N. 68 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 giugno 1991

                                 N. 68
 Ordinanza emessa il  28  giugno  1991  dal  tribunale  amministrativo
 regionale  della  Calabria, Catanzaro, sul ricorso proposto da Spadea
 Peppino contro commissione di controllo atti della regione Calabria
 Regione Calabria - Personale dirigenziale non inquadrato nella
    massima qualifica  -  Collocamento  a  riposo  al  compimento  del
    sessantacinquesimo   anno   di   eta'  -  Mancata  previsione  del
    trattenimento in servizio fino al settantesimo anno  di  eta'  per
    conseguire  benefici  previdenziali  cosi'  come  stabilito  dalla
    stessa legge regionale per  i  soli  dipendenti  inquadrati  nella
    massima  qualifica  dirigenziale  -  Ingiustificata  disparita' di
    trattamento con incidenza sul diritto ad una adeguata retribuzione
    e sul principio di buon andamento della pubblica amministrazione.
 (Legge regione Calabria 4 maggio 1990, n. 29, articolo unico).
 (Cost., artt. 3, 38 e 97).
(GU n.9 del 26-2-1992 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1427 del  1990
 proposto  da Spadea Peppino rappresentato e difeso dall'avv. Raffaele
 Mirigliani, elettivamente domiciliato presso lo studio del  medesimo,
 in  Catanzaro, viale G. Argento 14 contro la commissione di controllo
 sugli  atti   della   regione   Calabria   rappresentata   e   difesa
 dall'avvocatura  distrettuale  dello  Stato per l'annullamento previa
 sospensiva, del provvedimento del 27 giugno 1990, prot. n. 962,  rep.
 4782,  nonche' di ogni altro atto presupposto, connesso o dipendente,
 con tutte le conseguenze di legge, anche in  ordine  alle  spese  del
 giudizio;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio dell'amministrazione
 resistente;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle  rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Designato  relatore  alla  pubblica  udienza del 28 giugno 1991 il
 dott. Roberto Politi e uditi,  altresi',  l'avv.  Mirigliani  per  il
 ricorrente   e   l'avv.   dello  Stato  Bruni  per  l'amministrazione
 resistente;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Espone  il  ricorrente  come   l'impugnato   provvedimento   abbia
 annullato  il  decreto  del Presidente della giunta regionale n. 1163
 del 18 giugno 1990 in quanto la commissione di controllo ha  ritenuto
 l'applicabilita' dell'istituto della protrazione del servizio fino al
 raggiungimento   del   limite   massimo   e  comunque  non  oltre  il
 settantesimo anno di eta' - ex  art.  61  della  legge  regionale  n.
 9/1975,  integrato dall'articolo unico della legge regionale 4 maggio
 1990, n. 29  -  limitatamente  al  solo  personale  inquadrato  nella
 massima qualifica dirigenziale, identificata con la seconda (ai sensi
 della  legge  regionale n. 34/1984 e delle successive leggi regionali
 n. 14/1988 e n.  30/1990):  mentre  lo  Spadea  e'  risultato  essere
 inquadrato  nella  I  qualifica  dirigenziale  (delib.  n. 4945 del 6
 settembre 1985).
    Avverso tale atto vengono proposti i seguenti motivi di ricorso:
    1. - Violazione e falsa applicazione dell'art. 45 della  legge  10
 febbraio 1953, n. 62. Nella fattispecie verterebbe un'ipotesi di atto
 monocratico  non  equiparabile  a  deliberazione, bensi' di mero atto
 ricognitivo ed esecutivo interno, assimilabile a  normale  ordine  di
 servizio; da tale argomentazione deducendosi la non assoggettabilita'
 a  controllo  e,  conseguentemente,  l'illegittimo  esercizio di tale
 potere nel caso in esame esercitato.
