N. 6 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 21 febbraio 1992

                                 N. 6
 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 21
                             febbraio 1992
                 (della provincia autonoma di Trento)
 Assistenza e beneficenza - Modalita' per la costituzione dei fondi
    speciali per il volontariato presso le regioni -  Disposizioni  di
    attuazione  dell'art. 15 della legge 11 agosto 1991, n. 266 (legge
    quadro sul volontariato), gia' impugnata dalle province di Bolzano
    e Trento con i ricorsi nn. 36 e 37 del 1991, concernenti l'obbligo
    per le regioni e province autonome di  costituire  fondi  speciali
    con  una quota parte delle somme che gli enti creditizi pubblici e
    le casse di risparmio debbono destinare  per  legge  ad  opere  di
    beneficenza  e  di  pubblica  utilita'  al  fine  di  istituire  e
    finanziare centri di servizio a disposizione delle  organizzazioni
    di  volontariato  -  Analitica  disciplina  della costituzione dei
    centri di  servizio  su  iniziativa  degli  enti  locali  e  delle
    organizzazioni di volontariato nonche' del finanziamento specie in
    relazione  agli  aspetti finanziari e contabili - Previsione della
    partecipazione del presidente della giunta provinciale al comitato
    di gestione del fondo speciale ed attribuzione al  presidente  del
    consiglio  provinciale  del  potere  di  nomina  di componenti del
    predetto comitato di gestione - Asserita indebita invasione  della
    sfera di competenza provinciale.
 (Decreto del Ministro del tesoro in data 21 novembre 1991).
 (Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 8, nn. 1, 4, 25 e 29; 9, n. 10;
    16 e titolo sesto).
(GU n.11 del 11-3-1992 )
   Ricorso  per  conflitto di attribuzioni della provincia autonoma di
 Trento, in persona del presidente della giunta provinciale sig. Mario
 Malossini, autorizzato con delibera della giunta provinciale  n.  846
 del  3  febbraio  1992,  rappresentato e difeso dagli avvoccati prof.
 Valerio Onida e Gualtiero Rueca, ed elettivamente domiciliato  presso
 quest'ultimo  in  Roma,  largo della Gancia 1, per mandato speciale a
 rogito del notaio dott. Pierluigi Mott di Trento in data  6  febbraio
 1992,  n.  57289  di  rep.,  contro  il  presidente del Consiglio dei
 ministri pro-tempore,  in  relazione  al  decreto  del  Ministro  del
 tesoro, emesso di concerto con il Ministro per gli affari sociali, in
 data  21  novembre  1991,  recante "modalita' per la costituzione dei
 fondi speciali per il volontariato  presso  le  regioni",  pubblicato
 nella Gazzetta Ufficiale n. 292 del 13 dicembre 1991.
    L'art.  15  della  legge 11 agosto 1991, n. 266 ("legge quadro sul
 volontariato") prevede che gli enti creditizi pubblici  ristrutturati
 ai sensi del d.lgs. 20 novembre 1990, n. 336, primo comma, nonche' le
 Casse   di  risparmio  fino  a  quando  non  abbiano  proceduto  alle
 operazioni di ristrutturazione di cui e  detto  d.lgs.  n.  356/1990,
 secondo  comma,  debbano  destinare,  rispettivamente,  una quota non
 inferiore a un quindicesimo  dei  propri  proventi  non  vincolati  a
 riserva  per  aumenti  di capitale delle societa' esercenti l'impresa
 bancaria (art. 12, lett. d, d.lgs. n. 356 cit.), e una  quota  di  un
 decimo  delle somme destinate per legge ad opere di beneficienza e di
 pubblica utilita', alla "costituzione di  fondi  speciali  presso  le
 regioni  al  fine  di  istituire,  per  il tramite degli enti locali,
 centri  di  servizio   a   disposizione   delle   organizzazioni   di
 volontariato,  e  da  queste gestiti, con la funzione di sostenerne e
 qualificarne l'attivita'".
