N. 639 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 aprile 1991
N. 639 Ordinanza emessa il 12 aprile 1991 dal Consiglio superiore della magistratura - sezione disciplinare nel procedimento disciplinare a carico di Scaduto Rosa Alba Ordinamento giudiziario - Magistrati - Procedimento disciplinare - Esercizio dell'azione disciplinare - Termini - Consentito esercizio dell'azione, secondo interpretazione costituente diritto vivente, a ciascuno dei due titolari (Ministro di grazia e giustizia e procuratore generale) entro un anno dalla conoscenza dei fatti costituenti addebito anche quando sia decorso piu' di un anno dalla intervenuta conoscenza dei medesimi fatti da parte dell'altro titolare - Conseguente dilatazione del tempo entro cui il magistrato rimane assoggettato all'azione disciplinare - Irragionevolezza con incidenza sul diritto di difesa e sulla indipendenza del magistrato. (D.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, art. 59, sesto comma, modificato dalla legge 3 gennaio 1981, n. 1, art. 12). (Cost., artt. 3, 24 e 104).(GU n.41 del 16-10-1991 )
IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Con l'intervento del sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione delegato dal procuratore generale della Repubblica presso la Corte stessa, dott. Claudio Aponte e con l'assistenza del magistrato segretario, dott. Giovanni Mannarini, magistrato addetto alla segreteria del Consiglio superiore della magistratura, ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento disciplinare n. 59/1990 del registro generale a carico della dott.ssa Rosa Alba Scaduto, nata a Partanna il 27 settembre 1952, magistrato di tribunale con funzioni di pretore della pretura circondariale di Palermo, gia' pretore di Lercara Friddi, incolpata di avere mancato ai propri doveri di diligenza ed operosita' rendendosi immeritevole della fiducia e della considerazione di cui il magistrato deve godere e compromettendo il prestigio dell'ordine giudiziario (art. 18 regio decreto-legge 31 maggio 1946, n. 511). Alla data del 16 luglio 1988 risultavano pendenti presso la pretura di Lercara Friddi n. 950 procedimenti penali di cui 276 per violazione delle leggi edilizie. In ordine a tali procedimenti, indicati e rubricati come di seguito: 1982: 18 - 196; 1983: 21 - 41 - 58 - 78 - 99 - 103 - 124 - 148 - 158 - 169 - 170 - 172 - 173 - 188 - 192 - 203 - 210 - 211 - 218 - 222 - 224 - 237 - 238 - 240 - 243 - 246 - 264 - 274 - 291 - 292 - 298 - 299 - 306 - 308 - 316 - 322 - 323 - 324 - 325 - 339 - 344 - 345 - 359 - 360 - 361 - 375 - 381 - 396 - 398 - 399 - 429 - 430 - 443 - 447 - 458 - 459 - 460 - 461 - 466 - 471 - 472; 1984: 3 - 4 - 5 - 7 - 13 - 21 - 23 - 24 - 27 - 32 - 34 - 44 - 45 - 46 - 47 - 48 - 49 - 50 - 51 - 54 - 55 - 56 - 57 - 58 - 59 - 60 - 61 - 62 - 63 - 64 - 65 - 66 - 67 - 68 - 69 - 70 - 71 - 72 - 73 - 74 - 75 - 76 - 77 - 78 - 79 - 80 - 81 - 82 - 83 - 84 - 109 - 111 - 113 - 114 - 115 - 116 - 117 - 118 - 119 - 120 - 121 - 122 - 123 - 124 - 125 - 126 - 127 - 128 - 148 - 150 - 157 - 158 - 160 - 161 - 187 - 188 - 190 - 192 - 194 - 195 - 236 - 256 - 258 - 275 - 287 - 306 - 314 - 346 - 362 - 364 - 365 - 389 - 390 - 400 - 401 - 414 - 415 - 416 - 420 - 428 - 455 - 497 - 498 - 505 - 506 - 507; 1985: 1 - 2 - 6 - 7 - 12 - 25 - 27 - 28 - 48 - 50 - 51 - 68 - 69 - 79 - 82 - 87 - 91 - 100 - 104 - 107 - 108 - 115 - 116 - 117 - 121 - 127 - 128 - 137 - 138 - 146 - 148 - 162 - 163 - 164 - 181 - 188 - 196 - 198 - 199 - 204 - 213 - 217 - 220 - 222 - 224 - 226 - 233 - 236 - 240 - 244 - 260 - 261 - 262 - 265 - 266 - 271 - 281 - 283 - 296 - 306 - 307 - 308 - 328 - 333 - 340 - 357 - 363 - 366 - 369 - 370 - 371 - 393 - 394 - 403 - 408 - 426 - 427 - 457 - 438 - 441 - 442 - 443 - 454 - 463 - 475 - 480 - 496 - 501 - 508 - 516 - 525 - 526 - 534 - 535 - 551 - 552 - 560 - 573 - 574 - 586 - 587 - 593 - 595 - 596. La dott.ssa Scaduto - titolare della pretura dal 20 agosto 1984 al 21 marzo 1988 - con compiva alcun doveroso accertamento ai fini della applicabilita' della sospensione sancita dall'art. 44 della legge n. 47/1985. Di conseguenza, si sono verificate numerose prescrizioni, talune gia' dichiarate con sentenza istruttoria nei procedimenti 461/83, 339/83, 472/83, 194/84, 471/83, 7/84, 430/83, 187/84, 48/84 e 