N. 436 ORDINANZA 20 - 27 novembre 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Nuovo codice - G.I.P. presso la pretura - Richiesta
 di  archiviazione  - Necessita' di ulteriori indagini - Preclusione -
 Erroneo presupposto alla base  della  proposta  censura  -  Manifesta
 infondatezza.
 
 (C.P.P.,  artt. 409, quarto comma, e 554, in relazione all'art.  407,
 stesso codice).
 
 (Cost., art. 112).
(GU n.48 del 4-12-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele  PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE,
    prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi  MENGONI,
    prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 409, quarto
 comma, e 554 del codice di procedura penale,  in  relazione  all'art.
 407,  terzo comma, dello stesso codice, promosso con ordinanza emessa
 l'8 aprile 1991 dal Giudice per le  indagini  preliminari  presso  la
 Pretura  di  Livorno  nel  procedimento penale relativo alla morte di
 Busti Marina ed altra, ordinanza iscritta  al  n.  381  del  registro
 ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 6  novembre  1991  il  Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
    Ritenuto  che  il  Giudice  per  le indagini preliminari presso la
 Pretura di Livorno, con ordinanza dell'8 aprile 1991,  ha  sollevato,
 in   riferimento   all'art.  112  della  Costituzione,  questione  di
 legittimita' degli artt. 409, quarto  comma,  e  554  del  codice  di
 procedura  penale,  in  relazione  all'art.  407,  terzo comma, dello
 stesso codice, nella parte in cui non prevedono che il giudice per le
 indagini preliminari presso la pretura circondariale,  di  fronte  ad
 una  richiesta  di archiviazione avanzata dopo il decorso del termine
 per le indagini, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indichi
 con  ordinanza   al   pubblico   ministero,   fissando   il   termine
 indispensabile per il loro compimento;
      e  che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
    Considerato  che  il  giudice  a  quo  muove  dall'assunto  che la
 prescrizione contenuta nell'art. 407,  terzo  comma,  del  codice  di
 procedura  penale,  non  soltanto precluderebbe l'utilizzazione degli
 atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine ma impedirebbe
 al giudice di adottare la procedura prevista  dall'art.  409,  quarto
 comma,   dello   stesso   codice  e  cioe'  di  indicare,  a  seguito
 dell'udienza fissata a norma del secondo comma di tale  articolo,  le
 ulteriori    indagini   ritenute   necessarie,   un'indicazione   che
 risulterebbe  priva  di  senso  non  potendo  comunque   il   giudice
 utilizzare i relativi atti;
      che, peraltro, il detto assunto si rivela erroneo perche', se il
 decorso  del termine per il compimento delle indagini preliminari non
 determina la decadenza del pubblico ministero dal potere di formulare
 le sue richieste - come lo stesso giudice a quo  mostra  di  ritenere
 allorche' prospetta l'alternativa "fra l'archiviazione e la richiesta
 al  P.M.  di  formulare  l'imputazione",  alternativa  che  la  Corte
 costituzionale, nella sentenza n. 445 del 1990, "ha riconosciuto  non
 coerente  con  il  principio di massima semplificazione dettato dalla
 legge delega per il procedimento pretorile, comportando un innegabile
 appesantimento delle indagini" - tutto cio'  sta  a  significare  che
 l'unica   attivita'   colpita   dalla   inutilizzabilita'  e'  quella
 d'indagine  compiuta  oltre  il  termine  stabilito  dalla  legge   o
 prorogato dal giudice (v. anche art. 406, ultimo comma);
      che,  di  conseguenza,  una  volta  formulate  le  richieste, la
 disciplina dei termini stabilita dagli  artt.  405,  406  e  407  del
 codice  di  procedura  penale non ha piu' modo di operare, risultando
 tale  disciplina  in  funzione  dell'attivita'  d'indagine   compiuta
 d'iniziativa  del  pubblico  ministero, assoggettata al controllo del
 giudice quanto all'osservanza dei termini  stabiliti  dalla  legge  o
 prorogati;
      che  la  stessa  formulazione  letterale  dell'art.  409, quarto
 comma, nel riservare al giudice il  potere  di  fissare  "il  termine
 indispensabile"  per  il compimento delle ulteriori indagini, postula
 con evidenza che al rigoroso meccanismo legale  che  predetermina  la
 durata   delle   indagini   preliminari,   viene  a  sostituirsi  una
 "flessibile" delibazione giurisdizionale volta a calibrare il termine
 stesso in funzione della relativa indispensabilita' al compimento  di
 quelle  ulteriori  indagini  che  il  medesimo giudice e' chiamato ad
 indicare, sicche' nessuna interferenza puo' stabilirsi tra la  durata
 complessiva   delle   indagini   svolte   prima  della  richiesta  di
 archiviazione e il "termine" fissato dal giudice;
      che una  simile  interpretazione,  oltre  che  fondarsi  su  una
 corretta  ricostruzione  sistematica  dei  rapporti  fra attivita' di
 indagine  del  pubblico  ministero  ed  attivita'  di  controllo  sui
 risultati   delle   indagini   ad   opera   del  giudice,  trova  una
 significativa conferma  nel  testo  della  relazione  governativa  al
 decreto  legislativo 7 dicembre 1990, n. 369 (Ulteriori prolungamenti
 dei termini delle indagini preliminari in regime transitorio), ove si
 precisa  che  la  disciplina  codicistica   "sanziona   a   pena   di
 inutilizzabilita'  l'attivita' di indagine proseguita oltre i termini
 di legge (art. 407 comma 3)  ma,  se  si  esclude  l'avocazione,  non
 prevede alcuna conseguenza processuale per il caso in cui il pubblico
 ministero,  contravvenendo  alla  regola  posta dall'art. 405 comma 2
 c.p.p., abbia formulato le sue richieste in ordine all'azione  penale
 oltre i detti termini";
      e che, quindi, risultando erroneo il presupposto alla base della
 proposta  censura,  deve  dichiararsi la manifesta infondatezza della
 questione;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87,  9,  secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara la manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
 costituzionale  degli  artt.  409,  quarto comma, e 554 del codice di
 procedura penale, in relazione  all'art.  407  dello  stesso  codice,
 sollevata,  in  riferimento  all'art.  112  della  Costituzione,  dal
 Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Livorno  con
 ordinanza dell'8 aprile 1991.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 20 novembre 1991.
                       Il Presidente: CORASANITI
                        Il redattore: VASSALLI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 27 novembre 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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