    Le modalita' di attuazione di  tali  norme  sono  demandate  a  un
 decreto interministeriale (terzo comma).
    Peraltro  l'art.  16  della  legge,  con norma di incerta portata,
 stabilisce che "fatte salve le competenze  delle  Regioni  a  statuto
 speciale  e  delle  Province autonome di Trento e Bolzano, le Regioni
 provvedono ad emanare  o  adeguare  le  norme  per  l'attuazione  dei
 principi  contenuti  nella  presente  legge  entro un anno dalla data
 della sua entrata in vigore".
    L'art. 15 della legge,  unitamente  ad  altre  disposizioni  della
 medesima,  e'  stato oggetto di impugnazione da parte della Provincia
 esponente, in quanto vincola specificamente la destinazione di  fondi
 pubblici  destinati  ad  attivita'  fondamentalmente  di assistenza e
 beneficienza, e comunque di competenza provinciale, e soprattutto  in
 quanto   destina  tali  somme,  fatte  affluire  sui  fondi  speciali
 costituiti presso le regioni e le province autonome, al finanziamento
 di "centri di servizio" aventi la funzione di sostenere e qualificare
 l'attivita'  delle  organizzazioni  di  volontariato,  ma   posti   a
 disposizione   delle  organizzazioni  di  volontariato  e  da  questa
 gestiti, e quindi sottratti ad ogni reale controllo  da  parte  delle
 regioni  e  province  autonome;  attribuendo  infine  ad  un  decreto
 ministeriale il compito di dettare le  modalita'  attuative  di  tali
 norme.
    Il  ricorso  (iscritto  al n. 37/91) e' stato discusso all'udienza
 del 21 gennaio 1992, ma la decisione della Corte non e' stata  ancora
 pubblicata.
    Nel frattempo e' stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il d.m.
 21  novembre  1991,  recante "modalita' per la costituzione dei fondi
 speciali per il volontariato presso le regioni".
    Tale decreto stabilisce anzitutto (art. 1) che  le  somme  di  cui
 all'art.  15 della legge siano destinate per il 50% al fondo speciale
 costituito presso la Regione ove gli istituti di credito  hanno  sede
 legale;  per  il  restante  50%  "ad uno o piu' altri fondi speciali,
 scelti liberamente  dai  suddetti  enti  e  casse".  La  ripartizione
 percentuale  delle  somme  e'  effettuata in sede di approvazione del
 bilancio preventivo o del bilancio di esercizio.
    L'art. 2 del decreto stabilisce poi che "presso  ogni  regione  e'
 istituito  un  fondo  speciale"  nel  quale  "sono contabilizzati gli
 importi segnalati" dagli istituti di credito.  Tuttavia  "tali  somme
 costituiscono  patrimonio  separato  avente speciale destinazione, di
 pertinenza  degli  stessi  enti  e  casse",   e   sono   "disponibili
 esclusivamente per i centri di servizio" primo comma.
    Ogni  fondo  speciale e' amministrato da un "comitato di gestione"
 secondo comma, formato dal presidente della giunta regionale o un suo
 delegato; quattro rappresentanti delle organizzazioni di volontariato
 "maggiormente  presenti  nel  territorio  regionale",  nominati   dal
 Presidente del Consiglio regionale; un membro nominato dagli istituti
 di credito, in ragione di uno per ogni settimo del totale delle somme
 destinate  al  fondo speciale (cfr. quinto comma); un membro nominato
 dall'associazione fra le casse di risparmio  italiano  individuandolo
 in  un rappresentante di uno fra gli istituti che abbiano contribuito
 al fondo  e  privilegiando,  anche  con  criteri  di  rotazione,  gli
 istituti  che, pur avendo contribuito, non hanno titolo a nominare un
 proprio membro (cfr. sesto comma).