111/84. Alla data predetta risultavano altresi' pendenti, a fronte di una pendenza complessiva di n. 86 procedimenti, ben 13 procedimenti civili da oltre 4 anni ed 1 dal 1976. Risultavano infine pendenti n. 140 procedimenti di esecuzione dei quali n. 17 da oltre 5 anni e 1 dal 1979. Dall'anno 1985 al 21 marzo 1988, la dott.ssa Scaduto emetteva in media una quarantina di sentenze penali l'anno a fronte di una sopravvenienza di 535 procedimenti e nel settore civile emetteva circa 25 sentenze l'anno a fronte di una sopravvenienza di n. 75 procedimenti. RITENUTO IN FATTO Con nota 26 novembre 1988 il Presidente della corte di appello di Palermo trasmetteva al Consiglio superiore della magistratura ed al Ministero di grazia e giustizia due note del presidente del tribunale di Termini Imerese, in data 21 ottobre e 10 novembre 1988, con cui si evidenziava l'inerzia del pretore di Lercara Friddi dott.ssa Rosa Alba Scaduto per effetto della quale: svariati reati di costruzione abusiva erano caduti in prescrizione; non era stato compiuto alcun accertamento ai fini dell'applicabilita' della sospensione sancita dall'art. 44 della legge n. 47/1985; su una pendenza complessiva di 86 cause civili ben 13 erano iniziate da oltre 4 anni ed una addirittura era pendente dal 76; parecchie procedure esecutive erano pendenti da oltre 5 anni; a fronte di una sopravvenienza media di 535 procedimenti penali erano state emesse solo 35 sentenze l'anno e meno di 20 sentenze civili per anno a fronte di una sopravvenienza media di 75 procedimenti; il tutto con riferimento al periodo 20 agosto 1984/21 marzo 1988 in cui pretore titolare era stata appunto la dott.ssa Scaduto. A dette note era allegata una relazione del nuovo pretore di Lercara Friddi in cui si illustrava la situazione delle pendenze, specificate per anno e per settori (penale - civile - esecuzioni - volontaria giurisdizione). Con nota 12 giugno 1990 il presidente del Consiglio superiore della magistratura trasmetteva al procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione copia dei suddetti atti, che avendo dato luogo ad una pratica di prima commissione referente, giusta delibera del Plenum in data 6 giugno 1990. Con nota 26 giugno 1990 il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione comunicava al Consiglio superiore della magistratura che aveva promosso azione disciplinare nei confronti della dott.ssa Scaduto con nota 16 giugno 1990 inviata al Ministro di grazia e giustizia, per i fatti sopra evidenziati e come specificati nei capi di incolpazione in epigrafe trascritti. Esaurita la sommaria istruzione con l'interrogatorio dell'incolpata e l'acquisizione agli atti di una sua memoria con allegata documentazione, con richiesta in data 6 novembre 1990 il procuratore generale instava per il rinvio a giudizio disciplinare della dott.ssa Scaduto. Fissata la discussione orale con decreto 13 novembre 1990, all'odierna seduta si svolgeva il pubblico dibattimento, in presenza dell'incolpata senza assistenza di difensore. Esaurita l'istruzione dibattimentale con l'interrogatorio dell'incolpata ed udite le conclusioni del procuratore generale e le difese della dott.ssa Scaduto, come da separato verbale, ritiene questa Sezione di dover sollevare, d'ufficio, questione di legittimita' costituzionale nei termini e per i motivi di seguito specificati. CONSIDERATO IN DIRITTO Osserva preliminarmente questa sezione che oltre un anno e' trascorso (per l'esattezza dal 26 novembre 1988, data in cui il presidente della Corte d'appello di Palermo trasmetteva al Ministero di grazia e giustizia notizia dei fatti di rilevanza disciplinare concernenti il pretore di Lercara Friddi dott.ssa Rosa Alba Scaduto, al 26 giugno 1990, quando il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione comunicava al Consiglio superiore della magistratura di aver promosso azione disciplinare nei confronti della dott.ssa Scaduto per gli stessi fatti) dal momento in cui da parte del Ministro di grazia e giustizia si e' avuto per la prima volta notizia dei fatti a carico della dott.ssa Scaduto, a quando l'azione disciplinare nei suoi confronti e' stata infine promossa da parte del procuratore generale della Repubblica, a seguito di nota del Consiglio superiore della magistratura; con