N. 485 SENTENZA 18 - 27 dicembre 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza  e  assistenza-  INAIL-  Infortuni-   Persona   civilmente
 responsabile  del  reato- Azione di regresso- Recupero somme erogate-
 Estensibilita' alla parte di risarcimento del danno biologico  subito
 dall'infortunato-  Limitazioni della prestazione agli aventi diritto-
 Richiamo  alla  giurisprudenza  della Corte (sentenza n.  356/1991) -
 Indefettibilita' della tutela risarcitoria del diritto alla salute  -
 Illegittimita' costituzionale
 
 (D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, sesto e settimo comma;
 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 11, primo e secondo comma)
 
 (Cost., artt. 2, 3, 32, primo comma e 38, secondo comma).
(GU n.1 del 4-1-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco Paolo
    CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 10 e  11  del
 d.P.R.  30  giugno  1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per
 l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni  sul  lavoro  e  le
 malattie  professionali), promosso con ordinanza emessa il 15 gennaio
 1991 dal Tribunale di Torino nei procedimenti civili riuniti vertenti
 tra  Bracco  Rosario  ed  altro  e  Fallimento  s.r.l. Axel ed altro,
 iscritta al n. 356 del registro ordinanze  1991  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  22, prima serie speciale,
 dell'anno 1991;
    Visti gli atti di costituzione dell'I.N.A.I.L. nonche'  l'atto  di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 6 novembre 1991 il Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio civile  avente  ad  oggetto  sia  la
 domanda  di  risarcimento del danno da infortunio sul lavoro proposta
 da un lavoratore nei confronti del fallimento della societa' alle cui
 dipendenze egli aveva lavorato, sia la domanda di  regresso  proposta
 dall'I.N.A.I.L.  per  le  somme  pagate  dall'istituto  a  titolo  di
 indennita' e per le spese accessorie da esso sostenute, il  Tribunale
 di  Torino  ha  sollevato, con riferimento agli artt. 2, 3, 32, primo
 comma  e  38,  secondo  comma,  della  Costituzione,   questione   di
 legittimita'  costituzionale degli artt. 10 e 11 del d.P.R. 30 giugno
 1965, n. 1124, nella parte in cui, in caso di infortunio sul  lavoro,
 consentono  all'I.N.A.I.L.,  per  il  recupero delle somme erogate al
 lavoratore  infortunato,  di  esercitare  l'azione  di  rivalsa  "nei
 confronti   del   datore   di   lavoro  civilmente  responsabile  con
 pregiudizio del diritto dell'infortunato stesso al  risarcimento  del
 danno alla persona non altrimenti risarcito".
    Ritenuto  che  il  fatto  era  configurabile  come  reato e che ne
 conseguiva, ai sensi degli artt. 185 cod. pen., 2049 cod. civ.  e  10
 d.P.R.  30  giugno  1965,  n.  1124,  la responsabilita' civile della
 societa' fallita per i danni subiti dal lavoratore, nonche', ai sensi
 dell'art. 11 del medesimo d.P.R. n. 1124 del  1965,  l'obbligo  della
 medesima  societa'  di rimborsare all'I.N.A.I.L. le somme erogate per
 indennita' e spese accessorie, il  Tribunale  ha  rilevato  che  tali
 erogazioni  erano  superiori alla somma che sarebbe stata liquidabile
 al lavoratore a  titolo  di  risarcimento  del  danno  alla  persona,
 secondo  la  disciplina civilistica in materia di responsabilita' per
 fatto illecito (in particolare, nessun danno  risarcibile  era  stato
 riconosciuto  a  titolo  di  perdita  della capacita' di guadagno, in
 quanto la menomazione subita dal lavoratore aveva si' determinato  la
 sostanziale  impossibilita'  di  riprendere  la  specifica  attivita'
 lavorativa  un  tempo  esercitata  dall'infortunato,  ma  non   aveva
 ripercussioni  sulla  diversa attivita' lavorativa alla quale egli si
 era dedicato dopo l'incidente e che attualmente svolgeva senza  usura
 e senza riduzione della retribuzione).
