N. 697 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 marzo - 18 novembre 1991
N. 697 Ordinanza emessa il 21 marzo 1991 (pervenuta alla Corte costituzionale il 18 novembre 1991) dal tribunale amministrativo regionale della Calabria - Catanzaro, sul ricorso proposto da Pallone Mario contro la u.s.l. n. 18 di Catanzaro. Impiego pubblico - Stato giuridico del personale delle u.s.l. - Dirigenti sanitari - Collocamento a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' - Mancata previsione del trattenimento in servizio fino al settantesimo anno di eta' per conseguire il massimo della pensione cosi' come stabilito per i primari ospedalieri - Ingiustificata disparita' di trattamento con incidenza sul diritto ad una retribuzione (anche differita) proporzionata ed adeguata e sul principio di buon andamento e imparzialita' della pubblica amministrazione. (Legge 19 febbraio 1991, n. 50, artt. 1 e 3). (Cost., artt. 3, 38 e 97).(GU n.47 del 27-11-1991 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 350/1991 proposto da Pallone Mario rappresentato e difeso dagli avv. Antonio Pallone e Aurelio Mauro, con domicilio eletto nello studio di quest'ultimo in Catanzaro, via Alessandro Turce, 31, per l'annullamento della delibera n. 30 del 29 ottobre 1990 con la quale l'unita' sanitaria locale n. 18 di Catanzaro ha rigettato l'istanza prodotta dal ricorrente per il mantenimento in servizio oltre il sessantacinquesimo anno di eta', allo scopo di raggiungere i quaranta anni di servizio ai fini pensionistici; nonche' della comunicazione da parte della prefata u.s.l. (prot. 441/r.a. del 28 gennaio 1991) circa i contenuti di detta delibera; Visto il ricorso con i relativi allegati, nonche' gli atti tutti della causa; Vista l'istanza di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato; Udito il relatore dott. Paolo Passoni e uditi altresi' gli avv. A. Pallone ed A. Mauro per il ricorrente, alla camera di consiglio del 21 marzo 1991; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue; F A T T O Con il gravame in questione il ricorrente espone di essere medico di ruolo in servizio presso l'u.s.l. n. 18 di Catanzaro, con svolgimento di funzioni apicali di dirigente sanitario. Con istanza del 3 settembre 1990 il dott. Pallone ha chiesto alla amministrazione sanitaria di appartenenza il mantenimento in servizio fino al settantesimo anno di eta', al fine di raggiungere i quaranta anni lavorativi per i connessi benefici pensionistici. Quanto sopra, evitando cosi' il collocamento a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di eta', e cioe' alla data del 16 maggio 1991. L'unita' sanitaria locale n. 18 di Catanzaro, con deliberazione del 29 ottobre 1990, ha rigettato la sopracitata istanza nella duplice considerazione che l'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979 prevede per i sanitari il collocamento a riposo al compimento del sessantacinquesimoanno di eta', e che allo stato manca una espressa previsione di legge che statuisca l'equiparazione della dirigenza medica alla dirigenza statale (beneficiata in soggetta materia con l'art. 1, comma quarto-quinquies, della legge 28 febbraio 1990, n. 37). A sostegno del gravame vengono dedotte le seguenti censure: 1. - Violazione dell'art. 1, comma quarto-quinquies, della legge 28 febbraio 1990, n. 37, in connessione con l'art. 47 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e con l'art. 83 del d.P.R. n. 761/1979; in buona sostanza, il ricorrente ritiene che ai sensi dell'ultima norma citata (in base alla quale al personale sanitario si applicano le disposizioni del testo unico 3/57 sul personale civile dello Stato e successive modificazioni ed integrazioni), i benefici attribuiti ex legge n. 37/1990 ai dirigenti dello Stato devono intendersi ope legis estensibili anche alla dirigenza sanitaria, al contrario di quanto ritenuto dall'u.s.l. 18 di Catanzaro. 