N. 453 SENTENZA 4 - 13 dicembre 1991

 
 
 Giudizio per conflitto di attribuzione tra Stato e regione.
 
 Agricoltura  -  Regione  Emilia-Romagna  - Ritiro di seminativi dalla
 produzione - Regime di aiuti C.E.E. - Intervento diretto dello  Stato
 in  violazione  di  competenze  regionali  -  Mancanza di interesse a
 ricorrere - Inammissibilita' - Indicazione delle zone preferenziali -
 Attuazione nella forma del decreto ministeriale - Non spettanza  allo
 Stato    -   Annullamento   parziale   del   decreto   del   Ministro
 dell'agricoltura e delle foreste 19 febbraio 1991, n. 63.
 
 (D.M. 19 febbraio 1991, n. 63, art. 1)
 
 (Cost., artt. 117 e 118).
(GU n.50 del 18-12-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
    CASAVOLA,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI;  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  promosso  con  ricorso  della  Regione  Emilia-Romagna
 notificato il 23 aprile 1991, depositato in Cancelleria  l'11  maggio
 successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto
 del  Ministro  dell'agricoltura e delle foreste del 19 febbraio 1991,
 n.  63,  avente  ad  oggetto  "Regolamento  recante  disposizioni  di
 adattamento  alla realta' nazionale del regime di aiuti per il ritiro
 di  seminativi  dalla  produzione  di  cui  al  regolamento  CEE  del
 Consiglio  delle  Comunita'  europee n. 797/85", ed iscritto al n. 28
 del registro conflitti 1991;
    Visto l'atto di costituzione  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  5  novembre  1991  il  Giudice
 relatore Mauro Ferri;
    Uditi l'avv. Franco Mastragostino per la Regione Emilia-Romagna  e
 l'Avvocato  dello  Stato  Ivo  M.  Braguglia  per  il  Presidente del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ricorso notificato il 23 aprile 1991, la Regione  Emilia-
 Romagna  ha  sollevato  conflitto di attribuzione nei confronti dello
 Stato in ordine agli artt. 1, secondo comma, e 7,  terzo  comma,  del
 decreto  del  Ministro  dell'agricoltura  e delle foreste 19 febbraio
 1991  n.  63,  intitolato  "Regolamento   recante   disposizioni   di
 adattamento  alla realta' nazionale del regime di aiuti per il ritiro
 di  seminativi  dalla  produzione  di  cui  al  regolamento  CEE  del
 Consiglio delle Comunita' europee n. 797/85".
    La  ricorrente  premette  che  il decreto impugnato afferisce alla
 disciplina,  di  matrice  essenzialmente  comunitaria,   diretta   al
 miglioramento  della  efficienza  delle  strutture agricole, dettata,
 oltre che dal gia' citato regolamento n. 797/85, dal regolamento  del
 Consiglio n. 1094/88, dai regolamenti della Commissione nn. 1272/88 e
 1273/88 e dal regolamento del Consiglio n. 1609/89.
    Dal vigente quadro legislativo della materia, costituito dall'art.
 6  del  d.P.R.  n.  616  del 1977, dall'art. 5 della legge 8 novembre
 1986, n. 752 ("Legge pluriennale per  l'attuazione  degli  interventi
 programmati  in  agricoltura"),  e dalle piu' recenti leggi 16 aprile
 1987, n. 183 (art. 11) e 9 marzo 1989, n. 86 (artt. 4 e  9),  nonche'
 dai  vari  decreti  ministeriali  di  attuazione  della  sopra citata
 normativa  comunitaria  (dd.mm.  12  settembre  1985   e   successive
 modificazioni, e 16 gennaio 1989, n. 34), risulta inequivocabilmente,
 ad avviso della ricorrente: a) la competenza regionale in ordine alla
 applicazione  dei  regolamenti  comunitari,  nel  caso  di specie, in
 materia di agricoltura; b) la specifica responsabilita' regionale per
 l'attuazione  del  regolamento  CEE  n.  797/85,  ivi  compresi   gli
 interventi  finanziari; c) l'insussistenza di alcuna delle situazioni
 che in base all'art.  71  del  d.P.R.  616/77  giustificherebbero  la
 permanenza  di  una  riserva  statale;  d)  l'insussistenza  di alcun
 mutamento nella normativa comunitaria e nazionale tale da  consentire
 l'attuato  sovvertimento  dell'assetto delle competenze relativamente
 al regime degli aiuti per il ritiro dei seminativi dalla produzione.
    Tutto cio' premesso, la ricorrente impugna gli  artt.  1,  secondo
 comma,  e  7,  terzo  comma,  del  d.m.  19  febbraio 1991, n. 63, in
 riferimento agli artt. 117 e 118  della  Costituzione,  in  relazione
 alla normativa ordinaria dianzi citata.
    In particolare, essa svolge le seguenti argomentazioni.
