N. 70 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 dicembre 1991

                                 N. 70
 Ordinanza emessa il 9 dicembre 1991 dal tribunale di sorveglianza  di
 Cagliari  nel  procedimento di sorveglianza nei confronti di Bullitta
 Marinella
 Pena - Conversione della pena pecuniaria nella sanzione sostitutiva
    in caso di insolvibilita' del condannato - Previsione di un  tetto
    massimo  di  durata stabilito in un anno di liberta' controllata e
    sei mesi di lavoro sostitutivo - Ritenuta  inadeguatezza  di  tali
    limiti   massimi   a  fronte  di  pene  pecuniarie  economicamente
    rilevanti irrogate per reati particolarmente gravi - Irragionevole
    equiparazione del grosso al piccolo delinquente con incidenza  sul
    principio della funzione rieducativa della pena.
 (Legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 102 e 103).
 (Cost., artt. 2, 3, 24 e 27).
(GU n.9 del 26-2-1992 )
                             IL TRIBUNALE
    Nel  procedimento  di  sorveglianza  per la conversione della pena
 pecuniaria di L. 15.000.000 di  multa  inflitta  con  sentenza  della
 Corte  d'appello  di  Cagliari  del  6 febbraio 1985 nei confronti di
 Bullitta  Marinella  nata  a  Sestu  (Cagliari)  il  18  giugno  1954
 elettivamente  domiciliata  c/o  studio Andrea Biccheddu in Cagliari,
 piazza Galilei, a scioglimento  della  riserva  espressa  all'udienza
 ritualmente  svolta  il  5  dicembre 1991, come da verbale in atti ha
 pronunciato la seguente ordinanza.
    Accertata la insolvibilita' della sig.ra Bullitta  ai  fini  della
 evasione  della pena pecuniaria come risulta dalle informazioni della
 polizia municipale di Cagliari del 15 ottobre 1991 in  atti,  occorre
 procedere  alla  conversione  della  multa nella sanzione sostitutiva
 della liberta controllata.
    Preso atto che con ordinanza del 10 luglio 1991, il magistrato  di
 sorveglianza   di   Napoli   ha   sollevato  d'ufficio  questione  di
 legittimita' costituzionale degli artt. 102  e  103  della  legge  n.
 689/1981  nella  parte  in  cui stabilendo un tetto massimo di durata
 della sanzione sostitutiva applicabile in sede di  conversione  della
 pena pecuniaria appaiono in contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 24 e 27
 della Costituzione.
    Considerato che nel procedimento in esame deve essere applicata la
 disposizione  di  legge  costituente  oggetto della questione rimessa
 alla Corte costituzionale (ordinanza di rimessione  n.  636  Gazzetta
 Ufficiale prima serie speciale n. 41 del 16 ottobre 1991).
    Ritenuta  da  questo  giudice  la  rilevanza  e  la  non manifesta
 infondatezza  della  questione  di  costituzionalita'   sospende   il
 procedimento  in corso e trasmette gli atti alla Corte costituzionale
 facendo proprie le motivazioni addotte nella ordinanza di  rimessione
 del magistrato di sorveglianza di Napoli.
    In  particolare  osserva  che  l'art. 660 del c.p.p. introduce nel
 sistema penal-processuale una disciplina assolutamente  innovativa  e
 garantistica,   giurisdizionalizzando   "in   toto"   la  fase  della
 conversione e/o rateizzazione della pena pecuniaria, con applicazione
 della sanzione  sostitutiva  soltanto  "  previo  accertamento  della
 effettiva insolvibilita' del condannato".
    In presenza di situazioni di insolvenza, ex art. 660, quarto comma
 del codice di procedura penale, il magistrato di sorveglianza, se non
 ritiene  di  dover disporre la rateizzazione " .. con l'ordinanza che
 dispone la conversione  ..  determina  le  modalita'  delle  sanzioni
 conseguenti in osservanza delle norme vigenti".
    Viene,  quindi,  chiamata  in  causa  la  normativa  in materia di
 esecuzione e conversioni di pene  pecuniarie,  disposta  dagli  artt.
 101, 102, 103 e seguenti della legge n. 689/1981.
    Il  primo comma dell'art. 102 della legge n. 689/1981 recita: " ..
