N. 415 SENTENZA 6 - 19 novembre 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Impiego  pubblico  -  Polizia  di  Stato  -   Dipendente   condannato
 penalmente  -  Interdizione  dai  pp.uu.  - Destituzione di diritto -
 Introduzione di nuova disciplina  agevolativa  per  il  dipendente  -
 Cessazione  della  destituzione  - Richiamo alla giurisprudenza della
 Corte (sentenza n. 344/1990) - Difetto di rilevanza della questione -
 Inammissibilita'.
 
 (D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, art. 8, primo comma, lett.b)).
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.47 del 27-11-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco Paolo
    CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 8, primo comma,
 lett. b) del d.P.R. 25 ottobre 1981, n.  737  (Sanzioni  disciplinari
 per   il  personale  dell'Amministrazione  di  pubblica  sicurezza  e
 regolamentazione dei relativi procedimenti)  promosso  con  ordinanza
 emessa  il 20 dicembre 1990 dal Consiglio di giustizia amministrativa
 per la Regione Sicilia sul ricorso proposto dal  Questore  di  Ragusa
 p.t.  ed  altro  contro  Giacomo  Pampallona,  iscritta al n. 324 del
 registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 21, prima serie speciale dell'anno 1991;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 9 ottobre 1991 il Giudice
 relatore Gabriele Pescatore;
                           Ritenuto in fatto
    Nel prendere cognizione - in sede di appello - di un provvedimento
 di destituzione di diritto di  un  agente  della  polizia  di  Stato,
 emanato  prima dell'entrata in vigore della legge 10 ottobre 1986, n.
 668, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia,
 con ordinanza 29 dicembre 1989, sollevava questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  8,  primo  comma,  lett. b), del d.P.R. 25
 ottobre 1981, n. 737, che prevedeva la destituzione  di  diritto  del
 dipendente  che, a seguito di condanna penale, fosse stato interdetto
 anche temporaneamente dai pubblici uffici.
    Con  ordinanza  n.  403 del 1990, questa Corte restituiva gli atti
 all'anzidetto  Consiglio  per  il  riesame  della   rilevanza   della
 questione  alla  luce  della legge 7 febbraio 1990, n. 19, contenente
 una nuova disciplina della riammissione in  servizio  del  dipendente
 destituito.
    Il   Consiglio  di  giustizia  amministrativa,  con  ordinanza  20
 dicembre  1990,  ha  nuovamente  sollevato   la   stessa   questione,
 osservando  che  l'eventuale  declaratoria di illegittimita' del gia'
 richiamato  art.   8,   nel   suo   testo   originario,   condurrebbe
 all'annullamento,  da parte dello stesso Consiglio, del provvedimento
 di destituzione emanato il 29 gennaio 1985, col  conseguente  diritto
 dell'interessato alla integrale ricostruzione ex tunc della carriera.
 La  riammissione in servizio, ai sensi dell'art. 10 della legge n. 19
 del 1990,  comporta  invece  la  reintegrazione  nel  ruolo  "con  la
 qualifica,   il   livello  e  l'anzianita'  posseduti  alla  data  di
 cessazione dal  servizio",  operando  quindi  con  effetto  ex  nunc.
 Permarrebbe  dunque,  ad  avviso del giudice remittente, la rilevanza
 della questione, gia' sollevata  in  data  29  dicembre  1989  e  ora
 riproposta.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  Consiglio  di  giustizia  amministrativa per la Regione
 Sicilia ha sollevato, in riferimento all'art. 3  della  Costituzione,
 questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 8, primo comma,
 lett. b), del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, nel testo vigente prima
 dell'entrata in vigore delle leggi 10  ottobre  1986,  n.  668,  e  7
 febbraio 1990, n. 19.
    La   norma   impugnata   prevedeva   la  destituzione  di  diritto
 dell'appartenente  ai  ruoli  dall'Amministrazione   della   pubblica
 sicurezza    a   seguito   di   condanna   penale   che   comportasse
 l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici.
    La questione, pur dopo le menzionate leggi n. 668 del 1986 e n. 19
 del 1990, conserverebbe  la  propria  rilevanza  perche'  l'eventuale
 accoglimento    condurrebbe    all'annullamento   del   provvedimento
 destitutivo, con  il  conseguente  diritto  dell'interessato  ad  una
 integrale  ricostruzione  ex tunc della carriera sotto il profilo sia
 giuridico che economico. L'applicazione dell'art. 10 della  legge  n.
