N. 401 SENTENZA 4 - 12 novembre 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Nuovo codice - G.I.P. - Ordine al p.m. di formulare
 l'imputazione   -   Incompatibilita'   a   partecipare    all'udienza
 preliminare   o   al  giudizio  abbreviato  -  Mancata  previsione  -
 Eventualita' non esplicante alcun rilievo sul giudizio nel  merito  -
 Non fondatezza nei sensi di cui in motivazione.
 
 (C.P.P., art. 34, secondo comma).
 
 (Cost., artt. 25, 76, 77 e 101).
 
 Processo  penale  - Nuovo codice - G.I.P. pressoil trobunale - Ordine
 al p.m. di formulare l'imputazione - Successivo giudizio abbreviato -
 Possibilita' di non partecipazione - Mancata  previsione  Valutazione
 contenustica  dei  risultati  determinante ai fini della emanzione di
 una  sentenza  -  Illegittimita'  costituzionale  (C.P.P.,  art.  34,
 secondo comma)
 
(GU n.46 del 20-11-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco Paolo
    CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  34,  comma
 secondo,  del  codice  di  procedura  penale promossi con le seguenti
 ordinanze:
      1) ordinanza emessa  l'11  dicembre  1990  dal  Giudice  per  le
 indagini  preliminari  presso  il  Tribunale di Roma nel procedimento
 penale a carico di Vagheggi Paolo, iscritta al n.  184  del  registro
 ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1991;
      2)  ordinanza  emessa  il  19  febbraio  1991 dal Giudice per le
 indagini  preliminari  presso  il  Tribunale   di   La   Spezia   nel
 procedimento  penale  a carico di Nicora Caterina, iscritta al n. 287
 del registro ordinanze 1991 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1991;
      3)  ordinanza  emessa  il  5 marzo 1991 dalla Corte d'appello di
 Brescia nel procedimento penale a carico di Olivari Claudio  Evaristo
 ed altro, iscritta al n. 315 del registro ordinanze 1991 e pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  19,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1991;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 10 luglio 1991 il Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ordinanza  dell'11  dicembre  1990,  il  Giudice  per  le
 indagini  preliminari  presso  il  Tribunale di Roma ha sollevato, su
 eccezione della  difesa,  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  34,  secondo  comma,  del  codice di procedura penale, per
 contrasto con la direttiva di cui al n. 67 dell'art.  2  della  legge
 delega n. 81 del 1987 e, percio', con gli artt. 76 e 77 Cost., "nella
 parte in cui detta disposizione non prevede che non possa partecipare
 alla  successiva  udienza  preliminare  il  giudice  per  le indagini
 preliminari presso il Tribunale, che abbia ordinato al P.M., ai sensi
 dell'art. 409, 5› co, del codice, di formulare l'imputazione".
    L'ordinanza prende le mosse dalla sentenza di questa Corte n.  496
 del  1990,  che  ha  dichiarato l'illegittimita' costituzionale della
 medesima  norma  nella  parte  in  cui  non  prevede  che  non  possa
 partecipare  al  successivo  giudizio  abbreviato  il  giudice per le
 indagini preliminari presso la Pretura che abbia  emesso  l'ordinanza
 di  cui all'art. 554, secondo comma, del medesimo codice. Sottolinea,
 in  particolare,  che  a  tale  decisione  la  Corte   e'   pervenuta
 considerando  che  "il  regime  delle incompatibilita' indicato nella
 delega risponde, invero, all'esigenza di evitare che  la  valutazione
 di  merito  del  giudice  possa  essere  (o  possa ritenersi che sia)
 condizionata  dallo  svolgimento  di  determinate   attivita'   nelle
 precedenti  fasi  del  procedimento  o  dalla  previa  conoscenza dei
 relativi atti  processuali";  e  che  "respingendo  la  richiesta  di
 archiviazione    ed   ordinando,   conseguentemente,   di   formulare
 l'imputazione, il giudice per le indagini preliminari compie  infatti
 una  valutazione  non  formale,  ma di contenuto, dei risultati delle
 indagini preliminari e della sussistenza delle condizioni  necessarie
 per l'assoggettare l'imputato al giudizio di merito".