 La pena della multa e della ammenda non eseguita  per  insolvibilita'
 del  condannato  si  convertono  nella  liberta'  controllata  per un
 periodo massimo, rispettivamente, di un anno e di sei mesi".
    Il primo comma dell'art. 103 della legge n. 689/1981 recita: "  ..
 Quando le pene pecuniarie devono essere convertite per insolvibilita'
 del  condannato  la durata complessiva della liberta' controllata non
 puo' superare un anno e sei mesi, se la  pena  convertita  e'  quella
 della   multa   e   nove   mesi  se  la  pena  convertita  e'  quella
 dell'ammenda".
    Prescindendo dalle problematiche inerenti la alternativita'  della
 applicazione degli articoli 102 e 103 della legge n. 689/1981, atteso
 che  l'unico  elemento  determinante  atto  ad individuare gli "spazi
 corrispondenti sembra essere l'aggettivo "complessiva", leggi "durata
 complessiva", con riserva di applicabilita' dell'art. 103 della legge
 n. 689/1981 in caso di pluralita'  di  condanne  a  pene  pecuniarie;
 sorvolando,   pertanto,   sulle   molteplicita'   di  interpretazioni
 sull'argomento con l'auspicio comunque, di un  autorevole  intervento
 della  suprema  Corte;  gli articoli 102 e 103 della lege n. 680/1981
 pongono seri dubbi di legittimita' costituzionale, in contrasto con i
 principi di legalita', uguaglianza e umanizzazione della pena,  nella
 parte  in cui fissando un tetto massimo di durata, valido erga omnes,
 non tengono in debita considerazione la entita', rilevanza e gravita'
 della pena pecuniaria in concreto irrogata con sentenza di condanna.
    Restano, invero, superate le perplessita' costituzionali  inerenti
 la  conversione  della  pena  pecuniaria  in  una sanzione, che senza
 essere detenzione, comporta pur sempre una restrizione della liberta'
 personale, vuoi la liberta' controllata, vuoi il lavoro  sostitutivo,
 atteso  che la Corte costituzionale nella sentenza n. 131/1979 non ha
 voluto considerare illegittima ogni forma di conversione,  ma  si  e'
 limitata  a  dichiarare  la  illegittimita'  costituzionale di quella
 particolare configurazione della conversione "retaggio di  concezioni
 arcaiche" contenute nel codice del 1930.
    La  medesima  Corte  nella  sentenza  n. 108/1987 riconosce che la
 legge   n.   689/1981,   realizzata   sulla    base    dell'indirizzo
 costituzionale  espresso  nella  sentenza  n.  131/1979,  attua  quel
 bilanciamento di valori costituzionali,  principio  di  legalita'  ed
 uguaglianza  anche  in carenza di meccanismi di adeguamento alle con-
 crete condizioni economiche del  condannato.  In  effetti  la  Corte,
 nella  sentenza  n.  131/1979,  precisava che, una volta accertata la
 necessita'  della  conversione,  il   rispetto   del   principio   di
 uguaglianza  pur  nella inevitabilita' di misure succedanee alle pene
 pecuniarie non corrisposte di indubbia  maggiore  gravita',  potrebbe
 richiedere  una  riduzione  minima  di  tale  divieto. Il che sarebbe
 soddisfatto con l'agevolazione dell'adempimento della pena pecuniaria
 medesima, leggi rateizzazione, e tetto massimo di durata delle misure
 applicate in sostituzione, lavoro  e  liberta'  controllata,  si'  da
 evitare restrizioni di piu' lungo momento.
    Bilanciamento  di  valori  costituzionali,  attuato nella legge n.
 689/1981, cui il nuovo codice  di  procedura  penale  reca  suffragio
 ulteriore  con  il  disposto  dell'art.  660,  terzo  comma,  laddove
 sancisce   la   necessita'    dell'accertamento    della    effettiva
 insolvibilita'  anche  al  momento della scadenza della singola rata,
 nel caso di pena rateizzata, si' da ricondurre  la  disciplina  della
 conversione della pena rateale alla regola generale.
    Cosi'  ricostituito,  il complesso normativo in tema di esecuzione
 di pena pecuniaria sembra uscire indenne da ogni qualsivoglia attacco
 alla tutela dei valori costituzionali gia' indicati.
