N. 639 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 aprile 1991

                                N. 639
 Ordinanza emessa il 12 aprile  1991  dal  Consiglio  superiore  della
 magistratura  -  sezione disciplinare nel procedimento disciplinare a
 carico di Scaduto Rosa Alba
 Ordinamento giudiziario - Magistrati - Procedimento disciplinare -
    Esercizio  dell'azione  disciplinare  -   Termini   -   Consentito
    esercizio dell'azione, secondo interpretazione costituente diritto
    vivente,  a  ciascuno  dei  due  titolari  (Ministro  di  grazia e
    giustizia e procuratore generale) entro un anno  dalla  conoscenza
    dei fatti costituenti addebito anche quando sia decorso piu' di un
    anno  dalla  intervenuta  conoscenza  dei  medesimi fatti da parte
    dell'altro titolare - Conseguente dilatazione del tempo entro  cui
    il   magistrato  rimane  assoggettato  all'azione  disciplinare  -
    Irragionevolezza con incidenza  sul  diritto  di  difesa  e  sulla
    indipendenza del magistrato.
 (D.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, art. 59, sesto comma, modificato
    dalla legge 3 gennaio 1981, n. 1, art. 12).
 (Cost., artt. 3, 24 e 104).
(GU n.41 del 16-10-1991 )
               IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
    Con   l'intervento   del   sostituto  procuratore  generale  della
 Repubblica presso la Corte di  cassazione  delegato  dal  procuratore
 generale  della  Repubblica  presso  la  Corte  stessa, dott. Claudio
 Aponte e con l'assistenza del magistrato segretario,  dott.  Giovanni
 Mannarini, magistrato addetto alla segreteria del Consiglio superiore
 della   magistratura,   ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel
 procedimento disciplinare n. 59/1990 del registro generale  a  carico
 della  dott.ssa  Rosa  Alba  Scaduto, nata a Partanna il 27 settembre
 1952, magistrato di tribunale con funzioni di pretore  della  pretura
 circondariale  di  Palermo, gia' pretore di Lercara Friddi, incolpata
 di  avere  mancato  ai  propri  doveri  di  diligenza  ed  operosita'
 rendendosi  immeritevole  della fiducia e della considerazione di cui
 il magistrato deve godere e compromettendo il  prestigio  dell'ordine
 giudiziario (art. 18 regio decreto-legge 31 maggio 1946, n. 511).
    Alla  data  del  16  luglio  1988  risultavano  pendenti presso la
 pretura di Lercara Friddi n. 950 procedimenti penali di cui  276  per
 violazione delle leggi edilizie.
    In  ordine  a  tali  procedimenti,  indicati  e  rubricati come di
 seguito:
      1982: 18 - 196;
      1983: 21 - 41 - 58 - 78 - 99 - 103 - 124 - 148 - 158 - 169 - 170
 - 172 - 173 - 188 - 192 - 203 - 210 - 211 - 218 - 222 - 224 -  237  -
 238 - 240 - 243 - 246 - 264 - 274 - 291 - 292 - 298 - 299 - 306 - 308
 -  316  - 322 - 323 - 324 - 325 - 339 - 344 - 345 - 359 - 360 - 361 -
 375 - 381 - 396 - 398 - 399 - 429 - 430 - 443 - 447 - 458 - 459 - 460
 - 461 - 466 - 471 - 472;
      1984: 3 - 4 - 5 - 7 - 13 - 21 - 23 - 24 - 27 - 32 - 34 - 44 - 45
 - 46 - 47 - 48 - 49 - 50 - 51 - 54 - 55 - 56 - 57 - 58 - 59 - 60 - 61
 - 62 - 63 - 64 - 65 - 66 - 67 - 68 - 69 - 70 - 71 - 72 - 73 - 74 - 75
 -  76 - 77 - 78 - 79 - 80 - 81 - 82 - 83 - 84 - 109 - 111 - 113 - 114
 - 115 - 116 - 117 - 118 - 119 - 120 - 121 - 122 - 123 - 124 -  125  -