    Ne  conseguiva  che  l'istituto  poteva  essere ammesso al passivo
 soltanto per tale minore importo, ma per l'integralita' di  esso,  in
 ragione  dell'indirizzo  giurisprudenziale  secondo  cui  il  credito
 dell'I.N.A.I.L. in  via  di  regresso  contro  il  datore  di  lavoro
 civilmente  responsabile trova un limite quantitativo nel complessivo
 ammontare del risarcimento del danno dovuto  all'infortunato  secondo
 le  norme  generali  che  disciplinano  la  responsabilita' per fatto
 illecito, senza  pero'  che  assuma  rilievo  la  diversita'  tra  le
 componenti  del danno oggetto dell'assicurazione contro gli infortuni
 sul lavoro e quelle  del  danno  risarcibile  secondo  la  disciplina
 civilistica e quindi con la possibilita' per l'istituto di avvalersi,
 ai  fini  del  regresso,  anche  delle  somme spettanti al lavoratore
 infortunato  per risarcimento del danno biologico e del danno morale.
 Il lavoratore, d'altro canto, non aveva diritto ad alcun risarcimento
 da parte del datore di lavoro,  in  ragione  dell'art.  10,  sesto  e
 settimo  comma,  del citato d.P.R. n. 1124 del 1965, secondo cui "non
 si fa luogo a risarcimento qualora il giudice  riconosca  che  questo
 non  ascende  a  somma  maggiore dell'indennita' che, per effetto del
 presente decreto, e'  liquidata  all'infortunato  o  ai  suoi  aventi
 diritto",  mentre,  "quando si faccia luogo a risarcimento, questo e'
 dovuto solo per la parte che eccede le indennita' liquidate  a  norma
 degli articoli 66 e seguenti".
    Cio'  posto,  secondo  il  giudice  a quo, la disciplina delineata
 dalle norme impugnate, interpretate in conformita' al diritto vivente
 enunciato dalle pronunzie della Corte di cassazione, non  si  sottrae
 al  dubbio di legittimita' costituzionale, almeno per quanto concerne
 il danno biologico. Quest'ultimo,  infatti,  e'  rappresentato  dalla
 menomazione  dell'integrita'  psicofisica  della persona in se' e per
 se' considerata, in quanto incidente sul valore "uomo"  in  tutta  la
 sua concreta dimensione, che non si esaurisce nella sola attitudine a
 produrre  ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali
 afferenti al soggetto nell'ambiente in cui la  vita  si  esplica.  Il
 danno  biologico  -  osserva il Tribunale - ricomprende quindi in se'
 ragioni  di  pregiudizio  che  esulano  dalla  tutela   previdenziale
 garantita  dal  d.P.R.  n.  1124  del  1965:  quest'ultima,  infatti,
 riguarda   esclusivamente   la   perdita,    totale    o    parziale,
 dell'attitudine  al  lavoro,  determinata  considerando  la riduzione
 della capacita' lavorativa generica, mentre il danno biologico -  pur
 se in esso puo' forse essere fatta confluire anche la riduzione della
 capacita'  lavorativa  - comprende e riassume in se' tutte le ipotesi
 di pregiudizio che possano derivare alla  persona  in  ragione  della
 lesione  subita,  anche prescindendo dalla incidenza sulla attitudine
 al  lavoro.  Orbene,  il   meccanismo   normativo   delineato   dalle
 disposizioni  impugnate  fa  si'  che il lavoratore infortunato possa
 ottenere il pieno ristoro del pregiudizio subito,  anche  per  quanto
 riguarda  il danno biologico, soltanto quando l'ammontare delle somme
 dovute  dal  danneggiante  e   dal   responsabile   civile   all'ente
 previdenziale  a  titolo  di  rivalsa sia inferiore all'ammontare del
 danno civilisticamente considerato. In  caso  contrario,  invece,  il
 danno  biologico  rimane  privo  di  ristoro, essendo prevalente, nel
 sistema legislativo, la finalita' di rimborso all'ente previdenziale.
