N. 22 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 2 marzo 1992

                                 N. 22
  Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
                      cancelleria il 2 marzo 1992
                 (della provincia autonoma di Trento)
 Elezioni - Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e
    gli  enti locali - Ineleggibilita' e incompatibilita' alle cariche
    di amministratori e dipendenti della regione e degli enti locali e
    divieto di nomina ad organi regionali, provinciali e  comunali  di
    soggetti  in  una  delle seguenti condizioni: a) abbiano riportato
    condanna con sentenza definitiva o di primo  grado  confermata  in
    appello,  per  delitto  commesso con abuso dei poteri o violazione
    dei doveri inerenti ad una  pubblica  funzione  o  a  un  pubblico
    servizio;  b)  abbiano riportato condanna anche non definitiva per
    determinati delitti (associazione di  tipo  mafioso,  associazione
    finalizzata  al traffico di stupefacenti, altri delitti in materia
    di stupefacenti, delitti concernenti le armi, le  munizioni  e  le
    materie esplosive, ecc.); c) siano stati sottoposti a procedimento
    penale  per  delitti di mafia o collegati agli stupefacenti o alle
    armi, se per essi sia  gia'  stato  disposto  il  giudizio  o  gli
    interessati  siano  stati  citati  a  comparire  in udienza per il
    giudizio; d) siano stati sottoposti, anche  se  con  provvedimento
    non definitivo ad una misura di prevenzione in quanto indiziati di
    appartenere  ad  una associazione mafiosa - Asserita incidenza sul
    principio di presunzione di non  colpevolezza  dell'imputato  sino
    alla  condanna  definitiva  -  Indebita  invasione  della sfesa di
    competenza  provinciale  per  una  non  consentita  (in quanto non
    prevista dalla Costituzione ne' dallo statuto) forma di  controllo
    sugli   organi,   attesa   la   ratio  della  normativa  impugnata
    riconducibile ad una sorta di  misura  cautelare  per  evitare  il
    pregiudizio al pubblico interesse e al prestigio delle istituzioni
    -   Riferimento  alle  sentenze  della  Corte  costituzionale  nn.
    229/1990 e 310/1991.
 (Legge 18 gennaio 1992, n. 16).
 (Cost., artt. 3 e 27, secondo comma; statuto Trentino-Alto Adige,
    artt. 8, n. 1, 16, 49, 51 e 54).
(GU n.11 del 11-3-1992 )
   Ricorso  della  provincia  autonoma  di  Trento,  in  persona   del
 presidente  della Giunta provinciale Mario Malossini, autorizzato con
 delibera della giunta provinciale  n.  1549  del  17  febbraio  1991,
 rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Valerio Onida e Gualtiero
 Rueca,  ed  elettivamente  domiciliato  presso  quest'ultimo in Roma,
 largo della Gancia, 1, come da mandato speciale a rogito  del  notaio
 dott.  Pierluigi Mott di Trento in data 18 febbraio 1992, n. 57316 di
 repertorio, contro il Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  pro-
 tempore   per   la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
 dell'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (nella  parte  in  cui
 sostituisce il terzo comma dell'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n.
 55, ed introduce i nuovi commi 4-bis, 4-ter, 4-septies e 4-octies del
 medesimo  art.  15),  legge  recante  "norme in materia di elezioni e
 nomine presso  le  regioni  e  gli  enti  locali",  pubblicata  nella
 Gazzetta Ufficiale n. 17 del 22 gennaio 1992.
    L'art.  1  della  legge  18  gennaio  1992,  n.  16, sostituendo e
 integrando le norme eccezionali recate dall'art. 15  della  legge  19
 marzo  1990,  n.  55  ("nuove  disposizioni  per la prevenzione della
 delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di  manifestazione
 di   pericolosita'   sociale"),   ha   dettato   un'ampia  disciplina
 riguardante  la  eleggibilita'  e  la   permanenza   in   carica   di
 amministratori e dipendenti delle regioni e degli enti locali nonche'
 dei  titolari  di  incarichi  per  cui  l'elezione o la nomina sia di
 competenza  degli  organi  regionali,  provinciali  e  comunali,   in
 relazione  a  condanne  penali  o alla sottoposizione di procedimenti
 penali o a misure di prevenzione.