     A) L'art. 1, secondo comma, il quale dispone che "l'intervento e'
 attuato dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste, dal Ministero
 del  tesoro,  dalle  regioni  a  statuto  ordinario ecc.ra", sovverte
 l'ordine legittimo delle  competenze,  senza  che  il  riferimento  -
 contenuto  nella premessa - a generiche "esperienze acquisite", a non
 precisate  e  individuate  "modifiche  intervenute  nella   normativa
 comunitaria   ..",   ad   oscuri   "   ..chiarimenti   interpretativi
 verificatisi .." - che avrebbero altresi' determinato  la  necessita'
 di  sostituire  il  precedente  d.m.  n.  35/1990  - possa fornire un
 accettabile  supporto  al  nuovo  ruolo  di  intervento  diretto  del
 Ministero dell'agricoltura e del Ministero del tesoro, il quale e' in
 evidente  contrasto  con  la  richiamata  normativa e soprattutto non
 risponde ad alcun mutamento della disciplina comunitaria e del quadro
 di riparto.
    La concentrazione dei poteri  di  normazione  e  attuazione  della
 normativa  CEE  in  tema  di aiuti per il ritiro dei seminativi dalla
 produzione in capo allo Stato non e' cioe' motivabile sulla scorta di
 obblighi comunitari, che non richiedono alcuna assunzione,  da  parte
 dell'Amministrazione   centrale,   di   posizioni   di   garanzia  di
 particolari interessi nazionali.
    E'  palese,  in  secondo  luogo,  che   l'oggetto   del   presente
 regolamento  non  ha  alcuna  attinenza  con  la  situazione definita
 "interventi di interesse nazionale" per la regolazione  del  mercato,
 in virtu' della quale soltanto apparirebbe giustificabile la primaria
 e principale interposizione statale (cfr. sent. n. 433/87).
    Al  d.m.  n.  63/1991 deve imputarsi, dunque, una centralizzazione
 ingiustificata  delle  funzioni  in   materia,   con   deterioramento
 ingiustificato  delle  attribuzioni  regionali  devolute ai sensi del
 d.P.R. 616/1977.
    Di  fatto,  poi,  il  cronico  ritardo con cui agiscono gli organi
 della Amministrazione centrale impedisce il funzionamento dei  canali
 di "leale cooperazione".
    Infatti,  benche'  nel  decreto  impugnato siano previste forme di
 consultazione con le regioni (art. 7,  terzo  comma:  proposte  delle
 Regioni  per  la  individuazione  delle  aree  preferenziali,  ove e'
 consentito il cumulo di aiuti) e' altrettanto vero che nella  realta'
 tale  meccanismo  non  e'  stato  attivato (per il ritardo con cui e'
 stato emanato il d.m.), cosicche' non sono state affatto  sentite  le
 regioni,  come invece si afferma nel decreto qui impugnato, e come e'
 stato affermato nel decreto precedente (35/1990)  peraltro  anch'esso
 impugnato  innanzi a questa Corte, con lo stesso mezzo, dalla Regione
 Toscana.
     B)  L'art.   7   disciplina,   ai   fini   della   incentivazione
 dell'imboschimento,  la  cumulabilita'  dell'aiuto  previsto  per  il
 ritiro di seminativi dalla produzione (artt. 1 e  6,  secondo  comma)
 con gli altri aiuti previsti dalle normative comunitarie e nazionali.
    In  particolare,  il  terzo  e  quarto  comma  del predetto art. 7
 prevedono che nelle aree cd. "preferenziali" sia possibile  cumulare,
 con  l'aiuto  per  l'imboschimento  di cui all'art. 6, secondo comma,
 l'aiuto e il premio previsti dall'art. 20 e 20- bis  del  regolamento
 CEE  n.  797/85  (che  prevedono,  appunto,  ulteriori  benefici  per
 l'imboschimento   di   superfici   agricole)   essendone    stabilita
 l'erogazione nella misura massima rispettivamente (per l'aiuto di cui
 all'art.  20)  di  3000 ECU per ettaro e (art.  20-bis) di 50 ECU per
 ettaro all'anno.
    Senonche' il citato  art.  7,  terzo  e  quarto  comma,  allorche'
 vincola la regione alla applicazione di tale regime sulla base di una
 ripartizione   territoriale   delle   zone   preferenziali  demandata
 all'autorita' centrale in forma cosi' dettagliata e analitica da  non
 lasciare alle regioni (e alle province autonome) il necessario spazio
 di  autonomia entro il quale poter legittimamente svolgere la propria
 competenza legislativa e/o la propria azione  amministrativa,  appare
 palesemente  lesivo  delle prerogative, delle competenze e dei poteri
 regionali e, dunque, costituzionalmente illegittimo.
