N. 22 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 2 marzo 1992
N. 22 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 2 marzo 1992 (della provincia autonoma di Trento) Elezioni - Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali - Ineleggibilita' e incompatibilita' alle cariche di amministratori e dipendenti della regione e degli enti locali e divieto di nomina ad organi regionali, provinciali e comunali di soggetti in una delle seguenti condizioni: a) abbiano riportato condanna con sentenza definitiva o di primo grado confermata in appello, per delitto commesso con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio; b) abbiano riportato condanna anche non definitiva per determinati delitti (associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, altri delitti in materia di stupefacenti, delitti concernenti le armi, le munizioni e le materie esplosive, ecc.); c) siano stati sottoposti a procedimento penale per delitti di mafia o collegati agli stupefacenti o alle armi, se per essi sia gia' stato disposto il giudizio o gli interessati siano stati citati a comparire in udienza per il giudizio; d) siano stati sottoposti, anche se con provvedimento non definitivo ad una misura di prevenzione in quanto indiziati di appartenere ad una associazione mafiosa - Asserita incidenza sul principio di presunzione di non colpevolezza dell'imputato sino alla condanna definitiva - Indebita invasione della sfesa di competenza provinciale per una non consentita (in quanto non prevista dalla Costituzione ne' dallo statuto) forma di controllo sugli organi, attesa la ratio della normativa impugnata riconducibile ad una sorta di misura cautelare per evitare il pregiudizio al pubblico interesse e al prestigio delle istituzioni - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 229/1990 e 310/1991. (Legge 18 gennaio 1992, n. 16). (Cost., artt. 3 e 27, secondo comma; statuto Trentino-Alto Adige, artt. 8, n. 1, 16, 49, 51 e 54).(GU n.11 del 11-3-1992 )
Ricorso della provincia autonoma di Trento, in persona del presidente della Giunta provinciale Mario Malossini, autorizzato con delibera della giunta provinciale n. 1549 del 17 febbraio 1991, rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Valerio Onida e Gualtiero Rueca, ed elettivamente domiciliato presso quest'ultimo in Roma, largo della Gancia, 1, come da mandato speciale a rogito del notaio dott. Pierluigi Mott di Trento in data 18 febbraio 1992, n. 57316 di repertorio, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro- tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (nella parte in cui sostituisce il terzo comma dell'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, ed introduce i nuovi commi 4-bis, 4-ter, 4-septies e 4-octies del medesimo art. 15), legge recante "norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 17 del 22 gennaio 1992. L'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16, sostituendo e integrando le norme eccezionali recate dall'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55 ("nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosita' sociale"), ha dettato un'ampia disciplina riguardante la eleggibilita' e la permanenza in carica di amministratori e dipendenti delle regioni e degli enti locali nonche' dei titolari di incarichi per cui l'elezione o la nomina sia di competenza degli organi regionali, provinciali e comunali, in relazione a condanne penali o alla sottoposizione di procedimenti penali o a misure di prevenzione. In particolare, il nuovo primo comma dell'art. 15 della legge n. 55/1990, discostandosi dalla tradizione legislativa in tema di cause di ineleggibilita' e di incompatibilita' con le cariche elettive, in- troduce delle ipotesi che potrebbero dirsi di "incandidabilita'" alle dette cariche, sancendo che "non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali" coloro che si trovano in una delle condizioni elencate nelle lettere da a) a f) dello stesso primo comma. Sembra evidente che a tale divieto consegua necessariamente la ineleggibilita' di coloro che si trovano in tali condizioni alle cariche prese in considerazione, posto che il diritto di essere eletti (eleggibilita') necessariamente si esercita attraverso il diritto di essere candidato alle medesime elezioni. In base alla legislazione preesistente, le cause di ineleggibilita', se sopravvenute durante il mandato elettivo, si traducevano in cause di decadenza, ove non eliminate entro i termini e a seguito del procedimento espressamente previsto (art. 3, primo comma, n. 8, e art. 7 della legge 23 aprile 1981, n. 154): infatti si trattava di cause di ineleggibilita' discendenti