N. 18 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 febbraio 1992
N. 18 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 7 febbraio 1992 (della regione Veneto) Finanza pubblica allargata - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Obbligo delle regioni di iscrivere nei bilanci relativi agli anni 1992, 1993 e 1994 le risorse occorrenti al finanziamento dei rinnovi contrattuali per il triennio 1991-1993, contenendo le stesse entro il limite corrispondente alla differenza tra l'importo derivante dall'applicazione dei tassi programmati di inflazione alla spesa per retribuzioni al personale relativo all'anno 1991 e quello relativo agli oneri per automatismi retributivi - Mancata previsione della copertura finanziaria per detti anni - Mancata correlazione tra i costi determinati dalle scelte statali di politica finanziaria e la dimensione del finanziamento alle regioni - Indebita invasione della sfera di autonomia finanziaria della regione. (Legge 31 dicembre 1991, n. 415, art. 2, undicesimo comma). (Cost., artt. 81 e 119, primo e secondo comma).(GU n.9 del 26-2-1992 )
Ricorso della regione Veneto, in persona del presidente della giunta regionale, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 119 del 24 gennaio 1992 (doc. 1), rappresentata e difesa, coma da proc. spec. rogata dal notaio Maria Luisa Semi di Venezia del 30 gennaio 1992 (rep. n. 85094), dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso l'avv. Luigi Manzi, via Confalonieri 5, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 2, undicesimo comma, della legge 31 dicembre 1991, n. 415, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1992), pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 305 del 31 dicembre 1991, in quanto esso non destina le risorse statali necessarie al finanziamento della spesa relativa al personale regionale - e comunque non ne individua la copertura finanziaria - ed in quanto essa determina la necessaria iscrizione nel bilancio regionale di previsioni di spesa prive di corrispondenza con la spesa effettiva in violazione dell'art. 119, primo e secondo comma, e dell'art. 81 della Costituzione. F A T T O I contratti dei pubblici impiegati e le loro conseguenze finanziarie sono disciplinati in primo luogo - come e' noto - dalla legge quadro n. 93/1983. Questa, all'art. 15, quinto comma, dispone che "all'onere derivante dall'applicazione delle norme concernenti il personale statale si provvede mediante corrispondente riduzione di un apposito fondo, che sara' iscritto nello stato di previsione del Ministero del tesoro, al cui misura sara' annualmente determinata con apposita norma da inserire nella legge finanziaria". Dispone quindi, al comma successivo, che "analogamente provvederanno per i propri bilanci le regioni, le province ed i comuni nonche' gli enti pubblici non economici". Le citate disposizioni prefigurano dunque un sistema in qualche modo parallelo per lo Stato e per gli altri enti, tra i quali le regioni: ma la precisa costruzione del sistema rimane, nella legge quadro, largamente aperta ad una successiva definizione applicativa. Da una parte, in astratto, si sarebbe potuto pensare che, cosi' come per lo Stato la legge finanziaria dispone uno stanziamento di bilancio, il cui importo verra' utilizzato nella previsione della corrispondente spesa, egualmente (o "analogamente" secondo il testo della legge) le regioni avrebbero dovuto con proprio atto costituire e determinare la misura di un apposito fondo, da utilizzare in sede di bilancio per il finanziamento della spesa del proprio personale. Questo meccanismo sarebbe stato perfettamente logico se - cosi' come lo Stato - anche le singole Regioni fossero dalla Costituzione e dalla legislazione rese soggetti autonomi della contrattazione del proprio personale e soggetti autonomi della determinazione delle proprie risorse. Ma cosi' non e', dal momento che - quanto alla contrattazione - essa e' unitaria per le Regioni e per gli enti locali, e soprattutto avviene in sede centrale, sotto la completa ed esclusiva responsabilita' del Governo. Il "costo" del contratto, percio', non e' determinato dalle regioni, ma in sostanza dal Governo stesso, entro gli eventuali limiti di legge. Quanto alle risorse regionali, e' ben noto che esse sono sostanzialmente rigide e predeterminate dalla legge, e che per la maggior parte si tratta di trasferimenti statali. In questo quadro costituzionale e