    Il comitato di gestione, ai sensi del quarto  comma  dello  stesso
 art.  2, riceve le istanze per la istituzione dei centri di servizio,
 e, d'intesa con l'ente  locale  interessato,  istituisce  i  medesimi
 centri  di  servizio, istituisce e pubblicizza l'elenco regionale dei
 centri di servizio; riceve i rendiconti  dei  centri  medesimi  e  ne
 verifica   le   regolarita'  nonche'  la  conformita'  ai  rispettivi
 regolamenti.
    L'art. 3 del decreto  disciplina  la  istituzione  dei  centri  di
 servizio;  su  richiesta  degli  enti  locali,  o  di  almeno  cinque
 organizzazioni di volontariato, o degli istituti di credito  o  delle
 federazioni  di  volontariato,  avanzata  al comitato di gestione del
 fondo  tramite  l'ente  locale,  detto  comitato  iscrive  il  centro
 nell'elenco   regionale,   previo   accertamento   che   esso  sia  o
 un'organizzazione di volontariato iscritta  nel  registro  regionale,
 oppure una fondazione riconosciuta "ovvero altro soggetto autonomo di
 imputazione  di  rapporti  giuridici",  il  cui  statuto  preveda  lo
 svolgimento  di  attivita'   a   favore   delle   organizzazioni   di
 volontariato.
    Il   funzionamento  dei  centri  di  servizio  (quarto  comma)  e'
 disciplinato  da  apposito   regolamento   approvato   dagli   organi
 competenti  dei  soggetti  che  ne  hanno  chiesto  l'istituzione,  e
 ispirato ai principi sanciti dall'art. 3, secondo comma, della  legge
 (assenza   di   fini   di   lucro,  democraticita'  della  struttura,
 elettivita' e gratuita' delle cariche  associative,  gratuita'  delle
 prestazioni fornite dagli aderenti, ecc.).
    L'art. 4 del decreto stabilisce che "i centri di servizio hanno lo
 scopo  di  sostenere  e  qualificare l'attivita' di volontariato" e a
 tale fine erogano le proprie prestazioni sotto  forma  di  servizi  a
 favore  delle  organizzazioni  di volontariato, e in particolare " a)
 approntano strumenti e iniziative per la crescita della cultura della
 solidarieta', la promozione di nuove iniziative di volontariato e  il
 rafforzamento di quelle esistenti; b) offrono consulenza e assistenza
 qualificata  nonche'  strumenti  per  la  progettazione, l'avvio e la
 realizzazione di specifiche  attivita';  c)  assumono  iniziative  di
 formazione   e   qualificazione   nei  confronti  degli  aderenti  ad
 organizzazioni di volontariato;  d)  offrono  informazioni,  notizie,
 documentazioni  e  dati  sulle  attivita'  di  volontariato  locale e
 nazionale".
    L'art. 5 stabilisce che gli istituti di credito depositano  presso
 enti  creditizi  da  loro  scelti,  a  favore  di  ciascun  centro di
 servizio, gli importi di rispettiva pertinenza comunicati annualmente
 dal comitato di gestione del fondo; i centri di servizio prelevano le
 somme  necessarie  al  proprio  funzionamento,  redigendo  rendiconti
 preventivi  (sic  |)  e consuntivi, trasmessi al comitato di gestione
 competenze per territorio, mentre i proventi provenienti  da  diversa
 fonte sono autonomamente amministrati.
    L'art.  6 stabilisce che "le regioni a statuto speciale e le prov-
 ince  autonome  di  Trento  e  Bolzano  disciplinando   con   proprio
 provvedimento,  tenendo conto delle rispettive realta' locali, quanto
 previsto nei precedenti artt. 2, 3, 4 e 5, nel rispetto dei  principi
 contenuti  nella  legge  n.  266/1991  e dei criteri risultanti dalle
 norme del presente decreto".
    L'art. 7 detta disposizioni transitorie.
