N. 140 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 novembre 1991
N. 140 Ordinanza emessa il 15 novembre 1991 dal Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale sui ricorsi riuniti proposti da Archetti Rosa in Riva ed altri contro l'E.N.P.A.S. Previdenza e assistenza sociale - Impiego statale - Indennita' di buonuscita - Esclusione dell'indennita' integrativa speciale dal computo della base contributiva da considerarsi ai fini della liquidazione della buonuscita - Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto ai lavoratori privati e ai dipendenti degli enti pubblici - Violazione del principio della retribuzione (anche differita) proporzionata ed adeguata - Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 220/1988, di inammissibilita' di analoga questione (trattandosi di scelta discrezionale riservata al legislatore - rel. Pescatore) e a successive ordinanze di manifesta inammissibilita' ritenute superate dal giudice rimettente per l'inerzia prolungata del legislatore invitato con le predette pronunce a provvedere all'omogeneizzazione della disciplina dei rapporti di fine servizio. (Legge 27 maggio 1959, n. 324, art. 1, terzo comma, lettere b) e c), sostituito dalla legge 3 marzo 1960, n. 185, art. 1, primo comma; d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, artt. 3, 37 e 38). (Cost., artt. 3, 36 e 38).(GU n.13 del 25-3-1992 )
IL CONSIGLIO DI STATO Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento sui ricorsi in appello riuniti numeri 399, 400 e 401 del 1987, proposti: n. 399/1987 da: Archetti Rosa in Riva, Albanese Giuseppina, Guizzetti Ermas Giovanna Laura in Maffessanti, Collavini Edda in Franceschini, Perdoncin Costantino, Terreni Giovanna in Azzoni, Pocar Valerio quale procuratore di Andreoletti Annamaria, Bernasconi Mariagrazia in Lubrina, Zanchi Alessandra in Albanese, Bordogna Annamaria in Sacchi, Rottigni Carla in Marchesi, Moretti Vanda in Gilberti, Bonifaccio Raffaello, Testa Ambrosina, Bolandrina Cecilia in Poli, Pandini Alessia in Cologni, Zucchelli Giuseppina in Zucchelli, Goffi Fernando, Savoldelli Giancarla in Morstabilini; n. 400/1987 da: Pinacoli Antonio, Caldara Amelia in Bellotti, Carminati Ermenegilda, Gritti Antonietta in Rossato, Raunacher Editta in Lugiato, Cacciamali Luigia in Gelmi, Salvi Anna Maria in Beretta, Brunetti Faustina Teresa in Breviario, Lorenzi Mansueto, Leandri Mirella in Lorenzi, Mattioli Lida in Capolino, Pesenti Udilia ved. Rovelli, Jannone Maria Costanza ved. Pagani, Chioffi Amalia in Pizzigalli, Milesi Giuseppina in Marconi, Faccioli Annamaria, Rota Claudia in Borgonzoni, Manella Alberta, Morlotti Maria in Cattaneo, Contardo Olga ved. Gambardella, Floridi Roberta, Rindi Iginia Anna Maria, Sirtoli Adriana, Prestini Anna Maria, Martina Angela in Guerini, Chiereghin Fernanda, Induni Maria Teresa in Bertolani, Plebani Elisa in Faga, Gusmini Teresa, Mazzoleni Maria in Fraschini, Raffaelli Pietro, Cologni Francesco, Breno Amerigo, Sonnino Argia ved. Cervo, Licini Elena; n. 401/1987 da: Filippini Zemira Maria, Puerari Caterina in Marciano', Pellegrini Luciana in Ciatto, Noris Chiorda Mario, Capoferri Maria in Pusterla, Confalonieri Emiliana in Barbieri, Curnis Angela in Cantoni, Rocco Amelia in Comolli, Rebuzzini Margherita, Guerini Giovanni, Ghirardi Teresa in Dolci, Cortinovis Adriana, Romei Primo, Salaroli Attilio, Chiesa Francesca in Ravasio, Rovelli Teresa Maria, Marchesi Giuseppina in Ghidelli, Colombo Zefinetti Vittorina in Goggia, Geti Giuseppina ved. Vendramin Mosca, Mancini Diana ved. Baschenis, Gamba Ermanno, rappresentati e difesi dall'avv. Carlo Rienzi presso cui sono elettivamente domiciliati in Roma, viale delle Milizie n. 9, contro l'Ente nazionale di previdenza e assistenza agli impiegati dello Stato - E.N.P.A.S., in persona del Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato presso cui e' domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12 per l'annullamento delle sentenze del tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione di Brescia, numeri 612, 613 e 614 dell'11 ottobre 1985-31 dicembre 1985; Visti i ricorsi con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'E.N.P.A.S.; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Udita alla pubblica udienza del 15 novembre 1991 la relazione del consigliere C. Zucchelli e uditi, altresi', l'avv. Rienzi per i ricorrenti e l'avv. dello Stato Zotta per l'amministrazione resistente; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F A T T O Luigi Goisis e gli altri indicati in epigrafe, tutti ex dipendenti dello Stato, adivano con tre distinti ricorsi, il tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione di Brescia, per vedersi riconoscere il diritto al computo, ai fini dell'indennita' di buonuscita a carico dell'E.N.P.A.S., oltre che dello stipendio, dell'indennita' integrativa speciale e di ogni altra indennita' avente carattere di continuita', obbligatorieta' e predeterminazione. Lamentavano: 1) violazione degli articoli 1 e seguenti della legge 27 maggio 1959, n. 324, in quanto abrogata dall'art. 