    Si evidenzia, infatti, la assoluta ed arbitraria  rigidita'  della
 previsione  del  d.m.  che  stabilisce le zone preferenziali non come
 indicazioni - e quindi evidentemente derogabili dalle  regioni  -  ma
 come  determinazione  di zone limitabili esclusivamente dal Ministro,
 sia pure previa intesa. Dove,  rispetto  a  quest'ultima  previsione,
 mancano  pero'  totalmente garanzie per quanto si e' sopra esposto in
 ordine alla attivazione  delle  procedure  di  consultazione  con  le
 regioni.
    Soprattutto  occorre  sottolineare  che  non  e'  fondamento della
 normativa comunitaria una suddivisione del territorio cosi' tassativa
 e sistematica.
    La normativa CEE parla di zone sensibili dal punto di vista  della
 protezione  dell'ambiente e delle risorse naturali e del mantenimento
 dello spazio naturale e del paesaggio (cfr. artt. 19, 19- bis  e  19-
 ter  del  regolamento  CEE  797/1985)  e  rispetto a questi obiettivi
 impegna lo Stato membro a determinare le zone.
    Il  che  importa  che nessun obbligo diretto sussiste, quanto alla
 individuazione  delle   zone   preferenziali   per   l'incentivazione
 all'imboschimento, e che la individuazione per tipologie, fatta dallo
 Stato, deve valere - e non puo' essere diversamente - al massimo come
 indicazione  di  indirizzo,  con  la  conseguenza che la regione deve
 potersene discostare, se la propria realta' territoriale non consente
 una  applicazione  tout  court  delle  disposizioni  prescritte   dal
 Ministero.
    Senza  considerare,  poi,  che nella fattispecie, in assenza di un
 obbligo direttamente ricollegabile alla disciplina comunitaria,  e  a
 fronte,  quindi,  della  ritenuta  esigenza  da  parte dello Stato di
 emanare disposizioni uniformi nell'interesse nazionale,  la  funzione
 di  indirizzo  e coordinamento avrebbe dovuto essere esercitata nelle
 forme dovute, vale a dire con legge o  atto  equiparato,  o  mediante
 deliberazione del Consiglio dei Ministri, ai sensi di quanto disposto
 dai  commi  quinto e sesto dell'art. 9 della legge n. 86/1989, con la
 conseguenza che il d.m. e', altresi', mezzo inidoneo sotto il profilo
 della gerarchia delle fonti, ad esprimere indicazioni vincolanti  (su
 cui cfr. Corte cost. n. 284/1989).
    In  definitiva, conclude la ricorrente, occorre altresi' osservare
 che sarebbe sufficiente - rispetto allo specifico problema delle zone
 preferenziali - rimuovere  dal  contesto  dell'art.  7,  terzo  comma
 ultimo  capoverso,  l'inciso  "  ..il  Ministero  potra'  limitare la
 superficie delle zone preferenziali .." che e'  la  disposizione  che
 centralizza   e   sottordina  illegittimamente  scelte  e  poteri  di
 esclusiva  e  pacifica  spettanza  regionale  e  fatti  salvi   dalla
 normativa comunitaria.
    2.  - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  concludendo  per  l'inammissibilita',  o,  in   subordine,
 l'infondatezza delle censure contenute nel ricorso.
    In particolare l'Avvocatura dello Stato osserva quanto segue.
     A)  La  censura di cui al primo motivo, rivolta avverso l'art. 1,
 secondo  comma,  appare  identica,  sia  nella  premessa  che   nelle
 conclusioni,  a  quelle  proposte  dalla  Regione  Toscana avverso le
 disposizioni - di identico tenore - dell'art.  1,  terzo  comma,  del
 decreto  8  febbraio  1990,  n.  34 e dell'art. 1, secondo comma, del
 decreto 8 febbraio 1990, n. 35.
    Nel dichiarare inammissibili  le  suddette  censure  la  Corte  ha
 considerato (sent. n. 448 del 1990) che le norme impugnate contengono
 una mera elencazione, senza ulteriori specificazioni, dei soggetti ai
 quali  e'  demandata  l'attuazione  degli  interventi; che la Regione
 ricorrente  non  contesta  in  radice  la  presenza  di  qualsivoglia
 attivita'   degli  organi  statali  nell'iter  procedurale  di  detti
 interventi; che le norme impugnate non precisano quale sia il ruolo e
 la funzione attribuiti ai singoli soggetti elencati.
    Le  medesime  considerazioni  valgono  per  la  dichiarazione   di
 inammissibilita' della censura all'esame.
    Anche in questo caso, invero, la Regione non contesta in radice la
 presenza    di    organi    statali    nel   procedimento   attuativo
 dell'intervento: essa infatti, chiede che sia affermato il suo "ruolo
 primario", ammettendo percio' che altri soggetti abbiano altri  ruoli
 in  detto  procedimento.  La  ricorrente  inoltre  non  impugna altre
 disposizioni del decreto n.  63  nelle  quali  sono  demandate  delle
 attivita' ad organi statali, come gli artt. 11 e 12.