    Il mancato ristoro del danno biologico - conclude il giudice a quo
 -  si  pone  in  contrasto  con  l'art.  32,   primo   comma,   della
 Costituzione,   che   tutela  la  salute  come  diritto  fondamentale
 dell'individuo, da ricomprendere tra i diritti inviolabili  dell'uomo
 riconosciuti  dall'art. 2. La rivalsa dell'ente previdenziale, per le
 modalita' con cui ne e' disciplinato l'esercizio, si pone inoltre  in
 contrasto  anche  con  l'art. 38, secondo comma: tale norma, infatti,
 assicura al lavoratore mezzi adeguati alle sue esigenze  di  vita  in
 caso   di   infortunio,   ma  tale  previsione  e'  messa  nel  nulla
 dall'esercizio  del   diritto   di   rivalsa   da   parte   dell'ente
 previdenziale  quando  l'esercizio  di  tale  diritto rende meramente
 nominale l'erogazione  dell'indennita'  prevista  ex  lege  a  carico
 dell'ente   previdenziale,  indennita'  che  viene  cosi'  ad  essere
 meramente  anticipata  dall'ente  e  subito  recuperata  sulle  somme
 spettanti   al   lavoratore,  in  quanto  danneggiato,  a  titolo  di
 risarcimento dei danni.
    2.  -  E' intervenuto l'I.N.A.I.L. sostenendo che la questione era
 da dichiarare inammissibile o infondata. In primo luogo, infatti,  il
 diritto di regresso, a differenza del diritto di surroga disciplinato
 dall'art.  1916  codice  civile, e' un diritto proprio, originario ed
 autonomo  dell'I.N.A.I.L.  e  derivante  dal  rapporto  assicurativo.
 Questo  rapporto  coinvolge  tre  distinti soggetti le cui reciproche
 posizioni sono disciplinate con le norme di legge  sull'assicurazione
 obbligatoria   contro   gli   infortuni  sul  lavoro  e  le  malattie
 professionali. Orbene, la previsione di un equilibrio tra le  singole
 posizioni  implicando valutazioni comparate del rapporto tra benefici
 e sacrifici, rientra nell'ambito delle scelte discrezionali  che  non
 possono  essere  sottratte  al  legislatore  ordinario.  La questione
 sollevata  dal  Tribunale  di  Torino  -  afferma  quindi  la  difesa
 dell'I.N.A.I.L. - e' inammissibile.
    In  secondo luogo il diritto di regresso, a differenza dal diritto
 di surroga, non e' volto a far subentrare l'assicuratore nei  diritti
 vantati  dall'assicurato  nei  confronti  del  terzo responsabile del
 sinistro, ma a consentire all'I.N.A.I.L. di ripetere  quanto  erogato
 al  lavoratore infortunato per conto ed in vece del datore di lavoro.
 Il regresso, quindi, disciplina i rapporti interni  tra  assicuratore
 assicurante,  rapporti  ai quali l'infortunato e' estraneo, mentre il
 risarcimento del danno astrattamente a lui dovuto  e'  limitato  alla
 sola  parte eccedente le prestazioni erogate dall'I.N.A.I.L., al fine
 di evitare che per un unico danno il lavoratore infortunato  venga  a
 lucrare un doppio (ed ingiustificato) indennizzo.
    Non   e'   quindi   il  regresso  dell'I.N.A.I.L.  che  limita  il
 risarcimento spettante all'infortunato, ma  e'  quest'ultimo  che  e'
 possibile   solo   per   la   parte  in  cui  eccede  le  prestazioni
 previdenziali, dal momento che l'I.N.A.I.L., erogando la rendita e le
 altre indennita', ha gia' corrisposto al  lavoratore  l'indennizzo  a
 questi dovuto dal datore di lavoro; infatti il diritto di regresso e'
 esercitabile  solo quando l'infortunio, per essere dipeso da un fatto
 costituente reato imputabile al datore di lavoro o ai  dipendenti  di
 esso, dovrebbe essere risarcito direttamente da costui. L'I.N.A.I.L.,
 pertanto,  paga al posto del datore di lavoro solo per assicurare, in
 ogni caso, l'indennizzo al lavoratore. Ne consegue  che  l'azione  di
 regresso  consente all'istituto non di subentrare in quella parte del
 risarcimento del danno spettante all'assicurato e trasferita all'ente
 assicuratore in virtu' del pagamento delle indennita' corrisposte, ma
 di farsi restituire quelle somme  che  il  datore  di  lavoro  doveva
 direttamente  all'infortunato e che l'I.N.A.I.L. ha anticipato in sua
 vece.