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, per incompatibilita'; 2) violazione dell'art. 38 del d.P.R. 31 dicembre 1973, n. 1032; 3) in subordine, illegittimita' costituzionale delle norme che escludono il computo dell'indennita' integrativa speciale ai fini dell'indennita' di buonuscita per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto la legge 7 luglio 1980, n. 299, ha previsto il computo di tale indennita' ai fini del premio di fine servizio per i dipendenti degli enti locali e per contrasto con l'art. 36 della Costituzione in tema di giusta retribuzione. Il tribunale respingeva i ricorsi, osservando: 1) l'art. 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, indica in un elenco tassativo gli "assegni" costituenti la base imponibile contributiva ai fini della determinazione della indennita' di buonuscita e fra tali assegni non e' compresa l'indennita' integrativa speciale, in quanto la norma individua gli assegni considerati come base contributiva secondo un criterio di nominativita' e non di omnicomprensivita' del trattamento economico. L'esclusione e' stata implicitamente confermata dalla legge 20 marzo 1980, n. 75, che, nel comprendere la tredicesima mensilita' nella stessa base contributiva, ha stabilito che non deve tenersi conto agli stessi fini degli assegni ed indennita' che non siano espressamente previsti dalla legge come utili ai fini del trattamento previdenziale; 2) l'indennita' integrativa speciale e' sottoposta a ritenute pensionistiche ed assistenziali, ma non a quelle per l'indennita' di buonuscita; 3) la stessa indennita' di buonuscita non ha carattere di retribuzione differita, bensi' di trattamento previdenziale; 4) la questione di illegittimita' costituzionale delle norme preclusive e' manifestamente infondata. La natura previdenziale dell'indennita' di buonuscita esclude il riferimento all'art. 36 della Costituzione, che tutela solo le prestazioni sinallagmatiche del rapporto di lavoro (sentenze Corte costituzionale n. 82/1973 e n. 46/1983). Quanto alla violazione del principio di uguaglianza, i due sistemi previdenziali considerati sono diversi e non comparabili tra di loro, dovendosi fare riferimento non a singole norme, ma piuttosto al loro complesso, da cui deriva la disciplina delle varie situazioni. Con distinti atti notificati il 14 gennaio 1987 i ricorrenti hanno proposto appello avverso le sentenze del tribunale amministrativo della Lombardia - sezione di Brescia, lamentando: 1. - Violazione del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032. L'indennita' integrativa speciale, per quanto in origine nata come istituto avulso dai sistemi pensionistici e previdenziali, ha subito una evoluzione, finendo per essere sottoposta a imposizione diretta, come ogni altro reddito di lavoro, dal d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, e per essere inclusa nella base contributiva ai fini pensionistici dall'art. 22 della legge 3 giugno 1975, n. 160. Per quanto cio' valga solo per i dipendenti statali assicurati con l'assicurazione generale obbligatoria presso l'I.N.P.S., e' tuttavia indicativo della evoluzione del sistema e di una interpretazione,intesa ad evitare disparita' tra i vari dipendenti dello Stato. Il d.-l. 11 ottobre 1976, n. 699, convertito in legge 10 dicembre 1976, n. 797, considera anche le variazioni retributive dipendenti dall'aumento del costo della vita come ricomprese nel trattamento base per la determinazione delle indennita' di fine rapporto. I dipendenti degli enti locali godono di un diverso trattamento con una indennita' di fine rapporto identica nelle finalita' e strutture a quella dei dipendenti statali. 2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, lett. d), della legge 27 maggio 1959, n. 324, e dell'art. 