    2. - Violazione e  falsa  applicazione  della  legge  regionale  4
 maggio  1990  n.  29.  Eccesso  di potere per difetto di istruttoria,
 motivazione e dei presupposti. Viene dalla ricorrente negato  che  il
 beneficio  onde  trattasi  possa essere fruito dal solo personale che
 attualmente rivesta la II  qualifica  dirigenziale:  affermandosi  la
 mancata  attuazione della predetta seconda qualifica e la conseguente
 conformazione dell'organico dell'ordinamento degli impieghi regionali
 secondo l'originario testo della legge regionale 28 marzo 1975, n. 9,
 che prevedeva, quale posizione di vertice, la figura  del  "dirigente
 di  settore"  (che  deve quindi essere configurata "massima qualifica
 dirigenziale" ai fini della determinazione dell'eta' di  collocamento
 a riposo).
    Nel   postulare,   in   ragione   di   tale  rivestita  qualifica,
 l'accoglimento   del   ricorso,    con    conseguente    annullamento
 dell'impugnato   atto  di  controllo,  del  medesimo  viene  altresi'
 incidentalmente chiesta  la  sospensione  dell'efficacia,  da  questo
 Tribunale accolta con ordinanza n. 136/1991 del 24 gennaio 1991.
    Per  la  resistente  amministrazione  si  costituisce  in giudizio
 l'avvocatura dello Stato, insistendo per la reiezione del ricorso.
    All'udienza  del  28  giugno  1991  la  causa  viene  ritenuta  in
 decisione.
                             D I R I T T O
    1.  - Deve, in primo luogo, evidenziarsi come la vigente normativa
 applicabile non consenta, ad  avviso  del  collegio,  una  favorevole
 considerazione della censura dal ricorrente dedotta in relazione alla
 pretesa  inassoggettabilita'  a  controllo  dell'atto  -  decreto del
 presidente della giunta regionale  n.  1163  del  18  giugno  1990  -
 avverso  il  cui annullamento ad opera della commissione di controllo
 e' stata proposta la presente impugnativa.
    Tale questione  rivela  carattere  logico-giuridico  pregiudiziale
 rispetto  alla  disamina  del  merito  delle  proposte censure, infra
 evidenziate.
    Giova in proposito rammentare come, in base all'insegnamento della
 Corte  costituzionale  (1›  giugno  1979,  nn.  38  e  39)  risultino
 assoggettati al controllo di legittimita' della commissione tutti gli
 atti   della   regione,  senza  distinzione  in  ordine  alla  natura
 collegiale od individuale dell'organo emanante. In proposito,  assume
 rilievo  il  contenuto sostanziale degli atti monocratici che vengono
 distinti in meramente esecutivi  -  come  tali  non  sottoponibili  a
 controllo  -  e  decisionali,  per  i  quali  vale  invece  l'opposta
 assoggettabilita' al sindacato de quo.
    La  locuzione onnicomprensiva al riguardo adoperata dal pertinente
 referente normativo -  rappresentato  dall'art.  45  della  legge  10
 febbraio  1953,  n.  62 - che il legislatore ha esternato nel termine
 "deliberazioni" (al fine di individuare  gli  atti  da  sottoporre  a
 controllo)  e'  pertanto  comprensiva  di tutte le manifestazioni del
 potere  decisionale  regionale  aventi  fonte  nell'esercizio   della
 potesta'  determinativa  promanante  sia  da organi collegiali che da
 organi individuali a rilevanza  esterna  (quale  e',  ovviamente,  il
 presidente  della  giunta  regionale),  i cui atti non necessitino di
 essere trasfusi in ulteriori deliberazioni giuntali o consiliari.
    Omogeneamente  al  predetto  indirizzo   tracciato   dalla   Corte
 costituzionale,  trovasi allineata la giurisprudenza del consiglio di
 Stato, che con costante orientamento ha ribadito,  al  di  la'  delle
 indicazioni  letterali  ex  art.  45  della  legge  n.  53/1962  (che
 potrebbero  far  propendere  per  la  sindacabilita'  dei  soli  atti
 collegiali,  ove  ad  essi  volesse  ricongiungersi  l'usata  dizione
 "deliberazioni"), la volonta'  del  legislatore  di  assoggettare  al
 controllo  tutti  gli  atti  di  esercizio  del  potere  deliberativo
 (sostanzialmente inteso), indipendentemente dalla natura collegiale o
 monocratica dell'organo emanante (Consiglio di Stato: sezione  IV,  4
 luglio  1978,  n.  701;  sez.  V,  4  maggio 1979, n. 225; sez. VI, 6
 dicembre 1977, n. 1129; sez. IV, 6 febbraio 1984 n. 73).
