N. 68 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 giugno 1991
N. 68 Ordinanza emessa il 28 giugno 1991 dal tribunale amministrativo regionale della Calabria, Catanzaro, sul ricorso proposto da Spadea Peppino contro commissione di controllo atti della regione Calabria Regione Calabria - Personale dirigenziale non inquadrato nella massima qualifica - Collocamento a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' - Mancata previsione del trattenimento in servizio fino al settantesimo anno di eta' per conseguire benefici previdenziali cosi' come stabilito dalla stessa legge regionale per i soli dipendenti inquadrati nella massima qualifica dirigenziale - Ingiustificata disparita' di trattamento con incidenza sul diritto ad una adeguata retribuzione e sul principio di buon andamento della pubblica amministrazione. (Legge regione Calabria 4 maggio 1990, n. 29, articolo unico). (Cost., artt. 3, 38 e 97).(GU n.9 del 26-2-1992 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1427 del 1990 proposto da Spadea Peppino rappresentato e difeso dall'avv. Raffaele Mirigliani, elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo, in Catanzaro, viale G. Argento 14 contro la commissione di controllo sugli atti della regione Calabria rappresentata e difesa dall'avvocatura distrettuale dello Stato per l'annullamento previa sospensiva, del provvedimento del 27 giugno 1990, prot. n. 962, rep. 4782, nonche' di ogni altro atto presupposto, connesso o dipendente, con tutte le conseguenze di legge, anche in ordine alle spese del giudizio; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione resistente; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore alla pubblica udienza del 28 giugno 1991 il dott. Roberto Politi e uditi, altresi', l'avv. Mirigliani per il ricorrente e l'avv. dello Stato Bruni per l'amministrazione resistente; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue; F A T T O Espone il ricorrente come l'impugnato provvedimento abbia annullato il decreto del Presidente della giunta regionale n. 1163 del 18 giugno 1990 in quanto la commissione di controllo ha ritenuto l'applicabilita' dell'istituto della protrazione del servizio fino al raggiungimento del limite massimo e comunque non oltre il settantesimo anno di eta' - ex art. 61 della legge regionale n. 9/1975, integrato dall'articolo unico della legge regionale 4 maggio 1990, n. 29 - limitatamente al solo personale inquadrato nella massima qualifica dirigenziale, identificata con la seconda (ai sensi della legge regionale n. 34/1984 e delle successive leggi regionali n. 14/1988 e n. 30/1990): mentre lo Spadea e' risultato essere inquadrato nella I qualifica dirigenziale (delib. n. 4945 del 6 settembre 1985). Avverso tale atto vengono proposti i seguenti motivi di ricorso: 1. - Violazione e falsa applicazione dell'art. 45 della legge 10 febbraio 1953, n. 62. Nella fattispecie verterebbe un'ipotesi di atto monocratico non equiparabile a deliberazione, bensi' di mero atto ricognitivo ed esecutivo interno, assimilabile a normale ordine di servizio; da tale argomentazione deducendosi la non assoggettabilita' a controllo e, conseguentemente, l'illegittimo esercizio di tale potere nel caso in esame esercitato. 2. - Violazione e falsa applicazione della legge regionale 4 maggio 1990 n. 29. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, motivazione e dei presupposti. Viene dalla ricorrente negato che il beneficio onde trattasi possa essere fruito dal solo personale che attualmente rivesta la II qualifica dirigenziale: affermandosi la mancata attuazione della predetta seconda qualifica e la conseguente conformazione dell'organico dell'ordinamento degli impieghi regionali secondo l'originario testo della legge regionale 28 marzo 1975, n. 9, che prevedeva, quale posizione di vertice, la figura del "dirigente di settore" (che deve quindi essere configurata "massima qualifica dirigenziale" ai fini della determinazione dell'eta' di collocamento a riposo). Nel postulare, in ragione di tale rivestita qualifica, l'accoglimento del ricorso, con conseguente annullamento dell'impugnato atto di controllo, del medesimo viene altresi' incidentalmente chiesta la sospensione dell'efficacia, da questo Tribunale accolta con ordinanza n. 136/1991 del 24 gennaio 1991. Per la resistente amministrazione si costituisce in giudizio l'avvocatura dello Stato, insistendo per la reiezione del ricorso. All'udienza del 28 giugno 1991 la causa viene ritenuta in decisione. D I R I T T O 1. - Deve, in primo luogo, evidenziarsi come la vigente normativa applicabile non consenta, ad avviso del collegio, una favorevole considerazione della censura dal ricorrente dedotta in relazione alla pretesa inassoggettabilita' a controllo dell'atto - decreto del presidente