N. 83 SENTENZA 19 febbraio - 4 marzo 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Elezioni  -  Candidature  - Eliminazione di quelle sottoscritte da un
 numero di elettori superiore a quello massimo prescritto dalla  legge
 -   Principio   generalizzato   -   Discrezionalita'   legislativa  -
 Ragionevolezza - Non fondatezza.
 
 (D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 30, primo comma, lett.a)
 
 (Cost., artt. 3, 51 e 97).
(GU n.11 del 11-3-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco Paolo
    CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  30, primo
 comma, lett. a), del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle
 leggi  per  la  composizione  e  la  elezione  degli   organi   delle
 Amministrazioni  comunali),  promosso  con  ordinanza  emessa  il  14
 dicembre 1990 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto da  Orlandi
 Severino  ed  altro  contro Legnini Giovanni ed altri, iscritta al n.
 632 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto l'atto di costituzione di Orlandi Severino ed altro, nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  4  febbraio  1992  il  Giudice
 relatore Mauro Ferri;
    Uditi l'avv. Lucio V. Moscarini per Orlandi Severino  ed  altro  e
 l'Avvocato  dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio
 dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con ordinanza emessa il 14 dicembre 1990 (pervenuta  a  questa
 Corte  il  27 settembre 1991), il Consiglio di Stato ha sollevato, in
 riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della  Costituzione,  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 30, primo comma, lett. a), del
 d.P.R. 16 maggio 1960,  n.  570  (Testo  unico  delle  leggi  per  la
 composizione   e  la  elezione  degli  organi  delle  Amministrazioni
 comunali) - in relazione all'art. 12, primo comma,  lett.  a),  della
 legge  21 marzo 1990, n. 53 (Misure urgenti atte a garantire maggiore
 efficienza al procedimento elettorale) - "nella parte in cui comporta
 l'eliminazione  delle  candidature  sottoscritte  da  un  numero   di
 elettori superiore a quello massimo prescritto dalla legge".
    Il giudice remittente premette, in punto di fatto, quanto segue.
    Il  giorno 11 aprile 1990, Belli Italo, in qualita' di delegato di
 lista, presentava al segretario comunale di Roccamontepiano una lista
 di  candidati  per  il  rinnovo  del  Consiglio   di   quel   Comune,
 sottoscritta  da  76  elettori  (in  regola  con il minimo di 60 e il
 massimo di 90 prescritti per i Comuni da 2.000 a  5.000  abitanti)  e
 con  allegati  due  certificati  collettivi,  uno  per  50 elettori e
 l'altro per i rimanenti 26.  Senonche',  scaduti  i  termini  per  la
 presentazione  delle liste, il segretario comunale informava il Belli
 che nell'ultimo censimento  gli  abitanti  di  Roccamontepiano  erano
 risultati  1990  e  che,  di  conseguenza, i sottoscrittori avrebbero
 dovuto essere in numero compreso fra 20 e 30 (come prescritto  per  i
 Comuni  fino  a 2.000 abitanti). Il Belli presentava, quindi, istanza
 alla Commissione elettorale circondariale  di  Chieti,  chiedendo  il
 ritiro   del  certificato  elettorale  di  50  elettori  in  modo  da
 considerare valide unicamente le rimanenti 26 firme. La  Commissione,
 tuttavia,  in  applicazione  dell'art. 30, primo comma, lett. a), del
 d.P.R. n. 570 del 1960, eliminava la lista in  questione,  in  quanto
 sottoscritta  da  un numero di persone eccedente quello massimo di 30
 stabilito dall'art. 12 della legge n. 53 del 1990, e  successivamente
 confermava  tale  decisione. Il TAR dell'Abruzzo, sezione di Pescara,
 adito dal Belli  e  da  Legnini  Giovanni,  accoglieva  l'istanza  di
 sospensione delle impugnate delibere della Commissione anzidetta, con
 la  conseguenza  che  la  lista  in  questione  veniva  ammessa  alla
 competizione elettorale del maggio 1990 e  tutti  i  candidati  della
 stessa erano proclamati eletti. L'atto di proclamazione degli eletti,
 con tutti i provvedimenti pregressi, veniva a sua volta impugnato dal
 Belli  e  dal  Legnini,  nonche',  per  motivi  diversi,  da  Orlandi
 Severino, candidato non eletto, e da Marinelli Trentino.