 126 - 127 - 128 - 148 - 150 - 157 - 158 - 160 - 161 - 187 - 188 - 190
 -  192  - 194 - 195 - 236 - 256 - 258 - 275 - 287 - 306 - 314 - 346 -
 362 - 364 - 365 - 389 - 390 - 400 - 401 - 414 - 415 - 416 - 420 - 428
 - 455 - 497 - 498 - 505 - 506 - 507;
      1985: 1 - 2 - 6 - 7 - 12 - 25 - 27 - 28 - 48 - 50 - 51 - 68 - 69
 - 79 - 82 - 87 - 91 - 100 - 104 - 107 - 108 - 115 - 116 - 117 - 121 -
 127 - 128 - 137 - 138 - 146 - 148 - 162 - 163 - 164 - 181 - 188 - 196
 - 198 - 199 - 204 - 213 - 217 - 220 - 222 - 224 - 226 - 233 -  236  -
 240 - 244 - 260 - 261 - 262 - 265 - 266 - 271 - 281 - 283 - 296 - 306
 -  307  - 308 - 328 - 333 - 340 - 357 - 363 - 366 - 369 - 370 - 371 -
 393 - 394 - 403 - 408 - 426 - 427 - 457 - 438 - 441 - 442 - 443 - 454
 - 463 - 475 - 480 - 496 - 501 - 508 - 516 - 525 - 526 - 534 -  535  -
 551 - 552 - 560 - 573 - 574 - 586 - 587 - 593 - 595 - 596.
    La dott.ssa Scaduto - titolare della pretura dal 20 agosto 1984 al
 21 marzo 1988 - con compiva alcun doveroso accertamento ai fini della
 applicabilita'  della sospensione sancita dall'art. 44 della legge n.
 47/1985.
    Di conseguenza, si sono verificate numerose  prescrizioni,  talune
 gia'  dichiarate  con  sentenza  istruttoria nei procedimenti 461/83,
 339/83, 472/83, 194/84, 471/83, 7/84, 430/83, 187/84, 48/84 e 111/84.
    Alla data predetta risultavano altresi' pendenti, a fronte di  una
 pendenza  complessiva  di  n.  86  procedimenti,  ben 13 procedimenti
 civili da oltre 4 anni ed 1 dal 1976.
    Risultavano infine pendenti n. 140 procedimenti di esecuzione  dei
 quali n. 17 da oltre 5 anni e 1 dal 1979.
    Dall'anno  1985  al 21 marzo 1988, la dott.ssa Scaduto emetteva in
 media una quarantina di  sentenze  penali  l'anno  a  fronte  di  una
 sopravvenienza  di  535  procedimenti  e  nel settore civile emetteva
 circa 25 sentenze l'anno a fronte di  una  sopravvenienza  di  n.  75
 procedimenti.
                           RITENUTO IN FATTO
    Con  nota 26 novembre 1988 il Presidente della corte di appello di
 Palermo trasmetteva al Consiglio superiore della magistratura  ed  al
 Ministero di grazia e giustizia due note del presidente del tribunale
 di Termini Imerese, in data 21 ottobre e 10 novembre 1988, con cui si
 evidenziava  l'inerzia  del  pretore  di Lercara Friddi dott.ssa Rosa
 Alba Scaduto per effetto della quale: svariati reati  di  costruzione
 abusiva  erano  caduti  in prescrizione; non era stato compiuto alcun
 accertamento ai fini dell'applicabilita'  della  sospensione  sancita
 dall'art.  44  della legge n. 47/1985; su una pendenza complessiva di
 86 cause civili ben  13  erano  iniziate  da  oltre  4  anni  ed  una
 addirittura  era pendente dal 76; parecchie procedure esecutive erano
 pendenti da oltre 5 anni; a fronte di una sopravvenienza media di 535
 procedimenti penali erano state emesse solo 35 sentenze l'anno e meno
 di 20 sentenze civili per anno a fronte di una  sopravvenienza  media
 di  75  procedimenti;  il  tutto con riferimento al periodo 20 agosto
 1984/21  marzo  1988  in  cui  pretore  titolare era stata appunto la
 dott.ssa Scaduto. A dette note era allegata una relazione  del  nuovo
 pretore  di  Lercara  Friddi in cui si illustrava la situazione delle
 pendenze, specificate per anno e  per  settori  (penale  -  civile  -
 esecuzioni - volontaria giurisdizione).