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, in relazione agli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione. Si costituisce in giudizio l'E.N.P.A.S., eccependo: 1) le norme vigenti escludono l'indennita' integrativa speciale del computo ai fini della indennita' di buonuscita; 2) la Corte costituzionale ha piu' volte, anche recentemente, respinto i dubbi di legittimita' costituzionale del sistema, con sentenza n. 220 del 25 febbraio 1988 e con le successive ordinanze di manifesta infondatezza. I ricorrenti con successiva memoria insistono, richiamando la giurisprudenza in ordine agli emolumenti che costituiscono prestazioni sinallagmatiche nel rapporto di lavoro con pubblici dipendenti. D I R I T T O 1. - I tre ricorsi devono essere riuniti in quanto tutti diretti avverso sentenze di identico oggetto. L'art. 1, terzo comma, lett. b), della legge 27 maggio 1959, n. 324, sostituito dall'art. 1, primo comma, della legge 3 marzo 1960, n. 185, stabilisce la non computabilita' della indennita' integrativa speciale, istituita con il primo comma, agli effetti del trattamento di quiescenza, di previdenza e dell'indennita' di licenziamento. Il trattamento di previdenza, cui si riferisce la norma, consiste nell'indennita' di buonuscita prevista dall'art. 1 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032. Essa e' erogata da apposito fondo istituito presso l'E.N.P.A.S. ed alimentato, a norma degli articoli 37 e 38 dello stesso d.P.R., dal contributo obbligatorio a carico della amministrazione di appartenenza e del dipendente iscritto. La base contributiva, sulla quale e' fatto anche il computo per la determinazione della indennita', non comprende, a norma dell'art. 38 citato, l'indennita' integrativa speciale. La giurisprudenza del Consiglio di Stato, anche con recenti decisioni, ha sempre ritenuto che la norma di cui all'art. 1, terzo comma, lett. b), della legge n. 324/1959, in uno con la natura previdenziale dell'indennita' di buonuscita, escludesse ai fini della sua determinazione la computabilita' dell'indennita' integrativa speciale in applicazione delle norme citate, negando rilevanza a qualsiasi considerazione sulla natura retributiva di entrambe le indennita'. Allo stato attuale, in una siffatta consolidata interpretazione delle norme, appare rispetto alle stesse rilevante, alla stregua dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il dubbio di costituzionalita'prospettato dagli appellanti; senza la risoluzione della questione relativa in un senso o nell'altro, non sarebbe infatti possibile la decisione della controversia in accoglimento o meno della domanda dedotta in giudizio. 2. - La questione viene tuttavia prospettata in profili e con argomentazioni gia' puntualmente sottoposti alla Corte costituzionale, la quale da ultimo li ha esaminati con la menzionata sentenza 25 febbraio 1988, n. 220, ed e' pervenuta alla dichiarazione di inammissibilita' della questione stessa in ragione della discrezionalita' del legislatore riguardo alla determinazione della base retributiva utile ai fini del trattamento di quiescenza, in merito ai modi ed alla misura di tale trattamento, nonche' alla determinazione dell'ammontare delle prestazioni previdenziali. La Corte, con cio', sembra essersi sottratta al giudizio di fondatezza o meno della questione, che le era stata sottoposta, circa la non conformita' di norme di legge ordinaria alle norme della Costituzione indicate come violate. Non vi puo' essere dubbio alcuno, mai, sul fatto che il legislatore abbia discrezionalita' sia nel "se" sia nel "come" disciplinare con legge ordinaria una qualsiasi materia, purche' cio' avvenga nei limiti ed in conformita' delle norme costituzionali; il giudizio di legittimita' costituzionale delle leggi ha appunto funzione di verifica del contenersi di siffatta discrezionalita' in quei limiti e nel suo conformarsi a quelle norme, cosicche' il dichiarare inammissibile la questione che un tale giudizio richiede, per il fatto che il legislatore ordinario ha discrezionalita' in materia, costituisce petizione di principio dall'evidente elusivita'. Di qui l'esigenza, avvertita dagli appellanti, di riproporre la questione, la quale, gia' non manifestamente infondata in quegli identici termini nei quali e' stata ritenuta inammissibile, si presta ad una piu' approfondita prospettazione, che valga a porre nella massima evidenza possibile i punti di contrasto delle norme di legge ordinaria denunziate con gli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione. 3. - La ricostruzione storica evolutiva della disciplina dell'indennita' integrativa speciale, fatta dagli appellanti muovendo dalla sua iniziale occasionalita' temporanea e pervenuta al suo stabilizzarsi nella funzione di strumento permanente di adeguamento della retribuzione al variare del costo della vita, si' da mantenerne costante il