    L'adito TAR, con sentenza del 28 giugno 1990, n. 518,  per  quanto
 qui  interessa,  annullava  l'esclusione  della lista de qua disposta
 dalla  Commissione  elettorale  (e  considerava  quindi  legittimo  e
 definitivo  l'atto  di  proclamazione degli eletti), ritenendo che la
 Commissione   stessa   avesse   il   potere    di    consentire    la
 regolarizzazionedella  lista,  eliminando i certificati elettorali in
 eccesso. Avverso tale sentenza hanno proposto appello l'Orlandi e  il
 Marinelli.
    Tutto  cio'  premesso,  il  giudice  a  quo rileva che il punto da
 chiarire e' se la Commissione  elettorale,  ai  sensi  dell'art.  30,
 primo comma, lett. a), del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (secondo cui
 la  Commissione  medesima  deve  verificare che "le candidature siano
 sottoscritte dal numero prescritto di elettori, eliminando quelle che
 non lo sono"), debba procedere alla eliminazione della lista non solo
 quando la relativa dichiarazione di presentazione sia sottoscritta da
 un numero di elettori inferiore al minimo richiesto, ma anche qualora
 sia sottoscritta da  un  numero  di  elettori  superiore  al  massimo
 prescritto,  ovvero  se  in  tale  ultima ipotesi debba disporre, ove
 richiesta, la relativa regolarizzazione. A questo punto il remittente
 (premesso che non sono applicabili alla fattispecie  ne'  l'art.  33,
 ultimo  comma,  del  d.P.R.  n.  570/60, ne' l'art. 30, lett. e), del
 medesimo  d.P.R.)  osserva   che,   secondo   la   propria   costante
 giurisprudenza,  fra i compiti della suddetta Commissione non rientra
 (fatta  eccezione  per   le   determinazioni   di   ricusazione   dei
 contrassegni)  quello  di  sopperire  in  via  di  collaborazione  ad
 eventuali errori o deficienze riscontrabili nelle liste presentate, e
 che anche secondo le istruzioni diramate dal  Ministero  dell'Interno
 la  lista  va  ricusata  qualora  il  numero dei presentatori risulti
 eccedente il limite massimo consentito dalla legge.
    Cio' posto, il remittente solleva,  ritenendola  rilevante  e  non
 manifestamente  infondata,  la  questione  di costituzionalita' sopra
 indicata,  osservando,  innanzitutto,  che  mentre  la  ratio   della
 previsione  di  un  numero minimo di sottoscrittori si comprende e si
 giustifica con la duplice esigenza di  garantire,  da  un  lato,  una
 certa  consistenza  numerica  di  base  ad  una compagine che mira ad
 assumere un ruolo di rappresentanza della comunita' e di  assicurare,
 dall'altro,  alla  compagine  stessa  un  minimo  di  credibilita' ed
 affidabilita', la ragione della fissazione anche di un numero massimo
 di sottoscrittori appare finalizzata  alla  mera  semplificazione  di
 preliminari  richiesti per la presentazione delle candidature, vale a
 dire  ad  uno  scopo  piu'  pratico  che  giuridico,  dal  quale  non
 dovrebbero  scaturire  conseguenze  di  principio. La norma impugnata
 appare   pertanto   contraria   ad   un   elementare   principio   di
 ragionevolezza,  oltre  che agli artt. 3 e 51 della Costituzione, che
 garantiscono la massima liberta' di accesso  all'elettorato  passivo,
 nonche'    al   principio   del   buon   andamento   della   pubblica
 amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione.
    L'irragionevolezza  della  norma  in  esame  e'  poi   rafforzata,
 prosegue  il  remittente, dal rilievo che nell'ordinamento vigente in
 materia elettorale le sottoscrizioni non sono sempre richieste  (art.
 1,  primo  comma,  lett. b), del decreto-legge 3 maggio 1976, n. 161,
 convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio  1976,  n.  240,
 nel  testo  inserito dall'art. 12, terzo comma, della legge n. 53 del
 1990).
    Infine, conclude il remittente, non appare  affatto  e  seriamente
 probante  la  tesi, affermata dalla Commissione elettorale di Chieti,
 secondo cui la norma si giustificherebbe con lo scopo di evitare  che
 la  presentazione  della  lista  si  risolva  in una pre-competizione
 elettorale dal risultato scontato, in quanto le  procedure  sono  di-
 verse  e, nella segretezza del voto, ogni sottoscrittore ben potrebbe
 esprimere una volonta' diversa da quella inizialmente manifestata  in
 sede di firma a presentazione delle candidature.