     B)  Del  pari inammissibili (e subordinamente infondate) appaiono
 le censure contenute nel secondo motivo del ricorso.
    Devesi al riguardo rilevare che il  terzo  comma  dell'art.  7  si
 limita  a  riprodurre  le  zone  preferenziali che sono state gia' in
 precedenza individuate col decreto  ministeriale  n.  35/1990,  sulla
 base  delle  proposte  presentate  dalle  regioni  e  dalla provincia
 autonoma di Bolzano.
    Cio' significa che l'individuazione delle  zone  preferenziali  e'
 gia'  avvenuta  ad opera del decreto 8 febbraio 1990, n. 35 (articolo
 6, terzo comma); che le zone preferenziali sono rimaste le stesse nel
 decreto impugnato, il quale, quindi, a questo riguardo, non  presenta
 alcun  contenuto  provvedimentale  e non puo' quindi produrre effetti
 invasivi.
    Se, infatti, invasione v'e' stata, questa - in denegata ipotesi  -
 sarebbe  avvenuta  per  effetto  dell'articolo  6,  terzo  comma, del
 decreto n. 35 del 1990 e  non  per  effetto  dell'articolo  7,  terzo
 comma, impugnato nel presente conflitto.
    In  subordine,  si  deve  rilevare che l'individuazione delle zone
 preferenziali (con il decreto n. 35 del  1990)  e'  avvenuta  tenendo
 conto delle proposte regionali e della provincia autonoma di Bolzano.
    Essa  non  appare tanto "dettagliata e analitica" da togliere ogni
 ulteriore  spazio  alla  Regione  ricorrente,  alla  quale  resta  un
 notevole   margine  di  valutazione  in  merito  alla  individuazione
 specifica delle zone da includere nelle aree preferenziali.
    D'altronde, la necessita' di garantire una uniforme  ed  effettiva
 incentivazione  dell'imboschimento  sull'intero  territorio nazionale
 risponde ad una specifica esigenza espressa negli articoli 20  e  20-
 bis del regolamento CEE n. 797/85.
    Quanto  alla  censura rivolta avverso l'ultima parte dell'articolo
 7, terzo comma, laddove e' previsto che "il Ministero,  d'intesa  con
 le  predette  amministrazioni,  con  successivo  regolamento,  potra'
 limitare la superficie delle zone preferenziali e in  particolare  di
 quelle  indicate  alla  lettera  l)", anch'essa appare in primo luogo
 inammissibile.
    E' infatti  evidente  che  la  pretesa  invasivita'  potrebbe,  in
 ipotesi, conseguire esclusivamente all'effettivo esercizio del potere
 ministeriale  di  limitazione,  previsto  come futuro ed eventuale, e
 comunque  oggetto  di  un  successivo  regolamento,  da  parte  della
 disposizione impugnata.
    Allo  stato,  pertanto, la Regione ricorrente difetta di interesse
 ad impugnare  la  astratta  previsione  di  un  futuro  ed  eventuale
 esercizio del potere limitativo.
    Tale  censura, in subordine, conclude l'Avvocatura, e' anche priva
 di  fondamento,  posto  che  l'esercizio  del  suddetto   potere   di
 limitazione  viene  espressamente condizionato alla previa intesa con
 le regioni e la provincia autonoma di Bolzano. E non vale al riguardo
 allegare pretesi ritardi e disfunzioni dell'Amministrazione centrale,
 quando la previa intesa fa parte del procedimento per l'adozione  del
 "successivo  regolamento"  di limitazione della superficie delle zone
 preferenziali.
    3. - Ha depositato memoria illustrativa la Regione Emilia-Romagna,
 la quale insiste nelle  conclusioni  gia'  formulate,  ribadendo,  in
 particolare,  che  il  decreto  ministeriale impugnato ha operato una
 novazione della fonte rispetto al precedente decreto n. 35 del  1990,
 che l'obbligo di individuazione delle zone preferenziali non discende
 direttamente  dalla  normativa CEE e che, infine, e' stato violato il
 principio di leale cooperazione.
                        Considerato in diritto
    1. - Con il ricorso in esame  la  Regione  Emilia-Romagna  solleva
 conflitto  di  attribuzione  nei  confronti  dello Stato in ordine ad
 alcune norme contenute nel decreto del  Ministro  dell'agricoltura  e
 delle  foreste  n.  63 del 19 febbraio 1991, recante "disposizioni di
 adattamento alla realta' nazionale del regime di aiuti per il  ritiro
 di  seminativi  dalla  produzione  di  cui  al  regolamento  CEE  del
 Consiglio delle Comunita' europee n. 797/85".