    In particolare, il nuovo primo comma dell'art. 15 della  legge  n.
 55/1990,  discostandosi dalla tradizione legislativa in tema di cause
 di ineleggibilita' e di incompatibilita' con le cariche elettive, in-
 troduce delle ipotesi che potrebbero dirsi di "incandidabilita'" alle
 dette cariche,  sancendo  che  "non  possono  essere  candidati  alle
 elezioni  regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali" coloro
 che si trovano in una delle condizioni elencate nelle lettere da a) a
 f) dello stesso primo comma.  Sembra  evidente  che  a  tale  divieto
 consegua  necessariamente la ineleggibilita' di coloro che si trovano
 in tali condizioni alle cariche prese in considerazione, posto che il
 diritto di essere eletti (eleggibilita') necessariamente si  esercita
 attraverso il diritto di essere candidato alle medesime elezioni.
    In    base   alla   legislazione   preesistente,   le   cause   di
 ineleggibilita', se sopravvenute  durante  il  mandato  elettivo,  si
 traducevano  in cause di decadenza, ove non eliminate entro i termini
 e a seguito del procedimento espressamente previsto  (art.  3,  primo
 comma, n. 8, e art. 7 della legge 23 aprile 1981, n. 154): infatti si
 trattava  di  cause  di  ineleggibilita'  discendenti  da  situazioni
 rimovibili da parte dell'interessato.
    Viceversa  il  nuovo  testo  dell'art.  15  della legge n. 55/1990
 stabilisce da un lato (primo comma) che coloro  i  quali  si  trovano
 nelle condizioni previste "non possono comunque ricoprire le cariche"
 di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale,ed
 estende tale disposto altresi' ad una serie di altre cariche elettive
 di  secondo  grado  e  di  incarichi  di  nomina  regionale o locale:
 presidente della giunta regionale o provinciale, assessore regionale,
 provinciale   o   comunale,   sindaco,   presidente   del   consiglio
 circoscrizionale,   presidente   e   componente   del   consiglio  di
 amministrazione dei consorzi (sembra  di  intendere,  costituiti  fra
 enti  locali),  presidente  e componente del consiglio e della giunta
 delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione  e  presidente
 delle   aziende   speciali  e  delle  istituzioni,  amministratore  e
 componente degli "organi comunque denominati delle  unita'  sanitarie
 locali",   presidente  e  componente  degli  organi  esecutivi  delle
 comunita' montane (elencazione in parte ridondante, poiche' molte  di
 queste  cariche  presuppongono  per  legge  la qualita' di componente
 delle rispettive assemblee elettive).
    Dall'altro lato, pero', lo stesso nuovo testo  dell'art.  15,  non
 senza  contraddizione,  stabilisce  poi  che  al  sopravvenire  delle
 condizioni previste durante il  mandato  non  consegua  la  decadenza
 (come  sembrerebbe  discendere  dal disposto secondo cui costoro "non
 possono  comunque  ricoprire  le  cariche":   primo   comma,   bensi'
 "l'immediata sostensione dalle cariche sopra indicate" (come 4- bis),
 mentre  solo  dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di
 condanna o dalla data in cui diviene definitivo il provvedimento  che
 applica  la  misura  di  prevenzione  si verifica la decadenza (comma
 4-quinquies, richiamato dal comma 4- bis).
    Non si tratta, pero', di una vera sospensione ex lege. Infatti  il
 comma  4-  ter  stabilisce  che  "la sospensione dei presidenti delle
 giunte  regionali,  degli  assessori  regionali  e  dei   consiglieri
 regionali  e'  disposta  con decreto del Presidente del Consiglio dei
 Ministri, adottato su proposta del Ministro dell'interno, di concerto
 con il Ministro per le riforme istituzionali e gli affari  regionali,
 previa deliberazione del Consiglio dei Ministri"; mentre "negli altri
 casi   la   sospensione   e'   adottata  dal  prefetto,  al  quale  i
 provvedimenti dell'autorita' giudiziaria sono comunicati a cura della
 cancelleria del tribunale o della segreteria del pubblico ministero".
