N. 140 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 novembre 1991

                                N. 140
 Ordinanza emessa il 15 novembre 1991 dal Consiglio di Stato, sezione
                         sesta giurisdizionale
 sui ricorsi riuniti proposti da Archetti Rosa in Riva ed altri contro
                             l'E.N.P.A.S.
 Previdenza e assistenza sociale - Impiego statale - Indennita' di
    buonuscita  -  Esclusione dell'indennita' integrativa speciale dal
    computo della base contributiva  da  considerarsi  ai  fini  della
    liquidazione  della  buonuscita  -  Ingiustificata  disparita'  di
    trattamento rispetto ai lavoratori privati e ai  dipendenti  degli
    enti pubblici - Violazione del principio della retribuzione (anche
    differita)  proporzionata  ed  adeguata  -  Richiamo alla sentenza
    della Corte costituzionale n.  220/1988,  di  inammissibilita'  di
    analoga  questione  (trattandosi di scelta discrezionale riservata
    al legislatore - rel.  Pescatore)  e  a  successive  ordinanze  di
    manifesta   inammissibilita'   ritenute   superate   dal   giudice
    rimettente per l'inerzia prolungata del legislatore  invitato  con
    le  predette  pronunce  a  provvedere  all'omogeneizzazione  della
    disciplina dei rapporti di fine servizio.
 (Legge 27 maggio 1959, n. 324, art. 1, terzo comma, lettere b) e c),
    sostituito dalla legge 3 marzo 1960, n. 185, art. 1, primo  comma;
    d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, artt. 3, 37 e 38).
 (Cost., artt. 3, 36 e 38).
(GU n.13 del 25-3-1992 )
                         IL CONSIGLIO DI STATO
    Ha  pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento sui ricorsi
 in appello riuniti numeri 399, 400 e 401 del 1987, proposti:
      n. 399/1987 da: Archetti  Rosa  in  Riva,  Albanese  Giuseppina,
 Guizzetti  Ermas  Giovanna  Laura  in  Maffessanti, Collavini Edda in
 Franceschini, Perdoncin Costantino, Terreni Giovanna in Azzoni, Pocar
 Valerio  quale  procuratore  di  Andreoletti  Annamaria,   Bernasconi
 Mariagrazia  in  Lubrina,  Zanchi  Alessandra  in  Albanese, Bordogna
 Annamaria in Sacchi, Rottigni Carla in  Marchesi,  Moretti  Vanda  in
 Gilberti,  Bonifaccio  Raffaello, Testa Ambrosina, Bolandrina Cecilia
 in  Poli,  Pandini  Alessia  in  Cologni,  Zucchelli  Giuseppina   in
 Zucchelli, Goffi Fernando, Savoldelli Giancarla in Morstabilini;
      n.  400/1987  da:  Pinacoli Antonio, Caldara Amelia in Bellotti,
 Carminati Ermenegilda, Gritti Antonietta in Rossato, Raunacher Editta
 in Lugiato, Cacciamali Luigia in Gelmi, Salvi Anna Maria in  Beretta,
 Brunetti  Faustina  Teresa  in  Breviario,  Lorenzi Mansueto, Leandri
 Mirella in Lorenzi, Mattioli Lida in Capolino,  Pesenti  Udilia  ved.
