N. 74 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 novembre 1991

                                 N. 74
 Ordinanza emessa  l'8  novembre  1991  dal  Pretore  di  Palermo  nel
 procedimento penale a carico di Randazzo Antonina ed altro
 Processo penale - Dibattimento - Assunzione di mezzi di prova su
    disposizione  del  giudice - Subordinazione dell'esercizio di tale
    potere alla preventiva acquisizione delle parti - Violazione delle
    direttive dettate dalla legge delega -  Lesione  dei  principi  di
    eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, della soggezione del
    giudice solo alla legge, della corretta motivazione delle sentenze
    nonche' dell'obbligo di esercizio dell'azione penale.
 (C.P.P. 1988, art. 507).
 (Cost., artt. 3, 76, 101, 111 e 112; legge 16 febbraio 1987, n. 81,
    art. 2, dir. 73).
(GU n.9 del 26-2-1992 )
                              IL PRETORE
    Letti  gli  atti  del  procedimento  penale  n.  1490/91 nel quale
 Randazzo Antonina e Di Maio Emanuele sono imputati:
       a) del reato previsto dagli artt. 110 e 641 del c.p.;
       b) del reato previsto dagli artt.  116  del  r.d.  21  dicembre
 1933, n. 1736, 110, 61, n. 2, del c.p.;
 in Palermo il 21 giugno 1990,
                             O S S E R V A
    Le parti non hanno offerto alcuna prova in ordine al fatto oggetto
 della contestazione di cui al capo A (artt. 110 e 641 del c.p.).
    Infatti,  ne' il pubblico ministero, ne' la parte civile (peraltro
 costituitasi soltanto al dibattimento),  ne',  infine,  gli  imputati
 hanno  richiesto,  nel  termine prescritto a pena di inammissibilita'
 dagli artt. 468 e 567 del c.p.p., l'esame di testimoni in  ordine  al
 fatto storico oggetto della suddetta contestazione.
    Peraltro,  non  era,  in  conseguenza,  piu'  ammissibile  neppure
 l'esame, in qualita' di teste, della persona offesa, dal momento che,
 cosi' come ha avuto modo di rilevare anche la suprema  Corte  con  la
 sentenza  12 luglio 1990 imp. Malena, le disposizioni contenute negli
 artt. 468,  primo  comma,  e  567,  secondo  comma  del  c.p.p.  (che
 impongono,  appunto,  alle  parti,  a  pena  di  inammissibilita', di
 depositare entro un termine perentorio le liste dei testimoni, periti
 e consulenti tecnici) mirano a soddisfare una  esigenza  di  "discov-
 ery",  al  fine  di  evitare prove a sorpresa e consentire alle altre
 parti di chiedere l'ammissione di testi, periti e consulenti  tecnici
 a  prova  contraria,  che,  deve  essere  rispettata  anche quando la
 richiesta di esame testimoniale riguarda la persona offesa dal reato,
 non potendo sopperire,  poi,  alla  mancata  inserzione  nelle  liste
 testimoniali,  la  citazione  della  persona offesa medesima, poiche'
 tale  citazione  e'  destinata  all'adempimento  di  un   dovere   di
 informazione ed ha lo scopo di consentire al soggetto l'esercizio dei
 diritti  e  delle facolta' spettantigli, ma non svolge la funzione di
 garantire la tutela del principio della "discovery".
    In  conseguenza,  quindi,  della  mancata  offerta  di  prove,  il
 giudicante e' privo di qualsiasi conoscenza in  ordine  ai  fatti  di
 causa  e  non  potrebbe motivare adeguatamente la decisione in ordine
 alla contestazione mossa dal pubblico ministero nel presente giudizio
 se non disponendo l'acquisizione d'ufficio di mezzi di prova.
    Senonche', l'art. 507 del c.p.p., consente al giudice di  disporre
 d'ufficio  l'assunzione  di  nuovi  mezzi di prova soltanto quando e'
 terminata l'acquisizione delle  prove  offerte  dalle  parti  e  non,
 quindi,   quando  nessuna  prova  sia  stata  richiesta  dalle  parti
 medesime.
    Tale  interpretazione,  suffragata  inequivocabilmente  dal   dato
 letterale  della  norma,  e' stata costantemente ribadita tanto dalla
 dottrina, quanto dalla giurisprudenza (si veda, in proposito, Cass. 3
 gennaio 1991, n. 30, imp. Ventura che espressamente ha affermato  che
 il  potere, di carattere eccezionale, di cui all'art. 507 del c.p.p.,
 "e' esercitabile solo  al  termine  della  acquisizione  delle  prove
 richieste  dalle parti e non quando nessuna prova sia stata richiesta
 nei  termini  di  cui  all'art.  468  del  c.p.p.")  e  deve   essere
 riconosciuta, quindi, quale "diritto vivente".
    Per  l'effetto,  tuttavia,  il  giudicante  rileva  che appare non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 del citato art. 507 del c.p.p. in riferimento, per un verso, all'art.
