N. 419 SENTENZA 6 - 19 novembre 1991

 
(GU n.47 del 27-11-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco Paolo
    CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  32  del  regio
 decreto  28  aprile 1938, n. 1165 (Approvazione del testo unico delle
 disposizioni  sull'edilizia  popolare  ed  economica),  promosso  con
 ordinanza  emessa il 29 giugno 1990 dal Tribunale di Roma sul ricorso
 proposto da I.A.C.P. contro Chiara Teresa, iscritta  al  n.  336  del
 registro  ordinanze  1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto l'atto di costituzione dello  I.A.C.P.,  nonche'  l'atto  di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  dell'8  ottobre  1991  il  Giudice
 relatore Francesco Paolo Casavola;
    Uditi gli avvocati Achille Chiappetti e Armando  De  Maio  per  lo
 I.A.C.P. e l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  di  un  procedimento per l'emissione di decreto
 ingiuntivo, richiesto dall'Istituto autonomo case popolari (I.A.C.P.)
 della Provincia di Roma nei confronti di un inquilino moroso, a norma
 dell'art. 32 del regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165, il Presidente
 della IV Sezione  del  Tribunale  di  Roma  (delegato  all'esame  del
 ricorso  dal  Presidente  del  Tribunale  medesimo) ha sollevato, con
 ordinanza emessa il 29 giugno 1990 (pervenuta alla Corte il 10 maggio
 1991), questione di legittimita' costituzionale della  norma  citata,
 in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
    Ritiene  il  giudice a quo che possano essere superate dalla nuova
 disciplina delle locazioni, introdotta dalla legge 27 luglio 1978, n.
 392, le considerazioni che gia' indussero questa Corte  ad  escludere
 l'illegittimita' della medesima norma nella sentenza n. 159 del 1969.
    Premesso  che  detta  decisione  ebbe  a  sancire l'illegittimita'
 costituzionale del piu' volte citato art.  32,  nella  parte  in  cui
 prevedeva,   per   l'adempimento   e   l'opposizione,   i  termini  -
 rispettivamente - di 10 e 5 giorni, anziche' quello di  venti  giorni
 di  cui  all'art.  641  del  codice  di  procedura civile, osserva il
 giudice a quo come, originariamente, la norma  impugnata  in  qualche
 modo  anticipasse la configurazione data all'istituto del "termine di
 grazia" dalla previgente legislazione vincolistica: ex artt. 37 della
 legge 23 maggio 1950, n. 253,  e  4,  sesto  comma,  della  legge  26
 novembre   1969,  n.  833,  era  appunto  possibile  che  il  giudice
 consentisse  una  dilazione  nel   pagamento   dei   canoni   scaduti
 contestualmente   al   provvedimento   che   disponeva   il  rilascio
 dell'immobile, con conseguente  perdita  di  efficacia  del  medesimo
 nell'ipotesi di adempimento.
    Ma  tale forma di tutela del conduttore, accentuata dall'anzidetto
 intervento di questa Corte,  non  parrebbe  piu'  conforme  al  nuovo
 assetto  delle locazioni, in particolare sul terreno processuale, pur
 tenendosi conto della specificita' del rapporto di edilizia economica
 e popolare.
    Richiama  a  riguardo  il   giudice   rimettente   la   disciplina
 dell'istituto della sanatoria quale risulta dagli artt. 55 e 56 della
 legge n. 392 del 1978, sintetizzabile:
       a)  nell'idoneita' della stessa ad escludere preventivamente la
 pronuncia sullo sfratto;
       b) nella riferibilita' al canone dovuto e  non  gia'  a  quello
 preteso;
       c)  nella possibilita' - per il conduttore - di mantenere ferma
 l'opposizione, impregiudicato ogni accertamento,  versando  la  somma
 richiesta in banco iudicis;
       d) nella graduabilita' del termine di grazia, ove richiesto, in
 relazione alle condizioni del conduttore;
       e)   nella   ulteriore   differibilita'   dell'esecuzione  (con
 conseguente protrazione del termine) anche quando non  vi  sia  stato
 adempimento entro la data fissata dal giudice;
       f)  nella  facolta', per il conduttore convenuto, di difendersi
 comparendo personalmente.