    Le  censure  della  Regione  ricorrente,   previa   una   sommaria
 esposizione delle competenze regionali in ordine all'applicazione dei
 regolamenti  comunitari nelle materie - quali l'agricoltura e foreste
 -  comprese  nell'art.  117   della   Costituzione,   si   incentrano
 specificamente  sull'art.  1,  secondo  comma,  e  sull'art. 7, terzo
 comma, del decreto ministeriale citato.
    2.1. - La Corte ritiene opportuno  richiamare  a  grandi  linee  i
 fondamenti  e  le  finalita' della politica agricola comune (P.A.C.),
 nonche' gli sviluppi successivi della sua applicazione, con  speciale
 riguardo  agli  obiettivi  che  essa  oggi  tende  a perseguire. Tale
 richiamo  e'  utile  per  meglio  comprendere  e  valutare  nel  caso
 sottoposto  al  presente  giudizio  il  tema,  quanto mai complesso e
 delicato, del rapporto Stato-regioni nell'attuazione della  normativa
 comunitaria in materia di agricoltura e foreste.
    All'agricoltura  e'  dedicato  il  titolo  II  della  parte II del
 Trattato  che  istituisce  la  Comunita'  economica  europea,  titolo
 comprendente  gli  articoli  da  38 a 47. Le finalita' della politica
 agricola  comune  sono  elencate  nell'art.  39,  ed  i   mezzi   per
 conseguirle negli articoli successivi. Bastera' qui ricordare che per
 realizzare   gli   obiettivi  prefissi  -  quali  l'incremento  della
 produttivita',  il  miglioramento  del  reddito  di  quanti  lavorano
 nell'agricoltura,  la stabilizzazione dei mercati, la sicurezza degli
 approvvigionamenti - il Trattato ha previsto una serie di  interventi
 e  di  misure,  la  cui attuazione ha fatto si' che l'agricoltura sia
 divenuta negli Stati membri un settore economico caratterizzato dalla
 direzione e dall'incidenza dei pubblici poteri, che  si  identificano
 nelle  istituzioni  comunitarie  quanto  meno  a livello di indirizzi
 vincolanti.
    2.2. - Per generale ammissione  le  finalita'  della  P.A.C.  sono
 state  nel  complesso  raggiunte  gia'  da  molti  anni,  seppure con
 risultati piu' o meno soddisfacenti e soprattutto piu' o meno onerosi
 a  seconda  delle  diverse  aree  regionali  e  delle  modalita'   di
 applicazione e di adattamento realizzate dagli Stati membri.
    Sta  di  fatto  che,  nel giro di una quindicina di anni (l'inizio
 vero e proprio della P.A.C. data dal 1962), l'Europa  comunitaria  e'
 divenuta  non  soltanto  autosufficiente,  ma largamente eccedentaria
 nella produzione agricola, e specialmente nelle derrate alimentari. A
 partire quindi dalla fine degli anni '70 si e' posto il  problema  di
 una  riforma  della politica agricola comune, secondo linee direttive
 che furono ampiamente esposte nella comunicazione  della  Commissione
 delle  Comunita'  europee  al  Consiglio  e  al Parlamento intitolata
 "Prospettive per la politica agraria comune" (documento COM (85)  333
 def. del 9 agosto 1985). Fino dai primi anni dello scorso decennio e'
 stata  avviata  a tal fine una politica di riduzione della produzione
 eccedentaria  attraverso  una  restrizione dei prezzi e la fissazione
 dei limiti di garanzia.
    Le ultime linee di sviluppo  di  questa  P.A.C.,  per  cosi'  dire
 riformata,  sono  contenute  nella comunicazione della Commissione al
 Consiglio e al Parlamento europeo del 19 luglio 1991  (documento  COM
 (91) 258 def.).
    Fra  gli  strumenti  odierni  della politica agricola comune vanno
 annoverati i regolamenti CEE che stabiliscono un regime di aiuti  per
 il  ritiro  dei  seminativi dalla produzione, quale quello n. 797 del
 1985,  come  successivamente  modificato  ed   integrato   da   altri
 regolamenti  adottati sia dal Consiglio, sia dalla Commissione, tutti
 tendenti a favorire, oltre al ritiro dei seminativi dalla produzione,
 l'estensivizzazione e  la  riconversione  della  produzione,  nonche'
 l'imboschimento   delle   superfici  agricole.  Attualmente  l'intera
 normativa in materia risulta trasfusa nel regolamento  del  Consiglio
 n.  2328  del  15  luglio  1991, con cui si e' appunto proceduto alla
 "codificazione" del citato regolamento n. 797/85, il quale  e'  stato
 conseguenzialmente abrogato.