    Resta da determinare se la indiscriminata parita'  di  trattamento
 imposta dagli artt. 102 e 103 della legge n. 689/1981 pur in presenza
 di  situazioni  soggettive  ed  oggettive  assolutamente  divergenti,
 connesse a comportamenti consapevoli e non a circostanze contingenti,
 rispetta oggettivamente quei principi di uguaglianza, legalita' della
 pena, tanto conclamati.
    Va  sottolineato,  in  via preliminare, che l'art. 660 del c.c.p.,
 che disciplina il procedimento di conversione della pena  pecuniaria,
 si  innesta  in  un  contesto procedurale inerente l'esecuzione della
 pena, ex art. 655 e seguenti del c.c.p.
    Il procedimento si svolge innanzi il  magistrato  di  sorveglianza
 competente,  ai  sensi  dell'art.  678,  del  c.p.p.  il quarto comma
 dell'art. 660 del c.p.p. precisa che con l'ordinanza che  dispone  la
 conversione,  il  magistrato  di  sorveglianza determina le modalita'
 delle sanzioni conseguenti in osservanza delle norme vigenti. E cio',
 quale esplicita concretizzazione  di  quanto  auspicato  dalla  Corte
 costituzionale  nella  succitata sentenza n. 108/1987, nella parte in
 cui evidenziava nella disciplina precedente, legge n.  689/1981  art.
 55  e  seguenti,  le incongruenze di una distinzione delle fasi della
 conversione - provvedimento di  conversione  e  determinazione  delle
 modalita'  esecutive della sanzione - demandato ad organi diversi, in
 cui la garanzia del contraddittorio  era  inversamente  proporzionale
 all'incidenza  del  provvedimento sui diritti del condannato, essendo
 previsto un procedimento giurisdizionale per la determinazione  delle
 modalita'  di  esecuzione  della  sanzione  sostitutiva,  dinanzi  al
 magistrato di sorveglianza, mentre il  provvedimento  di  concessione
 veniva  emesso  di  ufficio  dal p.m., nella piu' completa assenza di
 ogni garanzia costituzionale.
    Giurisdizionalizzazione,  quindi,  dell'intero   procedimento   di
 conversione   della  pena  pecuniaria,  si  innesta  in  un  contesto
 procedurale inerente l'esecuzione della pena, ex art. 655 e  seguenti
 del c.p.p.
    Il  procedimento  si  svolge innanzi il magistrato di sorveglianza
 competente, ai sensi  dell'art.  578,  del  c.p.p.  il  quarto  comma
 dell'art.  660  del c.p.p. precisa che con l'ordinanza che dispone la
 conversione, il magistrato di  sorveglianza  determina  le  modalita'
 delle sanzioni conseguenti in osservanza delle norme vigenti. E cio',
 quale  esplicita  concretizzazione  di  quanto  auspicato dalla Corte
 costituzionale nella succitata sentenza n. 108/1987, nella  parte  in
 cui evidenziava nella disciplina precedente legge n. 689/1981 art. 55
 e  seguenti,  le  incongruenze  di  una  distinzione delle fasi della
 conversione - provvedimento di  conversione  e  determinazione  delle
 modalita'  esecutive della sanzione - demandato ad organi diversi, in
 cui la garanzia del contraddittorio  era  inversamente  proporzionale
 all'incidenza  del  provvedimento sui diritti del condannato, essendo
 previsto un procedimento giurisdizionale per la determinazione  delle
 modalita'  di  esecuzione  della  sanzione  sostitutiva,  dinanzi  al
 magistrato di sorveglianza, mentre il  provvedimento  di  concessione
 veniva  emesso  di  ufficio  dal p.m., nella piu' completa assenza di
 ogni garanzia costituzionale.
    Giurisdizionalizzazione, quindi, dell'intero procedimento, con  un
 giudizio che si celebra dinanzi al magistrato di sorveglianza gia' al
 momento  della conversione della pena pecuniaria, previo accertamento
 della effettiva insolvibilita' del condannato.