2. - In via subordinata, illegittimita' costituzionale dell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979 per violazione degli articoli 3, 38 e 97 della Costituzione nella parte in cui non prevede, similmente a quanto disposto dall'art. 15 della legge n. 37/1990 per i dirigenti statali, che il personale medico delle u.s.l. possa fruire - sussistendone i medesimi presupposti - del beneficio del mantenimento in servizio per raggiungere il massimo della pensione. Durante la pendenza del giudizio in esame e' peraltro entrata invigore la legge 19 febbraio 1991, n. 50, che emana disposizioni sul collocamento a riposo del personale medico dipendente. Alla camera di consiglio del 21 marzo 1991 la parte ricorrente ha insistito sull'adozione del provvedimento cautelare di sospensione della delibera impugnata. Il tribunale con ordinanza collegiale n. 303 del 21 marzo 1991 ha disposto la sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato sino alla camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale, una volta deciso l'incidente di costituzionalita' sollevato con la presente ordinanza relativamente agli articoli 1 e 3 della legge 19 febbraio 1991, n. 50. D I R I T T O 1. - Occorre preliminarmente rilevare come l'espansione alla dirigenza medica dei benefici pensionistici gia' previsti in via esplicita per la dirigenza statale e scolastica, non possa argomentarsi a mezzo di mera interpretazione estensiva dell'art. 1, comma 4-quinquies, della legge n. 37/1990; non giova dunque al ricorrente invocare il rinvio al testo unico impiegati civili dello Stato 3/57 e successive modifiche, posto dall'art. 83 del d.P.R. n. 761/1979 sullo stato giuridico del personale uu.ss.ll.; quest'ultima norma esclude infatti dalla relatio quanto nel decreto medesimo espressamente disciplinato, cio' in quanto l'eta' di collocamento a riposo del personale u.s.l. trova puntuale regolamentazione nell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, denegando cosi' ogni rinvio dinamico in soggetta materia alla normazione vigente per i dirigenti civili dello Stato. Del resto la recente legge 19 febbraio 1991, n. 50, recando espresse disposizioni sul collocamento a riposo del personale medico dipendente, ha indirettamente confermato l'esclusione del medesimo da pregresse normative di analogo contenuto, afferenti a diverse categorie di pubblici impiegati. Inoltre, la questione di costituzionalita' dell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979 subordinatamente prospettata dal ricorrente potrebbe ritenersi superata almeno per la dirigenza medica dalla citata legge n. 50/1991, al cui interno deve ora intendersi trasposto ogni rilievo di ingiusto trattamento nei confronti degli altri dirigenti medici esclusi dai benefici riservati ai soli primari di ruolo. 2. - Il collegio considera pertanto che la citata novella legislativa n. 50/1991 rappresenta un elemento determinante che si innesta nella pendente vicenda contenziosa, condizionandone il relativo esito. Il primo comma dell'art. 1 statuisce che "I primari ospedalieri di ruolo che non abbiano raggiunto il numero di anni di servizio effettivo necessario per conseguire il massimo della pensione possono chiedere di essere trattenuti in servizio fino al raggiungimento di tale anzianita' e, comunque, non oltre il settantesimo anno di eta'", mentre l'art. 3, primo comma, delimita l'applicabilita' dei benefici de quibus " .. ai primari ospedalieri di ruolo non collocati a riposo alla data di entrata in vigore della presente legge" (20 febbraio 1991). La disposizione non consente dunque utilita' specifiche nella sfera giuridica del ricorrente, riferendosi ai soli primari ospedalieri di ruolo, con esclusione pertanto degli altri medici di vertice e precipue dei dirigenti sanitari. Come sara' piu' ampiamente specificato in seguito, il collegio sospetta circa la conformita' alla Costituzione di detta norma, nella parte in cui il beneficio del massimo pensionabile a mezzo di mantenimento in servizio oltre i sessantacinque e non oltre i settanta anni di eta' viene limitato - all'interno del personale medico apicale - ai soli primari di ruolo, fatte salve le particolari normative di favore per i sovraintendenti sanitari e per i direttori sanitari che alla data di entrata in vigore della legge 10 maggio 1964, n. 336, occupavano un posto di ruolo nelle funzioni ivi indi- cate (e non e' comunque questo il caso del ricorrente, art. 5 del d.-l. n. 402/1982). 