 Rovelli,  Jannone  Maria  Costanza  ved.  Pagani,  Chioffi  Amalia in
 Pizzigalli, Milesi Giuseppina in Marconi,  Faccioli  Annamaria,  Rota
 Claudia  in  Borgonzoni, Manella Alberta, Morlotti Maria in Cattaneo,
 Contardo Olga ved. Gambardella, Floridi Roberta,  Rindi  Iginia  Anna
 Maria,  Sirtoli  Adriana,  Prestini  Anna  Maria,  Martina  Angela in
 Guerini, Chiereghin  Fernanda,  Induni  Maria  Teresa  in  Bertolani,
 Plebani  Elisa in Faga, Gusmini Teresa, Mazzoleni Maria in Fraschini,
 Raffaelli Pietro, Cologni Francesco,  Breno  Amerigo,  Sonnino  Argia
 ved. Cervo, Licini Elena;
      n.  401/1987  da:  Filippini  Zemira  Maria, Puerari Caterina in
 Marciano',  Pellegrini  Luciana  in  Ciatto,  Noris  Chiorda   Mario,
 Capoferri  Maria  in  Pusterla,  Confalonieri  Emiliana  in Barbieri,
 Curnis  Angela  in  Cantoni,  Rocco  Amelia  in  Comolli,   Rebuzzini
 Margherita,  Guerini  Giovanni,  Ghirardi Teresa in Dolci, Cortinovis
 Adriana, Romei Primo, Salaroli Attilio, Chiesa Francesca in  Ravasio,
 Rovelli  Teresa  Maria,  Marchesi  Giuseppina  in  Ghidelli,  Colombo
 Zefinetti Vittorina in Goggia, Geti Giuseppina ved. Vendramin  Mosca,
 Mancini  Diana  ved. Baschenis, Gamba Ermanno, rappresentati e difesi
 dall'avv. Carlo Rienzi presso cui sono elettivamente  domiciliati  in
 Roma, viale delle Milizie n. 9, contro l'Ente nazionale di previdenza
 e  assistenza agli impiegati dello Stato - E.N.P.A.S., in persona del
 Presidente   pro-tempore,   rappresentato   e    difeso    ex    lege
 dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  presso cui e' domiciliato in
 Roma, via dei Portoghesi n.  12 per l'annullamento delle sentenze del
 tribunale amministrativo  regionale  per  la  Lombardia,  sezione  di
 Brescia, numeri 612, 613 e 614 dell'11 ottobre 1985-31 dicembre 1985;
    Visti i ricorsi con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'E.N.P.A.S.;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udita alla pubblica udienza del 15 novembre 1991 la relazione  del
 consigliere  C.  Zucchelli  e  uditi,  altresi',  l'avv. Rienzi per i
 ricorrenti  e  l'avv.  dello  Stato   Zotta   per   l'amministrazione
 resistente;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Luigi Goisis e gli altri indicati in epigrafe, tutti ex dipendenti
 dello   Stato,   adivano  con  tre  distinti  ricorsi,  il  tribunale
 amministrativo regionale per la Lombardia, sezione  di  Brescia,  per
 vedersi riconoscere il diritto al computo, ai fini dell'indennita' di
 buonuscita  a  carico  dell'E.N.P.A.S.,  oltre  che  dello stipendio,
 dell'indennita' integrativa  speciale  e  di  ogni  altra  indennita'
 avente carattere di continuita', obbligatorieta' e predeterminazione.
    Lamentavano:
      1)  violazione degli articoli 1 e seguenti della legge 27 maggio
 1959, n. 324, in quanto abrogata dall'art. 38 del d.P.R. 29  dicembre
 1973, n. 1032, per incompatibilita';
      2) violazione dell'art. 38 del d.P.R. 31 dicembre 1973, n. 1032;
      3)  in  subordine, illegittimita' costituzionale delle norme che
 escludono il computo dell'indennita'  integrativa  speciale  ai  fini
 dell'indennita'  di  buonuscita  per  contrasto  con  l'art.  3 della
 Costituzione, in quanto la legge 7 luglio 1980, n. 299,  ha  previsto
 il computo di tale indennita' ai fini del premio di fine servizio per
 i  dipendenti  degli  enti locali e per contrasto con l'art. 36 della
 Costituzione in tema di giusta retribuzione.
    Il tribunale respingeva i ricorsi, osservando:
      1) l'art. 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, indica in  un
 elenco   tassativo  gli  "assegni"  costituenti  la  base  imponibile
 contributiva  ai  fini  della  determinazione  della  indennita'   di
 buonuscita   e   fra   tali  assegni  non  e'  compresa  l'indennita'
 integrativa speciale,  in  quanto  la  norma  individua  gli  assegni
 considerati   come   base   contributiva   secondo   un  criterio  di
 nominativita' e non di omnicomprensivita' del trattamento  economico.
 L'esclusione  e' stata implicitamente confermata dalla legge 20 marzo
 1980, n. 75, che, nel comprendere  la  tredicesima  mensilita'  nella
 stessa  base  contributiva,  ha  stabilito che non deve tenersi conto
 agli  stessi  fini  degli  assegni  ed  indennita'  che   non   siano
 espressamente previsti dalla legge come utili ai fini del trattamento
 previdenziale;
      2)  l'indennita'  integrativa  speciale e' sottoposta a ritenute
 pensionistiche ed assistenziali, ma non a quelle per l'indennita'  di
 buonuscita;
      3)  la  stessa  indennita'  di  buonuscita  non  ha carattere di
 retribuzione differita, bensi' di trattamento previdenziale;
      4) la questione di  illegittimita'  costituzionale  delle  norme
 preclusive  e'  manifestamente  infondata.  La  natura  previdenziale
 dell'indennita' di buonuscita  esclude  il  riferimento  all'art.  36
 della  Costituzione,  che  tutela solo le prestazioni sinallagmatiche
 del rapporto di lavoro (sentenze Corte costituzionale n. 82/1973 e n.
