N. 712 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 luglio 1991
N. 712 Ordinanza emessa il 1 luglio 1991 dal pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Piccin Loris e S.p.a. Cogei Lavoro (rapporto di) - Licenziamento individuale - Annullamento giudiziale - Facolta' del lavoratore di optare, anziche' per la reintegrazione nel posto di lavoro, per l'indennita' aggiuntiva al risarcimento dovutogli, pari a quindici mensilita' della sua retribuzione globale di fatto - Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto alla disciplina stabilita per la cluasola penale nonostante l'affinita' dei due istituti - Incidenza sul diritto di difesa in giudizio del datore di lavoro nonche' sulla liberta' di iniziativa economica privata. (Legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, quinto comma, modificato dalla legge 11 maggio 1990, n. 108). (Cost., artt. 3, 24 e 41).(GU n.49 del 11-12-1991 )
IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento n. 3593.91 per decreto ingiuntivo promosso da Loris Piccin contro Cogei S.p.a. Chiede il ricorrente emettersi decreto ingiuntivo per la somma di L. 80.538.930 a titolo di indennita' di cui all'art. 1 della legge n. 108/1990. Detta norma testualmente recita sub art. 18 s.l.: "Fermo restando il diritto al risarcimento del danno cosi' come previsto dal quarto comma, al prestatore di lavoro e' data la facolta' di chiecere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro un'indennita' pari a quindici mensilita' di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso servizio, ne' abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento della indennita' di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti". Ritiene il giudicante di rilevare di ufficio la questione di incostituzionalita' di detta norma per contrasto con gli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione. Preliminarmente la questione va dichiarata rilevante in quanto il pretore dovrebbe applicare la normativa invocata che invece ritiene incostituzionale. La norma sovverte letteralmente tutti i principi di diritto civile cui appartiene il diritto del lavoro e pertanto sotto questo profilo sicuramente viola l'art. 3 della Costituzione e cioe' il principio di eguaglianza. La ipotesi che piu' si avvicina alla normativa in esame e' data dalla clausola penale di cui all'art. 1382 del codice civile ma proprio il predetto accostamento evidenzia le profonde differenze apparentemente ingiustificate. Come e' noto la clausola penale ha la duplice funzione di liquidazione anticipata del danno e di pena privata. Sotto il primo profilo elimina la necessita' per il creditore di ricorrere al giudice, dopo l'inadempimento, per far determinare la misura del risarcimento cui ha diritto, con la duplice conseguenza che il danno convenzionalmente determinato e' una misura minima che si presume in modo assoluto. Sotto il secondo profilo, quando con la clausola penale il danno e' liquidato in misura superiore alla sua naturale e reale entita', la stessa clausola svolge anche, per l'interesse del creditore, una funzione penale, intesa alla punizione del debitore inadempiente. Orbene nella norma in esame si riscontrano queste differenze: 1) la forfettizzazione del risarcimento non e' stabilita convenzionalmente dalle parti ma autoritativamente dalla legge: cio' comporta la duplice conseguenza che il sacrificio nuoce solo ad uno dei contraenti e che non e' fondato sulla libera determinazione delle parti che spontaneamente e reciprocamente possono bene convenire queste modalita'; 2) ai sensi dell'art. 1384 del c.c. il giudice puo' ridurre la penale, non cosi' il pretore del lavoro nella specie, anche se dovesse ritenere eccessiva la penale stessa. Questi primi rilievi gia' inducono a ritenere che sussiste una netta disparita' di trattamento. La stessa appare al giudicante assolutamente ingiustificata. Invero la funzione di pena privata e' gia' assolta dalla previsione delle cinque mensilita' alle quali si aggiungono, e' bene sottolinearlo, le quindici. Un esempio accettabile di risarcimento del danno e' dato dalla norma contenuta nell'art. 2 della legge n. 108/1990 sub art. 8 della legge n. 604/1966 dove e' previsto un risarcimento forfettario ma e' data al giudice la facolta' di graduare la sanzione secondo le circostanze, cosa che qui non vale. Ma soprattutto la Corte costituzionale ha costantemente enunciato il principio che le presunzioni in tanto sono ammissibili in quanto siano basate sulla comune esperienza e sia ammessa la prova contraria. Nella specie invece la presunzione non ammette la prova contraria, e' cioe' assoluta (contrapposta a relativa). D'altra parte l'eventuale ricorso al potere discrezionale del legislatore sembra non puntuale in quanto la Corte costituzionale ha affermato sempre il principio che il potere discrezionale e' insindacabile purche' il legislatore ne faccia un uso ragionevole, il che nella specie non sembra, apparendo comunque sproporzionate venti mensilita' (5 + 15). Ma c'e' di piu': nel sistema generale delle obbligazioni e' sempre ammessa dalla giurisprudenza la possibilita' di opporre l'aliunde perceptum o la compensatio lucri cum damno, qui invece ancora una volta si deroga inspiegabilmente non valendo la funzione di pena privata, si ripete, a giustificare la diversita' di trattamento in quanto alla stessa gia' adempiono le cinque mensilita'. Ancora la normativa in rassegna viola un principio generale per cui chi concorre nella causazione del danno o nell'aggravamento delle conseguenze non puo' chiederne il risarcimento in quanto a se' imputabile. Invece nella specie il datore di lavoro e' costretto a subire la iniziativa della controparte, pur offrendo la reintegrazione nel posto di lavoro, sicche' e' costretto a corrispondere un risarcimento del danno superiore a quello che subirebbe se potesse scegliere la reintegrazione. D'altra parte il lavoratore riceve un beneficio ingiustificato perche' egli stesso col rifiuto della reintegrazione ha concorso a determinare lo stato di disoccupazione che e' il danno di cui si chiede il ristoro. La norma poi viola il principio di difesa perche' collegando la scelta del lavoratore alla semplice sentenza di reintegrazione di primo grado sembra precludere al datore di lavoro la possibilita' di proseguire il giudizio chiedendo ed ottenendo eventualmente la conferma del licenziamento con la riforma della sentenza di prime cure. Infine la normativa impugnata sembra confliggere con l'art. 41 della Costituzione per cui l'iniziativa economica privata e' libera e, per quanto non possa svolgersi in contrasto con l'utilita' sociale, sembra eccessivamente coartata con tanti balzelli che si impongono alla sua libera espressione.
P. Q. M. Vista la rilevanza della questione; Ritiene non manifestamente infondata la questione di incostituzionalita' della normativa contenuta nell'art. 18, quinto comma, dello statuto di lavoratori nel testo modificato dalla legge n. 108/1990 per contrasto con gli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione; Sospende il giudizio in corso; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Milano il 1ยบ luglio 1991. Il pretore del lavoro: BONAVITACOLA 91C1267