2.1. - Circa l'effettiva rilevanza della nuova normativa sul giudizio in corso, potrebbero sorgere dubbi ove si considerasse che l'atto reiettivo impugnato dal ricorrente (ed a fortiori la stessa istanza di parte alla quale quest'ultimo si riferisce) e' stato redatto sulla base del contesto normativo allora esistente, in assenza pertanto della legge di cui ora si sospetta la conformita' costituzionale; in questo senso, il giudice amministrativo dovrebbe ponderare le proprie statuizioni indipendentemente da normative che risultassero posteriori sia all'istanza che al suo formale rigetto, ferma restando beninteso - quale che sia l'esito del gravame pendente - il potere dell'interessato di attivarsi nuovamente sulla base dello ius superveniens (impugnando ove del caso l'ulteriore provvedimento negativo che l'Amministrazione dovesse reiterare). La legge 19 febbraio 1991, n. 50, risulta infatti successiva all'adozione degli atti impugnati, pertanto non censurabili alla luce della sopravvenuta normativa, la quale - sempre secondo la tesi in questione - non potrebbe comunque rilevare nel giudizio in corso neanche sotto il profilo sintomatico di una sospetta incostituzionalita'. 2.2. - Il collegio esprime peraltro discordanza in ordine alla delineata lettura della vicenda processuale in esame, nella precipua considerazione che la giurisdizione esclusiva di pubblico impiego radicatasi nel giudizio in esame impone piu' accurata indagine in ordine al tipo di sindacato devoluto al giudice amministrativo in soggetta materia; trattandosi infatti di un vaglio giudiziale esteso al rapporto giuridico, questo tribunale ritiene che la pretesa azionata dal ricorrente (asserito diritto al mantenimento in servizio oltre i sessantacinque anni di eta') non trova inesorabile definizione una volta posti in essere i provvedimenti reiettivi specificamente impugnati, i quali - seppure in ipotesi legittimi in relazione alla normativa vigente al momento della loro adozione - non risultano sufficienti ad arrestare ulteriori accertamenti sulla fondatezza della pretesa medesima, anche sulla base di eventuali normative sopravvenute nelle more del giudizio. Ove pertanto - in via meramente ipotetica e semplificativa - la nuova legge n. 50/1991 avesse riconosciuto il beneficio del mantenimento in servizio oltre i sessantacinque anni anche ai dirigenti sanitari (e non solo, come realmente e' avvenuto, per i primari ospedalieri), la pretesa del ricorrente avrebbe potuto trovare idoneo riconoscimento nel giudizio in corso, con relativo obbligo in capo all'amministrazione sanitaria di rispettare l'opzione conservativa del rapporto d'impiego oltre la "normale" data di collocamento a riposo. Cio' vale dunque ex se a postulare rilevanza nel giudizio in corso della questione di costituzionalita' della legge n. 50/1991 nella misura in cui beneficia solo una parte del personale medico apicale. Diversamente opinando, in adesione alle formalistiche interpretazioni sopra delineate, il ricorrente vedrebbe comunque affievolire la rilevanza nel giudizio in corso della questione di costituzionalita' in ordine all'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, senza poter pero' fruire di un conseguente sindacato giudiziale di non manifesta infondatezza sulla nuova legge causativa dell'affievolimento medesimo; infatti, come accennato supra sub 1, da una parte la sopravvenuta legge n. 50/1991 ha sia pure parzialmente colmato le carenze previsionali del personale medico in ordine ai benefici de quibus, dall'altra, la disparita' di trattamento lamentata dal ricorrente riguarda ora non piu' l'esclusione dell'intera categoria del personale medico dirigente rispetto alla dirigenza statale e scolastica, bensi' - all'interno della prima categoria - l'esclusione del residuo personale sanitario con analoghe funzioni dirigenziali rispetto a personale medico con funzioni primariali. 3. - Cosi' esternata la rilevanza nel presente giudizio a quo della sollevata questione di costituzionalita' della legge n. 50/1991, il collegio esprime ora le motivazioni sintomatiche a sostegno della non manifesta infondatezza. Le violazioni sospettate riguardano gli artt. 3, 38, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione. 3.1. - La disparita' di trattamento in esame afferisce alla mancata estensione a tutto il personale medico dirigente delle opzioni di proroga del servizio oltre i sessantacinque anni, opzione riservata - ai sensi dell'art. 1 della legge 19 febbraio 1991, n. 50 - ai soli primari ospedalieri di ruolo. Sebbene il potere di deroga non postuli ex