    Queste stesse ragioni, ad avviso del giudice rimettente, valgono a
 far  ritenere che non debba poter partecipare all'udienza preliminare
 il giudice delle indagini preliminari presso il tribunale  che  abbia
 in  precedenza ordinato di formulare l'imputazione, dato che con cio'
 egli ha gia' espresso la propria valutazione sui risultati  acquisiti
 nella   fase   delle   indagini  preliminari  ed  implicitamente,  ma
 inequivocabilmente,  anche   sulla   sussistenza   delle   condizioni
 necessarie per disporre il rinvio a giudizio dell'imputato.
    1.1.  -  Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
 difeso dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  ha  chiesto  che  la
 questione sia dichiarata infondata.
    L'Avvocatura rileva che, nella direttiva n. 67, l'incompatibilita'
 e'  riferita  solo al giudice del dibattimento e sussiste solo per il
 compimento di taluni atti tipici costituiti dalle decisioni  "conclu-
 sive"  che  il  giudice  per  le  indagini  preliminari  assume  dopo
 l'esercizio dell'azione penale. L'art. 34, secondo comma, ha ampliato
 l'ambito dell'incompatibilita' considerato nella delega,  riferendola
 a  qualsiasi  "giudizio";  e  la  Corte, nella citata sentenza, si e'
 mantenuta in questo solco, estendendola  al  giudizio  abbreviato  ma
 tenendo  fermo  che  essa puo' venire in considerazione solo rispetto
 alla funzione di "giudizio".
    Il giudice remittente muove percio', secondo l'Avvocatura, da  una
 premessa errata, in quanto non considera che l'udienza preliminare ha
 una  funzione  squisitamente processuale e non puo' essere assimilata
 ad una fase qualificabile  come  "giudizio",  dato  che  in  essa  il
 giudice  non  e'  chiamato  a  pronunciarsi sulla colpevolezza o meno
 dell'imputato, ma solo a delibare la fondatezza  dell'accusa  secondo
 un   parametro   rigorosamente   circoscritto   alla   non  manifesta
 superfluita' del dibattimento.
    Percio', l'ordine  di  formulare  l'imputazione,  se  puo'  essere
 assimilato  -  come  ha  fatto la Corte - al provvedimento conclusivo
 dell'udienza preliminare ai fini  dell'incompatibilita'  riferita  al
 successivo  giudizio,  non  puo'  valere  -  invertendo  l'ordine del
 ragionamento - come atto idoneo a precludere al medesimo  giudice  la
 celebrazione  di  una  udienza  destinata  unicamente  a  vagliare la
 necessita' del giudizio. Non conta, ad  avviso  dell'Avvocatura,  che
 dopo  l'imputazione  "coatta"  l'esito  dell'udienza  possa ritenersi
 prevedibile; conta, invece, che  rispetto  al  sistema  della  delega
 sarebbe antinomica un'incompatibilita' interna alla fase, per di piu'
 fondata su un malinteso appello alla "terzieta'" del giudice.
    2.  -  L'art. 34, secondo comma, del codice e' stato impugnato, in
 riferimento allo stesso parametro,  con  ordinanza  del  19  febbraio
 1991,  anche  dal  Giudice  per  le  indagini  preliminari  presso il
 Tribunale di La Spezia, nella parte in cui non prevede che non  possa
 partecipare al successivo giudizio abbreviato - cui si era nella spe-
 cie  dato ingresso - il giudice per le indagini preliminari che abbia
 in precedenza ordinato di formulare l'imputazione ai sensi  dell'art.
 409, comma quinto, del codice.
