N. 40 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 4 settembre 1991
N. 40 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 4 settembre 1991 (del Ministro di grazia e giustizia) Dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Presidente della Repubblica circa la competenza del Consiglio dei Ministri a deliberare sull'esercizio del potere di grazia nei confronti di Renato Curcio, in quanto materia attinente all'indirizzo politico del Governo - Ritenuta lesione delle attribuzioni del Ministro di grazia e giustizia relativamente all'esercizio di tale potere per il quale e' necessario il concorso delle volonta' del Ministro di grazia e giustizia e del Presidente della Repubblica - Potere del Ministro di grazia e giustizia di proporre al Capo dello Stato e di controfirmare il decreto di grazia come oggetto di riserva costituzionale.(GU n.41 del 16-10-1991 )
Ricorso del Ministro di grazia e giustizia, pro-tempore, on.le Claudio Martelli, assistito e rappresentato - ai sensi dell'art. 37, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 - dai prof.ri avv.ti Paolo Barile e Gian Domenico Pisapia, e domiciliato presso la sede del Ministero - Ufficio di gabinetto in Roma, via Arenula, 70, per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ai sensi dell'art. 134 della Costituzione e dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, in relazione alle dichiarazioni e alle formali iniziative mediante le quali il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Presidente della Repubblica hanno affermato che spetta al Governo, con il conseguente potere di avocazione e di sospensione del Presidente del Consiglio dei Ministri, tutta la materia delle grazie - Curcio e simili -, in quanto "atto che investe la politica generale del Governo". PREMESSE DI FATTO Con lettera 2 agosto 1991, il Presidente della Repubblica ha comunicato al Ministro di grazia e giustizia la propria intenzione di promuovere, ai sensi dell'art. 87 della Costituzione, il procedimento per la concessione della grazia al signor Renato Curcio. Tale lettera e' stata inviata in copia anche al Presidente del Consiglio dei Ministri, al fine di "previa informazione" e di "assenso interno" del Capo dell'Esecutivo. Con successiva lettera 14 agosto 1991, lo stesso Presidente della Repubblica ha ampiamente illustrato i motivi strettamente e rigorosamente politici dell'iniziativa ed ha invitato a considerare la sua lettera quale "atto formale del Capo dello Stato di iniziativa della promozione del procedimento per la concessione della grazia", richiamando la responsabilita' del Ministro di grazia e giustizia e del Governo, quest'ultimo "per gli eventuali aspetti di politica generale che ne siano interessati". La Presidenza della Repubblica, con appunto informale datato Pian Cansiglio 18 agosto 1991, precisava che il Presidente del Consiglio dei Ministri poteva sottoporre il problema al Consiglio stesso, per l'art. 2, punto 3, lett. q), e avvalersi della facolta' di cui all'art. 5, punto 2, lett. c), della legge 18 agosto 1988, n. 400. In data 19 successivo, il Ministro guardasigilli rispondeva al Presidente della Repubblica precisando, tra l'altro, che e' "in ogni caso escluso che la grazia possa costituire un atto politico tale da richiedere una decisione collegiale di Governo". Di tale risposta il Ministro inviava copia anche al Presidente del Consiglio. Sotto la stessa data, il Presidente del Consiglio dei Ministri comunicava al Ministro gurdasigilli di aderire alla tesi espressa dal Presidente della Repubblica e di "ritenere che tutta la materia delle grazie - Curcio e simili - e di provvedimenti correttivi delle linee sin qui seguite in ordine al terrorismo sia da decidersi collegialmente dal Consiglio dei Ministri" e che quindi doveva re- stare "sospesa ogni decisione ministeriale ex art. 5, lett. c)" della legge n. 400/1988. In data 21 agosto successivo, da Pian Cansiglio, il Presidente della Repubblica confermava di condividere, sia sul piano formale che sotto il profilo del merito, la decisione del Presidente del Consiglio dei Ministri. Le dichiarazioni ed i comportamenti del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio dei Ministri implicano, da un lato, l'affermazione della competenza del Consiglio dei Ministri a decidere sull'esercizio del potere di grazia e, dall'altro, l'affermazione del conseguente potere del Presidente del Consiglio dei Ministri di avocare alla decisione collegiale del Governo e di sospendere frattanto ogni iniziativa