    Nel rilevare, conclusivamente sul punto, come l'esercizio  di  una
 discrezionale  valutazione  circa  l'interpretazione della disciplina
 relativa all'eta' di collocamento a riposo del personale dirigenziale
 regionale non possa  che  escludere  la  connotabilita'  del  decreto
 presidenziale  onde  trattasi in termini meramente esecutivi, deve il
 collegio  valutare  in  termini  affermativi  l'assoggettabilita'   a
 controllo  del  predetto  atto,  per  l'effetto  respingendo il primo
 motivo di ricorso.
    2. - Con riferimento al secondo motivo di doglianza, che  riguarda
 il  merito della determinazione presidenziale oggetto dell'intervento
 cassatorio dell'organo di controllo censurato  dal  ricorrente,  deve
 fin  d'ora  premettersi  come  il  collegio  ravvisi  nella normativa
 all'uopo  applicabile  gli  estremi  per   sollevare   questione   di
 legittimita' costituzionale.
    2.1.  -  Giova in proposito rammentare come l'articolo unico della
 legge  regionale  4  maggio  1990,  n.  29  consenta  al  "dipendente
 inquadrato  nella  massima  qualifica  dirigenziale,  assunto in data
 anteriore al 6 aprile 1975, che abbia compiuto il  sessantacinquesimo
 anno  di  eta'  senza  aver raggiunto i quaranta anni di servizio" di
 essere "trattenuto, a domanda,  sino  al  raggiungimento  del  limite
 massimo  di  servizio  e  comunque  non oltre il settantesimo anno di
 eta'".
    Il punto  nodale  della  controversia  concernente  l'applicazione
 della  predetta  norma risiede nell'individuazione dei destinatari di
 essa, che la commissione di controllo ha ritenuto di determinare  nel
 personale    inquadrato   nella   massima   qualifica   dirigenziale,
 corrispondente  alla  seconda  qualifica  dirigenziale;  ex  adverso,
 sostenendo il ricorrente come alla mancata attuazione della normativa
 che  ha introdotto differenziate posizioni dirigenziali non possa che
 conseguire una esclusiva considerazione  dell'unitaria  posizione  di
 vertice  prevista  dall'originario  testo  della  legge  regionale n.
 9/1975: per l'effetto ben potendo in  essa  ricomprendersi  anche  il
 medesimo,  come  peraltro  ritenuto dall'annullamento del decreto del
 Presidente della Giunta regionale.
    Un'interpretazione  meramente  letterale  indurrebbe,  invero,   a
 disattendere l'assunto propugnato dal ricorrente.
    L'art.  12  della  legge  regionale  del  22 novembre 1984, n. 34,
 infatti, nel suddividere il personale regionale inquadrato nel  ruolo
 unico  in  una  pluralita'  di  qualifiche  funzionali  -  alle quali
 corrispondono i livelli retributivi precisati dal successivo art.  31
 - individua le distinte posizioni di "dirigente strutture II livello"
 e   "dirigente   strutture   I   livello",   ad   esse   attribuendo,
 rispettivamente, la "II qualifica dirigenziale"  (apicale)  e  la  "I
 qualifica dirigenziale" (sub-apicale).
    Con  il  successivo  art.  21  vengono  specificate,  inoltre,  le
 attribuzioni relative alle due distinte qualifiche  funzionali  nelle
 quali  e'  articolata  la  funzione  dirigenziale: con cio' ricevendo
 ulteriore elemento di conferma l'enunciata differenziazione  di  fig-
 ure,   alle   quali   corrisponde,  lungi  da  una  mera  distinzione
 nominalistica, un diversificato ambito di competenze  e  di  connesse
 responsabilita'.