 Tale   sospensione   "cessa   nel   caso   in   cui   nei   confronti
 dell'interessato  venga  emessa  sentenza,  anche  se  non passata in
 giudicato,  di  non  luogo  a  procedere,  di  proscioglimento  o  di
 assoluzione  o  provvedimento di revoca della misura di prevenzione o
 sentenza di annullamento ancorche' con rinvio" (comma 4-quater).
    Le  condizioni  da  cui  conseguono  gli  effetti  ora   descritti
 consistono,   in  primo  luogo,  nell'aver  riportato  condanna,  con
 sentenza definitiva o con  sentenza  di  primo  grado  confermata  in
 appello,  per  delitto commesso con abuso dei poteri o violazione dei
 doveri inerenti ad una pubblica funzione o a  un  pubblico  servizio,
 ovvero, per uno stesso fatto, ad una pena non superiore a due anni di
 reclusione per delitto non colposo (lettere c) e d) del primo comma).
    In  secondo luogo, l'aver riportato condanna, anche non definitiva
 (e dunque anche  solo  in  primo  grado),  per  determinati  delitti:
 associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di
 stupefacenti,  altri  delitti  in  materia  di sostanze stupefacenti,
 delitti  concernenti  le  armi,  le munizioni e le materie esplosive,
 delitto di favoreggiamento in relazione a taluno dei predetti  reati;
 e  ancora determinati delitti contro la pubblica amministrazione, dal
 peculato alla malversazione a danno dello  Stato,  alla  concussione,
 alla corruzione (lettere a) e b) del primo comma).
    In  terzo  luogo,  l'essere sottoposto a procedimento penale per i
 delitti indicati nella lett. a) (delitti di mafia  o  collegati  agli
 stupefacenti  o  alle  armi),  "se per essi e' stato gia' disposto il
 giudizio, se 'gli interessati' sono stati presentati ovvero citati  a
 comparire in udienza per il giudizio" (lettera e) del primo comma).
    Infine,  l'essere stati sottoposti, anche se con provvedimento non
 definitivo, ad una misura  di  prevenzione  in  quanto  indiziati  di
 appartenere ad una associazione mafiosa (lett. f) del primo comma).
    Come  si  vede,  a  parte  il  caso  della  sentenza definitiva di
 condanna (che in taluni casi  peraltro  dava  gia'  luogo  a  perdita
 dell'eleggibilita':  cfr.  art.  6,  ultimo  capoverso, del D.P.R. 16
 maggio 1960, n. 570, nonche' tutti i casi di applicazione della  pena
 accessoria  dell'interdizione  dai  pubblici  uffici),  si  tratta di
 ipotesi di "incandidabilita'" (se anteriori alla presentazione  delle
 candidature)   o   di   sospensione  dalla  carica  (se  sopravvenute
 all'elezione) collegate alla pendenza di un procedimento penale o per
 l'applicazione  di  misure  di  prevenzione,  ipotesi   graduate   in
 relazione  ai  diversi  possibili  stadi  del  procedimento (rinvio a
 giudizio, condanna in primo grado, condanna confermata in appello).
    E' evidente l'incidenza nella materia del principio costituzionale
 di presunzione di non colpevolezza dell'imputato "sino alla  condanna
 definitiva" (art. 27, secondo comma, della Costituzione).
    Stante  questo  principio, le limitazioni al diritto di elettorato
 passivo, e al diritto a ricoprire le cariche elettive, sancite  dalle
 norme  in  questione,  non  possono  in  alcun modo configurarsi come
 effetti sanzionatori "anticipati" della condanna (ne' d'altronde sono
 configurati come tali dalla legge, che ad  esempio  non  sembra  dare
 alcun  rilievo  al  fatto  che  la condanna inflitta sia stata o meno
 condizionalmente sospesa; solo se sia intervenuta  la  riabilitazione
 e'  previsto  che  dette  disposizioni non si applichino: nuovo comma
 4-sexies dell'art. 15 citato).