ministeriale relativa alla proposta di concessione della grazia. Tali affermazioni ed il concreto esercizio del potere di sospensione della iniziativa relativa alla concessione della grazia sono lesivi delle attribuzioni istituzionalmente riconosciute al Ministro della giustizia in ordine alla decisione, positiva o negativa, di dar corso al procedimento di concessione della grazia individuale. Analoga lesione della competenza attribuita al Ministro guardasigilli e' ravvisabile nelle affermazioni del Presidente della Repubblica, in quanto dirette ad ottenere, sul provvedimento di concessione della grazia al signor Renato Curcio, il previo "accordo interno" del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Consiglio medesimo. Sui presupposti soggettivi del conflitto. Il Ministro ricorrente conosce la giurisprudenza di questa Corte che ha sottolineato il carattere unitario (e non "diffuso") del potere esecutivo, che in definitiva si regge sul principio collegiale; per cui, e' il Governo - inteso come Consiglio dei Ministri - a "prendere parte - in nome dell'unita' dell'indirizzo politico ed amministrativo, proclamata nel primo comma dell'art. 95 della Costituzione - ai conflitti tra i poteri dello Stato" (ordinanza n. 123/1979; sentenza n. 150/1981; nonche' ordinanza n. 38/1986). Ma questo indirizzo giurisprudenziale, in base al quale viene affermata la legittimazione al giudizio per conflitto di attribuzione del solo Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio stesso (ordinanza n. 123/1979; ordinanza n. 98/1981; ordinanza n. 132/1981), non puo' valere nel caso di specie: a) non solo perche', correttamente, questa Corte non ha fino ad oggi affermato in termini assoluti l'orientamento giurisprudenziale ora accennato, precisando che la legittimazione processuale dei singoli ministri e dello stesso Presidente del Consiglio dei Ministri si puo' escludere solo "di norma" (cosi', sia l'ordinanza n. 123/1979 sia la sentenza n. 150/1981); b) ma anche perche' questa Corte ha evitato, in alcune ipotesi in cui venivano proposti ricorsi per conflitto di attribuzione nei confronti di singoli ministri, di pronunciare espressamente sull'inammissibilita' del ricorso per assenza di legittimazione passiva del Ministro (v. per il Ministro dell'interno, ordinanza n. 84/1978; per il Ministro di grazia e giustizia, ordinanza n. 87/1978 e ordinanza n. 16/1979) riconoscendo anzi, con specifico riferimento alle attribuzioni del Ministro di grazia e giustizia, che esse possono assumere rilievo costituzionale "nelle ipotesi della 'facolta'' e delle competenze spettanti" - al Guardasigilli - "in base all'art. 107, secondo comma, ed all'art. 110, della Costituzione" (sentenza n. 150/1981); c) e soprattutto perche' il Ministro di grazia e giustizia, con il presente ricorso - come sara' sostenuto illustrando i presupposti oggettivi del conflitto - rivendica la titolarita' del potere di proporre e controfirmare i provvedimenti di grazia, in quanto espressione di funzioni che non sono in alcun modo riconducibili al potere di indirizzo politico-amministrativo di cui e' titolare il Consiglio dei Ministri e del quale e' responsabile il suo Presidente. Con la conseguenza che il conflitto che qui viene proposto non e' interno al Consiglio dei Ministri, ma investe la contestazione da parte del Ministro di grazia e giustizia, quale organo costituzionale, che sussista un potere di controllo o di indirizzo da parte del Governo ed in particolare del Presidente del Consiglio dei Ministri, sulle competenze che egli ritiene di dover esercitare in posizione di piena autonomia costituzionale. Non sembra, d'altra parte, dubitabile la legittimazione passiva del Presidente del Consiglio dei Ministri, che ha affermato il potere di avocazione della decisione al Consiglio dei Ministri ( ex art. 2, punto 3, lett. q), della legge n. 400/1988) ed ha sospeso l'adozione dell'atto ministeriale ( ex art. 5, punto 2, lett. c), della legge citata) nell'esercizio dei poteri costituzionali nascenti dall'art. 95, primo comma, della Costituzione; poteri che direttamente sono attribuiti al Presidente del Consiglio, che - sotto questo profilo - e' sicuramente competente a dichiarare definitivamente la volonta' del potere esecutivo (ordinanza n. 49/1977). E', infine, pacifica nei giudizi davanti a questa Corte la legittimazione passiva del Presidente della Repubblica, quale "potere-organo" (v. sentenza n. 150/1980). Sui presupposti oggettivi del conflitto. Sussistono i presupposti