    Trattasi  -  rileva  il  giudice rimettente - di un caso analogo a
 quello gia' deciso, in relazione al procedimento  pretorile,  con  la
 citata  sentenza  n.  496  del  1990, per il quale dovrebbero percio'
 valere le medesime ragioni di incostituzionalita'.
    2.1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenendo  nel
 predetto  giudizio,  si  e'  riportato alle conclusioni riassunte sub
 1.1.-.
    3. - Nel corso di un  procedimento  penale  a  carico  di  Olivari
 Claudio  Evaristo  ed  altro,  il Giudice per le indagini preliminari
 presso il Tribunale di Brescia, dopo  aver  convalidato  il  fermo  e
 disposto  la misura cautelare della custodia in carcere, ordinava, su
 richiesta del pubblico ministero,  che  si  procedesse  con  giudizio
 immediato:  indi,  su  richiesta  dell'imputato  e  col  consenso del
 pubblico  ministero,  disponeva  procedersi  con   rito   abbreviato.
 All'udienza,  la  difesa proponeva istanza di ricusazione, sostenendo
 che detto giudice versava nella situazione d'incompatibilita' di  cui
 all'art.  34,  secondo comma, del codice di rito: ma l'istanza veniva
 rigettata.
    Avverso  la  successiva  sentenza  di   condanna,   gli   imputati
 proponevano  appello, deducendone la nullita' in forza della sentenza
 di questa Corte n. 496 del 1990.
    Con ordinanza del 5 marzo 1991, la Corte d'appello di Brescia, pur
 premettendo che da quest'ultima pronuncia - fondata tra l'altro sulla
 necessaria distinzione tra funzioni requirenti e  giudicanti  di  cui
 alla  direttiva  n.  103  della  legge  delega  -  non puo' inferirsi
 l'incostituzionalita' della diversa situazione  qui  considerata,  ha
 sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 25 e 101 Cost., questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma,  cod.  proc.
 pen.,  "nella parte in cui non prevede che al giudice per le indagini
 preliminari presso il Tribunale che ha disposto il giudizio immediato
 sia inibito di partecipare  al  giudizio  abbreviato  successivamente
 disposto, su richiesta dell'imputato e con il consenso del p.m.".
    Nel disporre il giudizio immediato - osserva la Corte rimettente -
 il  giudice  per  le indagini preliminari opera una scelta tra le due
 soluzioni offertegli dall'art. 455,  che  univocamente  dimostra  che
 egli condivide la valutazione del pubblico ministero circa l'evidenza
 della prova della responsabilita' dell'imputato, presupposto di detto
 giudizio.  Percio',  il  fatto  che  lo  stesso  giudice  passi poi a
 decidere con giudizio abbreviato  -  caratterizzato  dal  divieto  di
 acquisizione   di  ulteriori  prove  -  menomerebbe  la  garanzia  di
 imparzialita'  ed  indipendenza  sottesa   agli   invocati   disposti
 costituzionali,  i  quali richiedono che il giudice sia assolutamente
 libero da convincimenti formatisi prima o fuori dal  processo  e  non
 possa   ritenersi   condizionato,  neppure  presuntivamente,  da  una
 pregressa valutazione del merito.
    3.1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
 difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  ha  chiesto  che la
 predetta questione sia dichiarata infondata.
    Ad  avviso  dell'Avvocatura,  la  scelta  tra  rinvio a giudizio e
 restituzione degli atti al pubblico ministero  demandata  al  giudice
 per  le  indagini  preliminari,  ai  fini del promovimento o meno del
 giudizio immediato, e' di natura puramente procedimentale,  dato  che
 il   requisito   dell'"evidenza"   non   riguarda   la   prova  della
 responsabilita'  dell'imputato  (valutazione,  questa,   rimessa   al
 giudice  competente  a  decidere  nel merito), ma solo la concludenza
 delle indagini compiute dal pubblico  ministero,  in  mancanza  della
 quale   il   fumus   di  fondatezza  dell'accusa  va  verificato  nel
 contraddittorio delle parti. Esula percio',  qualsiasi  "pregiudizio"
 in ordine alla responsabilita'.