della giunta regionale n. 1163 del 18 giugno 1990 - avverso il cui annullamento ad opera della commissione di controllo e' stata proposta la presente impugnativa. Tale questione rivela carattere logico-giuridico pregiudiziale rispetto alla disamina del merito delle proposte censure, infra evidenziate. Giova in proposito rammentare come, in base all'insegnamento della Corte costituzionale (1 giugno 1979, nn. 38 e 39) risultino assoggettati al controllo di legittimita' della commissione tutti gli atti della regione, senza distinzione in ordine alla natura collegiale od individuale dell'organo emanante. In proposito, assume rilievo il contenuto sostanziale degli atti monocratici che vengono distinti in meramente esecutivi - come tali non sottoponibili a controllo - e decisionali, per i quali vale invece l'opposta assoggettabilita' al sindacato de quo. La locuzione onnicomprensiva al riguardo adoperata dal pertinente referente normativo - rappresentato dall'art. 45 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 - che il legislatore ha esternato nel termine "deliberazioni" (al fine di individuare gli atti da sottoporre a controllo) e' pertanto comprensiva di tutte le manifestazioni del potere decisionale regionale aventi fonte nell'esercizio della potesta' determinativa promanante sia da organi collegiali che da organi individuali a rilevanza esterna (quale e', ovviamente, il presidente della giunta regionale), i cui atti non necessitino di essere trasfusi in ulteriori deliberazioni giuntali o consiliari. Omogeneamente al predetto indirizzo tracciato dalla Corte costituzionale, trovasi allineata la giurisprudenza del consiglio di Stato, che con costante orientamento ha ribadito, al di la' delle indicazioni letterali ex art. 45 della legge n. 53/1962 (che potrebbero far propendere per la sindacabilita' dei soli atti collegiali, ove ad essi volesse ricongiungersi l'usata dizione "deliberazioni"), la volonta' del legislatore di assoggettare al controllo tutti gli atti di esercizio del potere deliberativo (sostanzialmente inteso), indipendentemente dalla natura collegiale o monocratica dell'organo emanante (Consiglio di Stato: sezione IV, 4 luglio 1978, n. 701; sez. V, 4 maggio 1979, n. 225; sez. VI, 6 dicembre 1977, n. 1129; sez. IV, 6 febbraio 1984 n. 73). Nel rilevare, conclusivamente sul punto, come l'esercizio di una discrezionale valutazione circa l'interpretazione della disciplina relativa all'eta' di collocamento a riposo del personale dirigenziale regionale non possa che escludere la connotabilita' del decreto presidenziale onde trattasi in termini meramente esecutivi, deve il collegio valutare in termini affermativi l'assoggettabilita' a controllo del predetto atto, per l'effetto respingendo il primo motivo di ricorso. 2. - Con riferimento al secondo motivo di doglianza, che riguarda il merito della determinazione presidenziale oggetto dell'intervento cassatorio dell'organo di controllo censurato dal ricorrente, deve fin d'ora premettersi come il collegio ravvisi nella normativa all'uopo applicabile gli estremi per sollevare questione di legittimita' costituzionale. 2.1. - Giova in proposito rammentare come l'articolo unico della legge regionale 4 maggio 1990, n. 29 consenta al "dipendente inquadrato nella massima qualifica dirigenziale, assunto in data anteriore al 6 aprile 1975, che abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di eta' senza aver raggiunto i quaranta anni di servizio" di essere "trattenuto, a domanda, sino al raggiungimento del limite massimo di servizio e comunque non oltre il settantesimo anno di eta'". Il punto nodale della controversia concernente l'applicazione della predetta norma risiede nell'individuazione dei destinatari di essa, che la commissione di controllo ha ritenuto di determinare nel personale inquadrato nella massima qualifica dirigenziale, corrispondente alla seconda qualifica dirigenziale; ex adverso, sostenendo il ricorrente come alla mancata attuazione della normativa che ha introdotto differenziate posizioni dirigenziali non possa che conseguire una esclusiva considerazione dell'unitaria posizione di vertice prevista dall'originario testo della legge regionale n. 9/1975: per l'effetto ben potendo in essa ricomprendersi anche il medesimo, come peraltro ritenuto dall'annullamento del decreto del Presidente della Giunta regionale. Un'interpretazione meramente letterale indurrebbe, invero, a disattendere l'assunto propugnato dal ricorrente. L'art. 12 della legge regionale del 22 novembre 1984, n. 34, infatti, nel suddividere il personale regionale inquadrato nel ruolo unico in una pluralita' di qualifiche funzionali - alle quali corrispondono i livelli retributivi precisati dal successivo art. 31 - individua le distinte posizioni di "dirigente