valore reale anche nella sua espressione nominale, appare ormai non piu' contestabile nella caratterizzazione di tale indennita' quale elemento della retribuzione da lavoro subordinato, che del resto figura testualmente nelle norme di legge vigenti o in base alle stesse emanate (art. 16 del d.P.R. 1 febbraio 1986, n. 12; legge 24 febbraio 1986, n. 37; legge 26 febbraio 1986, n. 38; art. 11 del d.P.R. 5 dicembre 1990, n. 447; ogni altra successiva norma emanata in base all'art. 6 della legge 29 marzo 1983, n. 93). E' particolarmente significativo, a tal riguardo, il testo dell'ora menzionato art. 11 del d.P.R. n. 447/1990, dove l'indennita' integrativa speciale e' esplicitamente compresa fra gli elementi che "concorrono a formare la retribuzione globale lorda (primo comma) e la retribuzione mensile base (secondo comma), in evidente applicazione specifica di un principio generale desumibile sistematicamente dalla complessiva disciplina del trattamento economico del pubblico impiego. Mette conto, peraltro, di considerare che la retribuzione globale lorda e' comprensiva degli oneri tributari, delle condizioni previdenziali e delle ritenute pensionistiche previsti dalla legge, cosicche' il suo adeguamento alle variazioni del costo della vita, merce' l'indennita' integrativa speciale e le variazioni di essa via via succedutesi, non puo' essere stato in misura completa in difetto dell'estensione alla stessa di tali oneri, contribuzioni e ritenute. Cio' vuol dire, supposta la retribuzione globale lorda come conforme alle prescrizioni dell'art. 36, primo comma, della Costituzione, che la stessa viene a discostarsi da tali prescrizioni (proporzionalita' alla qualita' e quantita' del lavoro prestato e sufficienza alla garanzia di una esistenza libera e dignitosa) di tanto quanto oneri, contribuzioni e ritenute non si estendono alla sua interezza e quindi anche all'indennita' integrativa speciale, almeno nella misura in cui gli stessi ne comportino una maggiorazione essendo a carico della amministrazione. Un simile effetto deficitario rispetto alle prescrizioni costituzionali deriva dall'art. 1, terzo comma, lett. c), della legge 27 maggio 1959, n. 324, che sottrae l'indennita' integrativa speciale ad ogni ritenuta e quindi anche alla contribuzione obbligatoria prevista dall'art. 37 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, in relazione al successivo art. 38, che non comprende tale indennita' nella base contributiva relativa. Il decremento risulta con tanta maggiore evidenza per la considerazione peggiorativa che le ritenute onerose per il lavoratore, quali quelle tributarie e quelle pensionistiche, sono state elise dall'esenzione originaria per effetto del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, quella tributaria, e dell'art. 13, primo comma, n. 5, della legge 29 aprile 1976, n. 176, quella pensionistica. Per quel tanto, dunque, di cui l'indennita' integrativa speciale non e' consentito che sia maggiorata a carico dell'amministrazione della contribuzione previdenziale, gli articoli 1, terzo comma, lett. c), della legge 27 maggio 1959, n. 324, come sostituito dall'art. 1, primo comma, della legge 3 marzo 1960, n. 185, nonche' gli articoli 37 e 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, sembrano in contrasto con l'art. 36, primo comma, della Costituzione: ed al contrasto concorre altresi' la proiezione riduttiva, da cio' provocata, della retribuzione globale sulla misura del trattamento di fine servizio, ugualmente garantita da tale norma costituzionale e dal successivo art. 38, secondo comma. Ne' e' da trascurare, a tal proposito, che la legge 26 febbraio 1986, n. 38, facendo leva sulla non contestabile assimilazione funzionale dell'indennita' integrativa speciale, propria del pubblico impiego, e dell'indennita' di contingenza, propria del lavoro subordinato privato, ha accomunato tali indennita' nella stessa disciplina, quanto al meccanismo di adeguamento al costo sulla vita, significando con cio' la identita' delle rispettive situazioni e la conseguente esigenza di equivalenti trattamenti normativi rispettosi dell'art. 3 della Costituzione relativamente al regime contributivo previdenziale rispettivo. Tanto piu' che una equivalenza normativa del genere ha avuto, per l'indennita' integrativa speciale limitatamente a talune categorie di dipendenti statali beneficiari della previdenza ed assistenza sociale, un principio di attuazione con l'art. 22, secondo comma, della legge 7 giugno 1975, n. 160, facendo cosi' risultare all'interno del pubblico impiego un ulteriore aspetto di disparita' censurabile. 