 46/1983). Quanto alla violazione del principio di uguaglianza, i  due
 sistemi  previdenziali considerati sono diversi e non comparabili tra
 di loro, dovendosi fare riferimento non a singole norme, ma piuttosto
 al  loro  complesso,  da  cui  deriva  la  disciplina   delle   varie
 situazioni.
    Con distinti atti notificati il 14 gennaio 1987 i ricorrenti hanno
 proposto  appello  avverso  le  sentenze del tribunale amministrativo
 della Lombardia - sezione di Brescia, lamentando:
    1. - Violazione del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032.
    L'indennita' integrativa speciale, per quanto in origine nata come
 istituto avulso dai sistemi pensionistici e previdenziali, ha  subito
 una  evoluzione, finendo per essere sottoposta a imposizione diretta,
 come ogni altro reddito di lavoro, dal d.P.R. 29 settembre  1973,  n.
 597,   e   per   essere  inclusa  nella  base  contributiva  ai  fini
 pensionistici dall'art. 22 della legge 3 giugno  1975,  n.  160.  Per
 quanto  cio'  valga  solo  per  i  dipendenti  statali assicurati con
 l'assicurazione generale obbligatoria presso l'I.N.P.S., e'  tuttavia
 indicativo    della    evoluzione    del    sistema    e    di    una
 interpretazione,intesa ad evitare disparita' tra  i  vari  dipendenti
 dello Stato.
    Il  d.-l. 11 ottobre 1976, n. 699, convertito in legge 10 dicembre
 1976, n. 797, considera anche le  variazioni  retributive  dipendenti
 dall'aumento  del  costo  della  vita come ricomprese nel trattamento
 base per la determinazione delle indennita' di fine rapporto.
    I dipendenti degli enti locali godono di  un  diverso  trattamento
 con  una  indennita'  di  fine  rapporto  identica  nelle finalita' e
 strutture a quella dei dipendenti statali.
    2. Illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  lett.  d),  della
 legge  27  maggio 1959, n. 324, e dell'art. 38 del d.P.R. 29 dicembre
 1973,  n.  1032,  in  relazione  agli  articoli  3,  36  e  38  della
 Costituzione.
    Si costituisce in giudizio l'E.N.P.A.S., eccependo:
      1)  le norme vigenti escludono l'indennita' integrativa speciale
 del computo ai fini della indennita' di buonuscita;
      2) la Corte costituzionale ha piu'  volte,  anche  recentemente,
 respinto  i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale del sistema, con
 sentenza n. 220 del 25 febbraio 1988 e con le successive ordinanze di
 manifesta infondatezza.
    I ricorrenti con  successiva  memoria  insistono,  richiamando  la
 giurisprudenza   in   ordine   agli   emolumenti   che  costituiscono
 prestazioni sinallagmatiche  nel  rapporto  di  lavoro  con  pubblici
 dipendenti.
                             D I R I T T O
    1.  -  I tre ricorsi devono essere riuniti in quanto tutti diretti
 avverso sentenze di identico oggetto.
    L'art. 1, terzo comma, lett. b), della legge 27  maggio  1959,  n.
 324,  sostituito  dall'art. 1, primo comma, della legge 3 marzo 1960,
 n. 185, stabilisce la non computabilita' della indennita' integrativa
 speciale, istituita con il primo comma, agli effetti del  trattamento
 di quiescenza, di previdenza e dell'indennita' di licenziamento.
    Il  trattamento di previdenza, cui si riferisce la norma, consiste
 nell'indennita' di buonuscita prevista  dall'art.  1  del  d.P.R.  29
 dicembre  1973,  n. 1032. Essa e' erogata da apposito fondo istituito
 presso l'E.N.P.A.S. ed alimentato, a norma degli  articoli  37  e  38
 dello  stesso  d.P.R.,  dal  contributo  obbligatorio  a carico della
 amministrazione di appartenenza e del dipendente  iscritto.  La  base
 contributiva,   sulla   quale  e'  fatto  anche  il  computo  per  la
 determinazione della indennita', non comprende, a norma dell'art.  38
 citato, l'indennita' integrativa speciale.
