N. 491 SENTENZA 18 - 27 dicembre 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Impiego pubblico  -  Enti  locali  -  Dirigenti  -  Trattenimento  in
 servizio oltre il sessantacinquesimo e fino al settantesimo anno
 di  eta'  finalizzato al raggiungimento del massimo della pensione -
 Esclusione - Richiamo alla giurisprudenza della Corte
 (sentenza  n.  440/1991)  -  Discrezionalita'  legislativa   -   Non
 fondatezza.
 
 (D.-L.  27  dicembre  1989,  n.  413,  art.  1,  comma  4- quinquies,
 convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1990, n.  37).
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.1 del 4-1-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
    CASAVOLA,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1, quarto
 comma-quinquies, aggiunto dalla  legge  di  conversione  28  febbraio
 1990,  n. 37, al decreto legge 27 dicembre 1989, n. 413 (Disposizioni
 urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato
 e delle categorie ad esse equiparate, nonche' in materia di  pubblico
 impiego), promosso con ordinanza emessa il 24 gennaio 1991 dal T.A.R.
 per  l'Abruzzo  - Sezione distaccata di Pescara, nel ricorso proposto
 da Belmonte Dino contro il Comune di Pescara, iscritta al n. 327  del
 registro  ordinanze  1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 6 novembre 1991 il Giudice
 relatore Francesco Greco;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Belmonte Dino,  direttore  di  divisione,  con  inquadramento
 nella seconda qualifica dirigenziale presso il Comune di Pescara, con
 ricorso  del  5  maggio  1990,  ha  impugnato  dinanzi  al T.A.R. per
 l'Abruzzo - Sezione distaccata di Pescara, il  provvedimento,  datato
 30  aprile  1990, di collocamento a riposo per avere compiuto 65 anni
 di eta' con un'anzianita' utile ai fini pensionistici di 27 anni,  10
 mesi e 15 giorni.
    Il  T.A.R.,  in  accoglimento  di  uno  dei motivi di gravame, con
 ordinanza del 24 gennaio 1991 (R.O. n. 327 del 1991),  ha  sollevato,
 in   riferimento   all'art.   3   della  Costituzione,  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  quarto  comma  quinques,
 aggiunto  al decreto legge n. 413 del 1989 dalla legge di conversione
 28 febbraio 1990, n. 37, perche' non consente ai dirigenti degli enti
 locali di restare in servizio fino al settantesimo anno di  eta'  per
 il  raggiungimento del periodo massimo pensionistico o, comunque, per
 il miglioramento del trattamento pensionistico.
    Ha osservato che sia il d.P.R. 30 giugno  1972,  n.  748,  sia  la
 legge  29  marzo  1983,  n.  93,  pur prevedendo settori del pubblico
 impiego disciplinati da  ordinamenti  specifici,  hanno  operato  una
 stretta equiparazione tra le figure dirigenziali ed hanno evidenziato
 l'effettuazione  di  una  disciplina  unitaria  della  posizione  dei
 dirigenti dello Stato e  di  quelli  ad  essi  assimilabili;  che  la
 descrizione  dei  compiti del dirigente statale contenuta nell'art. 2
 del ricordato d.P.R. n. 748 del 1972 coincide  in  larga  misura  con
 quella  relativa  alle  attribuzioni del dirigente comunale contenuta
 nel d.P.R. 25 giugno 1983, n. 347, la quale si sostanzia in attivita'
 di direzione di strutture amministrative, di studio e di ricerca,  di
 propulsione,   coordinamento,  vigilanza  e  controllo,  al  fine  di
 assicurare la legalita',  la  imparzialita',  la  economicita'  e  la
 speditezza dell'attivita' amministrativa, di partecipazione ad organi
 collegiali, di rappresentanza esterna ecc.
     Considerando  l'omogeneita'  e  la indifferenza della circostanza
 dell'appartenenza del dirigente all'amministrazione statale o locale,
 e la irrilevanza dell'esigenza del buon andamento  degli  uffici  per
 l'attenuazione  che  si  verifica per ogni categoria di dirigenti per
 effetto  dell'eta',  doveva  ritenersi  sussistente  una  irrazionale
 discriminazione  nel  trattamento  dei  dirigenti  locali  rispetto a
 quelli statali onde la violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    1.1 - Nel susseguente giudizio dinanzi a questa Corte  non  vi  e'
 stata la costituzione della parte privata.
    1.2  -  Nel  giudizio  e'  intervenuta l'Avvocatura Generale dello
 Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio  dei  ministri,
 la quale ha sostenuto la infondatezza della questione.