4. - A conclusione non diversa porta la parallela ricostruzione fatta dagli appellanti della disciplina dell'indennita' di buonuscita, la quale si e' andata svolgendo nell'ordinamento del pubblico impiego con funzione, riferita alla piu' gran parte dei dipendenti pubblici, pressoche' analoga a quella dell'indennita' di anzianita', per il lavoro subordinato privato, e di altri strumenti indennitari, per le rimanenti varie categorie di pubblici dipendenti, sebbene con regimi in varia misura diversificati ed ancorati, ciascuno, alla specifica occasione della rispettiva iniziale previsione ed alla peculiarita' originaria del rapporto di lavoro di riferimento. La varieta' di regimi giuridici determinata dalla episodicita' normativa, nella quale si e' andata svolgendo nel tempo la copertura dell'ordinamento ad identica esigenza di categorie diverse di lavoratori ed ai relativi interessi emergenti dalla cessazione del rapporto di lavoro, ha potuto celare la identita' di situazioni, cui sarebbe occorso che quei regimi, pur nella suddetta varieta', palesassero una inderogabile equivalenza reciproca rispettosa del principio costituzionale; cio' fino al punto da lasciar trascurata la inosservanza di tale principio con l'aver persino supposto la discrezionalita' del legislatore in materia considerata sottratta ad esso. Proprio il legislatore, peraltro, in obbedienza alla ineludibile logica del sistema, ha per ultimo con la legge 29 maggio 1982, n. 297, composto in quadro unitario i casi di cessazione del rapporto di lavoro riguardo al conseguente trattamento spettante al prestatore di lavoro, stabilendo in maniera esplicita la identita' di tali casi al di la' della denominazione normativa di ciascuno, nonche' i criteri, la misura ed i termini retributivi di riferimento di tale trattamento con un carattere di uniformita', cui le discipline particolari contestualmente mantenute in vigore potrebbero contraddirvi solo se non in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza (art. 3 della Costituzione e lo stesso successivo art. 36). L'art. 1 di tale legge, invero, sostituisce col primo comma un nuovo testo all'art. 2120 del codice civile, prevedendo nel nuovo primo comma di questo "in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato" il diritto del prestatore di lavoro ad un trattamento di fine rapporto calcolato "sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5", rivalutata per disposizione del quarto comma anno per anno, restando i tassi di aumento del costo della vita ufficialmente accertati. La retribuzione annua considerata, poi, per il nuovo secondo comma dello stesso art. 2120 del codice civile, "comprende tutte le somme .. corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale". L'art. 4 della stessa legge stabilisce, al quarto comma, che "le norme dell'art. 2120 del codice civile .. si applicano a tutti i rapporti di lavoro subordinato per i quali siano previste forme di indennita' di anzianita', di fine lavoro, di buonuscita, comunque de- nominate e da qualsiasi fonte disciplinata", mentre col successivo sesto comma lascia "ferma la disciplina legislativa del trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici". E' dunque chiaro che l'indennita' di buonuscita prevista per i dipendenti pubblici, pur conservando la propria specifica disciplina legislativa, si inseriva sistematicamente nel quadro generale del trattamento di fine rapporto stabilito nelle norme generali e che tale sua specifica disciplina, nel suddetto quadro, dovrebbe palesarsi equivalente a quella che regola il trattamento per ogni altro caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato in situazioni identiche. Cio' e' soprattutto vero per il parametro retributivo di commisurazione dell'indennita', che, come in ogni altro caso, non puo' essere se non la retribuzione in tutte le sue componenti comprensive di tutte le somme corrisposte al dipendente a titolo non occasionale, nessuna esclusa. Si e' visto come l'indennita' integrativa speciale sia una componente della retribuzione dei pubblici dipedenti, al punto di non poter essere esclusa legittimamente dalla contribuzione previdenziale senza ledere principi costituzionali. Ne deriva che le norme di legge che la riguardano, pur mantenute in vigore dalla disciplina normativa generale fin qui esaminata, in quanto stabiliscono una diversa misura della retribuzione che non comprende l'indennita' integrativa speciale ai fini del trattamento di fine rapporto denominato indennita' di buonuscita, determinano una disparita' di