    Con  nota  12  giugno  1990  il presidente del Consiglio superiore
 della  magistratura  trasmetteva  al   procuratore   generale   della
 Repubblica presso la Corte di cassazione copia dei suddetti atti, che
 avendo  dato  luogo  ad  una  pratica di prima commissione referente,
 giusta delibera del Plenum in data 6 giugno 1990.
    Con nota 26 giugno 1990 il procuratore generale  della  Repubblica
 presso la Corte di cassazione comunicava al Consiglio superiore della
 magistratura  che  aveva  promosso  azione disciplinare nei confronti
 della dott.ssa Scaduto con nota 16 giugno 1990 inviata al Ministro di
 grazia e giustizia, per i fatti sopra evidenziati e come  specificati
 nei capi di incolpazione in epigrafe trascritti.
    Esaurita    la    sommaria    istruzione    con   l'interrogatorio
 dell'incolpata e l'acquisizione agli atti  di  una  sua  memoria  con
 allegata  documentazione,  con  richiesta  in data 6 novembre 1990 il
 procuratore generale instava per il rinvio  a  giudizio  disciplinare
 della dott.ssa Scaduto.
    Fissata  la  discussione  orale  con  decreto  13  novembre  1990,
 all'odierna seduta si svolgeva il pubblico dibattimento, in  presenza
 dell'incolpata senza assistenza di difensore.
    Esaurita    l'istruzione   dibattimentale   con   l'interrogatorio
 dell'incolpata ed udite le conclusioni del procuratore generale e  le
 difese  della  dott.ssa  Scaduto,  come  da separato verbale, ritiene
 questa  Sezione  di  dover   sollevare,   d'ufficio,   questione   di
 legittimita'  costituzionale  nei  termini  e per i motivi di seguito
 specificati.
                        CONSIDERATO IN DIRITTO
    Osserva preliminarmente  questa  sezione  che  oltre  un  anno  e'
 trascorso  (per  l'esattezza  dal  26  novembre  1988, data in cui il
 presidente della Corte d'appello di Palermo trasmetteva al  Ministero
 di  grazia  e  giustizia  notizia dei fatti di rilevanza disciplinare
 concernenti il pretore di Lercara Friddi dott.ssa Rosa Alba  Scaduto,
 al  26  giugno  1990, quando il procuratore generale della Repubblica
 presso la Corte di cassazione comunicava al Consiglio superiore della
 magistratura di aver promosso azione disciplinare nei confronti della
 dott.ssa Scaduto per gli stessi fatti) dal momento in  cui  da  parte
 del  Ministro  di  grazia  e giustizia si e' avuto per la prima volta
 notizia dei fatti a carico della dott.ssa Scaduto, a quando  l'azione
 disciplinare nei suoi confronti e' stata infine promossa da parte del
 procuratore   generale  della  Repubblica,  a  seguito  di  nota  del
 Consiglio superiore della magistratura; con  la  conseguenza  che  si
 sarebbero  verificate  le condizioni che determinano l'estinzione del
 procedimento in  pendenza  qualora  fosse  accolta  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale - che la sezione qui solleva d'ufficio -
 della norma di cui all'art. 59, sesto comma, del d.P.R. 16  settembre
 1958,  n.  916  come  sostituito  dall'art. 12, della legge 3 gennaio
 1981, n. 1: norma la quale,  mentre  si  preoccupa  di  stabilire  (a
 salvaguardia  di  diritti del magistrato costituzionalmente protetti)
 il termine di un anno per la decadenza dell'azione disciplinare,  non
 provvede  tuttavia  a  contrastare l'ipotesi - che nel caso di specie
 appunto  si  realizza  -  che  la  notizia  dei  fatti  di  rilevanza
 disciplinare possa pervenire ai titolare dell'azione stessa in  tempi
 diversi, cosi' consentendo (in aperta contraddizione con se stessa, e
 in  pregiudizio di quei diritti) l'eventuale esposizione senza limiti
 di tempo del magistrato all'azione disciplinare.