    Giurisdizionalizzazione, pero', che nasce  pur  nell'ambito  della
 esecuzione  di  una  pena,  pur  se  pecuniaria, gia' determinata dal
 giudice della cognizione  e  irrogata  con  sentenza  definitiva.  Il
 magistrato   di   sorveglianza  interviene  con  un  procedimento  di
 sorveglianza  ai  sensi dell'art. 678 del c.p.p., che richiama l'art.
 666 del c.p.p., nel  rispetto,  pero',  della  normativa  vigente  in
 materia di sanzioni sostitutive, leggi artt. 101, 102, 103 e seguenti
 della legge n. 689/1981.
    Il   magistrato   di  sorveglianza,  pertanto,  e'  chiamato  alla
 conversione della pena pecuniaria insoluta, nel rispetto  dei  limiti
 degli  artt.  102  e 103 della legge n. 689/1981, sicche' la liberta'
 controllata o il lavoro sostitutivo imposti, non potranno superare il
 limite massimo, rispettivamente, di un anno  e  di  sei  mesi.  Desta
 pero', quanto meno perplessita', dei limiti e della natura delle pene
 trova  posto  in  altra  parte  del  codice  penale,  vedi  art. 15 e
 seguenti, e in altro momento procedurale, ovvero la cognizione  della
 sentenza di condanna.
    Le  stesse  problematiche inerenti la costituzionalita' delle pene
 pecuniarie, fisse e proporzionali,  attengono,  comunque,  alla  fase
 della  cognizione  e  della condanna, in particolare al momento della
 determinazione della pena; mentre gli artt. 102 e 103 della legge  n.
 689/1z981  operano  nel  campo  proprio  della  esecuzione della pena
 precedentemente determinata.
    E se e' vero,  che  la  giurisdizionalizzazione  della  esecuzione
 della  pena  e' finalizzata in massima parte alla individualizzazione
 della  pena   con   adeguamento   della   stessa   alla   progressiva
 responsabilizzazione  del condannato, come dal dettato della sentenza
 n.  204/1974  della  Corte  di  cassazione,  fonte  della   normativa
 sull'ordinamento  penitenziario  e sulla esecuzione delle misure pre-
 ventive e limitative della liberta', legge n. 354/1975  e  successive
 modifiche.
    Se  e'  vero, come e' vero, che il principio di uguaglianza impone
 di tenere conto della necessita' che,  al  variare  delle  condizioni
 essenziali    valutate   dal   giudice   della   cognizione,   devono
 corrispondere entro i limiti posti dal principio di legalita', quelle
 modificazioni e quegli adattamenti in fase di  esecuzione,  idonei  a
 soddisfare  in  concreto  il  principio  di individualizzazione della
 pena, e' altrettanto verosimile che, nella fase della esecuzione, non
 possono   essere   introdotti   limiti   legislativi,   che   operano
 indipendentemente  e  al  di  la'  di valutazioni strettamente penal-
 processuali e che di fatto,  sottraggono  una  parte  della  pena  al
 vaglio  giurisdizionale. Gli artt. 102 e 103 della legge n. 689/1981,
 varati dal legislatore dal  1981  intervengono,  in  verita',  in  un
 momento   procedurale   in  cui  ben  altri  interventi  legislativi,
 rispondendo ad altrettanta produzione giuridico-costituzionale, hanno
 preferito incentivare l'azione giurisdizionale a garanzia dei diritti
 del condannato in uno alla difesa della collettivita'.
    Limiti che in verita' integrano una sorta di rinunzia dello  Stato
 alla  integrale  soddisfazione di quel "diritto alla pena" piu' volte
 richiamato nella citata sentenza n. 204/1974, in rapporto al quale lo
 Stato sembra disposto  a  subire  restrizioni  soltanto  in  presenza
 giurisdizionale.
    In  effetti,  l'introduzione  nell'ordinamento  di  una  complessa
 normativa, sia pure per tappe successive, ha condotto  alla  concreta
 possibilita'  di  ridefinire,  in  sede  di esecuzione, sia la durata
 della pena  che  le  modalita'  della  sua  esecuzione  con  notevole
 ridimensionamento del principio della inderogabilita' della pena.
    La  stessa  Corte, pero', ha tenuto a precisare, nella sentenza n.