    Tale  prospettazione  -  con  le  connesse ricadute, in termini di
 giuridica individuazione del significato recato  dalla  normativa  di
 strutturazione  della  funzione dirigenziale regionale - e' del resto
 tenuta ben presente anche nel testo della legge regionale n. 29/1990,
 che esplicitando  i  destinatari  della  consentita  protrazione  del
 servizio  nel  solo  personale  appartenente  alla "massima qualifica
 dirigenziale", con tutta evidenza postula l'esistenza,  e  quindi  la
 piena  vigenza,  di  un  ordinamento  recante  la  previsione  di una
 pluralita' di figure dirigenziali; altrimenti opinando, la  norma  da
 ultimo  richiamata  dovrebbe  ritenersi,  sulla base di un'elementare
 operazione ermeneutica, priva di senso logico,  in  quanto  la  reale
 significativita'  della  specificazione  in  essa  contenuta non puo'
 trovare fondamento in una prevista, unitaria, posizione di dirigente.
    Irrilevante appare, in  proposito,  l'osservazione  che  la  parte
 ricorrente  formula con riferimento alla mancata attuazione (rectius:
 alla mancata piena  attuazione)  dell'ordinamento  dirigenziale,  con
 conseguente  creazione delle differenziate posizioni in esso previste
 ex  art.  12  della  legge  regionale   n.   34/1984:   non   potendo
 evidentemente farsi scaturire da una circostanza di mero fatto, quale
 quella  allegata, la pratica conseguenza di vanificare un disposto di
 legge il quale, nel considerare la sola "massima qualifica", non puo'
 essere inteso in senso diverso da una previa  considerazione  di  una
 necessaria pluralita' di qualifiche dirigenziali.
   Ritenere  che tale postulata inattuazione della conformazione della
 funzione dirigenziale possa sortire una reviviscenza dell'ordinamento
 preesistente,   con   conseguente   compressione   del    significato
 dell'articolo  unico  ex  legge  regionale  n.  29/1990  nel senso di
 ritenere da esso contemplati i  dirigenti  tout  court,  equivale  al
 compimento   di  un'acrobazia  ermeneutica  che  il  tenore  testuale
 dell'applicabile disposizione non appare consentire.
    2.2. - Piuttosto,  la  norma  introdotta  dalla  richiamata  legge
 regionale  non  puo'  ritenersi,  ad  avviso del Collegio, indenne da
 censure sotto il profilo della legittimita'  costituzionale,  proprio
 in  ragione  dell'introdotta  discriminazione da essa contemplata con
 riferimento all'operata selezione, fra tutto il personale  inquadrato
 in posizione dirigenziale, di una sola classe di soggetti individuata
 quale   destinataria   della  consentita  facolta'  di  domandare  la
 protrazione del servizio fino al raggiungimento del limite massimo e,
 comunque, non oltre il compimento del settantesimo anno di eta'.
    Che tale questione rivesta rilevanza ai fini del  decidere  -  non
 potendo  l'incardinato  giudizio  essere  definito  indipendentemente
 dalla risoluzione di essa, giusta quanto previsto dal  secondo  comma
 dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - non appare revocabile
 in  dubbio,  atteso  che  l'ambito di operativita' della norma che si
 intende sottoporre  all'attenzione  della  Corte  appare,  nella  sua
 attuale  configurazione,  del  tutto preclusivo rispetto alla pretesa
 dal ricorrente  fatta  valere;  al  contrario,  potendo  quest'ultima
 incontrare  un ben diverso grado di apprezzamento ove la distinzione,
 dalla legge regionale n. 29/1990  introdotta  con  riguardo  al  solo
 personale  inquadrato  nella  massima qualifica dirigenziale, venisse
 dichiarata non rispondente ai dettami della Carta costituzionale, per
 l'effetto venendo meno l'unico elemento che il  tribunale  remittente
 individua  quale  ostativo  ad  una  favorevole  considerazione della
 richiesta dal ricorrente avanzata.
    La sicura rilevanza della questione, unitamente ai profili di  non
 manifesta   infondatezza,   dei   quali   verra'   fornita   adeguata
 dimostrazione infra, inducono pertanto il collegio ad  avvalersi  dei
 poteri  riconosciuti  dal  terzo  comma  del richiamato art. 23 della
 legge  n.  87/1953,  onde  sollevare  d'ufficio   la   questione   di
 legittimita' costituzionale dell'articolo unico ex legge regionale n.