    Non  resta  allora  che  configurare  tali  effetti  come   misure
 cautelari  intese  ad evitare il pregiudizio che potrebbe derivare al
 pubblico interesse a al "buon nome" delle istituzioni dalla  elezione
 o  dalla permanenza nell'esercizio della funzione elettiva di chi sia
 colpito dalle condanne o  dalle  misure  in  questione:  alla  stessa
 stragua  di  quanto,  ad esempio, disponeva per gli amministratori di
 enti locali l'art. 40 della legge n. 142/1990, la' dove prevedeva  la
 facolta' di rimuovere, con decreto del Presidente della Repubblica, e
 in  attesa  della  rimozione  di sospendere con atto del prefetto, il
 sindaco, il presidente della provincia, i presidenti dei  consorzi  e
 delle  comunita' montane, i componenti dei consigli e delle giunte, i
 presidenti dei consigli circoscrizionali quando,  fra  l'altro,  essi
 fossero  imputati  di un reato di associazione mafiosa o sottoposti a
 misura di prevenzione o  di  sicurezza  (disposizione,  quest'ultima,
 oggi   peraltro  superata,  si  direbbe,  da  quelle  qui  esaminate,
 ancorche' - in violazione dell'art.   1, terzo  comma,  della  stessa
 legge  n. 142/1990 - non si sia modificato in modo espresso l'art. 40
 della medesima legge sull'ordinamento delle autonomie locali).
    Orbene,  se  tali sono - e non possono essere altre - la portata e
 la ratio delle disposizioni in esame, i commi 4- bis  e  4-  ter  del
 nuovo  art.  15,  che  prevedono  e  disciplinano la sospensione, con
 decreto del Presidente del Consiglio  dei  Ministri,  dei  presidenti
 delle   giunte   regionali  e  provinciali,  degli  assessori  e  dei
 consiglieri  regionali  e  provinciali  (con   norme   che   appaiono
 applicabili alle cariche elettive della provincia autonoma di Trento,
 in  cui,  come  e'  noto,  le  cariche  di  consigliere  regionale  e
 provinciale coincidono nelle stesse persone), si configurano non gia'
 come disciplina dell'elettorato passivo  con  riguardo  alle  cariche
 regionali  e provinciali considerate, ma come disciplina di una forma
 di controllo sugli organi,  che  da'  luogo  all'adozione  di  misure
 cautelari comportanti sospensione dalle cariche medesime.
    Come   tali,   pero',  dette  disposizioni  sono  illegittime  per
 violazione dell'autonomia costituzionale  della  provincia  autonoma,
 garantita  dallo  statuto  speciale,  in quanto configurano una forma
 nuova di controllo sugli organi, non prevista e  non  consentita  ne'
 dalla Costituzione ne' dallo statuto.
    Quest'ultimo,  infatti, prevede come unico strumento di intervento
 statale sugli organi provinciali lo scioglimento del consiglio quando
 questo compia atti contrari alla Costituzione o gravi  violazioni  di
 legge,  o  non  sostituisca la giunta o il suo presidente che abbiano
 compiuto analoghi atti o violazioni (art. 33, primo comma, richiamato
 dall'art. 49, primo comma); e come unica  causa  di  rimozione  dalle
 cariche  di presidente della giunta o di assessore la revoca ad opera
 dello stesso consiglio  (artt.  38  e  33,  primo  comma,  richiamati
 rispettivamente dall'art. 51 e dall'art. 49, primo comma).
    Non  diversa,  come  e' noto, e' la disciplina che la Costituzione
 detta per le regioni ordinarie (art. 126 della Costituzione).