strutture II livello" e "dirigente strutture I livello", ad esse attribuendo, rispettivamente, la "II qualifica dirigenziale" (apicale) e la "I qualifica dirigenziale" (sub-apicale). Con il successivo art. 21 vengono specificate, inoltre, le attribuzioni relative alle due distinte qualifiche funzionali nelle quali e' articolata la funzione dirigenziale: con cio' ricevendo ulteriore elemento di conferma l'enunciata differenziazione di fig- ure, alle quali corrisponde, lungi da una mera distinzione nominalistica, un diversificato ambito di competenze e di connesse responsabilita'. Tale prospettazione - con le connesse ricadute, in termini di giuridica individuazione del significato recato dalla normativa di strutturazione della funzione dirigenziale regionale - e' del resto tenuta ben presente anche nel testo della legge regionale n. 29/1990, che esplicitando i destinatari della consentita protrazione del servizio nel solo personale appartenente alla "massima qualifica dirigenziale", con tutta evidenza postula l'esistenza, e quindi la piena vigenza, di un ordinamento recante la previsione di una pluralita' di figure dirigenziali; altrimenti opinando, la norma da ultimo richiamata dovrebbe ritenersi, sulla base di un'elementare operazione ermeneutica, priva di senso logico, in quanto la reale significativita' della specificazione in essa contenuta non puo' trovare fondamento in una prevista, unitaria, posizione di dirigente. Irrilevante appare, in proposito, l'osservazione che la parte ricorrente formula con riferimento alla mancata attuazione (rectius: alla mancata piena attuazione) dell'ordinamento dirigenziale, con conseguente creazione delle differenziate posizioni in esso previste ex art. 12 della legge regionale n. 34/1984: non potendo evidentemente farsi scaturire da una circostanza di mero fatto, quale quella allegata, la pratica conseguenza di vanificare un disposto di legge il quale, nel considerare la sola "massima qualifica", non puo' essere inteso in senso diverso da una previa considerazione di una necessaria pluralita' di qualifiche dirigenziali. Ritenere che tale postulata inattuazione della conformazione della funzione dirigenziale possa sortire una reviviscenza dell'ordinamento preesistente, con conseguente compressione del significato dell'articolo unico ex legge regionale n. 29/1990 nel senso di ritenere da esso contemplati i dirigenti tout court, equivale al compimento di un'acrobazia ermeneutica che il tenore testuale dell'applicabile disposizione non appare consentire. 2.2. - Piuttosto, la norma introdotta dalla richiamata legge regionale non puo' ritenersi, ad avviso del Collegio, indenne da censure sotto il profilo della legittimita' costituzionale, proprio in ragione dell'introdotta discriminazione da essa contemplata con riferimento all'operata selezione, fra tutto il personale inquadrato in posizione dirigenziale, di una sola classe di soggetti individuata quale destinataria della consentita facolta' di domandare la protrazione del servizio fino al raggiungimento del limite massimo e, comunque, non oltre il compimento del settantesimo anno di eta'. Che tale questione rivesta rilevanza ai fini del decidere - non potendo l'incardinato giudizio essere definito indipendentemente dalla risoluzione di essa, giusta quanto previsto dal secondo comma dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - non appare revocabile in dubbio, atteso che l'ambito di operativita' della norma che si intende sottoporre all'attenzione della Corte appare, nella sua attuale configurazione, del tutto preclusivo rispetto alla pretesa dal ricorrente fatta valere; al contrario, potendo quest'ultima incontrare un ben diverso grado di apprezzamento ove la distinzione, dalla legge regionale n. 29/1990 introdotta con riguardo al solo personale inquadrato nella massima qualifica dirigenziale, venisse dichiarata non rispondente ai dettami della Carta costituzionale, per l'effetto venendo meno l'unico elemento che il tribunale remittente individua quale ostativo ad una favorevole considerazione della richiesta dal ricorrente avanzata. La sicura rilevanza della questione, unitamente ai profili di non manifesta infondatezza, dei quali verra' fornita adeguata dimostrazione infra, inducono pertanto il collegio ad avvalersi dei poteri riconosciuti dal terzo comma del richiamato art. 23 della legge n. 87/1953, onde sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo unico ex legge regionale n. 29/1990 per contrasto con gli artt. 3, 38 e 97 della Costituzione. 