    Invero l'art.  59  del  citato  d.P.R.  n.  916,  come  modificato
 dall'art. 12 della legge n. 1/1981 - il quale ha previsto tre diversi
 termini,  il primo annuale di decadenza dal promuovimento dell'azione
 disciplinare, il secondo pur esso annuale entro il quale deve  essere
 comunicato  all'incolpato  il decreto di fissazione della discussione
 orale davanti alla Sezione disciplinare, e il  terzo  biennale  entro
 cui  (con  decorrenza  da  tale comunicazione) deve essere emanata la
 sentenza -, nel riportare in equilibrio il rapporto tra  le  rigorosa
 tutela  del  prestigio dell'Ordine giudiziario e la giusta tutela del
 magistrato nel procedimento a suo carico, e' suscettibile tuttavia di
 riprodurre  sotto  altro  profilo  -  in  aperto  contrasto  con   le
 intenzioni  del  legislatore  del  1981  -  la stessa situazione gia'
 sussistente nel vigore della precedente normativa, di nuovo e  sempre
 a  scapito della difesa e dell'indipendenza del singolo magistrato; e
 questo proprio la' dove stabilisce - al sesto comma -  che  "l'azione
 disciplinare  non puo' essere promossa dopo un anno dal giorno in cui
 il Ministro o il procuratore generale hanno avuto notizia  del  fatto
 che  forma  oggetto  dell'addebito disciplinare", e cioe' proprio la'
 dove l'intervento del legislatore del 1981  ha  inteso  soddisfare  a
 quella  "esigenza  di  civilta'" posta in luce nella sent. n. 145 del
 1976 in cui la Corte costituzionale aveva affermato il principio  che
 "l'azione    disciplinare    dev'essere    promossa   senza   ritardi
 ingiustificati,  o  peggio  arbitrari,  rispetto  al  momento   della
 conoscenza dei fatti cui si riferisce".
    Nessun  problema  si  pone - com'e' ovvio - nell'ipotesi in cui la
 notizia del fatto pervenga contestualmente  ad  entrambi  gli  organi
 titolari  dell'azione disciplinare, poiche' in tal caso il termine di
 un anno cominera' a decorrere per entrambi  dallo  stesso  giorno,  e
 dunque nello stesso giorno per entrambi verra' a scadere. Sicche', in
 questa   ipotesi,   verranno   a  coincidere,  risultando  egualmente
 soddisfatte, due contrapposte esigenze: quella del magistrato  a  che
 l'esercizio  dell'azione  disciplinare non abbia a protrarsi per piu'
 di un anno da quando  i  fatti  sono  venuti  alla  luce;  e  l'altra
 esigenza di conservare integro, per ciascuno dei titolari dell'azione
 disciplinare, il termine di un anno per poterla esperire.
    Nell'ipotesi,  evidentemente  piu'  frequente,  in  cui  invece la
 notizia dei fatti pervenga ai titolari  dell'azione  disciplinare  in
 tempi  diversi, o addirittura pervenga ad uno soltanto dei due, e non
 all'altro, si pone allora il problema di  individuare  nella  maniera
 piu'  aderente  ai  principi  costituzionali,  e  in conformita' alla
 volonta' del legislatore,  la  disciplina  concreta  del  termine  di
 decadenza, di cui alla norma sopra menzionata.