    2.3.  - I richiami suesposti vanno necessariamente tenuti presenti
 per collocare in un giusto contesto la  valutazione  della  normativa
 statale  di  interposizione  rispetto  a  regolamenti  comunitari  in
 materia agricola e  forestale,  sia  sotto  il  profilo  dell'obbligo
 primario  dello  Stato  di  garantire l'osservanza del Trattato CEE e
 della  normativa  che   ne   scaturisce,   sia   sotto   il   profilo
 dell'interesse   nazionale  a  realizzare,  pur  nel  rispetto  delle
 competenze    costituzionalmente     attribuite     alle     regioni,
 un'applicazione  soddisfacente  ed  omogenea, nella misura in cui una
 omogeneita'  e'  indispensabile,  delle  norme  comunitarie  e  della
 politica  (nel caso in esame la politica agricola comune) di cui esse
 sono strumento ed estrinsecazione.
    3. - La Regione Emilia-Romagna impugna, in primo luogo, l'art.  1,
 secondo  comma,  del  decreto  in esame, secondo cui "l'intervento e'
 attuato dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste  (in  appresso
 denominato  Ministero),  dal  Ministero  del  tesoro, dalle regioni a
 statuto ordinario, dalle regioni a statuto speciale, dalla  provincia
 autonoma di Bolzano e dall'AIMA".
    Ad  avviso della ricorrente la norma viola le competenze regionali
 in tema di attuazione di  regolamenti  comunitari,  nella  specie  in
 materia  agricola  (artt.  117  e  118 Cost., 6 del d.P.R. n. 616 del
 1977), in quanto introduce un nuovo ruolo di intervento  diretto  dei
 suddetti  ministeri  senza  che  vi  sia alcun obbligo comunitario al
 riguardo, ne' alcuna attinenza con la situazione definita "interventi
 di interesse nazionale per  la  regolazione  del  mercato",  solo  in
 presenza   della   quale  apparirebbe  giustificata  l'interposizione
 statale.
    L'Avvocatura  dello  Stato  eccepisce   l'inammissibilita'   della
 censura, per i motivi affermati da questa Corte nella sentenza n. 448
 del  1990,  in ordine ad un'identica norma contenuta in un precedente
 decreto ministeriale.
    L'eccezione deve essere accolta. La norma impugnata  contiene  una
 mera  elencazione,  senza  ulteriori  specificazioni, dei soggetti ai
 quali  e'  demandata  l'attuazione  degli  interventi  previsti   dai
 regolamenti  comunitari  cui  si riferisce il decreto ministeriale in
 discussione. La  formulazione  e'  letteralmente  identica  a  quella
 dell'art.  1,  secondo  comma,  del  decreto  dello  stesso  Ministro
 dell'agricoltura e delle foreste 8 febbraio 1990 n. 35. Vale  percio'
 anche  per il caso in esame quanto e' stato affermato da questa Corte
 nella richiamata sentenza n. 448 del 1990, pronunciata sul  conflitto
 di  attribuzione sollevato dalla Regione Toscana in ordine al decreto
 per ultimo citato: che cioe' vi e' carenza di interesse a  ricorrere,
 in  quanto,  da  un  lato,  la  ricorrente  non contesta in radice la
 presenza di qualsivoglia ruolo degli organi statali in materia (basta
 a dimostrar  cio'  quanto  si  dira'  dopo  in  ordine  alla  seconda
 censura),   e,  dall'altro,  la  norma  si  limita  ad  una  semplice
 elencazione senza  precisare  "quale  sia  il  ruolo  e  la  funzione
 attribuiti  ai  singoli soggetti elencati (ne' puo' al riguardo avere
 alcun rilievo l'ordine in cui gli stessi sono menzionati)".
    4.1. - La ricorrente impugna, in secondo luogo,  l'art.  7,  terzo
 comma,   del   provvedimento  in  esame.  Tale  articolo  (intitolato
 "Incentivazione dell'imboschimento") contiene, nella parte censurata,
 l'elencazione delle cosiddette "zone preferenziali", nelle  quali  e'
 possibile   la  concessione  degli  aiuti  previsti  dalla  normativa
 comunitaria (artt. 20  e  20-  bis  del  reg.  CEE  n.  797/85,  come
 modificato  dal  reg.  CEE  n.  1609/89;  v.  ora  artt.  25 e 26 del
 regolamento CEE n. 2328/91), in aggiunta agli altri aiuti di  cui  al
 precedente  art.  6.  In  particolare,  la  norma  oggetto di censura
 afferma che le dette zone preferenziali "sono state  individuate  col
 decreto ministeriale n. 35/1990" sulla base delle proposte presentate
 dalle  regioni e dalla provincia autonoma di Bolzano, ed aggiunge che
 il  Ministero  "d'intesa  con  le   predette   amministrazioni,   con
 successivo  regolamento,  potra'  limitare  la  superficie delle zone
 preferenziali e in particolare di quelle indicate alla lettera l)".