 19 del 1990 porterebbe invece alla meno favorevole reintegrazione nel
 ruolo con la qualifica, il livello e l'anzianita' posseduti alla data
 di cessazione del servizio. Donde l'interesse del pubblico dipendente
 "a   vedere   decisa  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 sollevata con l'ordinanza n. 504 del 1989".
    2. - La questione e' da dichiararsi irrilevante.
    Con la normativa posta dalla legge n. 19 del 1990  il  legislatore
 ha inteso dare una generale ed uniforme disciplina alla materia della
 destituzione  del pubblico dipendente e risolvere altresi' i problemi
 insorti a seguito della sentenza di questa  Corte  n.  971  del  1988
 (preceduta da altre decisioni), che aveva dichiarato l'illegittimita'
 di  numerose norme che comminavano la destituzione di diritto, invece
 che l'apertura  del  procedimento  disciplinare,  con  le  possibili,
 diversificate sanzioni, in relazione alle specifiche situazioni.
    A  tal  fine, la legge n. 19 provvede con gli articoli 9 e 10. Con
 il primo di essi definisce la nuova normativa, in base alla quale  il
 pubblico  dipendente  puo'  essere  destituito  a seguito di condanna
 penale soltanto all'esito del procedimento  disciplinare,  che  viene
 assoggettato   a   termini   rigorosi   (centottanta  giorni  per  il
 promovimento del giudizio disciplinare, novanta  giorni  per  la  sua
 definizione),   diretti   a  limitare  nel  tempo  la  situazione  di
 incertezza che tocca sia la p.a. che il soggetto implicato.
    L'art.  10,  a  sua   volta,   detta   una   coerente   disciplina
 intertemporale,  che  predispone  un'adeguata  tutela per il soggetto
 gia'  incorso  nella  destituzione  di   diritto,   prevedendone   la
 riammissione   in   servizio,   a   domanda.  Il  legislatore  si  e'
 preoccupato, contestualmente, di realizzare  il  pubblico  interesse,
 inteso  a  conservare  alla  p.a.  il  personale, la cui condotta sia
 riconosciuta non incompatibile  con  le  esigenze  del  servizio.  Si
 tratta, in sostanza, di un complesso normativo, diretto ad attuare un
 assetto  definitivo  di situazioni, gia' definite con l'inflizione di
 un provvedimento destitutivo, contrastato dalle ricordate pronunce di
 incostituzionalita' e dalla nuova legge, attraverso  misure  sorrette
 da una piu' equa considerazione delle ragioni del pubblico dipendente
 destituito  e di quelle della p.a., vo'lte a condizionare il recupero
 dell'impiegato alle necessarie garanzie amministrative,  da  definire
 con particolare rapidita'.
    Da tale normativa si desume innanzitutto che con la presentazione,
 da  parte  del  pubblico  dipendente  destituito,  della  domanda  di
 riammissione in servizio  (art.  10,  comma  2),  cessa  la  sanzione
 inflitta  e  sorge  la  potesta'  della  p.a.  di promuovere un nuovo
 procedimento disciplinare entro i rapidi termini innanzi indicati.
    La nuova disciplina sostituisce integralmente  quelle  precedenti,
 le  quali  erano  sorrette  dalla ratio dell'automatismo destitutivo,
 abrogato espressamente dalla legge n. 19 e  integralmente  sostituito
 dal nuovo sistema.
    Si regola cosi' in modo organico, generale ed uniforme la delicata
 materia  della destituzione ex lege con riguardo ad ogni categoria di
 pubblici dipendenti.
    3. - Sulla scorta della nuova normativa, posta dalla legge n.  19,
 appare  opportuno  fissare  il  quadro delle posizioni dei dipendenti
 destituiti.
    Per le posizioni, gia' definite con il provvedimento  destitutivo,
 l'amministrazione  provvede  all'apertura  di  un  nuovo procedimento
 disciplinare, sul  presupposto  della  estinzione  della  sanzione  a
 seguito   della   presentazione  della  domanda  di  riammissione  in
 servizio.
    Il nuovo procedimento rientra  nel  dominio  della  legge  n.  19,
 vigente  fin  dal  momento  della  sua instaurazione. Tale legge, per
 effetto dell'espressa abrogazione, dalla sua entrata  in  vigore,  di
 "ogni contraria disposizione di legge" (art. 9, primo comma, l. cit.)
 e'  la  sola  competente  a regolare la materia oggetto del rinnovato
 giudizio.