    In  mancanza  di  esplicita  statuizione al riguardo, si e' finora
 sempre dato per pacifico -  in  sede  interpretativa  -  che  dovesse
 ritenersi  del  tutto  indipendente  il  termine annuale di decadenza
 relativo  all'uno  e   all'altro   dei   due   titolari   dell'azione
 disciplinare,  di  modo  che  la  decadenza  maturatasi per l'uno non
 potesse valere anche per l'altro, qualora  la  notizia  dell'illecito
 disciplinare fosse loro pervenuta in tempi diversi.
    Una  disciplina  di  questo  tipo, esprimendo l'opzione tra le due
 contrapposte esigenze  a  tutto  vantaggio  di  quella  di  mantenere
 comunque  ferma  la  dotazione  temporale  di  un  anno  prevista dal
 legislatore  in  favore   di   ciscuno   dei   titolari   dell'azione
 disciplinare   per   poterla   promuovere,   finisce   per  provocare
 l'esposizione del magistrato all'azione stessa per un tempo che  puo'
 essere  di gran lunga superiore ad un anno, e perfino senza limiti di
 tempo, con la conseguenza  di  porre  sostanzialmente  nel  nulla  le
 ragioni  per le quali il legislatore, con la legge 3 gennaio 1981, n.
 1, ha introdotto il termine  di  decadenza  di  un  anno,  prima  non
 esistente    nell'Ordinamento;    ragioni   che   la   stessa   Corte
 costituzionale di recente ha ribadito nella sentenza n. 579 del 1990,
 con cui ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del citato art.
 12 allorche', in altra  sua  parte,  non  prevedeva  che  il  termine
 annuale  di  estinzione  del procedimento dovesse valere anche per il
 giudizio di rinvio a seguito di annullamento, da parte della Corte di
 cassazione, di precedente sentenza disciplinare.
    In sintesi, il giudice delle leggi ha riaffermato il principio  in
 base  al  quale  la  prefissione  di  termini  per  l'inizio e per la
 definizione del processo deve ritenersi presidio  indispensabile  per
 la  tutela  dell'indipendenza del magistrato: il quale, una volta che
 si sia avuta notizia di un illecito a suo carico, non puo'  permanere
 in   una   situazione   di  incertezza  oltre  un  periodo  di  tempo
 ragionevole,  a  pena  di  non  poter  esplicare  con  la  necessaria
 serenita'  ed autorevolezza - anche per la conoscenza che all'esterno
 si abbia di tale situazione - l'esercizio  delle  sue  funzioni,  con
 evidente  lesione  dei valori di cui agli artt. 101, secondo comma, e
 104, primo comma, della Costituzione.
    Il principio appena ricordato, per il suo rilievo  generale,  deve
 trovare applicazione in tutti i casi analoghi a quello che ha formato
 l'oggetto della sentenza n. 579/1990; correlativamente e' da ritenere
 che  disposizioni  di  legge  le  quali  se  ne discostino abbiano un
 livello di illegittimita' costituzionale pari a  quello  della  norma
 che, in quella occasione, e' stata censurata.
    Orbene,  contraria a questo principio appare anche la disposizione
 dell'art. 12 della legge 3 gennaio 1981, n. 1, nella parte in cui non
 disciplina il  decorso  del  termine  di  decadenza  per  l'esercizio
 dell'azione  disciplinare  in  modo da eliminare qualunque incertezza
 circa l'effettivo periodo di soggezione del magistrato alla "spada di
 Damocle" dell'esercizio dell'azione disciplinare nei suoi  confronti.
 In  particolare,  la norma appare incostituzionale nella parte in cui
 da' vita ad una situazione di assoluta indipendenza tra la conoscenza
 della stessa notizia di rilievo disciplinare che ne abbia l'uno e  ne
 abbia  l'altro  degli  organi  titolari  dell'azione:  sicche', anche
 quando il termine di decadenza sia decorso per l'uno, potrebbe invece
 quel termine non essere  decorso  anche  per  l'altro  titolare,  che
 ancora non ne avesse avuto notizia.