    Il decreto in questione non solo rinnova la lesione dell'autonomia
 provinciale gia' discendente dall'art. 15  della  legge,  ma  risulta
 autonomamente lesivo di tale autonomia, per i suoi contenuti in larga
 parte  non  conformi nemmeno alle disposizioni di legge, e quindi non
 sorretti da idonea base legislativa.
    Si pone, preliminarmente, il problema della portata da  attribuire
 al  citato  art.  6 del decreto, da cui risulta che esso non e', come
 tale, direttamente applicabile (o quanto meno vincolante) nell'ambito
 della  provincia,  ma  che  impone   alla   provincia   autonoma   di
 disciplinare  la  materia  "nel rispetto dei principi contenuti nella
 legge n. 266/1991 e dei criteri risultanti dalle norme"  del  decreto
 medesimo.
    Il  richiamo  ai  principi  contenuti  nella  legge, riferito alle
 regioni speciali e alle province autonome, muove dalla  premessa  che
 la  legge stessa contenga principi vincolanti anche per tali enti: in
 contrasto con la circostanza  che,  avendo  la  provincia  competenza
 primaria  e  non  concorrente nelle materie cui la legge si riferisce
 (essenzialmente l'assistenza e  beneficienza,  ma  anche  ad  esempio
 l'urbanistica   e  quindi  l'ambiente),  la  legge  quadro  non  puo'
 vincolare la legislazione provinciale (non potendosi certo attribuire
 alla legge n. 266 carattere  di  riforma  economico-sociale,  le  cui
 norme fondamentali limitino la competenza del legislatore provinciale
 nell'esercizio della competenza primaria).
    Gia'  sotto  questo  profilo,  dunque, l'art. 6 del decreto appare
 lesivo dell'autonomia provinciale.
    Ma  tale  lesione  e'  ancora piu' grave la' dove lo stesso art. 6
 pretende di vincolare la legislazione  provinciale  al  rispetto  non
 solo  dei  principi  contenuti  nella legge, ma altresi' dei "criteri
 risultanti dalle norme" del decreto stesso.
    In tal modo si trasforma impropriamente il decreto ministeriale in
 una ulteriore fonte di limiti per l'autonomia provinciale,  in  pieno
 contrasto  con  lo  statuto  nonche'  con  il  principio di legalita'
 sostanziale, posto che, come si vedra', molte delle norme del decreto
 non trovano alcun fondamento nella legge.
    A nessun titolo infatti la  competenza  primaria  della  provincia
 autonoma - espressamente riconosciuta dallo stesso art. 6 del decreto
 dal momento che esso differenzia la posizione delle Province autonome
 e   delle   regioni   speciali,   escludendo   per  esse  la  diretta
 applicabilita' delle norme in esso poste - (come del resto nemmeno la
 competenza concorrente) potrebbe ritenersi limitata o  limitabile  da
 norme poste con decreto ministeriale, per di piu' nemmeno sorrette da
 idoneo fondamento legislativo.
    Del  resto  il  decreto,  alle  cui norme si vorrebbe vincolare la
 provincia, non ha  la  struttura  di  atto  di  indirizzo:  non  pone
 obiettivi   e   non   indica   risultati   o  standards,  ma  dispone
 minuziosamente le modalita' di gestione ed erogazione dei  fondi,  di
 istituzione  e  funzionamento  dei centri di servizio. E l'art. 6, si
 badi, impone che la provincia disciplini, nel  rispetto  dei  criteri
 del  decreto,  "quanto  previsto  nei  precedenti artt. 2, 3, 4 e 5",
 cioe' tutto cio' che riguarda le modalita' di gestione  dei  fondi  e
 dei centri di servizio.
    Questo riferimento analitico alle singole disposizioni del decreto
 rende palese che si e' inteso vincolare la Provincia non a rispettare
 solo  dei  criteri generali, ma a seguire, si direbbe passo passo, la
 disciplina della  materia  delineata  dal  decreto.  In  sostanza  la
 Provincia dovrebbe limitarsi a recepire in un "proprio provvedimento"
 il contenuto del decreto ministeriale.