    2.  -  Si  sono  costituiti  nel  giudizio  dinanzi a questa Corte
 Orlandi Severino e Marinelli Trentino, appellanti nel giudizio a quo,
 chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
    In ordine alle censure poste dal giudice remittente in riferimento
 all'art. 51 della Costituzione, si osserva  che  questa  disposizione
 costituzionale   attiene  esclusivamente  alla  capacita'  elettorale
 passiva dei candidati, intesa come possesso di attitudini e requisiti
 (che si sostanziano nell'assenza di impedimenti,  riconducibili  alla
 nota   ripartizione   tra   cause   di  ineleggibilita'  e  cause  di
 incompatibilita'),  con  la  conseguenza  che  il  richiamo  a  detto
 parametro  e'  fuori  luogo  nel  caso  di  specie, dato che le norme
 censurate,  che  stabiliscono  soltanto   regole   di   comportamento
 dell'amministrazione  in  sede  di  operazioni  elettorali  e  non si
 riferiscono affatto alla  situazione  personale  dei  candidati,  non
 incidono minimamente sulla capacita' elettorale passiva dei candidati
 medesimi,  non  possono  cioe' ricomprendersi nel novero delle regole
 limitative del libero accesso alle cariche elettive.
    Quanto alla presunta irragionevolezza delle  norme  impugnate,  la
 difesa   delle   parti   costituite  osserva  che  nell'ordinanza  di
 rimessione manca completamente il necessario tertium comparationis  e
 tale  mancanza conduce (o comunque ne costituisce grave sintomo) alla
 infondatezza della questione, secondo  la  giurisprudenza  di  questa
 Corte.  Ne'  tale  tertium potrebbe ravvisarsi nel richiamato art. 1,
 primo comma, lett. b), del d.-l. 3 maggio 1976,  n.  161,  convertito
 dalla  legge  n. 240 del 1976, nel testo inserito dall'art. 12, terzo
 comma, della  legge  n.  53  del  1990:  trattasi,  infatti,  di  una
 disposizione  eccezionale e derogatoria, inidonea come tale a fungere
 da tertium comparationis.
    In  ordine,  poi,  alla  pretesa  violazione  dell'art.  97  della
 Costituzione, si rileva l'intima contraddittorieta' dell'ordinanza di
 rimessione,  la'  dove  il  giudice  a quo, mentre individua la ratio
 della norma che fissa il numero massimo  delle  sottoscrizioni  nella
 esigenza   di   semplificazione   delle  attivita'  preliminari  alle
 operazioni elettorali, individua poi  un  profilo  di  illegittimita'
 costituzionale  nella violazione dell'anzidetta norma costituzionale,
 che  pone  innanzitutto  i  principi  di  efficienza   e   speditezza
 dell'azione  amministrativa.  Stando alla tesi del Consiglio di Stato
 si otterrebbe l'inevitabile risultato che la  Commissione  elettorale
 sarebbe investita di un potere atipico di correzione in ribasso delle
 sottoscrizioni,  con cio' dandosi corpo ad una indubbia complicazione
 delle operazioni elettorali.
    Osserva, infine, la difesa delle parti  costituite  che  la  norma
 preclusiva  censurata  persegue  una  finalita' ben piu' rilevante di
 quella di semplificare le operazioni elettorali: la ratio  preminente
 starebbe   in  cio',  che  qualora  in  una  lista  elettorale  fosse
 consentito   inserire   un   numero    pressoche'    illimitato    di
 sottoscrizioni,  con  l'unica  conseguenza  che  tali  sottoscrizioni
 possano  poi  essere  depennate  dalla  Commissione  elettorale,   ne
 conseguirebbe  che  in tal modo si sarebbe data ai sostenitori di una
 certa lista la possibilita' di rendere noto a tutti che quella  lista
 ha  gia'  in  partenza  un elevatissimo numero di suffragi e cio' non
 potrebbe non determinare sull'animo  del  corpo  elettorale,  per  un
 intuibile  fenomeno di imitazione, un profilo di non genuinita' delle
 scelte,  con  riflessi  anche sul principio della segretezza del voto
 garantito dall'art. 48 della Costituzione.
    3. - E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri, concludendo per l'infondatezza della questione.
    Rileva  l'Avvocatura  dello  Stato  che il diritto di accesso alle
 cariche elettive non e' violato  in  quanto  la  norma  impugnata  si
 limita  a  disciplinare modalita' di partecipazione alle elezioni con
 una previsione valida per la generalita' dei cittadini e  di  agevole
 attuazione per tutti gli interessati.