    Una  situazione  del  genere,  com'e' d'altronde evidente, pone il
 magistrato in uno stato di indiscutibile soggezione, tale da  poterne
 menomare l'indipendenza di giudizio, poiche' il periodo di incertezza
 circa  l'esito della notifica disciplinare puo' addirittura protrarsi
 a tempo indeterminato, qualora la notizia sia giunta ad uno  soltanto
 dei due titolari dell'azione, il quale abbia fatto trascorrere l'anno
 senza  esercitarla, mentre l'altro titolare non ne abbia avuto alcuna
 conoscenza.   Tutto   questo  non  soltanto  viola  il  principio  di
 indipendenza del giudice che e'  garantito  dalla  Costituzione  agli
 artt.  101,  secondo  comma,  e  104,  primo  comma,  come condizione
 estrinseca di corretto esercizio della funzione  giurisdizionale,  ma
 rende    piu'   difficile   l'esercizio   del   diritto   di   difesa
 dell'incolpato,  la   cui   tutela   risiede   nell'art.   24   della
 Costituzione,   a   causa   del  prolungato  decorso  del  tempo  fra
 l'infrazione e il giudizio disciplinare che ne consegue,  e  comporta
 altresi'  una disparita' di trattamento nei confronti dei magistrati,
 piu' o meno garantiti a seconda che la notizia del fatto  di  rilievo
 disciplinare sia pervenuta ai titolari dell'azione contestualmente, o
 no.
    D'altra  parte,  neppure  sembra possibile - rovesciando l'opzione
 dei  base  in  favore  dell'esigenza  che  sul   singolo   magistrato
 l'esperibilita'  dell'azione  disciplinare  non abbia a protrarsi per
 piu' di un anno da quando i fatti sono venuti alla luce - assumere la
 diversa interpretazione per cui il termine di decadenza, maturato nei
 confronti anche del solo Ministro di grazia e giustizia, o anche  del
 solo procuratore generale, abbia valore assoluto, e pertanto estingua
 a  quel momento il potere di azione per l'altro titolare, che pur non
 abbia avuto conoscenza del fatto,  e  non  abbia  quindi  dato  causa
 direttamente  al  verificarsi  della  decadenza:  quasi a considerare
 l'esaurimento dell'anno per uno dei  titolari  come  fatto  estintivo
 dell'azione  disciplinare  dell'altro titolare. Cio' in quanto appare
 assai   discutibile,   sul   piano    della    stessa    legittimita'
 costituzionale,  prevedere  un  meccanismo  di  estinzione "per causa
 altrui" di un potere istituzionale riconosciuto  dalla  legge,  e  in
 particolare  la  cennata  ipotesi  interpretativa non appare comunque
 ragionevolmente applicabile all'azione disciplinare di competenza del
 Ministro di grazia e giustizia, al quale e' riconosciuta  addirittura
 dalla  Costituzione ex art. 107, secondo comma, messa a repentaglio -
 in ipotesi - nella stessa sua sperimentabilita' per disposto di legge
 (solamente) ordinaria. E d'altra  parte,  ne  verrebbe  su  un  piano
 generale  una  seria  menomazione  alla  tutela  del  prestigio della
 funzione giudiziaria, tutela che  trova  in  Costituzione  un  sicura
 riconoscimento.
    In  realta',  una  soluzione del problema che appare equilibrata e
 corretta  sul  piano  costituzionale  deve   muovere,   per   potersi
 orientare,  dal  combinato  disposto  dell'art.  12  della  legge  in
 questione, gia' prima ricordato, e del primo comma, dell'art. 59, del
 d.P.R. n. 916/1958, a norma del lquale "i rapporti relativi  a  fatti
 suscettibili  di  valutazione  in sede disciplinare sono trasmessi al
 Ministro e  al  procuratore  generale  presso  la  suprema  Corte  di
 cassazione",   e   cioe'   contestualmente  ad  entrambi  i  titolare
 dell'azione disciplinare.