 29/1990 per contrasto con gli artt. 3, 38 e 97 della Costituzione.
    3.  -  In relazione alla fissazione, in linea generale, del limite
 del sessantacinquesimo anno di eta'  per  il  collocamento  a  riposo
 (d.P.R.  29 dicembre 1973, n. 1092; d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761),
 le deroghe via via introdotte hanno dapprima  riflettuto  l'esigenza,
 contemplata  dal legislatore, di una specifica normazione riservata a
 determinate categorie di pubblici dipendenti, in ragione di  elementi
 di  natura  settoriale  e/o transitoria (si vedano la legge 30 luglio
 1973, n. 477, art. 15, per il  personale  della  scuola;  nonche'  la
 legge  10  maggio  1964, n. 336, richiamata in vigore dall'art. 5 del
 d.-l. 2 luglio 1982 n. 402, convertito in legge 3 settembre 1982,  n.
 627,  per  il  personale  ospedaliero apicale alla data del 16 giugno
 1964), per l'effetto consentendosi la protrazione  del  servizio  (al
 massimo) fino al compimento del settantesimo anno di eta'.
    A fronte della legislazione regionale (segnatamente, delle regioni
 Calabria  e  Campania)  volta  a consentire il raggiungimento di tale
 limite di eta', la Corte  costituzionale  (sentenza  n.  238  del  24
 febbraio-3  marzo  1988) ebbe ad affermare l'inesistenza, nel vigente
 quadro normativo di "un principio consistente nel divieto assoluto di
 mantenere in servizio i dipendenti che abbiano  raggiunto  il  limite
 massimo dell'eta' lavorativa legislativamente fissato"; al contrario,
 rinvenendosi   un   principio  "sufficiente  ..  per  legittimare  il
 legislatore regionale a  determinare  per  i  propri  dipendenti  una
 disciplina   che  prevede  una  deroga  al  limite  di  eta'  per  il
 collocamento a riposo".
    Di particolare rilievo si rivela l'ulteriore argomentazione svolta
 nella predetta pronunzia dalla Corte, la  quale,  ritenendo  prevista
 "nell'ordinamento  legislativo  dello Stato .. anche una possibilita'
 di deroga" all'ordinario  limite  di  collocabilita'  a  riposo  "per
 finalita'   assicurativa   o   previdenziale  di  particolare  pregio
 costituzionale, il contenuto del principio fondamentale vigente nella
 materia in questione deve ritenersi integrato anche da tale possibile
 deroga".
    Per quanto concerne in particolare la costituzionale  legittimita'
 di     regimi     derogatori     rispetto    all'ordinario    termine
 sessantacinquennale  per  il  collocamento  a   riposo,   e'   d'uopo
 sottolineare  la  rilevanza  argomentativa rivestita dalla successiva
 pronunzia della Corte costituzionale  (n.  444  del  26  settembre-12
 ottobre  1990),  che,  nel  dichiarare l'illegittimita' dell'art. 15,
 terzo comma della legge 30 luglio 1973, n. 477 (nella  parte  in  cui
 non  consentiva al personale assunto dopo il primo ottobre 1974 - che
 al  compimento  del  sessantacinquesimo  anno  di  eta'  non   avesse
 raggiunto  il  numero  di anni richiesto per ottenere il minimo della
 pensione - di rimanere in servizio  fino  al  conseguimento  di  tale
 anzianita' minima, e comunque non oltre il settantesimo anno di eta')
 ha  espressamente rinvenuto, nell'estensione ad altre categorie delle
 norme  derogatorie   dettate   per   il   personale   della   scuola,
 un'"evoluzione legislativa tendente a quelle piu' compiuta attuazione
 dell'art.  38,  secondo comma, della Costituzione auspicata da questa
 Corte".