    Orbene, la giurisprudenza di  questa  Corte  ha  chiarito  che  la
 "natura costituzionale" conferita all'autonomia regionale, risultante
 dal  "disegno  tracciato  dal titolo quinto della parte seconda della
 Costituzione, derogabile, ma solo in termini piu' favorevoli, per  le
 autonomie   speciali",  comporta  "come  prima  conseguenza,  che  il
 complesso sistema delle relazioni tra Stato e regioni  debba  trovare
 la  sua  base  diretta  nel tessuto della Costituzione, cui spetta il
 compito  di  fissare,  in  termini  conclusi,  le  stesse  dimensioni
 dell'autonomia,  cioe'  i  suoi  contenuti ed i suoi confini"; e come
 ulteriore conseguenza che "ad ogni potere di intervento dello  Stato,
 suscettibile  di incidere su tale sfera costituzionalmente garantita,
 in modo da condizionarne in concreto - cosi' come accade con le forme
 puntuali del controllo - la misura  e  la  portata,  non  potra'  non
 corrispondere   un   fondamento  specifico  nella  stessa  disciplina
 costituzionale" (sentenza n. 229/1990).
    Tali affermazioni si trovano nel contesto di una sentenza relativa
 ad una forma di intervento o di controllo sugli atti delle Regioni  e
 delle   province   autonome,   come  era  l'annullamento  governativo
 straordinario, previsto dall'art. 2, terzo  comma,  lett.  p),  della
 legge  23  agosto  1988,  n. 400, dichiarato percio' incostituzionale
 dalla predetta sentenza.
    Ma il discorso vale allo stesso  modo  con  riguardo  a  forme  di
 controllo  sugli  organi come quella di cui e' giudizio, posto che la
 stessa sentenza n. 229/1990  non  ha  mancato  di  precisare  che  la
 disciplina "espressa in tema di controlli negli artt. 126 e 127 della
 Costituzione",  come  quella  relativa  al  controllo di legittimita'
 sugli atti amministrativi posta  dall'art.  125  della  Costituzione,
 "viene a presentarsi come tassativa e insuscettibile di estensione da
 parte  del  legislatore  ordinario, in quanto posta a garanzia di una
 autonomia compiutamente definita in sede costituzionale" (ibidem).
    Il principio di tassativita' delle forme di controllo sugli organi
 delle regioni e delle province  autonome,  previste  dalle  norme  di
 livello costituzionale non puo' non condurre a ritenere illegittime e
 lesive disposizioni - come i nuovi commi 4- bis e 4- ter dell'art. 15
 della  legge n. 56/1990 - le quali prevedono una forma di controllo e
 di intervento di organi statali diversa e ulteriore rispetto a quelle
 statutariamente ammesse.
    In  subordine,  la  disposizione  citata  del  comma  4-  ter   e'
 censurabile  in  quanto  attribuisce  la  competenza  ad  adottare il
 provvedimento di sospensione ad un organo diverso da  quello  cui  lo
 statuto  demanda  l'unico  potere  statale  di controllo sugli organi
 provinciali, vale a dire il Presidente della Repubblica, e prevede un
 procedimento (decreto del Presidente del Consiglio, su  proposta  del
 Ministro  dell'interno  di  concerto  con  il Ministro per le riforme
 istituzionali e gli affari regionali, previa delibera  del  Consiglio
 dei  Ministri)  diverso  da  quello  previsto  dallo  statuto  per lo
 scioglimento  (decreto  del  Presidente   della   Repubblica   previa
 deliberazione  del  Consiglio  dei Ministri, sentita, salvo i casi di
 urgenza, la commissione parlamentare per le questioni regionali: art.
 33, terzo comma, dello statuto speciale).
    In particolare, la partecipazione al procedimento del Ministro per
 le riforme istituzionali non puo' evidentemente sostituire,  ai  fini
 di   garanzia   per   la   provincia,  il  parere  della  Commissione
 parlamentare per le questioni regionali.
    Le disposizioni in questione  appaiono  illegittime  altresi'  per
 violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto, nel disporre la
 sospensione  e  la  decadenza  nei soli riguardi degli amministratori
 regionali, provinciali e comunali  (nonche'  di  altri  enti  locali)
 realizzano  un  trattamento  irragionevolmente  differenziato di tali
 amministratori  nei  confronti  dei  titolari  di  analoghe   cariche
 elettive statali, come quelle di membro del Parlamento e del Governo.