    Premesso che l'espressione "rapporti" contenuta nella norma citata
 e'  da  ritenere  collegabile  alla  particolare  natura   di   reato
 qualificao,  prevista  dall'art. 3 del c.p.p. abrogato, evidentemente
 la disposizione in oggetto e' diretta a far si'  che  la  notizia  di
 violazioni  disciplinari  acquisite dai capi degli uffici giudiziari,
 siano  da  questi  trasmesse  contemporaneamente  ai   due   titolari
 dell'azione  disciplinare, con il risultato che il termine di un anno
 verra' per essi a consumarsi in contestualita'.
    I  "rapporti"  dei  capi  degli  uffici, peraltro, non esauriscono
 l'intera gamma della possibili notizie  di  violazioni  disciplinari,
 poiche'  tali  notizie  ben  possono  essere portate a conoscenza, ad
 esempio, per iniziativa di semplici cittadini i  quali  evidentemente
 non  sono  tenuti a trasmetterle a tutti e due i titolari dell'azione
 disciplinare, con la conseguenza che il termine di un anno comincera'
 a decorrere solo per uno di essi, e non per l'altro.
    Ad evitare tale inconveniente, anche alla  luce  del  primo  comma
 dell'art.  59  citato,  e  considerando il principio costituzionale -
 sancito dagli artt. 101, primo  comma,  e  104,  primo  comma,  della
 Costituzione  - che garantisce la liberta' dei singoli magistrati per
 assicurare l'indipendenza dei giudizi, sembra corretto  ritenere  che
 nella materia in questione il nostro ordinamento postuli un interesse
 alla   "conoscenza   contestuale"   delle   notizie   di  tutti  quei
 comportamenti  che  appaiono  suscettibili  di  valutazione  in  sede
 disciplinare  sia da parte del Ministro della giustizia, sia da parte
 del procuratore generale  presso  la  suprema  Corte  di  cassazione;
 interesse  (che  l'art.  12,  punto 3, del d.d.l. n. 1996, presentato
 alla Camera dei deputati il 1ยบ dicembre  1987,  nel  testo  approvato
 dalla seconda commissione permanente della Camera, in sede referente,
 il  21  luglio  1988  conferma  e  persegue quando stabilisce che "Il
 Consiglio superiore della magistratura, i  consigli  giudiziari  e  i
 dirigenti   degli   uffici  debbono  comunicare  al  Ministero  e  al
 procuratore  generale  presso  la  Corte  di  cassazione  ogni  fatto
 suscettibile  di  valutazione  in  sede disciplinare. I presidenti di
 sezione e i presidenti di collegio debbono  comunicare  ai  dirigenti
 degli  uffici quei fatti concernenti l'attivita' dei magistrati della
 sezione  o  del  collegio  che  siano  suscettibili  di   valutazione
 disciplinare",  che  deve  ritenersi  costituzionalmente rilevante, e
 come   tale   garantito   direttamente   dall'obbligo   di   rapporto
 contestuale,  qualora  la  notizia  pervenga da soggetti obbligati al
 rapporto, e che non trova invece la  doverosa  applicazione  concreta
 quando la notizia proviene da soggetti diversi.