    D'altra   parte,  l'incompatibilita'  a  partecipare  al  giudizio
 dibattimentale prevista dalla norma impugnata in capo al giudice  che
 ha disposto il giudizio immediato si ricollega, secondo l'Avvocatura,
 non  ad  una  pregressa  valutazione  del  merito  ma al fatto che il
 giudice, avendo preso cognizione degli atti di indagine,  non  e'  in
 grado  di valutare le prove scaturenti dal dibattimento in assenza di
 condizionamenti derivanti dalle suddette diverse fonti di conoscenza:
 condizione, questa, che e' invece irrilevante ai  fini  del  giudizio
 abbreviato, che e' fondato sugli atti di indagine preliminare.
                        Considerato in diritto
    1.  -  I  tre  giudizi investono, pur se sotto profili diversi, la
 medesima disposizione di legge. Essi vanno pertanto riuniti e  decisi
 con un'unica sentenza.
    2. - Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
 Roma  dubita  che  l'art.  34, secondo comma, del codice di procedura
 penale contrasti con la direttiva di cui al n. 67 dell'art.  2  della
 legge delega 16 febbraio 1987, n. 81 - e, percio', con gli artt. 76 e
 77  Cost.  -  nella  parte  in  cui  non prevede l'incompatibilita' a
 partecipare all'udienza  preliminare  del  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  il  tribunale  che  abbia  ordinato  al pubblico
 ministero di formulare l'imputazione, ai sensi dell'art. 409,  quinto
 comma,  dello stesso codice: incompatibilita' che dovrebbe discendere
 dall'avere egli gia' espresso, in tal modo,  la  propria  valutazione
 sui   risultati   delle   indagini   preliminari  e  quindi  anche  -
 implicitamente,  ma  inequivocabilmente  -  sulla  sussistenza  delle
 condizioni necessarie per disporre l'invio a giudizio.
    La questione non e' fondata.
    3.  -  Con  l'art.  34,  secondo comma, del codice, il legislatore
 delegato si e' limitato a riprodurre i tre casi di incompatibilita' a
 partecipare al giudizio espressamente indicati nella citata direttiva
 n. 67 (prima parte, secondo periodo),  e  cioe'  l'avere  il  giudice
 emesso   il   provvedimento  conclusivo  dell'udienza  preliminare  o
 disposto  il  giudizio  immediato  o  emesso  il  decreto  penale  di
 condanna;  aggiungendovi solo, "per identita' di ratio" (Relazione al
 progetto   preliminare,   pag.   19),    quello    della    decisione
 sull'impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere.
    Tali  casi  presentano  alcuni  caratteri  comuni,  che  valgono a
 definire nel suo nucleo sostanziale la situazione in  presenza  della
 quale   il  legislatore  delegante  ha  ritenuto  che  la  previsione
 dell'incompatibilita'   fosse   necessario   presidio   del    valore
 dell'imparzialita' del giudice.
    Innanzitutto,  l'incompatibilita'  ha  rilievo  solo  rispetto  al
 "giudizio",  cioe'  rispetto  alla   decisione   sul   merito   della
 regiudicanda, e non anche a decisioni assunte ad altri fini.
    Inoltre,  occorre che il giudice abbia previamente compiuto, sulla
 base   dei   risultati   complessivi   delle   indagini   preliminari
 (eventualmente    integrati    da    quelli   acquisiti   all'udienza
 preliminare),  una  valutazione  contenutistica   della   consistenza
 dell'ipotesi accusatoria, finalizzata al controllo sulla legittimita'
 dell'esercizio  dell'azione  penale  e  del  passaggio  alla fase del
 giudizio (eventuale, nel caso del decreto penale di condanna).
