N. 66 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 gennaio 1992

                                 N. 66
 Ordinanza emessa  il  3  gennaio  1992  dal  pretore  di  Genova  nel
 procedimento  civile  vertente  tra  De  Benedictis  Pasquale e cassa
 nazionale di previdenza ed  assistenza  a  favore  degli  avvocati  e
 procuratori
 Avvocato e procuratore - Previdenza e assistenza sociale - Computo
    della   pensione   in   base   ai   soli  redditi  dichiarati  dai
    professionisti - Esclusione dell'ammontare dei redditi  risultanti
    dai   successivi   accertamenti  svolti  dagli  organi  fiscali  -
    Ingiustificata riduzione  della  pensione  quale  sanzione  ad  un
    comportamento penalmente rilevante dell'assicurato diversamente da
    quanto sancito dalla legge n. 424/1966 per i dipendenti pubblici -
    Incidenza  sul  principio  della  proporzionalita'  ed adeguatezza
    della retribuzione.
 (Legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 2, modificato dalla legge 2
    maggio 1983, n. 175).
 (Cost., artt. 3 e 36).
(GU n.9 del 26-2-1992 )
                              IL PRETORE
    Letti gli atti, osserva quanto segue.
    Il ricorrente, ammesso ad usufruire della pensione di vecchiaia  a
 carico  della  cassa  nazionale  di  previdenza  e assistenza per gli
 avvocati ed i procuratori, lamenta che nella base  di  computo  della
 pensione  stessa  sono  stati  inseriti  i redditi nell'ammontare che
 aveva dichiarato ai fini dell'I.R.Pe.F., e non e'  tenuto  conto  dei
 maggiori  redditi  risultanti  dalla  successiva  definizione con gli
 organi fiscali a seguito di accertmenti svolti da questi ultimi.
    L'ente  convenuto  si  costituisce  e,  pur  non  contestando   le
 circostanze  di  fatto  esposte  nel  ricorso, assume la infondatezza
 della doglianza di controparte, ribadendo che la base di calcolo  per
 il  computo  della pensione va determinata avendo riguardo ai redditi
 dichiarati,  non  a  quelli  eventualmente  accertati  dagli   organi
 fiscali.
    La  tesi svolta dalla cassa convenuta appare condivisibile. Invero
 l'art. 2 della legge n. 576/1980 (parzialmente modificato dalla legge
 n. 175/1983) che stabilisce i criteri di calcolo  della  pensione  di
 vecchiaia,  si  riferisce  -  sia  nella formulazione originaria, sia
 nella successiva - al "reddito professionale dichiarato dall'iscritto
 ai fini dell'I.R.Pe.F." senza alcun accenno  a  successivi  eventuali
 accertamenti.
    Ed  appare  illuminante  il raffronto col primo comma dell'art. 10
 della legge n. 576/1980 (per questa parte non modificato dalla  legge
 n. 175/1983) che nel fissare la base di calcolo per la determinazione
 dei   contributi,  parla  di  reddito  professionale  netto  prodotto
 nell'anno  "quale  risulta  dalla  relativa  dichiarazione  ai   fini
 dell'I.R.PE.F. e dalle successive definizioni.
    Da tale raffronto emerge inequivoca la volonta' del legislatore di
 determinare  secondo  criteri  diversi  rispettivamente  la  base  di
 calcolo  della  pensione  (base  costituita  dai  redditi  dichiarati
 dall'iscritto)  e  la base di calcolo dei contributi (base costituita
 da redditi dichiarati  e  da  quelli  eventualmente  accertati  dagli
 organi fiscali).
    Questo  pretore  solleva di ufficio la questione di illegittimita'
 costituzionale dell'art. 2 della legge n. 576/1980 (modificato  dalla
 legge  n.  175/1983) nella parte in cui limita la base di computo per
 il calcolo della pensione ai soli redditi  dichiarati  escludendo  da
 tale   base   l'ammontare   dei  redditi  risultante  dai  successivi
 accertamenti  svolti  dagli  organi  fiscali   e   dalle   successive
 definizioni con gli stessi.
    Tale  questione  e' rilevante nella presente controversia poiche',
 come si e' gia' visto, il rigetto  della  domanda  attrice  si  fonda
 proprio  sul cennato art. 2 nella parte che limita la fase di computo
 della pensione ai soli redditi dichiarati dall'iscritto alla cassa.
    La questione stessa appare poi non manifestamente infondata per le
 ragioni che seguono.