necesse sistematico contrasto costituzionale allorquando risulti preordinato a regolare specifiche e peculiari esigenze di settore, dette esigenze non sembrano peraltro evidenziate o comunque aliunde argomentabili. Preesistenti discriminazioni applicative connesse a benefici di tardivo collocamento a riposo all'interno del personale medico di vertice, sono state infatti ritenute legittime dal giudice costituzionale solo ove la specifica ratio che le governa risulti finalisticamente non dilatabile alle categorie escluse (Corte costituzionale, sentenza n. 134/1986 in riferimento agli artt. 6 della legge n. 336/1964 e 5 della legge n. 402/1982). Nel caso di specie, al contrario della precedente deroga di settore, da una parte la legge n. 50/1991 sembra aver non tanto disatteso, quanto piu' in radice superato la regola generale ex art. 53 del d.P.R. n. 761/1979 sul collocamento a riposo del personale medico dirigente al compimento del sessantacinquesimo anno di eta'; dall'altra la denegata dilatazione dei citati benefici alle similari categorie escluse sembra non solo possibile ma logicamente necessaria, pena una sintomatica disparita' di trattamento ex art. 3 della Costituzione. E' infatti da evidenziare come il primario ospedaliero risulti incardinato ex d.P.R. n. 761/1979 allegato 1, nel medesimo ruolo (sanitario), in equiparati profili professionali e nella medesima posizione funzionale (di vertice) del dirigente, sovrintendente e direttore sanitario, dai quali se ne differenzia solamente per la specifica funzione di diagnosi e cura rispetto a quella igienico- organizzativa propria delle altre categorie apicali escluse. Si vuole pertanto rilevare che l'estraneita' dai benefici de quibus dei medici apicali con funzioni igienico-organizzative e di contro l'inclusione dei soli medici apicali con funzioni di diagnosi e cura, non evidenzia rassicurante ponderazione del legislatore in ordine alla diversita' di trattamento ormai radicatasi all'interno dello stesso personale medico di vertice, peraltro tipizzato da analoga preparazione di base, nonche' da similari requisiti di vigoria ed impegno fisio-psichico, inidonei a giustificare differenti tempistiche di collocamento a riposo (per la sostanziale equiparazione sia in termini di ammissione a concorsi, sia in termini di attribuzioni e responsabilita' di tutto il personale medico dirigente, cfr. artt. 19, 20, 63, quinto comma, del d.P.R. n. 761/1979). 3.2. - Oltre alla prospettata violazione dell'art. 3, la presente questione di costituzionalita' investe anche gli artt. 38, secondo comma, e 97, primo comma, della Carta. Il primo sotto il profilo del violato principio di un adeguato trattamento previdenziale di fine rapporto nei confronti di tutti i lavoratori, ed a fortiori, di quelli compresi all'interno di analoghe mansioni. Trattasi di violazione logicamente collegata alla censura per disparita' di trattamento ex art. 3, alla quale si fa rinvio soprattutto in relazione al delineato aspetto della totale equiparazione giuridica di tutte le funzioni mediche apicali. 3.3. - Quanto all'art. 97 della Costituzione, primo comma, la problematica in esame riguarda l'incidenza sul buon andamento amministrativo di eventuali disparita' di tempi nel collocamento a riposo degli impiegati. Questo tribunale considera al riguardo che il generale orientamento normativo mirato ad estendere a sempre maggiori categorie di lavoratori il trattenimento in servizio per finalita' pensionistiche postuli comunque un positivo vaglio del legislatore in ordine all'efficienza professionale di detti impiegati durante i periodi lavorativi supplementari. Non potrebbe infatti ragionevolmente sostenersi che le normative de quibus possano consentire proroghe in servizio di personale non ritenuto idoneo ad esprimere apprezzabili contributi professionali, e cio' anche alla luce del disposto limite invalicabile dei settanta anni, oltre il quale il legislatore ritiene inaffidabile - indipendentemente da ogni premura di carattere previdenziale - la prosecuzione del rapporto di impiego; anzi, proprio i " .. riflessi positivi del generale miglioramento delle condizioni di vita e di sa- lute dei lavoratori sulla loro capacita' di lavoro", ricordati dalla Corte costituzionale nelle sentenze numeri 461/89 e 444/90, evidenziano una piena