    La lesione dell'autonomia e' dunque palese.
    I  contenuti  del  decreto, come si e' detto, vanno molto oltre la
 legge, con la quale essi anzi spesso contrastano, e sono a loro volta
 concretamente lesivi dell'autonomia provinciale.
    In primo luogo, l'art. 1 (che, pur non essendo compreso fra quelli
 richiamati nell'art. 6,  si  svolge  direttamente  agli  istituti  di
 credito,  e  quindi e' presumibilmente applicabile anche in Trentino)
 destina solo il 50% delle somme erogate dagli istituti di credito  al
 fondo costituito presso la Regione ove gli istituti stessi hanno sede
 legale,  mentre  l'altro  50%  puo'  essere  destinato  ad uno o piu'
 "altri" fondi speciali, liberamente scelti dagli istituti eroganti.
    Ora,  la  provincia  ricorrente  non  intende  qui  discutere   il
 fondamento, nei riguardi degli istituti di credito, del vincolo posto
 dalla  legge  in  capo  ad  essi. Constata pero' che la legge, avendo
 disposto  che  certe  somme  siano  obbligatoriamente  destinate   al
 sostegno delle organizzazioni di volontariato, ha in realta' disposto
 l'erogazione   di   fondi   pubblici,  nell'ambito  provinciale,  per
 finalita' rientranti nelle competenze della Provincia (principalmente
 nel campo dell'assistenza e beneficienza,  nonche'  della  sanita'  e
 dell'ambiente).
    Ma  tale  erogazione,  anziche'  passare  attraverso  i meccanismi
 previsti dallo statuto e dalle norme di attuazione e di coordinamento
 finanziario (e cosi' assegnazione alla Provincia di quote  dei  fondi
 speciali   istituiti   per   garantire  livelli  minimi  uniformi  di
 prestazioni;  o  l'assegnazione  al bilancio della provincia di altri
 finanziamenti,  per  essere  utilizzati,  nell'ambito   del   settore
 corrispondente,  secondo  normative  provinciali:  art.  5,  primo  e
 secondo comma, legge 30 novembre 1989, n. 386), e'  disciplinata  con
 meccanismi  che  in  parte  sfuggono  del tutto alla Provincia, anche
 formalmente (il 50%, destinabile a fondi speciali diversi  da  quello
 costituito  presso  la  Provincia),  in parte sono comunque sottratti
 alla disponibilita' e al controllo sostanziali della provincia,  date
 le modalita' di impiego stabilite dal decreto.
    Gia' l'art. 1 del decreto, dunque, viola l'autonomia finanziaria e
 di spesa della Provincia.
    L'art.  2  del  decreto  disciplina  un  meccanismo  attuativo non
 previsto dalla legge n. 266/1991, e in contrasto con essa.
    La legge infatti prevede la "costituzione di fondi speciali presso
 le regioni al fine di istituire, per il tramite  degli  enti  locali,
 centri  di  servizio".  Dunque  prevede: a) che si tratti di un fondo
 della  Regione  (o  provincia  autonoma),  come   tale,   ovviamente,
 destinato ad essere da essa amministrato e gestito secondo le proprie
 normative, sia pure per il fine fissato
  dalla legge; b) che il fondo sia impiegato (s'intende: dalla regione
 o  provincia  autonoma)  per  istituire,  tramite  gli enti locali, i
 centri di servizio: dunque la istituzione dei centri dovrebbe  essere
 attivita'  della  provincia,  o  dell'ente  locale  su  mandato della
 provincia; c) che, una volta istituiti, i centri di servizio siano "a
 disposizione  delle  organizzazioni  di  volontariato,  e  da  queste
 gestiti";   quindi   siano   centri   pubblici,   incardinati   nella
 organizzazione provinciale (o dell'ente locale), messi a disposizione
 delle organizzazioni e sottoposti a forme di "gestione sociale".