    La limitazione della  base  di  computo  della  pensione  ai  soli
 redditi  dichiarati  dall'assicurato  (cosi'  come  previsto dal piu'
 volte citato art. 2) non trova giustificazione  nella  corrispondente
 base  contributiva poiche', come si e' gia' visto, ai sensi del primo
 comma dell'art. 10 della legge n. 576/1980 i  contributi  da  versare
 alla  Cassa  sono  determinati  avendo riguardo ai redditi dichiarati
 dall'assicurato ai fini dell'I.R.Pe.F., o risultanti dalle successive
 definizioni.
    Ne' puo' sostenersi  che  la  suddetta  riduzione  della  base  di
 computo  della  pensione  possa  configurarsi  quale risarcimento del
 danno cagionato alla cassa dal ritardo nel versamento dei  contributi
 corrispondenti  alla  differenza  fra  i  redditi  accertati e quelli
 precedentemente dichiarati.
    Se tale ritardo deve ritenersi sussistente, si applica  il  quarto
 comma dell'art. 18 della legge n. 576/1980.
    Secondo quest'ultima norma il ritardo nel pagamento dei contributi
 (ritardo   che   non   derivi   da   omessa,  ritardata  od  infedele
 comunicazione alla  cassa  per  cui  sono  previste  altre  sanzioni)
 comporta  una maggiorazione pari al 15 per cento di quanto dovuto per
 ciascuna scadenza e l'obbligo del pagamento degli interessi  di  mora
 nella stessa misura prevista per le imposte dirette.
    Siffatta   maggiorazione  in  aggiunta  agli  interessi  di  mora,
 costituisce un adeguato ristoro del danno cagionato  alla  cassa  dal
 ritardo nel pagamento dei contributi dovuti dall'assicurato.
    Pertanto  la  riduzione  della  base  di  computo  della  pensione
 (riduzione di cui si duole l'odierno attore), non puo'  giustificarsi
 che  quale  sanzione  nei  confronti dell'iscritto che abbia reso, ai
 fini dell'I.R.Pe.F., una dichiarazione non veritiera. Che tale sia la
 ratio legis e' stato ribadito dal  difensore  della  cassa  convenuta
 nella odierna discussione orale.
    E  proprio  siffatta  sanzione  appare in contrasto con i principi
 sanciti dalla Costituzione.
    La Corte costituzionale  in  diverse  decisioni  ha  ravvisato  un
 contrasto  fra l'art. 36 della Costituzione e le norme che sanciscono
 la perdita o la riduzione della  pensione  quale  ulteriore  sanzione
 conseguente ad un reato.
    La  sentenza  n. 3/1966 della Corte costituzionale - equiparata la
 pensione  ad  una  retribuzione  differita  -  afferma  testualmente:
 "L'art.  36  garantisce  espressamente il diritto ad una retribuzione
 proporzionata alla qualita' e quantita' del  lavoro  prestato  ed  in
 ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla famiglia una
 esistenza libera e dignitosa. E non appare compatibile con i principi
 ispiratori    di    questo    precetto    costituzionale    collegare
 indiscriminatamente (come fa l'art. 28, n.  5,  del  c.p.,  integrato
 dall'art.  29)  per  il personale degli enti pubblici e i loro aventi
 causa, la perdita di tale diritto al fatto che il  titolare  di  esso
 abbia riportato la condanna ad una certa pena detentiva".
    Tali  principi  sono  stati ribaditi da successive decisioni della
 Corte costituzionale (sentenze  nn.  78/1967,  112/1968,  144/1971  e
 25/1972).
    Alla  stregua  di  tali  principi appare evidente il contrasto fra
 l'art. 36 della Costituzione ed una norma (l'art. 2  della  legge  n.
 576/1980  e  successive  modifiche) che, a titolo di sanzione per una
 non veritiera dichiarazione resa ai fini  dell'I.R.Pe.F.,  riduce  il
 trattamento  pensionistico  previsto  per  l'iscritto  alla  cassa di
 previdenza forense.
    Tale contrasto appare ancor piu' grave ove  si  consideri  che  la
 divergenza fra la suddetta dichiarazione ed i successivi accertamenti
 degli  organi fiscali in molti casi puo' derivare da un fatto che non
 integra gli estremi di reato. Siffatta  divergenza  puo'  addirittura
 rescindere dall'intento del dichiarante di evadere parte dell'imposta
 (basti pensare ai casi di evidente errore materiale, o ai casi in cui
 la  divergenza discende da una differente interpretazione delle norme
 fiscali che costituiscono un  settore  dell'ordinamento  sempre  piu'
 intricato e complesso).