    Nella  fattispecie  qui  considerata,  ricorre  indubbiamente   il
 secondo  di tali requisiti, dato che - come gia' si e' rilevato nella
 sentenza n. 496 del 1990 - ordinando di  formulare  l'imputazione  il
 giudice  per  le  indagini  preliminari  compie  "una valutazione non
 formale,  ma  di  contenuto,  dei  risultati"  di  queste  "e   della
 sussistenza  delle  condizioni necessarie per assoggettare l'imputato
 al  giudizio  di  merito",  ed  anzi  "da'   ex   officio   l'impulso
 determinante  alla  procedura  che  condurra'  all'emanazione  di una
 sentenza"; non ricorre, invece, il primo,  dato  che  il  termine  di
 raffronto  non  e'  la  decisione di merito ma un'ulteriore decisione
 processuale, finalizzata ad accertare la legittimita'  della  domanda
 di giudizio (cfr. sentenza n. 64 del 1991).
    L'eventualita'  che  chi ha ordinato di formulare l'imputazione si
 orienti per il rinvio a giudizio non esplica  invece  alcun  rilievo,
 dato  che  il  legislatore  delegante  ha  ritenuto - in accordo, del
 resto, con la tradizionale configurazione dell'istituto in  questione
 - che il pericolo di prevenzione del giudice andasse considerato solo
 rispetto al "giudizio" vero e proprio.
    Ritenere  che  cio'  basti  a radicare l'incompatibilita' sarebbe,
 anzi, in contraddizione con  la  scelta  -  rispondente  a  razionali
 motivi   di   economia   processuale  -  della  "concentrazione,  ove
 possibile, in capo allo stesso giudice .. di  tutti  i  provvedimenti
 relativi  allo  stesso  procedimento" (direttiva n. 40, ultima parte,
 dell'art. 2 della legge delega).
    4. - Fondata e', invece, la censura che -  sempre  in  riferimento
 alla  direttiva  n.  67  e,  quindi, agli artt. 76 e 77 Cost. - muove
 all'art. 34, secondo comma, il Giudice per  le  indagini  preliminari
 presso  il Tribunale di La Spezia (r.o. n. 287 del 1991), nella parte
 in cui non prevede che il giudice per  le  indagini  preliminari  che
 abbia  ordinato  di  formulare  l'imputazione ai sensi dell'art. 409,
 quinto comma, del codice di rito non possa partecipare al  successivo
 giudizio abbreviato.
    Si  tratta, infatti, di una fattispecie del tutto analoga a quella
 considerata nella citata sentenza n. 496 del 1990; e  la  circostanza
 che  nel  procedimento davanti al Tribunale (art. 409) - a differenza
 che in quello davanti al Pretore (art. 554) - l'ordine  di  formulare
 l'imputazione  segua  ad  una  procedura  camerale  e', all'evidenza,
 irrilevante ai fini del riconoscimento dell'incompatibilita'.
    Di conseguenza poiche' con l'ordine di cui  all'art.  409,  quinto
 comma,  il giudice per le indagini preliminari compie una valutazione
 contenutistica  dei  risultati  di  queste  e  da'  anzi  ex  officio
 l'impulso determinante alla procedura che condurra' all'emanazione di
 una  sentenza,  l'art.  34,  secondo  comma,  deve  essere dichiarato
 costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che  il
 giudice   che  ha  emanato  tale  ordine  non  possa  partecipare  al
 successivo giudizio abbreviato.
    5.  - L'art. 34, secondo comma e', altresi', impugnato dalla Corte
 d'appello di Brescia (r.o. n. 315 del 1991) nella parte  in  cui  non
 prevede  che sia inibita la partecipazione al giudizio abbreviato del
 giudice per le indagini  preliminari  che  ha  disposto  il  giudizio
 immediato  (artt. 455 e 458 cod. proc. pen.): cio' che, a suo avviso,
 contrasta con le garanzie di imparzialita' e di indipendenza  sottese
 ai  disposti  degli  artt.  25  e 101 della Costituzione, dato che il
 giudizio reso nel rito  abbreviato  potrebbe  ritenersi  condizionato
 dalla  valutazione  circa l'"evidenza" della prova gia' effettuata ai
 fini dell'introduzione del giudizio immediato.