    Viceversa l'art. 2 del decreto, nell'istituire i fondi, stabilisce
 anzitutto che ad  essi  non  affluiscono  le  somme  destinate  dagli
 istituti  di  credito; tali somme sarebbero solo "contabilizzate" nel
 fondo, ma resterebbero di pertinenza degli istituti come  "patrimonio
 separato" (art. 2, primo comma).
    Palese  e'  il tentativo del Ministro di ammorbidire l'opposizione
 delle banche ad una normativa che vincola l'utilizzo dei loro  fondi.
 Ma  altrettanto  palese  e' il contrasto con la legge, che prevede la
 destinazione di dette somme alla "costituzione" dei  fondi  speciali.
 Secondo  la  normativa  del  decreto,  non  si  capisce  a  che serva
 l'istituzione del fondo: esso resta una mera finzione, un mero flatus
 vocis,  perche'  le  somme  passano  direttamente   dal   "patrimonio
 separato"  di  pertinenza  degli  istituti  di credito (art. 2, primo
 comma) a depositi bancari costituiti "a favore di ciascun  centro  di
 servizio",  dai  quali  tali  centri prelevano le somme necessarie al
 proprio funzionamento (art. 5, primo comma).
    Dunque  non  c'e'  nessun  "fondo":  c'e'  solo  un  "comitato  di
 gestione"  il  cui  compito  non e' di amministrare il fondo (che non
 c'e'), ma solo quello di istituire i centri di servizio e di disporre
 la ripartizione delle somme messe a  disposizione  delle  banche  nel
 modo  che  si  e'  detto.  Un  organo con poteri di ripartizione e di
 controllo,  non  di  amministrazione   delle   somme,   che   passano
 direttamente dalle banche ai centri di servizio.
    Le  somme  non sono dunque affatto "destinate alla costituzione di
 fondi speciali presso le regioni", come  vuole  la  legge  (art.  15,
 primo comma). Ed e' lesa, ancora una volta, l'autonomia finanziaria e
 di spesa della provincia.
    Ma c'e' di piu'. Si e' detto come le somme siano anche formalmente
 e contabilmente sottratte alla provincia. Ma l'organismo da cui "ogni
 fondo  speciale  e' amministrato" (art. 2, secondo comma; in realta',
 l'organismo che provvede agli  adempimenti  sopra  descritti,  e  non
 consistenti  in  una vera amministrazione del fondo) non e' un organo
 della provincia, ne' inserito nella sua organizzazione,  ed  e'  anzi
 formato in modo tale da escludere in sostanza qualsiasi significativo
 ruolo della provincia.
    E'   prevista   solo  la  presenza  (nemmeno  la  presidenza)  del
 presidente della giunta: gli  altri  tredici  componenti  sono  tutti
 estranei  alla  provincia,  trattandosi  di  un  membro  nominato dal
 Ministro per gli affari  sociali,  di  quattro  rappresentanti  delle
 organizzazioni   di  volontariato  e  di  otto  rappresentanti  degli
 istituti di credito (art. 2, secondo comma).
    I  rappresentanti  delle  organizzazioni  di   volontariato   sono
 "nominati dal presidente del consiglio regionale": con cio' pero' non
 si  attribuisce  alcun  ruolo effettivo della provincia, perche' sono
 rigidamente indicati i criteri di nomina (la  presenza  maggioritaria
 delle  organizzazioni  nel  territorio),  ma per altro verso si viola
 l'autonomia organizzativa della provincia, designandosi  direttamente
 l'organo competente a provvedere alla nomina.
    L'organismo cosi' costituito - il comitato di gestione - non e' in
 alcun modo assoggettato a disciplina provinciale: anzi esso e' dotato
 di autonomia regolamentare, poiche' fissa, a maggioranza assoluta dei
 suoi componenti, "le norme disciplinanti le modalita' di fuzionamento
 ed elegge nel suo seno il presidente" (art. 2, terzo comma).