    Non  sussistono infatti ragioni simili a quelle che hanno condotto
 questa  Corte,   nella   sentenza   n.   310/1991,   a   giustificare
 l'eccezionale  alla  regola  generale  introdotta  con  la  norma che
 sancisce l'ineleggibilita' alla sola carica di sindaco dei condannati
 (peraltro definitivamente) a certi reati o  a  certe  pene  (art.  6,
 ultimo  capoverso,  del  d.P.R.  16  maggio 1960, n. 570), sulla base
 delle "caratteristiche particolari che contraddistinguono  la  carica
 di  sindaco"  in  quanto  a  questi  sono conferite anche funzioni di
 competenza statale,  che  "incidono  direttamente  sullo  svolgimento
 delle attivita' e sugli interessi primari della comunita' locale".
    Infatti da un lato le norme qui in discussione estendono il regime
 di  sospensione  a  tutti  i titolari di cariche elettive regionali e
 locali, compresi i semplici  consiglieri;  dall'altro  lato  lasciano
 invece  esenti  da  tale  disciplina i titolari delle piu' importanti
 cariche elettive statali,  come  i  membri  del  Parlamento,  le  cui
 funzioni  non  sono  certo  meno  delicate  di quelle dei consiglieri
 provinciali, ed esenti pure i membri del governo, le cui  funzioni  a
 loro volta non sono certo meno delicate di quelle del presidente o di
 un componente della giunta provinciale.
    Tale  violazione del principio di eguaglianza ridonda nella specie
 in lesione dell'autonomia  e  della  posizione  costituzionale  della
 provincia autonoma.
    Il  nuovo  comma 3 dell'art. 15 legge n. 55/1990 stabilisce che le
 disposizioni  del  primo  comma  si  applicano  a  "qualsiasi   altro
 incarico"  con  riferimento  al  quale  l'elezione  o la nomina e' di
 competenza, fra l'altro, del consiglio regionale o provinciale, della
 giunta regionale o provinciale, dei loro presidenti  o  di  assessori
 regionali o provinciali".
    Anche  a  tali  incarichi  appaiono applicabili i commi successivi
 dell'art. 15: in particolare il quarto comma (obbligo di revoca della
 nomina o dell'elezione); il comma 4- bis (immediata sospensione dalle
 cariche "sopra indicate" nel caso di sopravvenienza delle  condizioni
 previste;  il  comma 4- ter (sospensione, adottata in questo caso dal
 prefetto); il comma 4-quater (cessazione della sospensione in caso di
 sentenza di proscioglimento).
    Non e' chiaro invece se si applichi anche a queste fattispecie  il
 comma  4-quinquies:  esso,  stabilendo  la decadenza di diritto dalle
 "cariche indicate al primo comma" nel  caso  di  definitivita'  della
 condanna  o del provvedimento che applica la misura di prevenzione, e
 omettendo invece  qualsiasi  richiamo  al  terzo  comma,  sembrerebbe
 riferirsi  solo  alle  cariche  elettive  elencate  nel  primo  comma
 dell'articolo.
    Le   disposizioni   in   questione,   sancendo   una   causa    di
 ineleggibilita'  o  di non nominabilita', e demandando al prefetto la
 competenza a disporre la sospensione nel caso  di  sopravvenienza  di
 una  delle condizioni previste, con riferimento a tutti gli incarichi
 per i quali l'elezione o la nomina sia  di  competenza  degli  organi
 provinciali,  e  quindi a tutti gli incarichi negli enti dipendenti o
 vigilati dalla provincia, nonche' negli  altri  organismi  nei  quali
 essa  partecipa  eleggendo o nominando taluno dei titolari di cariche
 di ogni  natura,  violano  la  competenza  provinciale  esclusiva  in
 materia  di ordinamento degli uffici provinciali (art. 8, n. 1, dello
 statuto speciale). Violano altresi'  le  competenze  attribuite  alla
 provincia  per la nomina di organi o per il controllo sugli organi di
 altri enti: in particolare, quelle spettanti ai sensi  dell'art.  54,
 primo  comma,  n.  5, dello statuto speciale, che demanda alla giunta
 provinciale la vigilanza e la tutela sulle amministrazioni  comunali,
 sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, sui consorsi
 e  sugli  altri  enti  o  istituti  locali,  "compresa la facolta' di
 sospensione e scioglimento dei  loro  organi  in  base  alla  legge",
 nonche'   la  nomina  di  commissari;  nonche',  ad  esempio,  quelle
 spettanti ai sensi dell'art. 11, terzo comma, dello statuto speciale,
 per quanto riguarda la nomina del presidente e  del  vice  presidente
 della  Cassa  di risparmio; ai sensi dell'art. 94, primo comma, dello
 statuto speciale, che, per quanto riguarda  i  giudici  conciliatori,
 attribuisce  espressamente  al presidente della provincia i poteri di
 nomina, decadenza, revoca e dispensa.