    A completamento  del  succinto  excursus  tracciato,  va  altresi'
 rammentata  l'opzione  ideologica  di  fondo  sottesa  all'evoluzione
 giurisprudenziale della Corte, quale adeguatamente evidenziata  nella
 sentenza  n.  461 del 1989, che, "nella prospettiva di una piu' ampia
 attuazione del diritto garantito dall'art. 38, secondo  comma,  della
 Costituzione",  affermo'  che  "l'interesse  del lavoratore ad essere
 trattenuto in servizio per il tempo necessario al conseguimento della
 pensione" fosse "meritevole di considerazione":  tanto  piu'  che  la
 presunzione  secondo  cui  al  compimento  dei sessantacinque anni si
 pervenga ad una diminuita disponibilita' di energie incompatibile con
 la  prosecuzione  del  rapporto  "e'  destinata  ad  essere  vieppiu'
 inficiata  dai  riflessi  positivi  del  generale miglioramento delle
 condizioni di vita e di salute dei lavoratori nella loro capacita' di
 lavoro".
    4. - A latere del delineato percorso tracciato dagli  orientamenti
 della  Corte costituzionale negli ultimi anni, va segnalata altresi',
 quale non trascurabile referente normativo in relazione alla presente
 vicenda contenziosa, l'emanazione del d.-l. 27 dicembre 1989, n. 413,
 convertito, con modificazioni, in legge  28  febbraio  1990,  n.  37:
 dovendosi in particolare richiamare il disposto di cui all'art. 1, n.
 4-quinquies,  che  ha  esteso  ai  "dirigenti  civili dello Stato" le
 disposizioni recate dall'art. 15, secondo e  terzo  comma,  legge  n.
 477/1973  e  dell'art. 10, sesto comma, del d.-l. 6 novembre 1989, n.
 357, convertito in legge 27 dicembre  1989,  n.  417:  per  l'effetto
 anche  la  predetta  categoria  di  personale statale - omogeneamente
 considerato  -  risultando  ammessa,  in  presenza  delle   richieste
 condizioni,  al  differimento  dal sessantacinquesimo al settantesimo
 anno di eta' della data di collocamento a riposo.
    Quale ulteriore riferimento ad una  indifferenziata  categoria  di
 pubblici   dipendenti,   deve   altresi'   rammentarsi  l'indicazione
 normativa riveniente dall'art. 1 della legge 19 febbraio 1991, n. 50,
 che consente  ai  "primari  ospedalieri  di  ruolo  che  non  abbiano
 raggiunto  il  numero  di  anni  di servizio effettivo necessario per
 conseguire  il  massimo  della  pensione"  di  "chiedere  di   essere
 trattenuti  in  servizio fino al raggiungimento di tale anzianita' e,
 comunque, non oltre il settantesimo anno di eta'".
    5. - Le indicazioni ricavabili  dalle  ricordate  pronunzie  della
 Corte  costituzionale  -  alle  quali  non e' per l'interprete lecito
 sottrarsi ove si ponga il ragionevole dubbio circa la  compatibilita'
 costituzionale  di  norme  di  legge statale o regionale - unitamente
 alle disposizioni legislative da ultimo richiamate, orientano  questo
 collegio  verso  una  valutazione di non manifesta infondatezza della
 questione di legittimita' costituzionale dell'articolo unico ex legge
 regionale n. 29/1990.
    Tale norma irragionevolmente limita il beneficio della  potrazione
 del  servizio al solo personale dirigenziale regionale che rivesta la
 "massima qualifica": conseguentemente dovendosi inferire l'esclusione
 dell'ambito di applicazione della predetta previsione  dei  dirigenti
 inquadrati,  ai  sensi dell'art. 12 della legge regionale 22 novembre
 1984, n. 34, nella prima qualifica (dirigenti strutture  I  livello),
 contrariamente  a quanto previsto dalla legge n. 37/1990, che estende
 il beneficio  onde  trattasi,  in  via  indifferenziata,  a  tutti  i
 dirigenti civili dello Stato.