    La ricorrente deduce, in sintesi, che la  norma  non  trova  alcun
 fondamento  nella disciplina comunitaria, che la individuazione delle
 zone preferenziali e' cosi' rigida  e  dettagliata  da  non  lasciare
 alcuno   spazio  di  autonomia  alle  regioni  e  che,  infine,  tale
 individuazione deve valere al massimo come indicazione di  indirizzo,
 ma,  a fronte della ritenuta esigenza da parte dello Stato di emanare
 disposizioni  uniformi  in  materia,  la  funzione  di  indirizzo   e
 coordinamento   avrebbe   dovuto   essere   esercitata   nelle  forme
 prescritte.
    L'Avvocatura dello Stato  eccepisce  l'inammissibilita'  anche  di
 questa  seconda  censura;  ma  l'eccezione non puo' essere condivisa.
 Vero e' che il predetto terzo comma dell'art.  7  riproduce  l'elenco
 contenuto   nell'art.   6,   terzo   comma,  del  precedente  decreto
 ministeriale n. 35 del  1990;  ma  da  tale  constatazione  non  puo'
 dedursi  che  esso  ha  natura "meramente compilativa", "non presenta
 alcun contenuto provvedimentale e non puo'  quindi  produrre  effetti
 invasivi".  A  prescindere  dal  rilievo  che,  secondo  la  costante
 giurisprudenza  di  questa  Corte,  nei  giudizi  per  conflitto   di
 attribuzione  non  e' applicabile l'istituto dell'acquiescenza (cfr.,
 da ult., sent. n. 278  del  1991),  va  osservato,  come  esattamente
 rileva  la  difesa  della  Regione,  che il decreto n. 63 del 1991 e'
 espressamente definito nelle premesse come sostitutivo del decreto n.
 35 del 1990 ("considerata la necessita'  di  sostituire  quest'ultimo
 con  il  presente  provvedimento  a valere dalla campagna 1990-91 per
 tener conto dell'esperienza acquisita durante le passate campagne  di
 applicazione  del regime di aiuti e delle modifiche intervenute nella
 normativa   comunitaria,   nonche'   dei  chiarimenti  interpretativi
 verificatisi"). Inoltre, a parte la  riproduzione  dell'elenco  delle
 zone  preferenziali, nella prima parte del terzo comma dell'art. 7 vi
 e'  indubbiamente  una  sostanziale  modifica  rispetto  al   decreto
 ministeriale n. 35 del 1990. Questo prevedeva, infatti, un successivo
 provvedimento  del  Ministro  - "sulla base delle proposte presentate
 dalle  regioni  e  dalla  provincia  autonoma  di   Bolzano"   -   di
 individuazione  (evidentemente  piu'  dettagliata e definitiva) delle
 zone preferenziali. Senonche', nel testo in esame tale previsione  e'
 scomparsa,   ed  e'  stata  riprodotta  l'elencazione  contenuta  nel
 precedente decreto: la suddetta  modificazione  e'  proprio  uno  dei
 punti sui quali si incentra la doglianza della Regione.
    4.2. - La censura va, pertanto, esaminata nel merito.
    L'art.  7  del  decreto  ministeriale  n. 63 trova il suo supporto
 normativo specifico, a livello  comunitario,  come  gia'  detto,  nel
 regolamento  CEE  n.  1609/89,  che  sostituisce  il  titolo  VI  del
 regolamento CEE n. 797/85 (ora divenuto titolo VIII  del  regolamento
 CEE   n.   2328/91):   esso   disciplina   la  concessione  di  aiuti
 all'imboschimento delle superfici agricole, aiuti che si aggiungono a
 quelli gia' previsti per il ritiro dei seminativi  dalla  produzione;
 si  inquadra  quindi in un complesso di misure attraverso le quali si
 esplica la politica  agricola  comune,  caratterizzata,  nell'attuale
 fase,   dalla  necessita'  di  ridurre  la  produzione  eccedentaria,
 contribuendo  nello  stesso  tempo  alla  tutela  del  territorio   e
 dell'ambiente,  secondo  quanto e' stato per sommi capi ricordato sub
 2. Va altresi' aggiunto che, contrariamente a quanto  ritenuto  dalla
 ricorrente,  l'art.  20-  ter  del  regolamento  CEE  n. 797/85, come
 modificato dal menzionato regolamento CEE n. 1609/89 (cfr.  ora  art.
 27  del  regolamento  n.  2328/91),  attribuisce agli Stati membri il
 compito  di   determinare   le   condizioni   cui   deve   rispondere
 l'imboschimento delle superfici agricole, ivi comprese "le condizioni
 relative  alla  localizzazione  e  al  raggruppamento delle superfici
 idonee ad essere rese boschive".
    Nel caso  in  esame  un  intervento  dello  Stato  appare  percio'
 pienamente   giustificato,  in  quanto  una  operazione  complessa  e
 delicata in tutti i suoi aspetti, quale e' quella  del  passaggio  di
 terreni dalla produzione agricola ad una destinazione boschiva, esige
 indubbiamente  -  e  del  resto lo si deduce dallo stesso regolamento
 comunitario citato - una omogeneita' di criteri  nella  scelta  delle
 aree su cui operare in via preferenziale che, quanto meno nella forma
 dell'atto  di indirizzo e coordinamento, vincoli le regioni nel campo
 di attivita' che resta loro riservato.