da situazioni rimovibili da parte dell'interessato. Viceversa il nuovo testo dell'art. 15 della legge n. 55/1990 stabilisce da un lato (primo comma) che coloro i quali si trovano nelle condizioni previste "non possono comunque ricoprire le cariche" di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale,ed estende tale disposto altresi' ad una serie di altre cariche elettive di secondo grado e di incarichi di nomina regionale o locale: presidente della giunta regionale o provinciale, assessore regionale, provinciale o comunale, sindaco, presidente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi (sembra di intendere, costituiti fra enti locali), presidente e componente del consiglio e della giunta delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istituzioni, amministratore e componente degli "organi comunque denominati delle unita' sanitarie locali", presidente e componente degli organi esecutivi delle comunita' montane (elencazione in parte ridondante, poiche' molte di queste cariche presuppongono per legge la qualita' di componente delle rispettive assemblee elettive). Dall'altro lato, pero', lo stesso nuovo testo dell'art. 15, non senza contraddizione, stabilisce poi che al sopravvenire delle condizioni previste durante il mandato non consegua la decadenza (come sembrerebbe discendere dal disposto secondo cui costoro "non possono comunque ricoprire le cariche": primo comma, bensi' "l'immediata sostensione dalle cariche sopra indicate" (come 4- bis), mentre solo dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di condanna o dalla data in cui diviene definitivo il provvedimento che applica la misura di prevenzione si verifica la decadenza (comma 4-quinquies, richiamato dal comma 4- bis). Non si tratta, pero', di una vera sospensione ex lege. Infatti il comma 4- ter stabilisce che "la sospensione dei presidenti delle giunte regionali, degli assessori regionali e dei consiglieri regionali e' disposta con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per le riforme istituzionali e gli affari regionali, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri"; mentre "negli altri casi la sospensione e' adottata dal prefetto, al quale i provvedimenti dell'autorita' giudiziaria sono comunicati a cura della cancelleria del tribunale o della segreteria del pubblico ministero". Tale sospensione "cessa nel caso in cui nei confronti dell'interessato venga emessa sentenza, anche se non passata in giudicato, di non luogo a procedere, di proscioglimento o di assoluzione o provvedimento di revoca della misura di prevenzione o sentenza di annullamento ancorche' con rinvio" (comma 4-quater). Le condizioni da cui conseguono gli effetti ora descritti consistono, in primo luogo, nell'aver riportato condanna, con sentenza definitiva o con sentenza di primo grado confermata in appello, per delitto commesso con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero, per uno stesso fatto, ad una pena non superiore a due anni di reclusione per delitto non colposo (lettere c) e d) del primo comma). In secondo luogo, l'aver riportato condanna, anche non definitiva (e dunque anche solo in primo grado), per determinati delitti: associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, altri delitti in materia di sostanze stupefacenti, delitti concernenti le armi, le munizioni e le materie esplosive, delitto di favoreggiamento in relazione a taluno dei predetti reati; e ancora determinati delitti contro la pubblica amministrazione, dal peculato alla malversazione a danno dello Stato, alla concussione, alla corruzione (lettere a) e b) del primo comma). In terzo luogo, l'essere sottoposto a procedimento penale per i delitti indicati nella lett. a) (delitti di mafia o collegati agli stupefacenti o alle armi), "se per essi e' stato gia' disposto il giudizio, se 'gli interessati' sono stati presentati ovvero citati a comparire in udienza per il giudizio" (lettera e) del primo comma). Infine, l'essere stati sottoposti, anche se con provvedimento non definitivo, ad una misura di prevenzione in quanto indiziati di appartenere ad una associazione mafiosa (lett. f) del primo comma). Come si vede, a parte il caso della sentenza definitiva di condanna (che in taluni casi peraltro dava gia' luogo a perdita dell'eleggibilita': cfr. art. 6, ultimo capoverso, del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, nonche' tutti i casi di applicazione della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici), si tratta di ipotesi di "incandidabilita'" (se anteriori alla presentazione delle candidature) o di sospensione dalla carica (se sopravvenute all'elezione) collegate