oggettivi del conflitto. Le affermazioni ed i provvedimenti del Presidente del Consiglio (ordine di sospendere ogni decisione del Ministro avocando la materia delle grazie - Curcio e simili - alla competenza del Consiglio dei Ministri), nonche' l'invito formale del Presidente della Repubblica ad ottenere il previo "accordo interno" del Governo sulla concessione della grazia ledono attualmente (impedendone l'esercizio) e comunque interferiscono attualmente (condizionandole sotto il profilo sia formale che di merito) sulle attribuzioni di cui il Ministro di grazia e giustizia e' titolare sulla base di principi e norme di livello costituzionale. Il potere di grazia e' attribuito, dall'art. 87 della Costituzione, al Presidente della Repubblica. Si tratta peraltro di un potere affidato alla competenza del Presidente in quanto residuo di attribuzioni che spettano alla Corona come capo della funzione esecutiva. In realta', come conferma anche la formulazione dell'art. 681 del c.p.p., il Ministro di grazia e giustizia ha poteri di iniziativa e di istruttoria in questa materia, sicche' si puo' ritenere che la concessione della grazia si presenti - anche nel vigore del nuovo codice codice - come un atto per l'adozione del quale e' comunque necessario il concorso delle volonta' del Ministro di grazia e giustizia e del Presidente della Repubblica. Il potere del Ministro della giustizia di proporre al Capo dello Stato il decreto di grazia e di controfirmare l'atto e', in ogni caso, da considerare oggetto di riserva costituzionale. Il rango costituzionale delle norme e della prassi che presiedono all'esercizio del potere di grazia si deduce dal sistema e discende dalla natura stessa dell'istituto in esame. Tanto la dottrina costituzionalistica quanto quella penalistica concordano nel rilevare il carattere particolare della grazia (che si differenzia sotto tale aspetto dall'industo, avente carattere generale). La grazia e' un provvedimento individuale che prende ad oggetto un singolo rapporto esecutivo conseguente ad una o piu' condanne, a carico di un imputato. La singolarita' della grazia e' connessa all'eccezionalita' del potere che con essa si configura: attraverso la grazia - atto sostanzialmente e formalmente non giurisdizionale - si interviene nella sfera della giurisdizione, determinando, contro il principio della forza esecutiva del giudicato, la cessazione o la modifica del principale effetto della sentenza irrevocabile di condanna e cioe' l'applicazione della pena. L'eccezionalita' del potere di grazia nello schema tradizionale della divisione dei poteri postula la rigida attribuzione al Ministro della giustizia, che in materia e' indubitabilmente titolare dei poteri di iniziativa ed istruttori, del potere di proposta e controfirma del decreto di grazia e si colloca come ostacolo istituzionale alla facolta' di sostituzione e avocazione di siffatto potere da parte del Governo. Il potere deve essere esercitato dal Presidente della Repubblica e dal Ministro esclusivamente per soddisfare quelle esigenze individuate nel tempo dalla dottrina e convalidate dalla prassi, sinteticamente evocate nella Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale mediante il richiamo alla funzione correttivo-equitativa dei rigori della legge. Invero, pur quando non si abbia motivo di dubitare della correttezza della decisione giudiziaria, per avere questa correttamente operato l'applicazione della norma astratta al caso concreto, vi potra' essere ragione per la concessione del beneficio al condannato, quando per il mutamento delle condizioni individuali di quest'ultimo - e, dunque, sulla scorta di una rivalutazione della sua complessiva vicenda umana - la pena non appaia piu' adeguata ed equa. Con la grazia non possono essere valutate situazioni generali; e solo assegnando all'istituto questa diversa finalita', ad essa assolutamente estranea, si potrebbe giustificare l'attribuzione al Consiglio dei Ministri della competenza in ordine alla valutazione dell'opportunita' politica di concedere o meno la grazia ad un condannato. Ammettere la possibilita' di una decisione collegiale del Governo significherebbe ammettere la possibilita' di una interferenza nella sfera giurisdizionale da parte del potere esecutivo e addirittura per motivo politici. Una simile interferenza non puo' essere ritenuta conforme al dettato costituzionale. La particolare configurazione della grazia e del relativo potere di proposta e controfirma si collega con la posizione del tutto speciale