    Del resto la stessa Regione Emilia-Romagna, come si e' visto,  nel
 lamentare  che  la  individuazione delle zone preferenziali sia stata
 disposta in forma troppo  dettagliata  ed  analitica,  riconosce,  in
 definitiva,  l'esistenza  delle suindicate esigenze di uniformita' di
 disciplina, traendone la conseguenza che l'intervento statale sarebbe
 stato legittimo  se  effettuato  mediante  un  atto  di  indirizzo  e
 coordinamento,  rilevando  pero'  che  tale  funzione  avrebbe dovuto
 essere esercitata nelle forme dovute, vale a dire "con legge  o  atto
 equiparato,  o  mediante  deliberazione del Consiglio dei Ministri ai
 sensi di quanto disposto dai commi 5 e 6  dell'art.  9  L.  86/1989".
 Infine,  la  ricorrente  sembra ritenere particolarmente lesivo delle
 sue  competenze  l'ultimo  periodo  del  terzo  comma  dell'art.   7,
 sostenendo  testualmente  che  "sarebbe  sufficiente  - rispetto allo
 specifico problema delle zone preferenziali - rimuovere dal  contesto
 dell'art.  7,  terzo  comma  ultimo  capoverso,  l'inciso  '  ...  il
 Ministero potra' limitare la superficie delle zone preferenziali ...'
 ".
    4.3. - Di tutti i motivi del ricorso, formulati in parte anche  in
 modo  contraddittorio,  deve ritenersi fondato quello che, come si e'
 visto, contesta che un atto di indirizzo e coordinamento possa essere
 adottato nella forma del decreto ministeriale.
    Invero, il decreto ministeriale  n.  63  del  1991,  limitatamente
 all'impugnato  art. 7 terzo comma, non sarebbe di per se' - quanto ai
 contenuti - invasivo delle competenze regionali:  si  e'  gia'  detto
 infatti,   in   primo   luogo,   che   sarebbe  difficile  immaginare
 l'attuazione di una  politica  di  rilevante  incidenza  economica  e
 sociale,  quale  e',  di tutta evidenza, l'incoraggiamento a ritirare
 una parte di terreni  agricoli  dalla  produzione  per  destinarli  a
 insediamenti boschivi, senza che lo Stato provveda a definire criteri
 di  scelta  secondo un indirizzo necessariamente omogeneo ed armonico
 per tutto il territorio nazionale. Inoltre, non puo' negarsi  che  la
 norma  in  esame, nell'elencare le zone preferenziali, presenti anche
 le caratteristiche  strutturali  tipiche  dell'atto  di  indirizzo  e
 coordinamento  (cfr.  sent.  n.  389  del 1989) e lasci, quindi, alle
 regioni uno spazio di azione che consenta di tenere nel dovuto  conto
 le  diverse realta' e le peculiari caratteristiche di ognuna di esse.
 Le disposizioni contenute nel  terzo  comma  dell'art.  7  andrebbero
 quindi  esenti  da  censura,  una  volta  interpretate  come norme di
 indirizzo e coordinamento. Ma poiche' un tale atto, - ove anche se ne
 riconosca  nel  regolamento  comunitario  il   supporto   legislativo
 indispensabile  -, non puo' comunque certamente essere adottato nella
 forma del decreto ministeriale, l'adozione di  questo  strumento  da'
 luogo,  di  per  se' (con assorbimento di ogni altra censura), ad una
 lesione delle competenze della ricorrente; ne consegue l'accoglimento
 in parte qua del ricorso.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara inammissibile il conflitto di  attribuzione  proposto,  in
 ordine   all'art.   1,   secondo  comma,  del  decreto  del  Ministro
 dell'agricoltura e delle foreste  19  febbraio  1991,  n.  63,  dalla
 Regione  Emilia-Romagna  con  il  ricorso in epigrafe, in riferimento
 agli artt. 117 e 118 della Costituzione;
    Dichiara  che  non  spetta  allo  Stato  individuare  con  decreto
 ministeriale  le  zone  preferenziali  per la concessione degli aiuti
 all'imboschimento di cui agli artt. 20 e ss. del regolamento  CEE  n.
 797/85  del  Consiglio  delle  Comunita' europee, come modificato dal
 regolamento CEE n. 1609/89 del Consiglio stesso;
    Annulla conseguentemente l'art. 7, terzo comma,  del  decreto  del
 Ministro dell'agricoltura e delle foreste 19 febbraio 1991, n. 63.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 1991.
                       Il presidente: CORASANITI
                          Il redattore: FERRI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 13 dicembre 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 91C1298