3. - In relazione alla fissazione, in linea generale, del limite del sessantacinquesimo anno di eta' per il collocamento a riposo (d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092; d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761), le deroghe via via introdotte hanno dapprima riflettuto l'esigenza, contemplata dal legislatore, di una specifica normazione riservata a determinate categorie di pubblici dipendenti, in ragione di elementi di natura settoriale e/o transitoria (si vedano la legge 30 luglio 1973, n. 477, art. 15, per il personale della scuola; nonche' la legge 10 maggio 1964, n. 336, richiamata in vigore dall'art. 5 del d.-l. 2 luglio 1982 n. 402, convertito in legge 3 settembre 1982, n. 627, per il personale ospedaliero apicale alla data del 16 giugno 1964), per l'effetto consentendosi la protrazione del servizio (al massimo) fino al compimento del settantesimo anno di eta'. A fronte della legislazione regionale (segnatamente, delle regioni Calabria e Campania) volta a consentire il raggiungimento di tale limite di eta', la Corte costituzionale (sentenza n. 238 del 24 febbraio-3 marzo 1988) ebbe ad affermare l'inesistenza, nel vigente quadro normativo di "un principio consistente nel divieto assoluto di mantenere in servizio i dipendenti che abbiano raggiunto il limite massimo dell'eta' lavorativa legislativamente fissato"; al contrario, rinvenendosi un principio "sufficiente .. per legittimare il legislatore regionale a determinare per i propri dipendenti una disciplina che prevede una deroga al limite di eta' per il collocamento a riposo". Di particolare rilievo si rivela l'ulteriore argomentazione svolta nella predetta pronunzia dalla Corte, la quale, ritenendo prevista "nell'ordinamento legislativo dello Stato .. anche una possibilita' di deroga" all'ordinario limite di collocabilita' a riposo "per finalita' assicurativa o previdenziale di particolare pregio costituzionale, il contenuto del principio fondamentale vigente nella materia in questione deve ritenersi integrato anche da tale possibile deroga". Per quanto concerne in particolare la costituzionale legittimita' di regimi derogatori rispetto all'ordinario termine sessantacinquennale per il collocamento a riposo, e' d'uopo sottolineare la rilevanza argomentativa rivestita dalla successiva pronunzia della Corte costituzionale (n. 444 del 26 settembre-12 ottobre 1990), che, nel dichiarare l'illegittimita' dell'art. 15, terzo comma della legge 30 luglio 1973, n. 477 (nella parte in cui non consentiva al personale assunto dopo il primo ottobre 1974 - che al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' non avesse raggiunto il numero di anni richiesto per ottenere il minimo della pensione - di rimanere in servizio fino al conseguimento di tale anzianita' minima, e comunque non oltre il settantesimo anno di eta') ha espressamente rinvenuto, nell'estensione ad altre categorie delle norme derogatorie dettate per il personale della scuola, un'"evoluzione legislativa tendente a quelle piu' compiuta attuazione dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione auspicata da questa Corte". A completamento del succinto excursus tracciato, va altresi' rammentata l'opzione ideologica di fondo sottesa all'evoluzione giurisprudenziale della Corte, quale adeguatamente evidenziata nella sentenza n. 461 del 1989, che, "nella prospettiva di una piu' ampia attuazione del diritto garantito dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione", affermo' che "l'interesse del lavoratore ad essere trattenuto in servizio per il tempo necessario al conseguimento della pensione" fosse "meritevole di considerazione": tanto piu' che la presunzione secondo cui al compimento dei sessantacinque anni si pervenga ad una diminuita disponibilita' di energie incompatibile con la prosecuzione del rapporto "e' destinata ad essere vieppiu' inficiata dai riflessi positivi del generale miglioramento delle condizioni di vita e di salute dei lavoratori nella loro capacita' di lavoro". 4. - A latere del delineato percorso tracciato dagli orientamenti della Corte costituzionale negli ultimi anni, va segnalata altresi', quale non trascurabile referente normativo in relazione alla presente vicenda contenziosa, l'emanazione del d.-l. 27 dicembre 1989, n. 413, convertito, con modificazioni, in legge 28 febbraio 1990, n. 37: dovendosi in particolare richiamare il disposto di cui all'art. 1, n. 4-quinquies, che ha esteso ai "dirigenti civili dello Stato" le disposizioni recate dall'art. 15, secondo e terzo comma, legge n. 477/1973 e dell'art. 10, sesto comma, del d.-l. 6 novembre 1989, n. 357, convertito in legge 27 dicembre 1989, n. 417: per l'effetto anche la predetta categoria di personale statale - omogeneamente considerato - risultando ammessa, in presenza delle richieste condizioni, al differimento dal sessantacinquesimo al settantesimo anno di eta' della data di collocamento a riposo. Quale ulteriore riferimento ad una indifferenziata categoria di pubblici dipendenti, deve altresi' rammentarsi l'indicazione normativa riveniente dall'art. 1 della legge 19 febbraio 1991, n. 50, che consente ai "primari ospedalieri di ruolo che non abbiano raggiunto il numero di anni di servizio effettivo necessario per conseguire il massimo della pensione" di "chiedere di essere trattenuti in servizio fino al raggiungimento di tale anzianita' e, comunque, non oltre il settantesimo anno di eta'". 