    A fronte di  cio',  il  fatto  di  aver  conservato  proprio  alla
 categoria  di  inquilini  per definizione piu' debole economicamente,
 una procedura che  muove  da  uno  sfratto  gia'  pronunciato  e  non
 consente alcun differimento per la sanatoria obbligando a provvedersi
 di  un  difensore  (attesa  la ristrettezza dei tempi per valersi del
 gratuito  patrocinio),  concreterebbe  ingiustificata  disparita'  di
 trattamento   tra  conduttori  in  regime  di  edilizia  residenziale
 pubblica o privata e perfino nell'ambito dei primi (per  la  rilevata
 impossibilita'  di  differenziare  il  termine  in  dipendenza  delle
 condizioni soggettive).
    Ricorrerebbe altresi' lesione dell'art. 24 della Costituzione  per
 l'insufficienza  della  tutela accordata al conduttore, sia sul piano
 dei margini di sanatoria, che per  la  ristrettezza  dei  termini  di
 opposizione,  in particolare alla luce della "valenza costituzionale"
 riconosciuta al diritto all'abitazione.
    2. - E' intervenuto il  Presidente  del  consiglio  dei  ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura dello Stato che ha concluso
 per la declaratoria  di  manifesta  infondatezza,  sulla  base  della
 sostanziale  identita'  tra la questione in esame e quella decisa con
 la sentenza di questa Corte n. 159 del 1969 (di cui vengono riportate
 alcune affermazioni).
    3.  -  Nel  giudizio  dinanzi  a  questa  Corte  si  e' costituito
 l'Istituto autonomo per le case popolari  della  Provincia  di  Roma,
 preliminarmente   eccependo  l'inammissibilita'  della  questione  in
 quanto la norma impugnata rileverebbe soltanto nella fase processuale
 successiva  al  procedimento  d'ingiunzione  e   per   essere   stato
 quest'ultimo  indebitamente  unificato  allo  sfratto  (si osserva in
 proposito che non era stata richiesta la provvisoria esecuzione).
    Nel merito la questione appare infondata alla parte  privata  che,
 richiamata  la  gia'  citata  sentenza n. 159 del 1969, sottolinea la
 diversita' delle  situazioni  poste  a  confronto,  insistendo  sulla
 peculiarita'  del  rapporto  tra assegnatari ed II.AA.CC.PP., i quali
 non perseguono finalita' di lucro. I primi, poi, gia' sarebbero stati
 tutelati,  in  quanto  contraenti  deboli,  in  sede   amministrativa
 attraverso le procedure di assegnazione.
                        Considerato in diritto
    1.  - Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 29 giugno 1990 (R.O.
 n. 336 del 1991), solleva d'ufficio, in riferimento agli artt. 3 e 24
 della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art.  32 del regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165 (Approvazione
 del  testo  unico  delle  disposizioni  sull'edilizia   popolare   ed
 economica).
    Il  Tribunale  rimettente ritiene che la norma impugnata determini
 disparita' di trattamento tra assegnatario di  alloggio  di  edilizia
 pubblica  e  conduttore  nel  rapporto  privato  di locazione e renda
 difficoltoso per il primo l'esercizio del diritto di difesa.
    2. - La questione e' infondata nei sensi di cui appresso.
    Il tema da decidere e' se la procedura disposta dall'art.  32  del
 regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165 - il quale riconosce al decreto
 di   ingiunzione   di   pagamento,  emesso  dal  giudice  su  ricorso
 dell'Istituto  autonomo  case  popolari  contro  l'inquilino  moroso,
 natura di titolo esecutivo per lo sfratto e per l'esecuzione sui beni
 mobili  del debitore - abbia tuttora una ragionevole giustificazione,
 nel mutamento di importanti dati contestuali.
    Va  premesso  che   l'anzidetto   carattere   esecutivo   che   il
 provvedimento possiede priva di pregio l'eccezione d'inammissibilita'
 della  parte  privata che assume di non aver richiesto tale clausola,
 all'evidenza non scorporabile dal contenuto tipico della domanda.