    L'I.N.A.I.L. deduce inoltre l'erroneita' della  equiparazione  tra
 le   prestazioni  erogate  dall'istituto  e  il  danno  patrimoniale,
 equiparazione sulla quale si basa invece la tesi, fatta  propria  dal
 giudice  a  quo  secondo cui estendere la rivalsa a voci di danno di-
 verse dalla riduzione della capacita' lavorativa  generica  significa
 espropriare   ingiustificatamente   il   lavoratore  del  diritto  al
 risarcimento del danno biologico.
    L'istituto assicura invece, genericamente, il danno  alla  persona
 del lavoratore e le prestazioni da esso erogate non ristorano solo il
 pregiudizio  patrimoniale  strettamente  inteso,  ma  comprendono, in
 conformita' all'art. 38 della Costituzione, una serie di  provvidenze
 (che   prescindono   dall'effettiva  perdita  di  guadagno  ed  anche
 dall'eventuale concorso di colpa dell'infortunato) le  quali  tendono
 ad  adeguare  l'entita'  dell'indennizzo  alle  esigenze  di vita del
 lavoratore e, in caso di morte, dei suoi familiari. Ne  consegue  che
 e'   del   tutto   ingiustificato   secondo  l'I.N.A.I.L.,  collegare
 l'indennizzo   corrisposto   dall'istituto   agli    stretti    danni
 patrimoniali,  quando invece e' l'intero danno alla persona che viene
 indennizzato,   prescindendo   dalle   singole   voci   di    questo,
 assicurandosi  cosi' quella tutela della salute del lavoratore che e'
 garantita dalla  Costituzione.  Infine,  l'istituto  osserva  che  la
 questione  sollevata  dal  Tribunale di Torino nasce in realta' da un
 equivoco, derivante dalla confusione della  lesione  della  capacita'
 lavorativa con la riduzione del reddito, confusione che ha indotto il
 giudice  a  quo  a  porre nel nulla il risarcimento della incapacita'
 lavorativa generica ovvero a  ritenerla  indennizzabile  quale  danno
 biologico. Del resto la stessa contrapposizione tra danno biologico e
 danno   patrimoniale  sarebbe  erronea,  dal  momento  che  il  danno
 biologico e' risarcibile proprio quale danno patrimoniale.  Ed infine
 non  sarebbe  comprensibile  che  per   un   unico   evento   dannoso
 l'infortunato  venisse ad usufruire di un doppio diritto risarcitorio
 per titoli diversi (indennita' di  legge  a  carico  dell'istituto  e
 risarcimento del danno a carico del responsabile del sinistro).
    3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  che  ha
 concluso  per l'inammissibilita' o la non fondatezza della questione,
 segnalando che la stessa era sostanzialmente identica a quella decisa
 con la sentenza di questa Corte n. 356 del 18 luglio 1991.
                        Considerato in diritto
    1. - La questione di costituzionalita' che la Corte e' chiamata  a
 decidere  ha  per  oggetto  l'art. 10, sesto e settimo comma, nonche'
 l'art. 11, primo e secondo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124.
 Quest'ultima   disposizione,    secondo    la    ormai    consolidata
 interpretazione  giurisprudenziale  - nell'attribuire all'I.N.A.I.L.,
 nei casi previsti dall'art. 10, il diritto  di  regresso,  contro  le
 persone   civilmente   responsabili   del   reato  che  ha  provocato
 l'infortunio,  per  il  recupero  delle  somme  pagate  a  titolo  di
 indennita'  e  delle  spese  accessorie,  nei limiti del risarcimento
 spettante all'infortunato - consente all'istituto di  avvalersi,  per
 la determinazione di tale limite, anche delle somme che l'infortunato
 ha   diritto  di  pretendere  a  titolo  di  risarcimento  del  danno
 biologico;  e  cio'  benche'  la  prestazione  assicurativa   erogata
 corrisponda   soltanto  alla  perdita  o  riduzione  della  capacita'
 lavorativa generica e non  alla  menomazione  dell'integrita'  psico-
 fisica  della  persona,  considerata  in  se'  e  per se' e nella sua
 globalita' e non riguardata soltanto sotto il profilo dell'attitudine
 a produrre ricchezza. Conseguentemente, il sesto ed il settimo  comma
 dell'art.  10  stabiliscono  che,  in  caso  di infortunio sul lavoro
 dipendente  da  reato,  il  lavoratore  assicurato  ha   diritto   al
 risarcimento   del   danno  biologico  non  compreso  nella  garanzia
 dell'assicurazione contro gli infortuni  sul  lavoro  e  le  malattie
 professionali   solo   se  e  solo  nella  misura  in  cui  il  danno
 risarcibile,   calcolato   secondo   i    criteri    civilistici    e
 complessivamente  considerato,  superi  l'ammontare  delle indennita'
 corrisposte dall'I.N.A.I.L..