alla pendenza di un procedimento penale o per l'applicazione di misure di prevenzione, ipotesi graduate in relazione ai diversi possibili stadi del procedimento (rinvio a giudizio, condanna in primo grado, condanna confermata in appello). E' evidente l'incidenza nella materia del principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza dell'imputato "sino alla condanna definitiva" (art. 27, secondo comma, della Costituzione). Stante questo principio, le limitazioni al diritto di elettorato passivo, e al diritto a ricoprire le cariche elettive, sancite dalle norme in questione, non possono in alcun modo configurarsi come effetti sanzionatori "anticipati" della condanna (ne' d'altronde sono configurati come tali dalla legge, che ad esempio non sembra dare alcun rilievo al fatto che la condanna inflitta sia stata o meno condizionalmente sospesa; solo se sia intervenuta la riabilitazione e' previsto che dette disposizioni non si applichino: nuovo comma 4-sexies dell'art. 15 citato). Non resta allora che configurare tali effetti come misure cautelari intese ad evitare il pregiudizio che potrebbe derivare al pubblico interesse a al "buon nome" delle istituzioni dalla elezione o dalla permanenza nell'esercizio della funzione elettiva di chi sia colpito dalle condanne o dalle misure in questione: alla stessa stragua di quanto, ad esempio, disponeva per gli amministratori di enti locali l'art. 40 della legge n. 142/1990, la' dove prevedeva la facolta' di rimuovere, con decreto del Presidente della Repubblica, e in attesa della rimozione di sospendere con atto del prefetto, il sindaco, il presidente della provincia, i presidenti dei consorzi e delle comunita' montane, i componenti dei consigli e delle giunte, i presidenti dei consigli circoscrizionali quando, fra l'altro, essi fossero imputati di un reato di associazione mafiosa o sottoposti a misura di prevenzione o di sicurezza (disposizione, quest'ultima, oggi peraltro superata, si direbbe, da quelle qui esaminate, ancorche' - in violazione dell'art. 1, terzo comma, della stessa legge n. 142/1990 - non si sia modificato in modo espresso l'art. 40 della medesima legge sull'ordinamento delle autonomie locali). Orbene, se tali sono - e non possono essere altre - la portata e la ratio delle disposizioni in esame, i commi 4- bis e 4- ter del nuovo art. 15, che prevedono e disciplinano la sospensione, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, dei presidenti delle giunte regionali e provinciali, degli assessori e dei consiglieri regionali e provinciali (con norme che appaiono applicabili alle cariche elettive della provincia autonoma di Trento, in cui, come e' noto, le cariche di consigliere regionale e provinciale coincidono nelle stesse persone), si configurano non gia' come disciplina dell'elettorato passivo con riguardo alle cariche regionali e provinciali considerate, ma come disciplina di una forma di controllo sugli organi, che da' luogo all'adozione di misure cautelari comportanti sospensione dalle cariche medesime. Come tali, pero', dette disposizioni sono illegittime per violazione dell'autonomia costituzionale della provincia autonoma, garantita dallo statuto speciale, in quanto configurano una forma nuova di controllo sugli organi, non prevista e non consentita ne' dalla Costituzione ne' dallo statuto. Quest'ultimo, infatti, prevede come unico strumento di intervento statale sugli organi provinciali lo scioglimento del consiglio quando questo compia atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, o non sostituisca la giunta o il suo presidente che abbiano compiuto analoghi atti o violazioni (art. 33, primo comma, richiamato dall'art. 49, primo comma); e come unica causa di rimozione dalle cariche di presidente della giunta o di assessore la revoca ad opera dello stesso consiglio (artt. 38 e 33, primo comma, richiamati rispettivamente dall'art. 51 e dall'art. 49, primo comma). Non diversa, come e' noto, e' la disciplina che la Costituzione detta per le regioni ordinarie (art. 126 della Costituzione). Orbene, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la "natura costituzionale" conferita all'autonomia regionale, risultante dal "disegno tracciato dal titolo quinto della parte seconda della Costituzione, derogabile, ma solo in termini piu' favorevoli, per le autonomie speciali", comporta "come prima conseguenza, che il complesso sistema delle relazioni tra Stato e regioni debba trovare la sua base diretta nel tessuto della Costituzione, cui spetta il compito di fissare, in termini conclusi, le stesse dimensioni dell'autonomia, cioe' i suoi contenuti ed i suoi confini"; e come