la conseguenza che si sarebbero verificate le condizioni che determinano l'estinzione del procedimento in pendenza qualora fosse accolta la questione di legittimita' costituzionale - che la sezione qui solleva d'ufficio - della norma di cui all'art. 59, sesto comma, del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916 come sostituito dall'art. 12, della legge 3 gennaio 1981, n. 1: norma la quale, mentre si preoccupa di stabilire (a salvaguardia di diritti del magistrato costituzionalmente protetti) il termine di un anno per la decadenza dell'azione disciplinare, non provvede tuttavia a contrastare l'ipotesi - che nel caso di specie appunto si realizza - che la notizia dei fatti di rilevanza disciplinare possa pervenire ai titolare dell'azione stessa in tempi diversi, cosi' consentendo (in aperta contraddizione con se stessa, e in pregiudizio di quei diritti) l'eventuale esposizione senza limiti di tempo del magistrato all'azione disciplinare. Invero l'art. 59 del citato d.P.R. n. 916, come modificato dall'art. 12 della legge n. 1/1981 - il quale ha previsto tre diversi termini, il primo annuale di decadenza dal promuovimento dell'azione disciplinare, il secondo pur esso annuale entro il quale deve essere comunicato all'incolpato il decreto di fissazione della discussione orale davanti alla Sezione disciplinare, e il terzo biennale entro cui (con decorrenza da tale comunicazione) deve essere emanata la sentenza -, nel riportare in equilibrio il rapporto tra le rigorosa tutela del prestigio dell'Ordine giudiziario e la giusta tutela del magistrato nel procedimento a suo carico, e' suscettibile tuttavia di riprodurre sotto altro profilo - in aperto contrasto con le intenzioni del legislatore del 1981 - la stessa situazione gia' sussistente nel vigore della precedente normativa, di nuovo e sempre a scapito della difesa e dell'indipendenza del singolo magistrato; e questo proprio la' dove stabilisce - al sesto comma - che "l'azione disciplinare non puo' essere promossa dopo un anno dal giorno in cui il Ministro o il procuratore generale hanno avuto notizia del fatto che forma oggetto dell'addebito disciplinare", e cioe' proprio la' dove l'intervento del legislatore del 1981 ha inteso soddisfare a quella "esigenza di civilta'" posta in luce nella sent. n. 145 del 1976 in cui la Corte costituzionale aveva affermato il principio che "l'azione disciplinare dev'essere promossa senza ritardi ingiustificati, o peggio arbitrari, rispetto al momento della conoscenza dei fatti cui si riferisce". Nessun problema si pone - com'e' ovvio - nell'ipotesi in cui la notizia del fatto pervenga contestualmente ad entrambi gli organi titolari dell'azione disciplinare, poiche' in tal caso il termine di un anno cominera' a decorrere per entrambi dallo stesso giorno, e dunque nello stesso giorno per entrambi verra' a scadere. Sicche', in questa ipotesi, verranno a coincidere, risultando egualmente soddisfatte, due contrapposte esigenze: quella del magistrato a che l'esercizio dell'azione disciplinare non abbia a protrarsi per piu' di un anno da quando i fatti sono venuti alla luce; e l'altra esigenza di conservare integro, per ciascuno dei titolari dell'azione disciplinare, il termine di un anno per poterla esperire. Nell'ipotesi, evidentemente piu' frequente, in cui invece la notizia dei fatti pervenga ai titolari dell'azione disciplinare in tempi diversi, o addirittura pervenga ad uno soltanto dei due, e non all'altro, si pone allora il problema di individuare nella maniera piu' aderente ai principi costituzionali, e in conformita' alla volonta' del legislatore, la disciplina concreta del termine di decadenza, di cui alla norma sopra menzionata. In mancanza di esplicita statuizione al riguardo, si e' finora sempre dato per pacifico - in sede interpretativa - che dovesse ritenersi del tutto indipendente il termine annuale di decadenza relativo all'uno e all'altro dei due titolari dell'azione disciplinare, di modo che la decadenza maturatasi per l'uno non potesse valere anche per l'altro, qualora la notizia dell'illecito disciplinare fosse loro pervenuta in tempi diversi. Una disciplina di questo tipo, esprimendo l'opzione tra le due contrapposte esigenze a tutto vantaggio di quella di mantenere comunque