    I  parametri  che  vengono richiamati per il richiesto giudizio di
 legittimita'  costituzionale  sono  rappresentati  in   primo   luogo
 dall'art.  32,  primo  comma,  della  Costituzione e, in connessione,
 dagli artt. 2, 3 e 38.
    2. - La questione e' fondata.
    Nella recente sentenza n. 356 del 1991, questa Corte,  richiamando
 la  sequenza  concettuale  delineata dalla propria giurisprudenza sul
 tema della tutela risarcitoria del diritto alla salute,  ha  ribadito
 che  il  principio  costituzionale  della  integrale e non limitabile
 tutela risarcitoria del diritto alla salute riguarda prioritariamente
 e indefettibilmente  il  danno  biologico  in  se'  considerato,  che
 sussiste a prescindere dalla eventuale perdita o riduzione di reddito
 e che va riferito alla integralita' dei suoi riflessi pregiudizievoli
 rispetto  a  tutte le attivita', le situazioni e i rapporti in cui la
 persona esplica se' stessa nella propria vita: non soltanto,  quindi,
 con  riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla
 sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva e  ad  ogni
 altro  ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalita', e
 cioe' a tutte "le attivita' realizzatrici della persona umana".
    Sulla base  di  tali  principi,  la  Corte  -  chiamata  allora  a
 giudicare  la  legittimita' costituzionale dell'art. 1916 cod. civ. -
 ha affermato che "allorquando la copertura  assicurativa,  in  virtu'
 delle norme di legge o di contratto che la disciplinano, non abbia ad
 oggetto  il  danno  biologico,  oppure  si  limiti ad indennizzare la
 perdita o riduzione di alcune soltanto delle capacita'  del  soggetto
 (come    avviene    per    l'attitudine    al   lavoro   nel   regime
 dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e  le
 malattie     professionali),     consentire    che    l'assicuratore,
 nell'esercizio del proprio diritto di surroga nei confronti del terzo
 responsabile,  si  avvalga  anche  del  diritto  dell'assicurato   al
 risarcimento  del  danno  biologico  non  coperto  dalla  prestazione
 assicurativa,   significa,   appunto,    sacrificare    il    diritto
 dell'assicurato  stesso all'integrale risarcimento di tale danno, con
 conseguente violazione dell'art. 32 della Costituzione".
    Con riferimento ai parametri cosi' delineati, le norme che oggi la
 Corte e' chiamata a giudicare sono del  tutto  equivalenti  a  quella
 contenuta  nell'art.  1916  cod.  civ.,  sicche'  vale  per quelle il
 medesimo giudizio di incostituzionalita' gia' pronunziato per questa.
    3. - All'equivalenza delle  due  fattispecie  normative  -  per  i
 profili  che qui rilevano - non osta, infatti, la tesi secondo cui il
 diritto di regresso previsto dall'art. 11  del  d.P.R.  n.  1124  del
 1965,  a  differenza  del  diritto di surroga previsto dall'art. 1916
 cod. civ., non e' volto a far subentrare l'assicuratore  nei  diritti
 vantati  dall'assicurato nei confronti del responsabile del sinistro,
 ma  a  consentire  all'I.N.A.I.L.  di  ripetere  quanto  erogato   al
 lavoratore infortunato per conto e in vece del datore di lavoro.
    L'eventuale  possibilita'  di  una diversa ricostruzione dommatica
 del diritto di surrogazione e del diritto di regresso non e', invero,
 comunque  idonea  ad  influire  sul  rapporto  tra   le   norme   che
 disciplinano   l'esercizio   di   tali   diritti   ed   il  principio
 costituzionale della integrale e non limitabile  tutela  risarcitoria
 del  danno biologico, nei sensi esplicitati dalla sentenza n. 356 del
 1991.