5. - Le indicazioni ricavabili dalle ricordate pronunzie della Corte costituzionale - alle quali non e' per l'interprete lecito sottrarsi ove si ponga il ragionevole dubbio circa la compatibilita' costituzionale di norme di legge statale o regionale - unitamente alle disposizioni legislative da ultimo richiamate, orientano questo collegio verso una valutazione di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'articolo unico ex legge regionale n. 29/1990. Tale norma irragionevolmente limita il beneficio della potrazione del servizio al solo personale dirigenziale regionale che rivesta la "massima qualifica": conseguentemente dovendosi inferire l'esclusione dell'ambito di applicazione della predetta previsione dei dirigenti inquadrati, ai sensi dell'art. 12 della legge regionale 22 novembre 1984, n. 34, nella prima qualifica (dirigenti strutture I livello), contrariamente a quanto previsto dalla legge n. 37/1990, che estende il beneficio onde trattasi, in via indifferenziata, a tutti i dirigenti civili dello Stato. La disposizione regionale predetta appare confliggere con le seguenti norme costituzionali: I) art. 3: avuto riguardo alla discriminazione, della cui logicita' e razionalita' si ha motivo di dubitare, di fatto operata all'interno di una medesima categoria di personale dirigenziale, in relazione alla qualifica di inquadramento rivestita: dovendosi ritenere che l'operata distinzione dei dirigenti in due diverse fasce possa essere legittimamente sottesa ad esigenze funzionali di preposizione a seguenti organizzativi di differente complessita' ed importanza, giammai risultando legittimamente invocabile al fine di precludere ad una classe di dipendenti la possibilita' di una protrazione della permanenza in servizio utile al conseguimento di un'incrementata anzianita' avente ovvi riflessi sul trattamento di quiescenza; II) art. 38, secondo comma: in quanto la limitazione al solo personale avente la "massima qualifica dirigenziale" (e, quindi, l'esclusione del personale, pure dirigenziale, di qualifica inferiore) della possibilita' di incrementare la base stipendiale pensionabile, realizzabile attraverso la consentita protrazione del servizio, rappresenta una violazione o, quanto meno, un elemento idoneo a comportare una ingiustificata minore effettivita' di garanzia del diritto sociale alla pensione, sub specie dell'integrita' del diritto ad una giusta retribuzione differita, riconosciuto a tutti i lavoratori (sent. Corte costituzionale n. 238/88); III) art. 97, primo comma: atteso che la collocabilita' a riposo, al compimento del sessantacinquesimo anno dieta', dei soli dirigenti di prima fascia, viene a privare l'Amministrazione dell'esperienza e della qualificazione professionale dai dipendenti interessati acquisita anche mediante l'impiego di risorse destinate alla loro formazione, per l'effetto venendosi a determinare una distinzione che comporta il solo protratto impiego dei dirigenti di piu' elevato livello, pur egualmente destinatari, durante il corso dell'attivita' lavorativa, di iniziative volte ad incrementarne i livelli e le capacita' prestazionali, al fine di un migliore andamento e di un'ottimizzata efficienza della pubblica amministrazione.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 38 secondo comma e 97, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo unico di cui alla legge della regione Calabria n. 29 del 4 maggio 1990, nella parte in cui limita ai soli dipendenti inquadrati nella massima qualifica dirigenziale, assunti in data anteriore al 6 aprile 1975, che abbiano compiuto il sessantacinquesimo anno di eta' senza aver raggiunto i quaranta anni di servizio, la possibilita' di essere trattenuti, in servizio, a domanda, sino al raggiungimento del limite massimo di servizio e comunque non oltre il settantesimo anno di eta'; per l'effetto escludendosi da tale beneficio il restante personale dirigenziale regionale, non inquadrato nella massima qualifica; sospende il giudizio in corso ed ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata a tutte le parti in causa ed al Presidente della Giunta regionale della Calabria, nonche' comunicata al Presidente del Consiglio regionale della Calabria. Cosi' deciso in Catanzaro, nella Camera di consiglio del 28 giugno 1991. Il presidente: CASTIGLIONE Depositata il 30 ottobre 1991. Il segretario generale: (firma illeggibile) 92C0181