ferma la dotazione temporale di un anno prevista dal legislatore in favore di ciscuno dei titolari dell'azione disciplinare per poterla promuovere, finisce per provocare l'esposizione del magistrato all'azione stessa per un tempo che puo' essere di gran lunga superiore ad un anno, e perfino senza limiti di tempo, con la conseguenza di porre sostanzialmente nel nulla le ragioni per le quali il legislatore, con la legge 3 gennaio 1981, n. 1, ha introdotto il termine di decadenza di un anno, prima non esistente nell'Ordinamento; ragioni che la stessa Corte costituzionale di recente ha ribadito nella sentenza n. 579 del 1990, con cui ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del citato art. 12 allorche', in altra sua parte, non prevedeva che il termine annuale di estinzione del procedimento dovesse valere anche per il giudizio di rinvio a seguito di annullamento, da parte della Corte di cassazione, di precedente sentenza disciplinare. In sintesi, il giudice delle leggi ha riaffermato il principio in base al quale la prefissione di termini per l'inizio e per la definizione del processo deve ritenersi presidio indispensabile per la tutela dell'indipendenza del magistrato: il quale, una volta che si sia avuta notizia di un illecito a suo carico, non puo' permanere in una situazione di incertezza oltre un periodo di tempo ragionevole, a pena di non poter esplicare con la necessaria serenita' ed autorevolezza - anche per la conoscenza che all'esterno si abbia di tale situazione - l'esercizio delle sue funzioni, con evidente lesione dei valori di cui agli artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione. Il principio appena ricordato, per il suo rilievo generale, deve trovare applicazione in tutti i casi analoghi a quello che ha formato l'oggetto della sentenza n. 579/1990; correlativamente e' da ritenere che disposizioni di legge le quali se ne discostino abbiano un livello di illegittimita' costituzionale pari a quello della norma che, in quella occasione, e' stata censurata. Orbene, contraria a questo principio appare anche la disposizione dell'art. 12 della legge 3 gennaio 1981, n. 1, nella parte in cui non disciplina il decorso del termine di decadenza per l'esercizio dell'azione disciplinare in modo da eliminare qualunque incertezza circa l'effettivo periodo di soggezione del magistrato alla "spada di Damocle" dell'esercizio dell'azione disciplinare nei suoi confronti. In particolare, la norma appare incostituzionale nella parte in cui da' vita ad una situazione di assoluta indipendenza tra la conoscenza della stessa notizia di rilievo disciplinare che ne abbia l'uno e ne abbia l'altro degli organi titolari dell'azione: sicche', anche quando il termine di decadenza sia decorso per l'uno, potrebbe invece quel termine non essere decorso anche per l'altro titolare, che ancora non ne avesse avuto notizia. Una situazione del genere, com'e' d'altronde evidente, pone il magistrato in uno stato di indiscutibile soggezione, tale da poterne menomare l'indipendenza di giudizio, poiche' il periodo di incertezza circa l'esito della notifica disciplinare puo' addirittura protrarsi a tempo indeterminato, qualora la notizia sia giunta ad uno soltanto dei due titolari dell'azione, il quale abbia fatto trascorrere l'anno senza esercitarla, mentre l'altro titolare non ne abbia avuto alcuna conoscenza. Tutto questo non soltanto viola il principio di indipendenza del giudice che e' garantito dalla Costituzione agli artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, come condizione estrinseca di corretto esercizio della funzione giurisdizionale, ma rende piu' difficile l'esercizio del diritto di difesa dell'incolpato, la cui tutela risiede nell'art. 24 della Costituzione, a causa del prolungato decorso del tempo fra l'infrazione e il giudizio disciplinare che ne consegue, e comporta altresi' una disparita' di trattamento nei confronti dei magistrati, piu' o meno garantiti a seconda che la notizia del fatto di rilievo disciplinare sia pervenuta ai titolari dell'azione contestualmente, o no. D'altra parte, neppure sembra possibile - rovesciando l'opzione dei base in favore dell'esigenza che sul singolo magistrato l'esperibilita' dell'azione disciplinare non abbia a protrarsi per piu' di