    Ne'  appare irragionevole l'identita' di effetto (esclusione della
 lista) che la norma attribuisce sia all'incompletezza che all'eccesso
 delle sottoscrizioni. In quest'ultimo caso  la  ratio  e'  quella  di
 assicurare  la  massima  semplicita'  e  celerita'  delle  operazioni
 elettorali (esigenza che permea tutto  il  procedimento  elettorale),
 nonche'  sostanziale  identita'  di  posizione  di partenza a tutti i
 concorrenti. Consentire la  presentazione  di  liste  con  un  numero
 illimitato  di  sottoscrittori  comporterebbe il rischio di ingolfare
 irrimediabilmente  le  commissioni  elettorali,  specialmente   nelle
 grandi citta', per cui, in conclusione, la norma impugnata, ancorche'
 forse  discutibile,  non  puo' essere certamente considerata priva di
 razionalita'.
    4. - Hanno depositato memoria  illustrativa  le  parti  costituite
 Orlandi  Severino  e Marinelli Trentino, insistendo nelle conclusioni
 gia' formulate.
    5. - Con ordinanza emessa nell'udienza del 4 febbraio 1992, questa
 Corte ha dichiarato inammissibile per tardivita' la  costituzione  in
 giudizio della parte privata Legnini Giovanni.
                        Considerato in diritto
   1. - Il Consiglio di Stato dubita della legittimita' costituzionale
 dell'art.  30,  primo  comma, lett. a), del d.P.R. 16 maggio 1960, n.
 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione  degli
 organi  delle Amministrazioni comunali), "nella parte in cui comporta
 l'eliminazione  delle  candidature  sottoscritte  da  un  numero   di
 elettori superiore a quello massimo prescritto dalla legge".
    Ad  avviso  del giudice a quo la norma suddetta contrasterebbe con
 gli artt. 3, 51 e 97 della  Costituzione,  in  quanto  l'eliminazione
 dalla  competizione  elettorale delle liste sottoscritte da un numero
 di  elettori  superiore  a  quello  previsto  come  massimo,  sarebbe
 "contraria  a un elementare principio di ragionevolezza, quale limite
 invalicabile dal legislatore", al principio del libero  accesso  alle
 cariche  elettive,  nonche'  al  principio  del  buon andamento della
 pubblica amministrazione.
    2. - La questione non e' fondata.
    La  norma  sospettata  di  incostituzionalita'  trae  origine  dal
 decreto  legislativo  luogotenenziale  7  gennaio 1946, n. 1, dove e'
 stata per la prima volta formulata nell'art. 21, primo  comma,  lett.
 a).
    Vale  la  pena  di  ricordare  che  detto  decreto fu adottato dal
 Governo Parri, udito il parere della Consulta Nazionale, al  fine  di
 svolgere  una tornata di elezioni amministrative prima del referendum
 istituzionale e delle elezioni dell'Assemblea Costituente.  Si  voto'
 in effetti in un gran numero di comuni nel marzo e aprile del 1946.
    Il  testo  legislativo,  anche se prendeva per base il testo unico
 approvato con regio  decreto  4  febbraio  1915,  n.  148,  conteneva
 tuttavia importanti modifiche ed innovazioni coerenti con le profonde
 trasformazioni  intervenute  nel paese: l'elettorato attivo e passivo
 era esteso alle donne, e  alla  vecchia  societa'  dei  notabili  era
 succeduta  una  societa'  caratterizzata  dalla  democrazia di massa,
 nella  quale  si  affermava   gia'   allora   un'elevata   concezione
 dell'autonomia  comunale  espressa  nelle  pur  diverse posizioni dei
 partiti  democratici  e  approfondita   negli   studi   e   dibattiti
 preparatori  della  Costituente.  Tale  concezione si ricollegava del
 resto alle esperienze attuate  nel  primo  quarto  del  secolo  dalle
 amministrazioni  di  ispirazione democratica, socialista o cattolico-
 popolare; esse, pur in tempi di  suffragio  relativamente  ristretto,
 prefigurarono i consigli comunali intesi quali diretta rappresentanza
 del  popolo  e  non  piu'  comitati  di  gestione degli interessi dei
 proprietari e di tutela dei contribuenti.