    Infatti tali competenze, in particolare quella di cui all'art.  8,
 n.  1,  dello  Statuto (da ritenersi comunque comprensiva anche della
 materia concernente gli enti dipendenti dalla  provincia)  comportano
 da  un  lato che solo la provincia possa disciplinare i requisiti per
 la  nomina  o l'elezione, le cause di ineleggibilita', di decadenza e
 di sospensione relative agli uffici  e  organi  indicati;  dall'altro
 lato  che solo gli organi provinciali (talora espressamente designati
 dallo statuto) siano competenti ad  adottare  provvedimenti  come  la
 sospensione  di  cui  e'  parola  nei commi 4- bis e 4- ter (come del
 resto, con disposizione di incerto coordinamento coi  commi  primo  e
 4-ter,  stabilisce il comma 4-septies dello stesso art. 15 per quanto
 riguarda gli amministratori e i componenti degli organi delle  unita'
 sanitarie locali).
    Anche  per quanto riguarda tali incarichi, e per le stesse ragioni
 sopra illustrate, va rilevata altresi' la  violazione  del  principio
 costituzionale    di   eguaglianza   -   ridondante   in   violazione
 dell'autonomia e della posizione costituzionale della provincia - che
 discende dall'aver  previsto  la  sospensione  esclusivamente  per  i
 titolari  degli  incarichi  per i quali l'elezione o la nomina sia di
 competenza degli organi provinciali, e non per i titolari di analoghi
 incarichi per i quali l'elezione o la nomina  sia  di  competenza  di
 organi statali, compresi il Governo e il Parlamento.
    Il  nuovo  comma  4-septies  dell'art. 15 legge n. 55/1990 dispone
 che, qualora ricorra una delle condizioni di cui al primo  comma  nei
 confronti  del  personale dipendente delle amministrazioni pubbliche,
 "compresi gli enti ivi indicati" - fra i  quali  la  provincia  e  le
 unita'  sanitarie locali, i cui dipendenti sono soggetti a disciplina
 provinciale   -   "si   fa   luogo   alla    immediata    sospensione
 dell'interessato dalla funzione o dall'ufficio ricoperti".
    Il seguito del comma stabilisce che "per il personale appartenente
 alle regioni" (ma e' disposto che probabilmente deve ritenersi esteso
 alle  province  autonome  di  Trento  e  Bolzano)  la  sospensione e'
 adottata dal presidente  della  giunta  regionale,  "fatta  salva  la
 competenza,  nella  regione Trentino-Alto Adige, dei presidenti delle
 province autonome di Trento e di Bolzano".
    Il  comma  4-octies  a  sua  volta  stabilisce  che  al  personale
 dipendente  di  cui  al  comma  4-septies  si  applicano  altresi' le
 disposizioni dei commi  4-quinquies  (decadenza  di  diritto  con  la
 definitivita'  della  condanna  o  del  provvedimento  che applica la
 misura di prevenzione) e 4-sexies (esclusione dei  casi  in  cui  sia
 stata concessa la riabilitazione).
    La  estensione  al personale dipendente di norme come quelle sulla
 sospensione e sulla decadenza di diritto, previste per i titolari  di
 cariche  elettive o di incarichi di nomina degli organi elettivi, non
 manca di porre seri problemi di  ordine  costituzionale,  poiche'  si
 pone in diretto conflitto con la consolidata giurisprudenza di questa
 Corte, secondo cui sono illegittime previsioni normative che facciano
 discendere  da  condanne  penali  effetti di destituzione de jure dei
 pubblici impiegati o  dei  titolari  di  altre  funzioni,  in  quanto
 violano  il criterio della necessaria proporzionalita' delle sanzioni
 rispetto all'illecito compiuto (cfr. sentenze nn. 270/1986, 971/1988,
 40 e 158 del 1990, 16/1991).