compatibilita' tutoria di esigenze previdenziali e di migliore andamento della p.a.; del resto, lo specifico onere di attivazione a carico del lavoratore orientato alla permanenza in servizio oltre i sessantacinque anni, tende a favorire una ponderata autovalutazione sull'efficienza lavorativa, in un'eta' assolutamente peculiare in cui positivi stimoli al lavoro possono garantire rendimenti di altissima qualita', causalmente collegati alla notevole esperienza professionale maturata negli anni. In altre parole, se l'aspetto previdenziale risulta senza dubbio finalita' prevalente nel consentire il tardivo collocamento a riposo del lavoratore (a cio' apertis verbis disposto), sussiste, seppure in via indiretta e conseguenziale, l'interesse pubblico a che la somministrazione periodica di somme di danaro all'impiegato avvenga per il maggior tempo possibile su base sinallagmatico-stipendiale, in cambio di energia lavorativa ancora utile e produttiva. Sotto il citato profilo, inibire al pubblico impiegato la prosecuzione di un rapporto attivo con la p.a. entro tempi e modi consentiti per altri lavoratori in similare posizione, potrebbe costituire aperto sintomo violativo del precetto costituzionale di proficuo andamento dell'azione amministrativa. 4. - In via conclusiva si vuole evidenziare come la "lettura" della Carta debba ritenersi soggetta ad una relatio dinamica con il particolare momento storico-politico in considerazione, che si manifesta - nel suo aspetto piu' significativo e riassuntivo - nell'orientamento del legislatore volta per volta prevalente. Nella disciplina in argomento, la primigenia regola generale statuiva il collocamento a riposo di tutti i pubblici impiegati al compimento del sessantacinquesimo anno di eta', mentre carattere derogatorio presentavano quelle disposizioni (peraltro confortate dai necessari presupposti di peculiarita') che da una parte prevedevano - indipendentemente da specifiche finalita' previdenziali - un diverso limite di eta' (volta per volta inferiore o superiore), dall'altra consentivano un trattenimento in servizio mirato ad ottenere il massimo della pensione. Mentre i generali limiti di eta' per singole categorie non hanno subito novazioni normative di rilievo, altrettanto non puo' dirsi per i limiti di eta' elevabili solo fino all'apice pensionabile. E' ormai diritto positivo consolidato quell'evoluzione legislativa - che si manifesta appunto con la seconda modalita' di cui sopra - preordinata alla piu' compiuta attuazione dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione, tanto da poter ormai raccordarsi ad un sopravvenuto principio normale, a deroga del quale sono ben possibili interventi normativi diversamente orientati, ma solo per cause specifiche direttamente argomentabili dalla ratio legis, pena la violazione primaria degli artt. 3 e 38, secondo comma, e quella per cosi' dire secondaria e conseguenziale dall'art. 97, primo comma della Costituzione. Nel caso di specie, alla tendenza generale a consentire a sempre piu' vaste categorie di pubblici impiegati l'opzione previdenziale in discorso, si e' peraltro cumulata - ai sensi della legge n. 50/1991 - una previsione ad hoc per la categoria qui in esame (medici dirigenti), all'interno della quale la parziale previsione a favore di una sottocategoria (primari) sembra vieppiu' minata da insanabile incostituzionalita' relativamente alle sottocategorie escluse. Il collegio ritiene pertanto che ricorrono i presupposti normativi per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 1; Dichiara la rilevanza e la non manifesta infondatezza, in relazione agli artt. 3, 38 e 97 della Costituzione, sulla questione di costituzionalita' degli artt. 1 e 3 della legge 19 febbraio 1991, n. 50, nella parte in cui non estende i benefici previdenziali disposti a favore dei primari di ruolo, anche al restante personale medico dirigente; Sospende il giudizio promosso con ricorso n. 350/1991; Ordina l'immediata rimessione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, alle parti in causa e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Catanzaro, nella camera di consiglio del 21 marzo 1991. Il presidente: CASTIGLIONE Il consigliere: CALVERI Il referendario relatore: PASSONI Depositata il 28 maggio 1991. Il segretario generale: SICILIA 91C1233