    4.  -  Ne'  e'  rilevante la deduzione dell'I.N.A.I.L. secondo cui
 sarebbe erronea l'equiparazione tra prestazioni erogate dall'istituto
 e danno patrimoniale (dato che le prestazioni stesse comprendono,  in
 conformita' all'art. 38 della Costituzione, una serie di provvidenze,
 che   prescindono   dall'effettiva   perdita  di  guadagno  ed  anche
 all'eventuale concorso di colpa dell'infortunato, e  che  tendono  ad
 adeguare   l'entita'   dell'indennizzo   all'esigenza   di  vita  del
 lavoratore e, in caso di sua morte,  dei  suoi  familiari).  Da  tale
 considerazione,  infatti,  non e' possibile inferire - come invece fa
 la difesa dell'I.N.A.I.L. - che e' l'intero danno  alla  persona  che
 viene  indennizzato.  Come  questa  Corte ha gia' sottolineato con la
 citata sentenza n. 356 del 1991, "le indennita' previste  dal  d.P.R.
 n.  1124  del  1965  sono  collegate  e commisurate esclusivamente ai
 riflessi che la menomazione psico-fisica ha sull'attitudine al lavoro
 dell'assicurato, mentre nessun rilievo  assumono  gli  svantaggi,  le
 privazioni e gli ostacoli che la menomazione comporta con riferimento
 agli  altri ambiti e agli altri modi in cui il soggetto svolge la sua
 personalita' nella propria vita".
    5. - Parimenti non conferente in questa sede e' il rilievo secondo
 cui il giudice a quo avrebbe erroneamente confuso  la  lesione  della
 capacita'  lavorativa  con la riduzione del reddito, con il risultato
 di porre nel  nulla  il  risarcimento  della  incapacita'  lavorativa
 generica  ovvero  di  ritenerla indennizzabile quale danno biologico.
 Non spetta alla Corte, in questa  sede,  decidere  se  la  perdita  o
 riduzione   della   capacita'   lavorativa   (generica  o  specifica)
 rappresenti un  danno  risarcibile  anche  quando  non  determini  in
 concreto alcuna perdita di reddito (con conseguente possibilita', per
 l'I.N.A.I.L.  di avvalersi di questo credito risarcitorio ai fini del
 regresso). Quel che la Corte ha affermato e che qui ribadisce e'  che
 il   principio   costituzionale   dell'integrale   e  non  limitabile
 risarcibilita' del danno biologico, implica che l'I.N.A.I.L. non puo'
 avvalersi ai  fini  dell'azione  di  regresso,  delle  somme  che  il
 responsabile  deve all'infortunato a titolo di risarcimento del danno
 biologico non collegato alla  riduzione  o  perdita  della  capacita'
 lavorativa generica.
    6.  -  Le  norme  impugnate  debbono  pertanto  essere  dichiarate
 costituzionalmente illegittime, per  violazione  dell'art.  32  della
 Costituzione,  nella  parte  in  cui non salvaguardano il diritto del
 lavoratore  all'integrale  risarcimento  del  danno   biologico   non
 collegato   alla  perdita  o  riduzione  della  capacita'  lavorativa
 generica.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara la illegittimita' costituzionale  dell'art.  10,  sesto  e
 settimo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nella parte in cui
 prevede  che  il  lavoratore  infortunato o i suoi aventi causa hanno
 diritto, nei confronti delle persone civilmente responsabili  per  il
 reato  da  cui  l'infortunio  e'  derivato, al risarcimento del danno
 biologico non collegato alla  perdita  o  riduzione  della  capacita'
 lavorativa  generica  solo  se  e  solo  nella misura in cui il danno
 risarcibile, complessivamente considerato, superi  l'ammontare  delle
 indennita' corrisposte dall'I.N.A.I.L.;
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  11, primo e
 secondo comma, del d.P.R. 30 giugno 1964, n. 1124, nella parte in cui
 consente all'I.N.A.I.L. di avvalersi, nell'esercizio del  diritto  di
 regresso contro le persone civilmente responsabili, anche delle somme
 dovute  al  lavoratore infortunato a titolo di risarcimento del danno
 biologico non collegato alla  perdita  o  riduzione  della  capacita'
 lavorativa generica.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1991.
                       Il Presidente: CORASANITI
                        Il redattore: SPAGNOLI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 27 dicembre 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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