    La  disposizione  regionale  predetta  appare  confliggere  con le
 seguenti norme costituzionali:
      I) art.  3:  avuto  riguardo  alla  discriminazione,  della  cui
 logicita'  e  razionalita' si ha motivo di dubitare, di fatto operata
 all'interno di una medesima categoria di personale  dirigenziale,  in
 relazione   alla  qualifica  di  inquadramento  rivestita:  dovendosi
 ritenere che l'operata distinzione dei dirigenti in due diverse fasce
 possa  essere  legittimamente  sottesa  ad  esigenze  funzionali   di
 preposizione  a  seguenti organizzativi di differente complessita' ed
 importanza, giammai risultando legittimamente invocabile al  fine  di
 precludere  ad  una  classe  di  dipendenti  la  possibilita'  di una
 protrazione della permanenza in servizio utile  al  conseguimento  di
 un'incrementata  anzianita'  avente  ovvi riflessi sul trattamento di
 quiescenza;
      II) art. 38, secondo comma: in quanto  la  limitazione  al  solo
 personale  avente  la  "massima  qualifica  dirigenziale" (e, quindi,
 l'esclusione  del  personale,   pure   dirigenziale,   di   qualifica
 inferiore)  della  possibilita'  di  incrementare la base stipendiale
 pensionabile, realizzabile attraverso la consentita  protrazione  del
 servizio,  rappresenta  una  violazione  o,  quanto meno, un elemento
 idoneo  a  comportare  una  ingiustificata  minore  effettivita'   di
 garanzia    del   diritto   sociale   alla   pensione,   sub   specie
 dell'integrita' del diritto ad  una  giusta  retribuzione  differita,
 riconosciuto  a  tutti  i  lavoratori  (sent. Corte costituzionale n.
 238/88);
      III) art. 97,  primo  comma:  atteso  che  la  collocabilita'  a
 riposo,  al  compimento  del sessantacinquesimo anno dieta', dei soli
 dirigenti  di  prima  fascia,  viene  a   privare   l'Amministrazione
 dell'esperienza  e  della qualificazione professionale dai dipendenti
 interessati acquisita anche mediante l'impiego di  risorse  destinate
 alla  loro  formazione,  per  l'effetto  venendosi  a determinare una
 distinzione che comporta il solo protratto impiego dei  dirigenti  di
 piu'  elevato  livello,  pur egualmente destinatari, durante il corso
 dell'attivita' lavorativa, di iniziative  volte  ad  incrementarne  i
 livelli  e  le  capacita'  prestazionali,  al  fine  di  un  migliore
 andamento   e   di   un'ottimizzata   efficienza    della    pubblica
 amministrazione.
                               P. Q. M.
    Visti   gli   artt.   134   della   Costituzione,  1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo  1953,
 n. 87;
    Ritenuta  rilevante  e  non manifestamente infondata, in relazione
 agli artt. 3, 38 secondo comma e 97, primo comma, della Costituzione,
 la questione di legittimita' costituzionale  dell'articolo  unico  di
 cui  alla legge della regione Calabria n. 29 del 4 maggio 1990, nella
 parte in cui limita  ai  soli  dipendenti  inquadrati  nella  massima
 qualifica dirigenziale, assunti in data
  anteriore    al   6   aprile   1975,   che   abbiano   compiuto   il
 sessantacinquesimo anno di eta' senza aver raggiunto i quaranta  anni
 di  servizio,  la  possibilita'  di essere trattenuti, in servizio, a
 domanda, sino al raggiungimento del  limite  massimo  di  servizio  e
 comunque  non  oltre  il  settantesimo  anno  di  eta'; per l'effetto
 escludendosi da tale beneficio  il  restante  personale  dirigenziale
 regionale,  non  inquadrato  nella  massima  qualifica;  sospende  il
 giudizio in corso ed ordina la immediata trasmissione degli atti alla
 Corte costituzionale;
    Dispone che a cura della  segreteria  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  a  tutte  le parti in causa ed al Presidente della Giunta
 regionale  della  Calabria,  nonche'  comunicata  al  Presidente  del
 Consiglio regionale della Calabria.
    Cosi' deciso in Catanzaro, nella Camera di consiglio del 28 giugno
 1991.
                      Il presidente: CASTIGLIONE
    Depositata il 30 ottobre 1991.
              Il segretario generale: (firma illeggibile)

 92C0181