    Questo organismo - cui la provincia resta sostanzialmente estranea
 -  ha  tutti  i  poteri: non solo ripartisce il fondo (in realta', le
 somme messe a disposizione dalle banche) ma e' investito di  tutti  i
 poteri amministrativi in ordine alla costituzione e alla gestione dei
 centri di servizio.
    Cosi',  esso  riceve  le  istanze  e, di intesa con l'ente locale,
 "istituisce" i centri (art. 2, quarto comma, lett. a); art. 3, primo,
 secondo e terzo comma);  istituisce  l'elenco  regionale  dei  centri
 (art. 2, quarto comma, lett. b); art. 3, terzo comma); partecipa alla
 gestione  e  al controllo dei centri (confondendosi cosi' fra l'altro
 controllore e controllato), in quanto da un  lato  nomina  un  membro
 degli  organi deliberativi e uno degli organi di controllo dei centri
 (art.  2,  secondo  comma,  lett.  c)),  dall'altro  lato  riceve   i
 rendiconti  dei  conti  e  ne  verifica  la  regolarita'  nonche'  la
 conformita' ai rispettivi regolamenti (art. 2,  quarto  comma,  lett.
 e); art. 5, secondo comma).
    Dunque,  mentre l'art. 15 della legge presuppone che l'istituzione
 dei centri spetti alla regione o alla provincia autonoma, presso  cui
 e'  costituito  il fondo, il decreto trasferisce tale compito in capo
 al comitato di gestione del fondo. Mentre per la legge sono i  centri
 di  servizio, istituiti dalla regione e finanziati col fondo, a dover
 essere gestiti  dalle  organizzazioni  di  volontariato,  il  decreto
 immette  queste  ultime  nell'organismo  (il comitato di gestione del
 fondo) a cui affluisce, contra legem,  il  compito  di  ripartire  il
 fondo  e  di  istituite  i centri di servizio, nonche' di partecipare
 alla loro gestione e (contemporaneamente) al loro controllo.
    Si  tratta dunque di un sistema del tutto estraneo alla previsione
 della legge, e contrastante con essa; nonche' di un  sistema  che  si
 sostanzia  nella  totale  sottrazione alla provincia autonoma di ogni
 ruolo significativo sia in ordine alla ripartizione  e  gestione  del
 fondo,  sia  in ordine alla istituzione, alla gestione e al controllo
 dei centri di servizio.
    Come si e' ricordato, secondo l'art.  15  della  legge,  i  centri
 dovrebbero  essere  strutture  istituite,  "per il tramite degli enti
 locali" dalla regione  o  provincia  autonoma,  per  essere  messe  a
 disposizione  delle  organizzazioni  di  volontariato, che dovrebbero
 pure gestirli.
    Sembra comunque  pacifico,  secondo  la  legge,  che,  oltre  alla
 istituzione  dei  centri,  spetta  alla  regione o provincia autonoma
 anche  la  regolamentazione  e  il  controllo  sugli  stessi,  e   la
 disciplina della loro attivita'.
    Viceversa,   come  pure  si  e'  detto,  il  decreto  ministeriale
 impugnato rovescia l'impostazione. I  centri  di  servizio  non  sono
 disciplinati   come   strutture   pubbliche,   ma  essi  stessi  come
 organizzazioni di volontariato ovvero  fondazioni  o  altri  "soggeti
 autonomi  di  imputazione  dei  rapporti  giuridici"  (art.  3, terzo
 comma),  a  carattere  dunque  sostanzialmente   privato.   Il   loro
 funzionamento  e'  affidato  ad  appositi regolamenti approvati dagli
 organi competenti dei  soggetti  privati  medesimi  (art.  3,  quarto
 comma).  Quanto  alla  gestione  e  al controllo, solo il comitato di
 gestione del fondo, e non la provincia, ha il potere di  nominare  un
 componente  degli organi deliberativi e uno degli organi di controllo
 dei centri (art. 2, quarto comma, lett.  c)),  solo  al  comitato  di
 gestione,  e  non  alla  provincia,  spetta  ricevere  i rendiconti e
 verificarli (art. 2, quarto comma, lett. e); art. 5, secondo comma).
