntuali contenute in una legge, in applicazione dell'art. 119, primo
 comma, della Costituzione.
    Tali principi sono stati completamente disattesi dall'art. 8 della
 legge n. 281/1991, che e' pertanto lesivo delle competenze  regionali
 costituzionalmente garantite.
    6.   -   Ugualmente   lesiva  delle  competenze  regionali  e'  la
 disposizione dell'art. 3, sesto comma, nella parte in cui  limita  la
 facolta'  della  regione  di utilizzare le somme assegnatele a valere
 sul fondo istituito ai sensi dell'art. 8, stabilendo che solo il  25%
 di  tale  assegnazione  puo'  essere  utilizzato  dalla  regione  per
 l'intervento di propria competenza,  mentre  la  residua  quota  deve
 essere necessariamente assegnata agli enti locali.
    Come  la  Corte  ha  avuto  modo  di sottolineare (cfr. sentt. nn.
 356/1985,  64/1987  e  ord.  n.  163/1988),  l'istituzione  di  fondi
 settoriali  quali quello di specie, attenendo a materie di competenza
 regionale, implica la liberta' di impiego del fondo  da  parte  delle
 regioni, che sia compatibile con il vincolo di destinazione.
    Tale  principio  e'  palesemente  contraddetto  dalla  limitazione
 contenuta nella disposizione qui censurata, laddove essa dispone  che
 la regione ha la liberta' di impiego solo del 25% delle somme ad essa
 assegnate a seguito della ripartizione del fondo.
    Anche  di  tale  disposizione pertanto va chiesta, per i profili e
 nei  limiti  ora  ricordati,  la  dichiarazione   di   illegittimita'
 costituzionale.
                               P. Q. M.
    La  regione  Toscana  chiede  che la Corte costituzionale dichiari
 l'illegittimita' degli artt.  3,  sesto  comma,  5,  primo,  seconto,
 terzo,  quarto,  e  sesto  comma,  8,  della  legge  n.  281/1991 per
 violazione degli artt. 117, 118, 119 e 97 della Costituzione.
      Roma, addi' 25 settembre 1991
                         Avv. Alberto PREDIERI

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