    La relazione del governo che presenta lo schema  di  provvedimento
 alla Consulta nazionale sottolinea e spiega la innovazione costituita
 dalla  disciplina  della  presentazione  delle candidature: "Il testo
 unico 1915 non  prevedeva  affatto  la  preventiva  presentazione  di
 candidature,  in  quanto  il  sistema  elettorale  adottato  lasciava
 all'elettore le piu' ampie facolta' nella scelta delle persone da lui
 ritenute idonee alle funzioni di amministratori degli Enti locali; ma
 cio' importava, da un lato, lo sfrenarsi della lotta  elettorale  tra
 coloro  che  per  sola ambizione, o per fini ancor meno commendevoli,
 aspiravano alla conquista del pubblico potere,  pur  non  riscuotendo
 alcun  credito fra la popolazione; dall'altro, una grande dispersione
 di voti, che si polverizzavano fra un numero eccessivo di  nomi,  non
 essendo l'elettore vincolato da alcuna lista di candidati".
    "Ogni candidatura e' subordinata alla presentazione da parte di un
 determinato   numero   di  elettori,  fissato  in  proporzione  della
 popolazione del Comune, ed  alla  dichiarazione  di  accettazione  da
 parte   dei   candidati.   Il  controllo  sulla  presentazione  delle
 candidature e' stato deferito alle Commissioni  elettorali  che  sono
 state   istituite   in   ogni  capoluogo  di  mandamento."  (Consulta
 Nazionale, schema di provvedimento legislativo  n.  55,  23  novembre
 1945).
    Questa  normativa,  consistente  nell'obbligo della sottoscrizione
 delle liste dei candidati da un numero di elettori non  inferiore  al
 minimo   e  non  superiore  al  massimo  previsti  in  rapporto  alla
 popolazione dei comuni suddivisi in classi (cfr. artt. 20  e  56  del
 citato  decreto  n.  1  del  1946),  e'  stata  confermata in termini
 sostanzialmente identici a quelli iniziali nelle successive modifiche
 delle leggi  elettorali  amministrative  intervenute  fino  ad  oggi.
 Analoga  disciplina  e'  stata prevista nella legge regolatrice della
 elezione    dell'Assemblea    Costituente    (decreto     legislativo
 luogotenenziale  10  marzo  1946, n. 74), e successivamente in quelle
 delle elezioni della Camera dei deputati, del  Senato,  dei  Consigli
 regionali, dei rappresentanti dell'Italia al Parlamento europeo.
    Si  puo'  dunque  ritenere che nel nostro ordinamento sia ormai un
 principio generalizzato che in  ogni  tipo  di  elezione  diretta  le
 candidature  debbano  essere  munite di una sorta di dimostrazione di
 seria  consistenza  e  di  un  minimo  di  consenso  attestata  dalla
 sottoscrizione  di  un  determinato  numero  di  elettori.  La stessa
 innovazione introdotta a partire dal 1976 (legge 23 aprile  1976,  n.
 136  e  decreto-legge  3  maggio 1976, n. 161, convertito in legge 14
 maggio 1976, n. 240), in forza della quale  la  sottoscrizione  degli
 elettori  non  e'  richiesta  "per  la  presentazione  di  liste o di
 candidature con contrassegni  tradizionalmente  usati  da  partiti  o
 gruppi politici che abbiano avuto eletto un proprio rappresentante in
 Parlamento   o  siano  costituiti  in  gruppo  parlamentare  ..",  si
 inscrive, a ben riflettere,  nel  principio  anzidetto  e  scaturisce
 dalla  medesima  ratio.  Infatti,  la  garanzia  rappresentata  dalla
 sottoscrizione degli elettori e'  in  questo  caso  sostituita  dalla
 sottoscrizione del presidente o del segretario del partito ovvero dei
 loro mandatari, trattandosi di partiti o di gruppi la cui consistenza
 e'  dimostrata  dall'avvenuta  elezione  di  loro  rappresentanti  in
 Parlamento.
   3. - Si e' quindi di fronte ad una scelta operata  dal  legislatore
 fino dal 1946, confermata anche nelle leggi piu' recenti (v. legge 21
 marzo 1990, n. 53 e legge 11 agosto 1991, n. 271), nell'esercizio dei
 poteri   previsti   dall'art.  51  della  Costituzione,  al  fine  di
 soddisfare un'esigenza certamente non irragionevole.  Del  resto,  il
 giudice  remittente  riconosce anch'egli la validita' della ratio cui
 ha ubbidito il legislatore; ma distingue fra la fissazione del numero
 minimo di sottoscrittori, giustificato  dalla  "duplice  esigenza  di
 garantire  da  un  lato una certa consistenza numerica di base ad una
 compagine  che  mira  ad  assumere   elettoralmente   un   ruolo   di
 rappresentanza   politico-amministrativa   della   comunita'   e   di
 assicurare, dall'altro, a tale compagine un minimo di credibilita' ed
 affidabilita'",  e  la   fissazione   di   un   numero   massimo   di
 sottoscrizioni  che  -  sempre  secondo  il  giudice  a quo - "appare
 finalizzata alla mera semplificazione dei preliminari  richiesti  per
 la  presentazione  delle  candidature,  vale  a dire a uno scopo piu'
 pratico che giuridico dal quale non dovrebbero scaturire  conseguenze
 di principio".