    Infatti per l'impiegato, per il quale  l'ufficio  ricoperto  e  la
 funzione     esercitata     costituiscono    altresi'    esplicazione
 dell'attivita' di lavoro, da cui egli trae il suo  sostentamento,  la
 destituzione  o  la sospensione rappresentano misure anche piu' gravi
 che non per il titolare di carica onoraria elettiva.
    Per di piu', nella specie, tali gravi effetti - per quanto attiene
 alla  sospensione  -  sono  collegati non gia' alla condanna divenuta
 definitiva,  ma  alla  semplice  condanna  anche  non  definitiva,  o
 addirittura  al solo rinvio a giudizio, con evidente violazione anche
 del principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza (art.
 27, secondo comma, della Costituzione).
    In ogni caso, per  i  dipendenti  della  provincia  e  degli  enti
 comunque  soggetti alla disciplina provinciale, stabilire i requisiti
 di accesso all'impiego e le  cause  di  decadenza  e  di  sospensione
 spetta esclusivamente al legislatore provinciale.
    E'  pertanto  illegittimo  il comma 4-septies in quanto disciplina
 materie riservate alla competenza provinciale.
    Il comma 4-septies si riferisce  al  "personale  dipendente  delle
 amministrazioni  pubbliche, compresi gli enti ivi indicati", e quindi
 sembrerebbe letteralmente dettare  una  disciplina  estesa  anche  ai
 dipendenti  delle  amministrazioni  statali  e  degli enti dipendenti
 dallo Stato.
    Tuttavia  il  fatto  che  il  comma  taccia  del  tutto  circa  la
 competenza  e  le  procedure  per  disporre  la  sospensione  di tali
 dipendenti, mentre le specifica per quanto riguarda gli enti locali e
 le regioni; il fatto che nell'ultima parte del comma  si  preveda  la
 comunicazione  dei  provvedimenti,  da  parte  della  cancelleria del
 tribunale  o  della  segreteria  del  pubblico  ministero,  ai   soli
 "responsabili  delle  amministrazioni o enti locali indicati al primo
 comma" (escluse quindi le amministrazioni statali); nonche' infine il
 riferimento del titolo della  legge  alle  sole  "elezioni  e  nomine
 presso  le regioni e gli enti locali", fanno ritenere che in realta',
 anche per quanto riguarda i dipendenti, la disciplina introdotta  sia
 limitata a quelli delle amministrazioni regionali e locali.
    Ma in tal modo si evidenzia anche a questo riguardo una violazione
 dell'art.  3  della  Costituzione, che ridonda a sua volta in lesione
 dell'autonomia e della posizione costituzionale della  provincia,  in
 quanto  non risulta in alcun modo giustificato il diverso e deteriore
 trattamento riservato dal legislatore  statale  ai  dipendenti  della
 provincia   e   degli   enti  locali  rispetto  ai  dipendenti  delle
 amministrazioni statali,  senza  che  sussistano  ragionevoli  motivi
 connessi alle funzioni rispettivamente esplicate.
                               P. Q. M.
    Chiede   che   la   Corte   voglia   dichiarare   l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 15, commi terzo, 4-bis, 4-ter, 4-septies
  e 4-octies, della legge 19 marzo 1990,  n.  55,  come  sostituiti  o
 aggiunti  dall'art.  1  della  legge  18  gennaio  1992,  n.  16,  in
 riferimento agli artt. 8, n. 1, 16 e 49 (nella parte in cui  richiama
 l'art.  33),  51  ( nella parte in cui richiama l'art. 38) e 54 dello
 statuto speciale di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e alle rel-
 ative norme di attuazione, nonche' all'art. 3 della Costituzione.
      Roma, addi' 21 febbraio 1992
            Avv. prof. Valerio ONIDA - Avv. Gualtiero RUECA

 92C0273