    Per le posizioni, rispetto alle quali il procedimento disciplinare
 e' in corso (ad esse si riferiscono il secondo comma dell'art. 9 e il
 terzo comma dell'art. 10 della legge n. 19 quando  fanno  riferimento
 ai  procedimenti  che  debbono  essere  "proseguiti"),  e'  del  pari
 applicabile alla legge n. 19, come e'  espressamente  previsto  dalle
 norme  ora  dette  che  stabiliscono  -  facendo riferimento al nuovo
 procedimento - che esso deve essere proseguito e definito nei termini
 ristretti e perentori dalle norme stesse sanciti.
    Le  situazioni  in  via  di  svolgimento vanno regolate secondo un
 disegno unitario e uniforme per tutte le categorie degli interessati,
 per   pervenire   a   soluzioni   eque   e   rapide,   cessata   ogni
 diversificazione  di  trattamento  sostanziale e formale, consentita,
 invece, dalle precedenti normative.
    Per le posizioni,  infine,  caratterizzate  dall'inflizione  della
 destituzione,  contro  la  quale sia stata esperita impugnativa (e il
 relativo  giudizio  sia  ancora  pendente:  situazione,  questa,  che
 caratterizza la fattispecie), e' del pari applicabile la nuova legge,
 che  -  come  si  e'  posto in luce - e' espressione di una rilevante
 esigenza di pubblico interesse alla  concreta  e  rapida  definizione
 delle  situazioni pendenti e, come tale, regola la materia prevalendo
 su ogni altra precedente, fissando  limiti  e  termini  specifici  al
 giudizio.
    Si   realizza   cosi'   un   sistema   normativo,   sostanziale  e
 procedimentale, che ha come momento iniziale la cessazione  dell'atto
 destitutivo  e  come  momento finale la rideterminazione dello status
 del dipendente, a  seguito  della  rinnovata  valutazione  della  sua
 condotta.  La nuova disciplina agevola il dipendente, facendo cessare
 la destituzione, e lo recupera all'amministrazione tutte le volte che
 il procedimento disciplinare lo  consente.  Si  realizza,  cosi',  un
 trattamento unitario di tutte le pregresse posizioni di destituzione,
 con   l'impossibilita'  di  perseguire  soluzioni  differenziate  dal
 modello   descritto.   Si   impedisce   inoltre    la    prosecuzione
 dell'impugnativa   in   corso   con   le   (eventuali)  pronuncie  di
 annullamento. Anche le posizioni ad esse relative  vengono  assorbite
 nel  disegno  unificatore, ispirato al perseguimento delle gia' dette
 esigenze pubbliche e si consente al  dipendente,  gia'  destituito  e
 riammesso  ai sensi dell'art. 10, secondo e terzo comma, legge n. 19,
 di essere "reintegrato nel ruolo, con  la  qualifica,  il  livello  e
 l'anzianita' posseduti alla data di cessazione del servizio" (art. 10
 cit., quarto comma).
    Il contenuto e gli effetti della normativa posta dalla nuova legge
 costituiscono l'elemento fondamentale del giudizio di rilevanza della
 questione  di costituzionalita' proposta alla Corte. Il giudice a quo
 si e' limitato a considerare l'interesse del dipendente ad ottenere i
 benefici della eventuale pronuncia di  annullamento.  Vale  in  segno
 contrario,   oltre  a  quanto  si  e'  gia'  osservato,  il  richiamo
 all'insegnamento di questa Corte, la quale ha affermato, (cfr.  sent.
 20  luglio 1990, n. 344) che "secondo una giurisprudenza consolidata,
 la rilevanza di una determinata  questione  di  costituzionalita'  va
 valutata,  non  gia'  in  relazione  agli  ipotetici  vantaggi di cui
 potrebbero beneficiare le parti in causa, ma, piuttosto, in relazione
 alla semplice applicabilita' nel giudizio a quo della legge di cui si
 contesta la legittimita' costituzionale e, quindi, alla influenza che
 sotto tale profilo il giudizio di costituzionalita'  puo'  esercitare
 su quello dal quale proviene la questione".
    Non  appare, quindi, pertinente l'argomentazione del giudice a quo
 circa la rilevanza della  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'abrogato  art.  8,  primo  comma, lett. b) del d.P.R. 25 ottobre
 1981, n. 737.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 8, primo comma, lett. b) del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737
 (Sanzioni  disciplinari  per  il  personale  dell'Amministrazione  di
 pubblica  sicurezza  e  regolamentazione  dei relativi procedimenti),
 sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Consiglio
 di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia,  con  l'ordinanza
 in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, 6 novembre 1991.
                       Il Presidente: CORASANITI
                        Il redattore: PESCATORE
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 19 novembre 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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