trattamento per situazioni identiche o equivalenti in contrasto con il principio di uguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione, e sminuiscono, nella sua espressione previdenziale, la retribuzione stessa come garantita dal successivo art. 36, primo comma, col complemento dell'art. 38, secondo comma. E' quanto deve rilevarsi, appunto, riguardo: all'art. 1, terzo comma, lett. b), della legge 27 maggio 1959, n. 324, nel testo sostituito dall'art. 1, primo comma, della legge 3 marzo 1960, n. 185, dove stabilisce che l'indennita' integrativa speciale non e' computabile ai fini del trattamento di previdenza; agli artt. 3, secondo e terzo comma, e 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, in quanto non comprendono l'indennita' integrativa speciale nella base contributiva, cui e' commisurata l'indennita' di buonuscita dei dipendenti pubblici. Non puo' d'altra parte costituire aspetto di differenziazione, nell'ambito dei trattamenti di fine rapporto, il ritenuto carattere previdenziale della indennita' di buonuscita, quasi che tale carattere valesse a negare l'essere, questa, retribuzione, contrariamente a quanto la stessa Corte costituzionale aveva ritenuto per l'indennita' di anzianita', allora prototipo di siffati trattamenti. La previdenza non e' che lo scopo di tutti i trattamenti di fine servizio, i quali si sostanziano in retribuzione, non tanto differita, quanto accantonata presso lo stesso datore di lavoro o in appositi fondi preordinati alla loro erogazione. Cosicche' non c'e' trattamento di fine rapporto che non abbia carattere previdenziale e, tuttavia, non sia retribuzione destinata a tale scopo, come del resto risultava gia' nell'originario testo dell'art. 2120 del codice civile (il cui ultimo comma faceva salve, a proposito della indennita' di anzianita', le forme equivalenti di previdenza) e come risulta ora dall'art. 3, ultimo comma, della legge n. 297/1982, quanto alla possibilita' che "il trattamento di fine rapporto sia erogato mediante forme previdenziali". Le disparita' di trattamento al riguardo emergono del resto persino all'interno dell'ambito del pubblico impiego, basti richiamare, a mo' di esempio l'indennita' premio di servizio, prevista come trattamento di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti locali, ai cui fini l'art. 3 della legge 7 luglio 1980, n. 299, ha assoggettato a contribuzione previdenziale ed ha compreso nel calcolo relativo l'indennita' integrativa speciale. Ne' valgono a negare rilievo a siffatto esempio le considerazioni comparative fatte con esito negativo in altre occasioni dalla Corte costituzionale fra tale indennita' e la indennita' di buonuscita qui in esame, giacche' le questioni allora proposte erano di altra natura e configurate in altri profili intesi al prevalere delle disparita' piuttosto che delle assimilazioni qui evidenti. 5. - Tutto quanto esposto postula la non manifesta infondatezza delle questioni di illegittimita' costituzionale sollevate dagli appellanti e d'ufficio piu' ampiamente argomentate. Tanto piu' che la stessa Corte costituzionale, nella sua piu' recente sentenza in proposito, pur esimendosi dal pronunziare un giudizio di fondatezza o meno di identiche questioni sottopostele, non ha trascurato di rilevare l'urgenza di ridurre a disciplina omogenea un sistema normativo irrazionalmente sperequato ed esposto a valutazione di illegittimita' nel suo complesso. Esso ha, con cio', significativamente esercitato una non infrequente funzione sollecitatoria, che l'ordinamento le consente piu' appropriatamente e con ben maggiore autorita' ed efficacia per le pronunzie di constatata incostituzionalita'.
P. Q. M. Visti l'art. 134 della Costituzione; l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Riunisce i processi di cui ai ricorsi indicati in epigrafe; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione delle questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, terzo comma, lettere b) e c), della legge 27 maggio 1959, n. 324, nel testo sostituito dall'art. 1, primo comma, della legge 3 marzo 1960, n. 185, nonche' degli artt. 3, 37 e 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, in relazione agli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, e sospende il giudizio in corso; Ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed alla presidenza del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deliberato in Roma, il 15 novembre 1991. Il presidente: IMPERATRICE I consiglieri: DELLA VALLE PAUCIULLO - PERRICONE - LUCE Il consigliere estensore: ZUCCHELLI 92C0316