    In  altri  termini,  l'ipotesi che a questa sezione appare la piu'
 sensata per centrare l'obiettivo di ricondurre il testo dell'art.  12
 della  legge  n.  1/1981  -  nella  parte  che  qui interessa - ad un
 significato che consenta  di  pienamente  realiccare  sia  l'una  che
 l'altra  delle esigenze piu' sopra menzionate, obiettivo che certo la
 ratio dell'art. 12 in nessun modo autorizza ad eludere e  che,  anzi,
 il  complesso  di  garanzie  del  sistema  impone  di perseguire - e'
 questa: doversi ammettere l'esistenza di  una  norma,  implicitamente
 vigente  nell'ordinamento, che determina l'obbligo per quello dei due
 titolari - "il Ministro o il procuratore generale" -  che  per  primo
 riceva  notizia,  da chiunque e in qualunque modo trasmessa, di fatti
 suscettibili di assumere rilevanza disciplinare, di darne diretta  ed
 immediata comunicazione all'altro titolare: in modo che il termine di
 un anno per l'esercizio dell'azione disciplinare prenda a decorrere e
 arrivi   a   scadenza  contestualmente,  e  comunque  a  distanza  di
 pochissimi giorni per l'uno e per l'altro; sicche' l'esposizione  del
 magistrato  all'azione disciplinare non superi il periodo di un anno,
 cosi' come vuole l'art. 12 della legge n.  1/1981  quando  stabilisce
 (al  fine  dichiarato  di  tutelare "l'indipendenza e la liberta' dei
 singoli  magistrati  dal  ritardo  con   cui   vengono   definiti   i
 procedimenti  disciplinari":  Atti parlamentari, Camera dei deputati,
 quarta commissione, sedute del  10  e  31  luglio  1980  relative  al
 progetto di legge n. 1040 dell'ottava legislatura, sfociato poi nella
 legge  3  gennaio  1981,  n.  1)  il  termine annuale per l'esercizio
 dell'azione disciplinare.
    Pertanto, la disposizione dell'art. 59  del  d.P.R.  16  settembre
 1958,  n.  916,  come  modificato  dall'art. 12 della legge 3 gennaio
 1981, n. 1, appare incostituzionale per violazione degli artt. 3, 24,
 101, secondo comma, e 104, primo  comma,  della  Costituzione,  nella
 parte  in  cui  non  prevede a carico di ciascun titolare dell'azione
 disciplinare, qualora riceva notizia di infrazioni che non  risultino
 contestualmente  portare  a  conoscenza  anche  dell'altro  titolare,
 l'obbligo  di  comunicarla  a  questo  immediatamente  al   fine   di
 consentire  un tempestivo inizio del decorso del termine di decadenza
 di un anno per l'esercizio dell'azione stessa per entrambi i soggetti
 preposti all'esercizio dell'azione  disciplinare  nei  confronti  dei
 magistrati.
    Ritiene  d'altra parte questa sezione che la prospettata questione
 sia rilevante, oltre che  non  manifestamente  infondata,  in  quanto
 dall'eventuale  dichiarazione  di illegittimita' costituzionale della
 norma  dipende   la   possibilita'   di   procedere   nei   confronti
 dell'incolpato.  Invero,  nel  caso  di  specie  l'accoglimento della
 prospettata questione darebbe luogo ad una pronuncia di  non  doversi
 procedere   nei  confronti  della  dott.ssa  Rosa  Alba  Scaduto  per
 estinzione del procedimento disciplinare a suo carico.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in  riferimento
 agli   artt.  3,  24  e  104  della  Costituzione,  la  questione  di
 legittimita' costituzionale - che solleva d'ufficio -  dell'art.  59,
 sesto  comma,  del  d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, come modificato
 dall'art. 12, della legge 3 gennaio 1981, n. 1, nella  parte  in  cui
 viene  interpretato  come  diritto  vivente nel senso che l'esercizio
 dell'azione  disciplinare  e'  consentito  a  ciascuno  dei  titolari
 dell'azione  stessa entro l'anno della conoscenza del fatto che abbia
 dato luogo all'addebito, anche allorche' sia  gia'  decorso  un  anno
 dalla  intervenuta  conoscenza del medesimo fatto da parte dell'altro
 titolare,    cosi'    indeterminatamente    dilatando    nel    tempo
 l'assoggettabilita' del magistrato all'azione disciplinare;
    Sospende  il  giudizio  in  corso nel procedimento disciplinare n.
 59/1990 r.g. a carico della dott.ssa Rosa Alba Scaduto;
    Dispone  la  immediata  trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale per il giudizio di legittimita';
    Dispone  che,  a  cura della segreteria, la presente ordinanza sia
 notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e  comunicata  ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Roma, addi' 12 aprile 1991
                        Il presidente: GALLONI
    Il magistrato segretario: (firma illeggibile)
                                                  L'estensore: PATRONO
 91C1118