    I centri hanno dunque una configurazione  ibrida:  strutture  pri-
 vate, ma istituite dal comitato di gestione, con gestione partecipata
 e  controllata  da  parte  del  comitato stesso, e disciplinate da un
 regolamento da esse stesso formato ma vincolato alla legge  (art.  3,
 quarto comma).
    In  ogni  caso,  la  provincia  e'  privata  da  ogni ruolo, anche
 formale, nei confronti di detti centri.
    Quanto alle funzioni dei centri medesimi, l'art. 4 del decreto  le
 disciplina  minuziosamente,  identificandole  in attivita' rientranti
 nell'ambito delle competenze provinciali.
    Cosi' essi "approntano strumenti  e  iniziative  per  la  crescita
 della  cultura  della  solidarieta'"  (espressione  tanto generica da
 ricomprendere ogni forma di attivita' culturale e  sociale),  nonche'
 per   "la  promozione  di  nuove  iniziative  di  volontariato  e  il
 rafforzamento di  quelle  esistenti"  (lett.  a))  dunque  non  tanto
 operano  a  sevizio  delle organizzazioni, quanto realizzano una vera
 politica   del   volontariato:   compito,   questo,   inevitabilmente
 interferente con le competenze provinciali.
    Ancora  essi,  oltre  ad  offrire consulenza e assistenza, offrono
 "strumenti per  la  progettazione,  l'avvio  e  la  realizzazione  di
 specifiche  attivita'"  (lett.  h)): dunque svolgono attivita' opera-
 tive, in campi che rientrano nella competenza provinciale.
    Inoltre  essi  "assumono iniziative di formazione e qualificazione
 nei confronti  degli  aderenti  ad  organizzazioni  di  volontariato"
 (lett.  c)): dunque svolgono funzioni, sostanzialmente, di formazione
 professionale,  ancora  una  volta  rientranti  fra   le   competenze
 provinciali.
    Il  carattere  ibrido,  pubblico-privato, dei centri, non puo' far
 sfuggire il fatto che si tratta in sostanza di strutture disciplinate
 in parte da norme pubblicistiche, istituite con  un  procedimento  di
 tipo amministrativo, funzionanti con la partecipazione e il controllo
 di organismi pubblici, e finanziate con fondi pubblici: disciplinando
 tali  strutture,  e  conferendo  ogni  potere  in ordine ad esse a un
 organismo pubblico cui la provincia resta in  sostanza  estranea  (il
 comitato  di  gestione  del  fondo), il decreto impugnato viola da un
 lato  l'autonomia  organizzativa  della  provincia,   dall'altro   le
 competenze provinciali nei settori in cui opera il volontariato.
                               P. Q. M.
    La  provincia ricorrente chiede che la Corte voglia dichiarare che
 non spetta allo Stato, e per esso al Ministro del tesoro, dettare  la
 disciplina  di  cui  al  d.m.  21  novembre  1991, meglio indicato in
 epigrafe;  e  per  l'effetto  annullare  il  decreto  medesimo,   per
 violazione  dell'art.  8,  nn.  1,  4,  25  e 29, dell'art. 9, n. 10,
 dell'art. 16 e  del  titolo  sesto  dello  statuto  speciale  per  il
 Trentino-Alto  Adige di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e delle
 relative norme di attuazione, nonche'  dell'art.  5  della  legge  30
 novembre 1989, n. 386.
      Roma, addi' 10 febbraio 1992
            Avv. prof. Valerio ONIDA - Avv. Gualtiero RUECA

 92C0250