un anno da quando i fatti sono venuti alla luce - assumere la diversa interpretazione per cui il termine di decadenza, maturato nei confronti anche del solo Ministro di grazia e giustizia, o anche del solo procuratore generale, abbia valore assoluto, e pertanto estingua a quel momento il potere di azione per l'altro titolare, che pur non abbia avuto conoscenza del fatto, e non abbia quindi dato causa direttamente al verificarsi della decadenza: quasi a considerare l'esaurimento dell'anno per uno dei titolari come fatto estintivo dell'azione disciplinare dell'altro titolare. Cio' in quanto appare assai discutibile, sul piano della stessa legittimita' costituzionale, prevedere un meccanismo di estinzione "per causa altrui" di un potere istituzionale riconosciuto dalla legge, e in particolare la cennata ipotesi interpretativa non appare comunque ragionevolmente applicabile all'azione disciplinare di competenza del Ministro di grazia e giustizia, al quale e' riconosciuta addirittura dalla Costituzione ex art. 107, secondo comma, messa a repentaglio - in ipotesi - nella stessa sua sperimentabilita' per disposto di legge (solamente) ordinaria. E d'altra parte, ne verrebbe su un piano generale una seria menomazione alla tutela del prestigio della funzione giudiziaria, tutela che trova in Costituzione un sicura riconoscimento. In realta', una soluzione del problema che appare equilibrata e corretta sul piano costituzionale deve muovere, per potersi orientare, dal combinato disposto dell'art. 12 della legge in questione, gia' prima ricordato, e del primo comma, dell'art. 59, del d.P.R. n. 916/1958, a norma del lquale "i rapporti relativi a fatti suscettibili di valutazione in sede disciplinare sono trasmessi al Ministro e al procuratore generale presso la suprema Corte di cassazione", e cioe' contestualmente ad entrambi i titolare dell'azione disciplinare. Premesso che l'espressione "rapporti" contenuta nella norma citata e' da ritenere collegabile alla particolare natura di reato qualificao, prevista dall'art. 3 del c.p.p. abrogato, evidentemente la disposizione in oggetto e' diretta a far si' che la notizia di violazioni disciplinari acquisite dai capi degli uffici giudiziari, siano da questi trasmesse contemporaneamente ai due titolari dell'azione disciplinare, con il risultato che il termine di un anno verra' per essi a consumarsi in contestualita'. I "rapporti" dei capi degli uffici, peraltro, non esauriscono l'intera gamma della possibili notizie di violazioni disciplinari, poiche' tali notizie ben possono essere portate a conoscenza, ad esempio, per iniziativa di semplici cittadini i quali evidentemente non sono tenuti a trasmetterle a tutti e due i titolari dell'azione disciplinare, con la conseguenza che il termine di un anno comincera' a decorrere solo per uno di essi, e non per l'altro. Ad evitare tale inconveniente, anche alla luce del primo comma dell'art. 59 citato, e considerando il principio costituzionale - sancito dagli artt. 101, primo comma, e 104, primo comma, della Costituzione - che garantisce la liberta' dei singoli magistrati per assicurare l'indipendenza dei giudizi, sembra corretto ritenere che nella materia in questione il nostro ordinamento postuli un interesse alla "conoscenza contestuale" delle notizie di tutti quei comportamenti che appaiono suscettibili di valutazione in sede disciplinare sia da parte del Ministro della giustizia, sia da parte del procuratore generale presso la suprema Corte di cassazione; interesse (che l'art. 12, punto 3, del d.d.l. n. 1996, presentato alla Camera dei deputati il 1ยบ dicembre 1987, nel testo approvato dalla seconda commissione permanente della Camera, in sede referente, il 21 luglio 1988 conferma e persegue quando stabilisce che "Il Consiglio superiore della magistratura, i consigli giudiziari e i dirigenti degli uffici debbono comunicare al Ministero e al procuratore generale presso la Corte di cassazione ogni fatto suscettibile di valutazione in sede disciplinare. I presidenti di sezione e i presidenti di collegio debbono comunicare ai dirigenti degli uffici quei fatti concernenti l'attivita' dei magistrati della sezione o del collegio che siano suscettibili di valutazione disciplinare", che deve ritenersi costituzionalmente