 282/1989 richiamando quanto gia' ribadito nella sentenza n.  204/1974
 che  i  casi  in  cui si viene ad incidere sulla qualita' e quantita'
 della pena, in attuazione della c.d. "pena  costituzionale",  trovano
 nella  legge una solida e ragionevole garanzia giurisdizionale, lungi
 dal  rappresentare   graziose   concessioni   od   effetto   di   una
 ingustificata  rinuncia  dello  Stato alla ulteriore esecuzione della
 pena detentiva.
    Ne' il discorso puo' mutare soltanto perche' si verte in terma  di
 esecuzione di una pena pecuniaria.
    Nessuno  pone in discussione che la pena pecuniaria presenta tutti
 i requisiti propri della  pena,  afflittivita'  e  restrizione,  ne',
 d'altronde, si pone in contrasto con la stessa funzione rieducatrice,
 come  gia'  affermato  dalla  Corte  costituzionale nelle sentenze n.
 12/1966 e n. 67/1963.
    La  considerazione  che  ha  ispirato  l'introduzione  dei  limiti
 previsti  dagli  artt. 102 e 103, ovvero la necessita' di superare le
 perplessita'  costituzionali  insite  nella  conversione  della  pena
 pecuniaria   in   una   sanzione  sostitutiva  di  indubbia  maggiore
 afflittivita', si presenta, nell'attuale sistema  penale-processuale,
 alla  luce degli artt. 660 del c.p.p. e 101 e seguenti della legge n.
 680/1981, dove le garanzie giurisdizionali abbondano e consentono una
 ampia tutela costituzionale in  ogni  momento  dell'esecuzione,  come
 un'isolata ed inutile roccaforte.
    E'   tutto  questo,  anche  a  voler  prescindere  dal  gravissimo
 nocumento che di fatto deriva dall'ottemperanza alle disposizioni  de
 quo per quelle finalita' di prevenzione e difesa sociale, cui la pena
 pur sempre e' indirizzata.
    Non  c'e'  chi  non  vede  quali  vantaggi provengono dall'attuale
 sistema per la delinquenza organizzata, per il  criminale  di  grosso
 calibro,  per  lo  spacciatore,  il  sequestratore, per quei delitti,
 insomma, che nella loro forma piu' grave comportano  la  condanna  in
 una alla reclusione, a pene pecuniarie economicamente rilevanti.
    Tutto  lo  sforzo socio-giuridico-processuale, che e' alla base di
 tali condanne, resta vanificato dall'ossequio doveroso agli artt. 102
 e 103  della  legge  n.  689/1981,  che  con  i  loro  tetti  massimi
 equiparano  il  grosso  delinquente  al  ladro  di biciclette; con il
 risultato di eliminare "in toto" l'incidenza  negativa  di  una  pena
 pecuniaria  che,  altrimenti  eseguita,  in  tutta  la  sua efficacia
 potrebbe avere effetto e conseguentemente  da  non  sottovalutare  o,
 quantomeno, tutte da sperimentare.
    La  questione prospettata appare infine rilevante nel concreto nel
 caso in esame in quanto  dalla  soluzione  che  ad  essa  sara'  data
 dipendera' la possibilita' di dare esecuzione o meno interamente alla
 pena pecuniaria irrogata nella sentenza di condanna.
    Visti   gli   artt.   134  della  Costituzione  e  1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo  1953,
 n. 87 e successive modifiche.
                               P. Q. M.
    Solleva  d'ufficio  la  questione  di  legittimita' costituzionale
 degli artt. 102 e 103 della legge n. 689/1981  per  violazione  degli
 artt.  2,  3,  24 e 27 della Costituzione, nei termini indicati nella
 presente ordinanza;
    Sospende, di conseguenza, il procedimento di sorveglianza a carico
 di Bullitta Marinella;
    Ordina  alla  cancelleria  la  trasmissione  degli atti alla Corte
 costituzionale;
    Dispone,  altresi',  che  copia  della  presente   ordinanza   sia
 notificata  alla  parte,  al  Presidente del Consiglio dei Ministri e
 comunicato ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Cagliari, addi' 9 dicembre 1991
          Il magistrato di sorveglianza: (firma illeggibile)
    Depositato in cancelleria oggi 9 dicembre 1991.
                  Il cancelliere: (firma illeggibile)

 92C0183