    Poiche' la norma impugnata gia' prevede che non possa "partecipare
 al giudizio il giudice che .. ha disposto il giudizio immediato",  la
 questione  muove,  evidentemente,  dall'implicito presupposto che per
 "giudizio" debba intendersi il solo giudizio che  si  estrinseca  nel
 dibattimento.
    Tale  interpretazione  non  puo' pero' essere condivisa, in quanto
 contraddetta sia dalla lettera che dalla ratio della disposizione.
    Sotto il primo profilo, e' da rilevare che la locuzione "giudizio"
 e' di per se' tale da ricomprendere qualsiasi tipo di giudizio, cioe'
 ogni processo che in base ad un esame delle  prove  pervenga  ad  una
 decisione  di  merito,  compreso  quello  che  si  svolge con il rito
 abbreviato. Anzi, la circostanza che tale ampia locuzione  sia  stata
 adottata  in  luogo  di quella restrittiva ("divieto di esercitare le
 funzioni di giudice del  dibattimento  ..")  contenuta  nella  citata
 direttiva  n.  67  e' indice univoco di una precisa determinazione in
 tal senso del legislatore delegato.
    Sotto il secondo profilo, sarebbe evidentemente illogico  ritenere
 che  la  ragione  dell'incompatibilita' stabilita dalla norma ricorra
 solo per il dibattimento e non  anche  per  il  giudizio  abbreviato,
 quando entrambi seguono alla richiesta di giudizio immediato.
    Il  gia' effettuato giudizio sull'"evidenza" della prova - e cioe'
 sulla verosimile attribuibilita' del fatto all'imputato - e'  infatti
 suscettibile  di  influire  sulla  decisione  di merito in entrambi i
 casi; ed anzi, il fatto che il giudizio  abbreviato  sia  reso  sulla
 base  degli  stessi  atti valutati al momento di disporre il giudizio
 immediato rende ancor piu' consistente il pericolo  di  "pregiudizio"
 che   ha  indotto  il  legislatore  a  prevedere  l'incompatibilita',
 coerentemente con  la  garanzia  costituzionale  d'imparzialita'  del
 giudice.
    In tali sensi, la questione deve ritenersi non fondata.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
     1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo
 comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede
 che  non  possa  partecipare  al  successivo  giudizio  abbreviato il
 giudice per le indagini preliminari presso  il  tribunale  che  abbia
 emesso  l'ordinanza  di  cui all'art. 409, quinto comma, del medesimo
 codice;
     2)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  del  medesimo  art. 34, secondo comma, nella parte in
 cui non  prevede  l'incompatibilita'  del  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  il tribunale che ha emesso l'ordinanza di cui al
 predetto  art.  409,  quinto   comma,   a   partecipare   all'udienza
 preliminare,  sollevata,  in  riferimento  agli  artt.  76 e 77 della
 Costituzione, dal Giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il
 Tribunale  di  Roma  con  ordinanza  dell'11  dicembre  1990 (r.o. n.
 184/1991);
     3) dichiara non fondata, nei sensi  di  cui  in  motivazione,  la
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dello  stesso  art.  34,
 secondo comma, nella parte in cui non prevede l'incompatibilita'  del
 giudice  per  le  indagini  preliminari presso il tribunale che abbia
 disposto il giudizio immediato a partecipare al giudizio  abbreviato,
 sollevata,  in  riferimento  agli  artt. 25 e 101 della Costituzione,
 dalla Corte d'appello di Brescia con ordinanza del 5 marzo 1991 (r.o.
 n. 315/1991).
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 4 novembre 1991.
                       Il Presidente: CORASANITI
                        Il redattore: SPAGNOLI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 12 novembre 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 91C1198