rilevante, e come tale garantito direttamente dall'obbligo di rapporto contestuale, qualora la notizia pervenga da soggetti obbligati al rapporto, e che non trova invece la doverosa applicazione concreta quando la notizia proviene da soggetti diversi. In altri termini, l'ipotesi che a questa sezione appare la piu' sensata per centrare l'obiettivo di ricondurre il testo dell'art. 12 della legge n. 1/1981 - nella parte che qui interessa - ad un significato che consenta di pienamente realiccare sia l'una che l'altra delle esigenze piu' sopra menzionate, obiettivo che certo la ratio dell'art. 12 in nessun modo autorizza ad eludere e che, anzi, il complesso di garanzie del sistema impone di perseguire - e' questa: doversi ammettere l'esistenza di una norma, implicitamente vigente nell'ordinamento, che determina l'obbligo per quello dei due titolari - "il Ministro o il procuratore generale" - che per primo riceva notizia, da chiunque e in qualunque modo trasmessa, di fatti suscettibili di assumere rilevanza disciplinare, di darne diretta ed immediata comunicazione all'altro titolare: in modo che il termine di un anno per l'esercizio dell'azione disciplinare prenda a decorrere e arrivi a scadenza contestualmente, e comunque a distanza di pochissimi giorni per l'uno e per l'altro; sicche' l'esposizione del magistrato all'azione disciplinare non superi il periodo di un anno, cosi' come vuole l'art. 12 della legge n. 1/1981 quando stabilisce (al fine dichiarato di tutelare "l'indipendenza e la liberta' dei singoli magistrati dal ritardo con cui vengono definiti i procedimenti disciplinari": Atti parlamentari, Camera dei deputati, quarta commissione, sedute del 10 e 31 luglio 1980 relative al progetto di legge n. 1040 dell'ottava legislatura, sfociato poi nella legge 3 gennaio 1981, n. 1) il termine annuale per l'esercizio dell'azione disciplinare. Pertanto, la disposizione dell'art. 59 del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, come modificato dall'art. 12 della legge 3 gennaio 1981, n. 1, appare incostituzionale per violazione degli artt. 3, 24, 101, secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede a carico di ciascun titolare dell'azione disciplinare, qualora riceva notizia di infrazioni che non risultino contestualmente portare a conoscenza anche dell'altro titolare, l'obbligo di comunicarla a questo immediatamente al fine di consentire un tempestivo inizio del decorso del termine di decadenza di un anno per l'esercizio dell'azione stessa per entrambi i soggetti preposti all'esercizio dell'azione disciplinare nei confronti dei magistrati. Ritiene d'altra parte questa sezione che la prospettata questione sia rilevante, oltre che non manifestamente infondata, in quanto dall'eventuale dichiarazione di illegittimita' costituzionale della norma dipende la possibilita' di procedere nei confronti dell'incolpato. Invero, nel caso di specie l'accoglimento della prospettata questione darebbe luogo ad una pronuncia di non doversi procedere nei confronti della dott.ssa Rosa Alba Scaduto per estinzione del procedimento disciplinare a suo carico.
P. Q. M. Visto l'art. 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 104 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale - che solleva d'ufficio - dell'art. 59, sesto comma, del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, come modificato dall'art. 12, della legge 3 gennaio 1981, n. 1, nella parte in cui viene interpretato come diritto vivente nel senso che l'esercizio dell'azione disciplinare e' consentito a ciascuno dei titolari dell'azione stessa entro l'anno della conoscenza del fatto che abbia dato luogo all'addebito, anche allorche' sia gia' decorso un anno dalla intervenuta conoscenza del medesimo fatto da parte dell'altro titolare, cosi' indeterminatamente dilatando nel tempo l'assoggettabilita' del magistrato all'azione disciplinare; Sospende il giudizio in corso nel procedimento disciplinare n. 59/1990 r.g. a carico della dott.ssa Rosa Alba Scaduto; Dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per il giudizio di legittimita'; Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Roma, addi' 12 aprile 1991 Il presidente: GALLONI Il magistrato segretario: (firma illeggibile) L'estensore: PATRONO 91C1118