legislativo, l'interpretazione e l'applicazione della legge quadro presero atto della realta', e l'art. 15, ultimo comma, e' stato inteso - anche a seguito di trattative faticose e di informali intese tra Governo e regioni - per quel che poteva solo essere, come una disposizione di carattere meramente contabile, di conferma che la spesa per il personale avrebbe dovuto figurare nel bilancio regionale: fermo restando che sarebbe toccato allo Stato, in sede di legge finanziaria, di provvedere alla copertura del costo del contratto - costo determinato centralmente - mediante la previsione di apposito stanziamento integrativo destinato alle regioni. In altre parole, anche alle regioni (come agli enti locali e ad altri enti) si sarebbe applicato - quanto alla copertura della spesa - il meccanismo dell'art. 14, quinto comma, mentre il sesto comma rimane a sancire che - come e' naturale - il fondo per il personale e' impugnato al bilancio regionale. Cio' trova pieno riscontro, in particolare, nell'art. 2, decimo comma, della legge finanziaria 1989, ove, provvedendosi ad integrare le disposizioni (e le disponibilita') della legge finanziaria del 1988, e' formalmente codificato sul piano del diritto positivo che il fondo statale e' riferito al rinnovo contrattuale "compreso quello delle aziende autonome, dell'universita', degli enti locali, della ricerca e della sanita'". Ed i fondi genericamente stanziati con tale legge finanziaria del 1989 sono poi stati ripartiti tra le diverse destinazioni dal decreto-legge 24 novembre 1990, n. 344 (convertito in legge 23 gennaio 1991, n. 21), il quale ha previsto la ripartizione della somma tra le diverse regioni "in proporzione alle quote attribuite a ciascuna regione per l'anno 1989" a titolo di fondo comune regionale (art. 2, primo comma, lett. a). Le somme cosi' ripartite furono poi assegnate alle singole regioni con decreti del Ministro del tesoro. In definitiva, dal complesso della legislazione vigente si ricava che la procedura di finanziamento dei contratti pubblici passa attraverso i seguenti momenti: a) definizione delle compatibilita' di tutti gli impegni di spesa da destinare al pubblico impiego attraverso i documenti di programmazione economico finanziaria del Governo e dello Stato; b) costituzione, con la legge finanziaria, di un apposito fondo per coprire gli oneri da destinare alla contrattazione collettiva dei diversi comparti nel quadro delle compatibilita' sopra stabilite; c) adozione, da parte del Ministro del tesoro, dei provvedimenti di trasferimento delle risorse alle amministrazioni interessate. Da tali premesse chiaramente risulta la lesione portata ora all'autonomia finanziaria regionale dall'art. 2, undicesimo comma, della legge finanziaria 1992 n. 415/1991, secondo il quale le regioni (accanto ad altri enti pubblici) "provvedono ad iscrivere nei bilanci relativi agli anni 1992, 1993 e 1994 le risorse occorrenti al finanziamento dei rinnovi contrattuali per il triennio 1991-1993", specificando poi (con disposizione, come si dira', di incerto destinatario) che tali risorse sono "da contenere entro il limite corrispondente alla differenza tra l'importo derivante dall'applicazione dei tassi programmati di inflazione .. alla spesa per retribuzioni al personale relativa all'anno 1991 e quello relativo agli oneri per automatismi retributivi". Infatti, dall'insieme delle pur non chiarissime disposizioni pare evincersi da un lato che, a fronte dell'aumento di spesa regionale determinata dal contratto, fa difetto qualunque stanziamento statale; dall'altro che la spesa di cui si fa carico alle regioni ha carattere assolutamente indeterminato. Ma tali disposizioni risultano altresi' costituzionalmente illegittime per le seguenti ragioni di D I R I T T O 1. - Violazione dell'art. 119, primo e secondo comma, della Costituzione. Come sopra esposto, l'art. 2, undicesimo comma, della legge n. 415/1991 prevede che le regioni (e altri enti) iscrivano nei propri bilanci le somme occorrenti per il finanziamento dei rinnovi contrattuali per il triennio 1991-1993, senza disporre alcuna copertura finanziaria di tali spese: le quali in tal modo rimangono addossate al bilancio regionale. Ora, e' ben noto che le regioni - cosi' come la Costituzione e la legislazione ordinaria attualmente le configurano - da un lato non dispongono della potesta' di determinare liberamente il volume delle proprie entrate, dall'altro nemmeno dispongono di una