 76  della  Costituzione,  sotto il profilo dell'eccesso di delega, e,
 per altro verso, in riferimento agli artt. 3, 101, 111  e  112  della
 Costituzione.
    Ed  invero,  la  direttiva n. 73 della legge di delega 16 febbraio
 1987, n. 81, per la emanazione del nuovo codice di procedura  penale,
 concedendo  al  giudice  piu'  ampi  poteri  di iniziativa probatoria
 rispetto al testo della precedente legge di delega del 1974,  prevede
 espressamente  il  "potere  del  giudice  di disporre l'assunzione di
 mezzi di prova".
    Si  tratta,  quindi,  di  una  direttiva  che  nella  sua   chiara
 formulazione  e'  tale  da  far  ritenere che si intendeva, comunque,
 attribuire al giudice un ampio potere  di  disporre  l'assunzione  di
 mezzi di prova secondo le necessita' evidenziate dal processo.
    Il  Governo,  invece, come si e' visto, ha subordinato l'esercizio
 del potere in questione alla preventiva acquisizione di prove che  e'
 in  facolta'  delle  parti offrire o meno, come si evince dall'inciso
 "Terminata l'acquisizione delle prove .."  e  dall'aggettivo  "nuovi"
 (riferito ai mezzi di prova) contenuti nell'art. 507 del c.p.p.
    Tale  limitazione e la subordinazione all'esercizio di facolta' di
 parte non trovano alcun riscontro nei principi e criteri dettati  dal
 legislatore  delegante  e  risulta,  quindi, arbitraria rispetto alla
 legge di delega sopra richiamata.
    La  norma  in  esame,  peraltro,   puo'   essere   sospettata   di
 incostituzionalita',  come si e' detto, anche sotto altri profili, ed
 in particolare:
       a) in riferimento all'art. 3 della Costituzione che sancisce il
 principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.
    L'esito del processo nei confronti  di  imputati  che  si  trovano
 nella   medesima   posizione   giuridica,   ma   che  sono  giudicati
 separatamente, viene affidato, infatti, ad una decisione  occasionale
 ed  assolutamente discrezionale (per non dire arbitraria) dell'organo
 dell'accusa, il quale, senza alcun  obbligo  di  motivazione  (almeno
 all'interno  del  processo), puo' omettere di richiedere l'ammissione
 di prove, ed, in tal caso, non e' consentito al giudice l'adozione di
 alcun provvedimento (obbligatoriamente motivato - cfr. art. 111 della
 Costituzione  e  125 del c.p.p. -) che possa consentire di recuperare
 una  posizione  di  parita'  processuale  tra  i   cittadini-imputati
 disponendo,  d'ufficio, quelle prove che si appalesano necessarie per
 conoscere del fatto contestato;
       b) in riferimento all'art. 101 della Costituzione, dal  momento
 che  la subordinazione del potere del giudice all'esercizio meramente
 discrezionale di un potere di parte appare violare  il  principio  di
 esclusiva soggezione alla legge del giudice;
       c)  in riferimento all'art. 111 della Costituzione nella misura
 in cui non consente al giudice di pronunciare una  sentenza  motivata
 (sostanzialmente e non soltanto formalmente sulla scorta della totale
 assenza  di  prove  offerte)  di  assoluzione  perche'  il  fatto non
 sussiste o perche' l'imputato non lo ha commesso;
       d) in riferimento,  infine,  all'art.  112  della  Costituzione
 nella  misura  in  cui, di fatto, consente al pubblico ministero (che
 ometta  immotivatamente  di   richiedere   l'ammissione   di   prove)
 l'elusione sostanziale dell'obbligo di esercitare l'azione penale.
    La  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 507 del
 c.p.p.  sopra  evidenziata,  e',  altresi',  rilevante  nel  presente
 processo  (anche  in  relazione  al reato di cui al capo B, stante la
 contestazione della aggravante di cui all'art. 61, n.  2,  del  c.p.)
 perche',  per  la  assoluta mancanza di prove offerte dalle parti, vi
 e', come osservato sopra, la necessita' per il giudicante di disporre
 di ufficio mezzi di prova.
    Conseguentemente, gli atti devono essere immediatamente  trasmessi
 alla Corte costituzionale ed il giudizio deve essere sospeso.
                               P. Q. M.
    Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale  dell'art. 507 del c.p.p., in relazione agli artt. 76,
 3, 101, 111 e 112 della Costituzione della Repubblica italiana e, per
 l'effetto, dispone l'immediata trasmissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale;
    Ordina  che,  a  cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata al presidente del Consiglio dei Ministri, nonche'  che  ne
 sia data comunicazione ai Presidenti delle due camere del Parlamento;
    Sospende  il  procedimento  in  corso  sino alla risoluzione della
 questione di legittimita' costituzionale.
      Palermo, addi' 8 novembre 1991
                         Il pretore: MONTALTO

 92C0187