    Ha rilevato che nella fattispecie sono applicabili i principi gia'
 affermati  da questa Corte, secondo cui (sent. nn. 461 del 1989 e 237
 del 1984), una norma derogatoria non puo' essere assunta a  parametro
 della  legittimita'  della regola generale dettata in una determinata
 materia;  che  risulta  irrilevante   il   richiamo   alla   tendenza
 legislativa  verso  l'innalzamento  del  limite di eta' pensionabile,
 tratto dalle varie leggi che si sono susseguite in  materia,  poiche'
 da  essa non puo' dedursi la illegittimita' della regola generale del
 collocamento a riposo al 65› anno di eta'.
    Ha osservato anche che la disciplina  della  materia  e'  affidata
 alla   discrezionalita'  del  legislatore  il  quale,  ispirandosi  a
 valutazioni  di  carattere  politico,  sociale  o   economico,   puo'
 effettuarla  in  maniera  differenziata  senza  che  l'eccezione o la
 deroga renda obbligatoria altra o altre eccezioni a pena  di  sancire
 una violazione dell'art. 3 della Costituzione.
                        Considerato in diritto
    1.  -  La Corte e' chiamata a verificare se l'art. 1, quarto comma
 quinquies aggiunto al decreto legge n. 413 del 1989  dalla  legge  di
 conversione  28 febbraio 1990, n. 37, nella parte in cui non consente
 ai dirigenti degli  enti  locali  di  restare  in  servizio  fino  al
 settantesimo  anno  di eta' per il raggiungimento del massimo livello
 pensionistico  o,  comunque  per  il  miglioramento  del  trattamento
 pensionistico,   violi   l'art.   3   della   Costituzione,   per  la
 discriminazione che crea tra  la  suddetta  categoria  e  quella  dei
 dirigenti civili dello Stato.
    2. - La questione non e' fondata.
    Si  osserva  che  per effetto della legislazione intervenuta negli
 ultimi anni  nella  disciplina  della  dirigenza  degli  enti  locali
 (d.P.R.  25  giugno  1983,  n. 347; d.P.R. 17 settembre 1987, n. 494;
 legge 8 giugno 1990, n. 142) si e'  verificata  una  omogeneita'  tra
 detta  categoria e quella dei dirigenti civili dello Stato, specie in
 relazione alle funzioni attribuite e alle responsabilita' che ad essi
 fanno carico.
    Ma  a  parte  la  considerazione che detta omogeneita' risale solo
 agli  ultimi  tempi  e  che  non  sussisteva  certamente  negli  anni
 anteriori,  si  rileva  che  essa  da  sola  non e' sufficiente a far
 ritenere la dedotta violazione dell'invocato precetto costituzionale.
    Come gia' affermato (sent. n. 440 del 1991),  non  puo'  ritenersi
 regola  generale  valevole per tutti i dipendenti pubblici quella del
 collocamento a riposo a settanta anni.  Resta,  invece,  come  regola
 l'eta' pensionabile fissata a sessantacinque anni e come eccezione il
 suo  prolungamento  fino  a  settanta  anni. E' rimasto allo stato di
 tendenza il prolungamento della detta eta' a settanta anni, essendosi
 il legislatore limitato alla sola enunciazione  della  intenzione  in
 tal senso.
    Invece,   ha   stabilito   delle  deroghe  per  alcune  categorie,
 evidenziandone le ragioni di volta in volta  (necessita'  di  evitare
 sperequazioni   sussistenti   all'interno   della  stessa  categoria,
 opportunita'  di  utilizzare  particolari  esperienze   e   capacita'
 professionali, o di soddisfare peculiari esigenze finanziarie, ecc.).
    Atteso  che la previsione del prolungamento dell'eta' pensionabile
 costituisce una scelta discrezionale del legislatore non  arbitraria,
 ma  sorretta  da  ragionevoli  motivi,  la  questione sollevata e' da
 ritenersi non fondata.
    La soluzione  invocata  e',  invero,  frutto  di  una  valutazione
 discrezionale  e  non  e'  una conseguenza necessaria del giudizio di
 costituzionalita', non dovendo la Corte procedere ad  una  estensione
 logicamente    necessitata    ed    implicita   nella   potenzialita'
 interpretativa  del  contesto  normativo  in  cui  e'   inserita   la
 disposizione impugnata.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  1,  quarto  comma  quinquies,  aggiunto  dalla  legge   di
 conversione  28  febbraio  1990,  n. 37, al decreto legge 27 dicembre
 1989,  n.  413  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di   trattamento
 economico  dei  dirigenti  dello  Stato  e  delle  categorie  ad esse
 equiparate, nonche' in materia di pubblico impiego),  in  riferimento
 all'art. 3 della Costituzione, sollevata dal tribunale amministrativo
 regionale  dell'Abruzzo  -  Sezione  distaccata  di  Pescara,  con la
 ordinanza in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1991.
                       Il presidente: CORASANITI
                          Il redattore: GRECO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 27 dicembre 1991.
                 Il direttore di cancelleria: MINELLI
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