    E' opportuno tener  presente  che  la  rapidita'  e  unicita'  del
 procedimento di ingiunzione e di sfratto appare in una norma che puo'
 essere   stata   influenzata   dalle  concezioni  autoritarie  allora
 dominanti specie nelle discipline di rapporti a  prevalente  impronta
 pubblicistica.   Nel  successivo  regime  democratico,  in  una  piu'
 favorevole comprensione  dello  Stato  sociale  per  le  ragioni  dei
 conduttori  di  locazioni di immobili urbani destinati ad abitazione,
 si sono introdotte procedure meno pressanti,  nonche'  il  cosiddetto
 termine  di grazia, previsto dall'art. 37 della legge 23 maggio 1950,
 n. 253 (Disposizioni per le  locazioni  e  sublocazioni  di  immobili
 urbani), e dall'art. 4, sesto comma, della legge 26 novembre 1969, n.
 833   (Norme  relative  alle  locazioni  degli  immobili  urbani),  e
 consistente nella possibilita' che sia concesso al conduttore  moroso
 un  termine - non inferiore a venti giorni e non superiore a sessanta
 per  il  pagamento  delle  pigioni  scadute  -  che, se adempiuto, fa
 perdere efficacia al provvedimento di rilascio.
    Sopravvenuta la legge 27 luglio 1978,  n.  392  (Disciplina  delle
 locazioni  di  immobili  urbani),  l'intera  materia e' organicamente
 ridisciplinata e, in particolare con gli artt. 55 e 56, la  posizione
 del   conduttore   moroso   trova   tutela   in   via   di  sanatoria
 dell'inadempienza per canoni scaduti sino a quattro volte  nel  corso
 di  un  quadriennio,  con  pagamento  che  ha effetto di escludere la
 risoluzione  del   contratto,   nonche',   quando   sia   emesso   il
 provvedimento di rilascio, con dilazione della esecuzione nel termine
 di  sei  mesi  e  in  casi  eccezionali  di  dodici  dalla  data  del
 provvedimento. Si aggiunga la progressiva valorizzazione del  diritto
 a  permanere  nell'abitazione,  a  compenso  della  insufficienza del
 mercato a rispondere alla crescente domanda della popolazione urbana,
 sino  alla  formulazione   di   un   diritto   sociale   fondamentale
 all'abitazione  che  connota  la  nostra forma di Stato (Corte cost.,
 sentenza n. 217 del 1988 e sentenza n. 404 del 1988).
    3. - Tutto cio' premesso, occorre ora ricordare che  questa  Corte
 ebbe  gia'  a  sottoporre  a  verifica  di costituzionalita' la norma
 denunciata  in  riferimento  ai  medesimi  artt.   3   e   24   della
 Costituzione. La sentenza allora resa (n. 159 del 1969), dichiaro' la
 illegittimita'  costituzionale dei commi terzo e settimo dell'art. 32
 del regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165 "nella parte in cui per  il
 pagamento   dei   canoni  scaduti  e  per  l'opposizione  al  decreto
 ingiuntivo fissano termini diversi da quelli previsti  dall'art.  641
 del   codice   di   procedura  civile  per  l'ordinario  procedimento
 ingiuntivo". Sulla  forza  del  dispositivo  di  quella  sentenza,  i
 termini originariamente previsti di 10 giorni dalla notificazione del
 decreto  ingiuntivo  per  il pagamento delle pigioni, e di cinque per
 proporre opposizione, furono elevati a 20 giorni e cosi' allineati  a
 quelli della disciplina codicistica.
    Ma la citata sentenza non ravvisava contrasto tra gli artt. 3 e 24
 della Costituzione e l'unificazione delle procedure di ingiunzione di
 pagamento  e  di sfratto e la conseguente mancanza di un'ordinanza di
 convalida: "Tali  particolarita',  infatti,  tendendo  ad  assicurare
 all'Istituto  (autonomo  case popolari) una procedura piu' rapida per
 il recupero dei canoni scaduti e per  il  rilascio  dell'alloggio  da
 parte  dell'inquilino inadempiente, si giustificano con la necessita'
 di garantire il  perseguimento  degli  scopi  di  pubblico  interesse
 dell'Istituto  e  non  comportano  alcuna  menomazione dei diritti di
 difesa e di tutela giurisdizionale del soggetto privato".