    Va  detto  in  proposito  che  la fissazione del numero massimo di
 sottoscrizioni non  e'  diretta  soltanto  alla  semplificazione  del
 procedimento: essa si da' carico di esigenze di ben maggiore rilievo,
 in  quanto  rivolte a garantire la libera e genuina espressione della
 volonta' del corpo elettorale. E' infatti presente, ed e'  certamente
 fondata,  la  preoccupazione per cui, in mancanza di una prescrizione
 sul numero massimo di sottoscrizioni, potrebbero aprirsi, specie  nei
 piccoli  comuni,  delle vere e proprie precompetizioni elettorali per
 assicurarsi il piu' alto numero di sottoscrittori possibile  al  fine
 di  dimostrare  la forza e l'influenza dell'una o dell'altra lista di
 candidati, ed esercitare cosi'  una  indebita  pressione  psicologica
 sull'elettorato  e  in  definitiva  una  forma di condizionamento del
 voto.
    4. - Dalle considerazioni svolte discende la  inconsistenza  della
 specifica  censura  prospettata  in  ordine all'art. 30, primo comma,
 lett. a), del d.P.R. n. 570 del 1960. Il giudice  remittente  lamenta
 in  sostanza  che sia prevista l'eliminazione delle candidature anche
 nel caso in cui queste siano sottoscritte da un  numero  di  elettori
 eccedente  il  massimo  prescritto.  Ma,  proprio  in  ragione  delle
 anzidette finalita' cui si ispira la fissazione del  limite  massimo,
 appare   di   tutta   evidenza  che  queste  sarebbero  completamente
 vanificate, se dalla  violazione  per  eccesso  di  tale  limite  non
 derivasse la conseguenza sanzionatoria della eliminazione della lista
 dalla  competizione elettorale. Chi volesse influenzare indebitamente
 il corpo elettorale con la dimostrazione di forza  consistente  nella
 raccolta  di  un  piu'  alto  numero  di  sottoscrizioni  non sarebbe
 distolto da tale intento, se al superamento del limite massimo  delle
 sottoscrizioni  facesse  seguito  una semplice regolarizzazione della
 lista con la cancellazione  ad  opera  della  Commissione  elettorale
 circondariale  delle  sottoscrizioni  in  eccesso.  Per  di  piu'  in
 siffatta ipotesi il  procedimento  elettorale  preparatorio  verrebbe
 notevolmente complicato.
    Tanto  basta  ad  escludere l'irragionevolezza di una disposizione
 che rientra nella regola generale per cui, salvo espresse  eccezioni,
 la   inosservanza  delle  norme  relative  alla  presentazione  delle
 candidature comporta la non ammissione delle stesse alla competizione
 elettorale.
    5. - Accertato che la norma in esame non contraddice al  principio
 di ragionevolezza, cade di conseguenza il riferimento agli artt. 51 e
 97  della Costituzione. In ordine a quest'ultimo si e' gia' osservato
 che, contrariamente a cio' che assume il  giudice  a  quo,  la  norma
 stessa  si  ispira  anche  ai  principi in esso affermati. Quanto poi
 all'art.  51,  e'  evidente  che  la  determinazione  da  parte   del
 legislatore  di  regole  non  irragionevoli attinenti al procedimento
 elettorale, alle quali  i  candidati  alle  cariche  elettive  devono
 uniformarsi,  non  si  pone in contrasto con i principi affermati nel
 primo comma dell'anzidetto articolo della Costituzione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  30,  primo  comma, lett. a), del d.P.R. 16 maggio 1960, n.
 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione  degli
 organi  delle  Amministrazioni  comunali),  sollevata, in riferimento
 agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, dal Consiglio di Stato  con
 l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 19 febbraio 1992.
                       Il Presidente: CORASANITI
                          Il redattore: FERRI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 4 marzo 1992.
                       Il cancelliere: DI PAOLA
 92C0279