ulteriore conseguenza che "ad ogni potere di intervento dello Stato, suscettibile di incidere su tale sfera costituzionalmente garantita, in modo da condizionarne in concreto - cosi' come accade con le forme puntuali del controllo - la misura e la portata, non potra' non corrispondere un fondamento specifico nella stessa disciplina costituzionale" (sentenza n. 229/1990). Tali affermazioni si trovano nel contesto di una sentenza relativa ad una forma di intervento o di controllo sugli atti delle Regioni e delle province autonome, come era l'annullamento governativo straordinario, previsto dall'art. 2, terzo comma, lett. p), della legge 23 agosto 1988, n. 400, dichiarato percio' incostituzionale dalla predetta sentenza. Ma il discorso vale allo stesso modo con riguardo a forme di controllo sugli organi come quella di cui e' giudizio, posto che la stessa sentenza n. 229/1990 non ha mancato di precisare che la disciplina "espressa in tema di controlli negli artt. 126 e 127 della Costituzione", come quella relativa al controllo di legittimita' sugli atti amministrativi posta dall'art. 125 della Costituzione, "viene a presentarsi come tassativa e insuscettibile di estensione da parte del legislatore ordinario, in quanto posta a garanzia di una autonomia compiutamente definita in sede costituzionale" (ibidem). Il principio di tassativita' delle forme di controllo sugli organi delle regioni e delle province autonome, previste dalle norme di livello costituzionale non puo' non condurre a ritenere illegittime e lesive disposizioni - come i nuovi commi 4- bis e 4- ter dell'art. 15 della legge n. 56/1990 - le quali prevedono una forma di controllo e di intervento di organi statali diversa e ulteriore rispetto a quelle statutariamente ammesse. In subordine, la disposizione citata del comma 4- ter e' censurabile in quanto attribuisce la competenza ad adottare il provvedimento di sospensione ad un organo diverso da quello cui lo statuto demanda l'unico potere statale di controllo sugli organi provinciali, vale a dire il Presidente della Repubblica, e prevede un procedimento (decreto del Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro per le riforme istituzionali e gli affari regionali, previa delibera del Consiglio dei Ministri) diverso da quello previsto dallo statuto per lo scioglimento (decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentita, salvo i casi di urgenza, la commissione parlamentare per le questioni regionali: art. 33, terzo comma, dello statuto speciale). In particolare, la partecipazione al procedimento del Ministro per le riforme istituzionali non puo' evidentemente sostituire, ai fini di garanzia per la provincia, il parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Le disposizioni in questione appaiono illegittime altresi' per violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto, nel disporre la sospensione e la decadenza nei soli riguardi degli amministratori regionali, provinciali e comunali (nonche' di altri enti locali) realizzano un trattamento irragionevolmente differenziato di tali amministratori nei confronti dei titolari di analoghe cariche elettive statali, come quelle di membro del Parlamento e del Governo. Non sussistono infatti ragioni simili a quelle che hanno condotto questa Corte, nella sentenza n. 310/1991, a giustificare l'eccezionale alla regola generale introdotta con la norma che sancisce l'ineleggibilita' alla sola carica di sindaco dei condannati (peraltro definitivamente) a certi reati o a certe pene (art. 6, ultimo capoverso, del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570), sulla base delle "caratteristiche particolari che contraddistinguono la carica di sindaco" in quanto a questi sono conferite anche funzioni di competenza statale, che "incidono direttamente sullo svolgimento delle attivita' e sugli interessi primari della comunita' locale". Infatti da un lato le norme qui in discussione estendono il regime di sospensione a tutti i titolari di cariche elettive regionali e locali, compresi i semplici consiglieri; dall'altro lato lasciano invece esenti da tale disciplina i titolari delle piu' importanti cariche elettive statali, come i membri del Parlamento, le cui funzioni non sono certo meno delicate di quelle dei consiglieri provinciali, ed esenti pure i membri del governo, le cui funzioni a loro volta non sono certo meno delicate di quelle del presidente o di un componente della giunta provinciale. Tale violazione del principio di eguaglianza ridonda nella specie in lesione dell'autonomia e della posizione costituzionale della provincia autonoma. Il nuovo comma 3 dell'art. 15 legge n. 55/1990 