    Il  piu'  volte  citato  art.  2 appare in contrasto oltre che con
 l'art. 36 della Costituzione, per le gia' esposte ragioni, anche  con
 l'art. 3, per le considerazioni che seguono.
    In  applicazione  dei principi sanciti dalla sent. n. 3/1966 della
 Corte costituzionale la legge n. 424/1966 ha abrogato le disposizioni
 che prevedevano la perdita o riduzione della pensione  a  seguito  di
 condanna  penale e tale norma, per sua espressa disposizione, " .. si
 applica nei riguardi delle persone diverse dal dipendente dello Stato
 o di altro ente pubblico che a norma delle disposizioni vigenti hanno
 od avevano comunque titolo  alla  pensione  o  ad  altri  trattamenti
 previsti dal precedente art. 1".
    Ora  l'art.  2  piu'  volte citato si pone, nella parte che si sta
 esaminando, in contrasto con  l'art.  3  della  Costituzione  poiche'
 stabilisce  una  irragionevole  disparita'  di  trattamento  fra  gli
 iscritti alla cassa forense e gli altri soggetti titolari di pensione
 cui si riferisce la citata legge n. 426/1966; poiche' solo per questi
 ultimi la riduzione della pensione non puo' essere ricollegata ad  un
 comportamento penalmente rilevante dell'assicurato.
    Del  resto  in  termini del tutto analoghi si sono espresse alcune
 delle gia' richiamate sentenze della Corte costituzionale in ordine a
 quelle normative che prevedevano la privazione  o  diminuzione  della
 pensione  quale  sanzione  accessoria  ed erano rimaste operanti sino
 all'entrata in vigore  della  cennata  legge  n.  426/1966  priva  di
 effetto retroattivo (sent. n. 112/1968; sent. n. 25/1972).
    E  tale  disparita'  di  trattamento appare ancora piu' marcata ed
 irragionevole ove si richiami un rilievo gia' svolto.
    Si e' gia' posto in evidenza  che  la  riduzione  del  trattamento
 pensionistico, prevista dal piu' volte citato art. 2, consegue ad una
 divergenza   -   fra   la   dichiarazione  ai  fini  I.R.Pe.F.,  resa
 dall'iscritto alla cassa  di  previdenza  forense,  ed  i  successivi
 accertamenti  effettuati  dagli  organi  fiscali  - che, in non pochi
 casi, non integra gli estremi di reato.
    Atteso che la cassa di previdenza forense ha pesonalita' giuridica
 di diritto pubblico (art. 1,  legge  8  gennaio  1952,  n.  6),  pare
 opportuno     aggiungere    che    l'eventuale    dichiarazione    di
 incostituzionalita', nei termini  sopra  precisati,  del  piu'  volte
 citato   art.   2,   pur   comportando   l'ampliamento   della   base
 pensionistica, non  si  porrebbe  in  contrasto  con  l'ultimo  comma
 dell'art. 81 della Costituzione.
    Infatti  le  conseguenti  maggiori  spese a carico della cassa non
 sarebbero prive di copertura poiche' come si e' gia'  rilevato  viene
 inserita  nella  fase contributiva quella parte di reddito (pari alla
 differenza fra reddito accertato dagli organi fiscali  e  reddito  in
 precedenza  dichiarato dal titolare) che andrebbe ad ampliare la base
 di computo del trattamento pensionistico.
                               P. Q. M.
    Il pretore dichiara rilevante e non  manifestamente  infondata  la
 questione  di  illegittimita'  dell'art.  2  della  legge n. 576/1980
 (modificato dalla legge n. 175/1983), per contrasto con gli artt. 3 e
 36 della Costituzione, nella parte in cui limita la base  di  computo
 per  il  calcolo della pensione ai soli redditi dichiarati escludendo
 da tale  base  l'ammontare  dei  redditi  risultanti  dai  successivi
 accertamenti   svolti   dagli  organi  fiscali,  e  dalle  successive
 definizioni con gli stessi;
    Sospende il presente giudizio promosso da Pasquale  De  Benedictis
 contro  la  cassa  nazionale  di  previdenza e di assistenza a favore
 degli avvocati e procuratori;
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale;
    Ordina  che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del
 Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti delle  due  Camere
 del Parlamento.
                    Il pretore: (firma illeggibile)
                                   Il cancelliere: (firma illeggibile)
 92C0179