accordata dalla Costituzione repubblicana al Ministro della giustizia. Si e' gia' ricordato che questo Ministro: e' l'unico espressamente menzionato dalla normativa costituzionale ed e', come ha incidentalmente riconosciuto questa Corte, titolare di poteri propri, non riconducibili alla collegialita' governativa (v. in particolare art. 110 della Costituzione). Tutto cio' si inquadra perfettamente nel disegno organizzativo fondamentale dello Stato, che attribuisce valore centrale all'ordinamento giuridico, alla tutela dei diritti, alla funzione e alle garanzie giurisdizionali. A questi valori si collegano importanti attribuzioni affidate al Ministro di grazia e giustizia, costantemente osservate nel nostro ordinamento. Si pensi, solo per qualche esempio, alla funzione di Guardasigilli, alle attribuzioni in materia di estradizioni, di riconoscimento di sentenze penali straniere, di richieste di procedimento per delitti comuni all'estero, di autorizzazioni a procedere. Si tratta di attribuzioni strettamente collegate alla giurisdizione, nell'esercizio delle quali la ponderazione politica non puo' prescindere dalla applicazione di criteri attinenti alla legalita' formale ed alla equita' sostanziale. L'Affidamento di queste competenze al Ministro di grazia e giustizia, quand'anche attuato con legge ordinaria, si pone in una linea di continuita' con il disegno costituzionale. Deve di conseguenza escludersi che, rispetto a queste attribuzioni tradizionali del Ministro guardasigilli, possa operare la normativa diretta a ricondurre le decisioni all'esercizio del potere di indirizzo politico amministrativo del Governo, che presuppone l'assunzione di atti sottoponibili sempre e comunque ad un controllo politico o giurisdizionale: cio' e' notoriamente da escludere per le attribuzioni indicate, cosi' come per l'esercizio del potere di grazia. In questo senso deve essere, d'altra parte, letta la norma, tuttora vigente, del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1332, che esclude l'obbligo di registrazione presso la Corte dei conti dei provvedimenti di grazia, sottraendoli al controllo preventivo di legittimita' sugli atti del Governo, di cui all'art. 100, secondo comma, della Costituzione. Si deve quindi escludere la competenza dell'organo collegiale Consiglio dei Ministri nell'esercizio del potere di grazia in generale e quindi nel caso Curcio e simili. Cio' non certo per un'interpretazione riduttiva del principio di collegialita' e del potere di avocazione del Presidente del Consiglio, previsti dalle norme della legge n. 400/1988, quanto per la peculiarita' che tuttora caratterizza l'istituto della grazia in quanto atto costituzionale. Deve in conseguenza essere escluso l'obbligo di ottenere l'"assenso interno" del Presidente del Consiglio ed il potere di quest'ultimo di sospendere il procedimento relativo all'adozione dei provvedimenti di grazia, per rimettere la decisione al Consiglio dei Ministri. Sembra, infatti, assurdo ed antistorico ritenere - con l'applicazione impropria dei principi della legge n. 400/1988 - che la decisione in punto di grazia individuale possa spettare al Consiglio dei Ministri (con la conseguente assunzione di un significato politico del tutto estraneo rispetto a quello equitativo e di natura personale che la decisione sulla grazia deve mantenere), anziche' agli organi istituzionalmente titolari di questo potere: il Presidente della Repubblica ed il Ministro di grazia e giustizia.
P. Q. M. Si chiede che questa Corte: a) dichiari che non spetta al Consiglio dei Ministri alcuna competenza in merito alla decisione sulla grazia al signor Renato Curcio e che non spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Presidente della Repubblica interferire sull'esercizio delle attribuzioni del Ministro di grazia e giustizia, investendone il Consiglio dei Ministri e sospendendo la procedura in attesa di tale decisione: b) annulli, in conseguenza, gli atti del Presidente del Consiglio dei Ministri diretti a sospendere le iniziative del Ministro di grazia e giustizia in ordine alla decisione sulla grazia ed a rimettere la questione all'esame del Consiglio stesso, nonche' in quanto occorrer possa, gli atti del Presidente della Repubblica, con i quali e' stato sollecitato l'"assenso interno" del Presidente del Consiglio dei Ministri ed e' stata affermata la competenza a decidere del Consiglio dei Ministri. Il Ministro di grazia e giustizia: MARTELLI Prof. avv. Paolo BARILE - Prof. avv. Gian Domenico PISAPIA 91C1129