stabilisce che le disposizioni del primo comma si applicano a "qualsiasi altro incarico" con riferimento al quale l'elezione o la nomina e' di competenza, fra l'altro, del consiglio regionale o provinciale, della giunta regionale o provinciale, dei loro presidenti o di assessori regionali o provinciali". Anche a tali incarichi appaiono applicabili i commi successivi dell'art. 15: in particolare il quarto comma (obbligo di revoca della nomina o dell'elezione); il comma 4- bis (immediata sospensione dalle cariche "sopra indicate" nel caso di sopravvenienza delle condizioni previste; il comma 4- ter (sospensione, adottata in questo caso dal prefetto); il comma 4-quater (cessazione della sospensione in caso di sentenza di proscioglimento). Non e' chiaro invece se si applichi anche a queste fattispecie il comma 4-quinquies: esso, stabilendo la decadenza di diritto dalle "cariche indicate al primo comma" nel caso di definitivita' della condanna o del provvedimento che applica la misura di prevenzione, e omettendo invece qualsiasi richiamo al terzo comma, sembrerebbe riferirsi solo alle cariche elettive elencate nel primo comma dell'articolo. Le disposizioni in questione, sancendo una causa di ineleggibilita' o di non nominabilita', e demandando al prefetto la competenza a disporre la sospensione nel caso di sopravvenienza di una delle condizioni previste, con riferimento a tutti gli incarichi per i quali l'elezione o la nomina sia di competenza degli organi provinciali, e quindi a tutti gli incarichi negli enti dipendenti o vigilati dalla provincia, nonche' negli altri organismi nei quali essa partecipa eleggendo o nominando taluno dei titolari di cariche di ogni natura, violano la competenza provinciale esclusiva in materia di ordinamento degli uffici provinciali (art. 8, n. 1, dello statuto speciale). Violano altresi' le competenze attribuite alla provincia per la nomina di organi o per il controllo sugli organi di altri enti: in particolare, quelle spettanti ai sensi dell'art. 54, primo comma, n. 5, dello statuto speciale, che demanda alla giunta provinciale la vigilanza e la tutela sulle amministrazioni comunali, sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, sui consorsi e sugli altri enti o istituti locali, "compresa la facolta' di sospensione e scioglimento dei loro organi in base alla legge", nonche' la nomina di commissari; nonche', ad esempio, quelle spettanti ai sensi dell'art. 11, terzo comma, dello statuto speciale, per quanto riguarda la nomina del presidente e del vice presidente della Cassa di risparmio; ai sensi dell'art. 94, primo comma, dello statuto speciale, che, per quanto riguarda i giudici conciliatori, attribuisce espressamente al presidente della provincia i poteri di nomina, decadenza, revoca e dispensa. Infatti tali competenze, in particolare quella di cui all'art. 8, n. 1, dello Statuto (da ritenersi comunque comprensiva anche della materia concernente gli enti dipendenti dalla provincia) comportano da un lato che solo la provincia possa disciplinare i requisiti per la nomina o l'elezione, le cause di ineleggibilita', di decadenza e di sospensione relative agli uffici e organi indicati; dall'altro lato che solo gli organi provinciali (talora espressamente designati dallo statuto) siano competenti ad adottare provvedimenti come la sospensione di cui e' parola nei commi 4- bis e 4- ter (come del resto, con disposizione di incerto coordinamento coi commi primo e 4-ter, stabilisce il comma 4-septies dello stesso art. 15 per quanto riguarda gli amministratori e i componenti degli organi delle unita' sanitarie locali). Anche per quanto riguarda tali incarichi, e per le stesse ragioni sopra illustrate, va rilevata altresi' la violazione del principio costituzionale di eguaglianza - ridondante in violazione dell'autonomia e della posizione costituzionale della provincia - che discende dall'aver previsto la sospensione esclusivamente per i titolari degli incarichi per i quali l'elezione o la nomina sia di competenza degli organi provinciali, e non per i titolari di analoghi incarichi per i quali l'elezione o la nomina sia di competenza di organi statali, compresi il Governo e il Parlamento. Il nuovo comma 4-septies dell'art. 15 legge n. 55/1990 dispone che, qualora ricorra una delle condizioni di cui al primo comma nei confronti del personale dipendente delle amministrazioni pubbliche, "compresi gli enti ivi indicati" - fra i quali la provincia e le unita' sanitarie locali, i cui dipendenti sono soggetti a disciplina provinciale - "si fa luogo alla immediata sospensione dell'interessato dalla funzione o dall'ufficio ricoperti". Il seguito