    Non sussiste giuridicamente identita' di situazione tra  inquilino
 di  una  privata abitazione e concessionario di un alloggio popolare:
 nel primo caso il rapporto di locazione ha un fine  di  remunerazione
 del  capitale  investito  dal  proprietario-locatore;  nel secondo di
 soddisfacimento dell'obbligo dell'Istituto  di  fornire  l'abitazione
 popolare  a categorie meno abbienti di cittadini con canoni inferiori
 a quelli correnti sul mercato.
    4. - E' pur vero che non si puo' trovare giustificazione di quella
 procedura nel  dare  soltanto  rilievo  alle  finalita'  di  pubblico
 interesse   perseguite  dall'Istituto,  senza  bilanciamento  con  le
 condizioni di regola economicamente assai deboli dei concessionari di
 alloggi popolari.
    Ed   e'   pertanto  doveroso  per  il  legislatore  intervenire  a
 sostituire la disciplina del 1938 con  altra  piu'  rispettosa  della
 odierna  rilevanza  costituzionale del diritto all'abitazione, che ha
 portata generale e supera le  separazioni  tra  edilizia  pubblica  e
 privata.
    Diritto  che, sia pure inteso nella piu' limitata accezione di una
 aspettativa a fronte del dovere collettivo di  impedire  che  singole
 persone  restino  prive  di  abitazione,  risulta  tanto piu' cogente
 quando si rapporta ad un Ente che persegue il pubblico  interesse  di
 assicurare  alloggio  popolare a soggetti economicamente deboli (cfr.
 sentenza n. 559 del 1989).
    5. - Nondimeno, sino al momento in cui  potra'  sopravvenire  tale
 auspicata  riforma, anche nella vigenza della normativa censurata, il
 giudice ben puo' adeguarsi ad una interpretazione atta  a  consentire
 l'operativita' del procedimento in sintonia con l'indicata preminenza
 delle situazioni soggettive riconducibili all'abitazione.
    Lo  strumento  processuale  di  cui si giovano gli Istituti per le
 case popolari trova infatti  il  contemperamento  del  suo  carattere
 sommario  nella  fase  di opposizione. Attraverso il contraddittorio,
 che pur sempre garantisce una cognizione piena, potra'  essere  fatto
 in  primo  luogo  valere  l'adempimento, ove questo sia medio tempore
 intervenuto, con la conseguenza della revoca del decreto.
    In secondo luogo deve porsi mente al testo dell'ottavo comma della
 norma impugnata che, dopo aver sancito l'inidoneita' dell'opposizione
 a sospendere l'esecuzione, consente tuttavia al giudice adito  "sulla
 presentazione dell'atto di opposizione" di sospendere "in casi gravi"
 l'esecuzione "con nuovo decreto".
    Tale  previsione  si connota rispetto al dettato dell'art. 649 del
 codice di procedura civile in termini non solo speciali ma certamente
 anche piu' consoni ad un'esecuzione che scaturisce ope legis  e  piu'
 aderenti alla specificita' del rapporto tra assegnatario ed Istituto:
 l'esecuzione  e'  sospesa non su istanza ma su semplice presentazione
 dell'atto  introduttivo,  per  decreto  e  non   con   ordinanza,   e
 soprattutto  quando  la  gravita'  concerne non i motivi ma "il caso"
 inteso nella sua globalita' (e quindi anche aspetti sociali ed  umani
 della  concreta  situazione  dedotta  in  giudizio).  Ne  deriva, per
 l'interprete,  non  soltanto  l'opportunita',   ma   addirittura   la
 necessita'  di capovolgere il paradigma logico della disposizione, al
 fine  di  estendere  quanto  piu'  possibile  la  concessione   della
 sospensione   dell'esecuzione,  ammessa  originariamente  in  via  di
 eccezione, ma da considerarsi ormai ordinaria  regola  del  giudicare
 alla  luce dell'evoluzione del contesto normativo e del rango assunto
 dall'appagamento delle esigenze abitative.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
 di legittimita' costituzionale dell'art.  32  del  regio  decreto  28
 aprile 1938, n. 1165 (Approvazione del testo unico delle disposizioni
 sull'edilizia  popolare ed economica), sollevata, in riferimento agli
 artt.  3  e  24  della  Costituzione,  dal  Tribunale  di  Roma,  con
 l'ordinanza di cui in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, 6 novembre 1991.
                       Il Presidente: CORASANITI
                        Il redattore: CASAVOLA
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 19 novembre 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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