reale autonomia negoziale nel determinare il trattamento economico dei propri impiegati. In particolare, la consistenza economica della contrattazione e' il frutto di valutazioni di compatibilita' economiche e di scelte fondamentalmente governative. Da tale situazione non puo' non derivare un principio di correlazione tra i costi determinati da tali scelte e la dimensione del finanziamento statale alle regioni, che altrimenti si troverebbero prive di mezzi necessari a far fronte alle conseguenze di scelte non proprie. In tal senso, d'altronde, e' la prassi sin qui seguita, secondo quanto esposto in narrativa. Ma si rilevi che la stessa Corte dei conti ha di recente, nella propria relazione al Parlamento, ribadito che "in sede di determinazione degli importi da destinare con la legge finanziaria per i rinnovi dei contratti del pubblico impiego, le relative disponibilita' dovrebbero riferirsi a tutti i comparti compresi nella procedura della legge quadro sul pubblico impiego, con la contestuale provvista dei mezzi finanziari sull'intero arco triennale" (resoconto atti parlamentari, venerdi' 3 dicembre 1991, Commissione V). La lamentata lesione non e' per nulla diminita dalla specificazione, operata dallo stesso undicesimo comma dell'art. 2, secondo la quale le risorse da iscrivere sono "da contenere entro il limite corrispondente alla differenza tra l'importo derivante dall'applicazione dei tassi programmati di inflazione .. alla spesa per retribuzioni al personale relativa all'anno 1991 e quello relativo agli oneri per automatismi retributivi". In primo luogo, infatti, le regioni e gli altri enti interessati (cui la disposizione sembrerebbe grammaticalmente riferirsi) non sono in grado di "contenere" alcunche', dato che, come detto, nel vigente sistema di contrattazione il quadro di compatibilita' economica e' definito e verificato dal Governo. Al piu', dunque, siffatta disposizione puo' valere come direttiva - della cui efficacia l'esperienza induce a diffidare - posta alla futura azione del Governo. Ma infine, in qualunque modo interpretata, e qualunque efficacia si voglia attribuirle, tale disposizione non potrebbe che incidere sulla dimensione dell'impegno economico, senza toccare i meccanismi di finanziamento (o di non finanziamento), la cui legittimita' e' qui contestata. Va piuttosto notato che nel suo insieme, la citata disposizione costringe le regioni ad iscrivere nel proprio bilancio somme non solo prive di copertura in entrata ma altresi' oggettivamente indefinite nella misura, e soprattutto inidonee a finanziare una spesa, la cui reale entita' deriva non dalle direttive della legge finanziaria ma dal contratto che sara' stipulato: e cio' non solo per il 1992, ma persino per il 1993 e il 1994, anni per i quali i costi effettivi del contratto saranno - e' lecito presumere e sperare - abbondantemente noti. Cio' comporta specifica lesione dell'autonomia finanziaria regionale per complessiva irragionevolezza del sistema di finanziamento. 2. - Violazione dell'art. 81 della Costituzione. Si e' gia' sopra considerato che la spesa prevista per le Regioni - e per altri enti - rimane nella legge n. 415/1991 priva di copertura. Ne' varrebbe obbiettare che non essendovi stanziamenti statali, non v'e' obbligo specifico di copertura: dato che non si tratterebbe in tal caso che di una figura di occultamento di un defi- cit pubblico che non potrebbe ad un certo punto non emergere e richiedere interventi statali (sta forse in questa consapevolezza la ragione sostanziale della posizione della Corte dei conti sopra menzionata, rivolta per l'appunto a combattere la formazione di defi- cit occulti). Si aggiunga qui tuttavia che, se, al fine di far salva la legittimita' costituzionale dell'impugnata normativa, si dovesse ritenere che il silenzio del legislatore sul finanziamento statale non altera le regole sin qui vigenti sui meccanismi di finanziamento (e che percio' il finanziamento statale rimane dovuto), in tal caso il difetto della richiesta copertura diverrebbe ancor piu' specifico ed evidente.
Tutto cio' premesso, la ricorrente regione Veneto chiede: voglia l'eccellentissima Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, undicesimo comma, della legge 31 dicembre 1991, n. 415, per violazione degli artt. 119, primo e secondo comma, ed 81 della Costituzione, nei sensi e per le ragioni sopra illus- trate. Avv. prof. Giandomenico FALCON - Avv. Luigi MANZI 92C0169