del comma stabilisce che "per il personale appartenente alle regioni" (ma e' disposto che probabilmente deve ritenersi esteso alle province autonome di Trento e Bolzano) la sospensione e' adottata dal presidente della giunta regionale, "fatta salva la competenza, nella regione Trentino-Alto Adige, dei presidenti delle province autonome di Trento e di Bolzano". Il comma 4-octies a sua volta stabilisce che al personale dipendente di cui al comma 4-septies si applicano altresi' le disposizioni dei commi 4-quinquies (decadenza di diritto con la definitivita' della condanna o del provvedimento che applica la misura di prevenzione) e 4-sexies (esclusione dei casi in cui sia stata concessa la riabilitazione). La estensione al personale dipendente di norme come quelle sulla sospensione e sulla decadenza di diritto, previste per i titolari di cariche elettive o di incarichi di nomina degli organi elettivi, non manca di porre seri problemi di ordine costituzionale, poiche' si pone in diretto conflitto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui sono illegittime previsioni normative che facciano discendere da condanne penali effetti di destituzione de jure dei pubblici impiegati o dei titolari di altre funzioni, in quanto violano il criterio della necessaria proporzionalita' delle sanzioni rispetto all'illecito compiuto (cfr. sentenze nn. 270/1986, 971/1988, 40 e 158 del 1990, 16/1991). Infatti per l'impiegato, per il quale l'ufficio ricoperto e la funzione esercitata costituiscono altresi' esplicazione dell'attivita' di lavoro, da cui egli trae il suo sostentamento, la destituzione o la sospensione rappresentano misure anche piu' gravi che non per il titolare di carica onoraria elettiva. Per di piu', nella specie, tali gravi effetti - per quanto attiene alla sospensione - sono collegati non gia' alla condanna divenuta definitiva, ma alla semplice condanna anche non definitiva, o addirittura al solo rinvio a giudizio, con evidente violazione anche del principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza (art. 27, secondo comma, della Costituzione). In ogni caso, per i dipendenti della provincia e degli enti comunque soggetti alla disciplina provinciale, stabilire i requisiti di accesso all'impiego e le cause di decadenza e di sospensione spetta esclusivamente al legislatore provinciale. E' pertanto illegittimo il comma 4-septies in quanto disciplina materie riservate alla competenza provinciale. Il comma 4-septies si riferisce al "personale dipendente delle amministrazioni pubbliche, compresi gli enti ivi indicati", e quindi sembrerebbe letteralmente dettare una disciplina estesa anche ai dipendenti delle amministrazioni statali e degli enti dipendenti dallo Stato. Tuttavia il fatto che il comma taccia del tutto circa la competenza e le procedure per disporre la sospensione di tali dipendenti, mentre le specifica per quanto riguarda gli enti locali e le regioni; il fatto che nell'ultima parte del comma si preveda la comunicazione dei provvedimenti, da parte della cancelleria del tribunale o della segreteria del pubblico ministero, ai soli "responsabili delle amministrazioni o enti locali indicati al primo comma" (escluse quindi le amministrazioni statali); nonche' infine il riferimento del titolo della legge alle sole "elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali", fanno ritenere che in realta', anche per quanto riguarda i dipendenti, la disciplina introdotta sia limitata a quelli delle amministrazioni regionali e locali. Ma in tal modo si evidenzia anche a questo riguardo una violazione dell'art. 3 della Costituzione, che ridonda a sua volta in lesione dell'autonomia e della posizione costituzionale della provincia, in quanto non risulta in alcun modo giustificato il diverso e deteriore trattamento riservato dal legislatore statale ai dipendenti della provincia e degli enti locali rispetto ai dipendenti delle amministrazioni statali, senza che sussistano ragionevoli motivi connessi alle funzioni rispettivamente esplicate.
P. Q. M. Chiede che la Corte voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15, commi terzo, 4-bis, 4-ter, 4-septies e 4-octies, della legge 19 marzo 1990, n. 55, come sostituiti o aggiunti dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16, in riferimento agli artt. 8, n. 1, 16 e 49 (nella parte in cui richiama l'art. 33), 51 ( nella parte in cui richiama l'art. 38) e 54 dello statuto speciale di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e alle rel- ative norme di attuazione, nonche' all'art. 3 della Costituzione. Roma, addi' 21 febbraio 1992 Avv. prof. Valerio ONIDA - Avv. Gualtiero RUECA 92C0273