    La  giurisprudenza  del  Consiglio  di  Stato,  anche  con recenti
 decisioni, ha sempre ritenuto che la norma di cui all'art.  1,  terzo
 comma,  lett.  b),  della  legge  n.  324/1959,  in uno con la natura
 previdenziale dell'indennita' di buonuscita, escludesse ai fini della
 sua  determinazione  la  computabilita'  dell'indennita'  integrativa
 speciale  in  applicazione  delle  norme  citate, negando rilevanza a
 qualsiasi considerazione sulla  natura  retributiva  di  entrambe  le
 indennita'.
    Allo  stato  attuale,  in una siffatta consolidata interpretazione
 delle norme, appare rispetto  alle  stesse  rilevante,  alla  stregua
 dell'art.  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  il  dubbio di
 costituzionalita'prospettato dagli appellanti; senza  la  risoluzione
 della  questione  relativa  in  un  senso  o  nell'altro, non sarebbe
 infatti possibile la decisione della controversia in  accoglimento  o
 meno della domanda dedotta in giudizio.
    2.  -  La  questione  viene  tuttavia prospettata in profili e con
 argomentazioni    gia'    puntualmente    sottoposti    alla    Corte
 costituzionale,  la quale da ultimo li ha esaminati con la menzionata
 sentenza 25 febbraio 1988, n. 220, ed e' pervenuta alla dichiarazione
 di  inammissibilita'  della  questione  stessa   in   ragione   della
 discrezionalita'  del  legislatore riguardo alla determinazione della
 base retributiva utile ai fini  del  trattamento  di  quiescenza,  in
 merito  ai  modi  ed  alla  misura  di tale trattamento, nonche' alla
 determinazione dell'ammontare delle prestazioni previdenziali.
    La Corte, con  cio',  sembra  essersi  sottratta  al  giudizio  di
 fondatezza o meno della questione, che le era stata sottoposta, circa
 la  non  conformita'  di  norme  di  legge ordinaria alle norme della
 Costituzione indicate come violate.
    Non  vi  puo'  essere  dubbio  alcuno,  mai,  sul  fatto  che   il
 legislatore  abbia  discrezionalita'  sia  nel  "se"  sia  nel "come"
 disciplinare con legge ordinaria una qualsiasi materia, purche'  cio'
 avvenga  nei  limiti ed in conformita' delle norme costituzionali; il
 giudizio  di  legittimita'  costituzionale  delle  leggi  ha  appunto
 funzione  di  verifica del contenersi di siffatta discrezionalita' in
 quei limiti e nel  suo  conformarsi  a  quelle  norme,  cosicche'  il
 dichiarare  inammissibile la questione che un tale giudizio richiede,
 per il fatto che il  legislatore  ordinario  ha  discrezionalita'  in
 materia, costituisce petizione di principio dall'evidente elusivita'.
    Di  qui  l'esigenza,  avvertita dagli appellanti, di riproporre la
 questione, la quale, gia'  non  manifestamente  infondata  in  quegli
 identici termini nei quali e' stata ritenuta inammissibile, si presta
 ad  una  piu'  approfondita  prospettazione,  che valga a porre nella
 massima evidenza possibile i punti di contrasto delle norme di  legge
 ordinaria denunziate con gli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione.
    3.   -   La   ricostruzione  storica  evolutiva  della  disciplina
 dell'indennita' integrativa speciale, fatta dagli appellanti muovendo
 dalla sua iniziale  occasionalita'  temporanea  e  pervenuta  al  suo
 stabilizzarsi  nella  funzione di strumento permanente di adeguamento
 della retribuzione al variare del costo della vita, si' da mantenerne
 costante il valore reale anche nella sua espressione nominale, appare
 ormai  non  piu'  contestabile  nella   caratterizzazione   di   tale
 indennita'  quale  elemento della retribuzione da lavoro subordinato,
 che del resto figura testualmente nelle norme di legge vigenti  o  in
 base  alle stesse emanate (art. 16 del d.P.R. 1 febbraio 1986, n. 12;
 legge 24 febbraio 1986, n. 37; legge 26 febbraio 1986, n. 38; art. 11
 del d.P.R. 5 dicembre 1990,  n.  447;  ogni  altra  successiva  norma
 emanata  in  base  all'art.  6  della legge 29 marzo 1983, n. 93). E'
 particolarmente significativo, a  tal  riguardo,  il  testo  dell'ora
 menzionato   art.  11  del  d.P.R.  n.  447/1990,  dove  l'indennita'
 integrativa speciale e' esplicitamente compresa fra gli elementi  che
 "concorrono  a  formare la retribuzione globale lorda (primo comma) e
 la  retribuzione  mensile   base   (secondo   comma),   in   evidente
 applicazione   specifica   di   un   principio   generale  desumibile
 sistematicamente  dalla  complessiva   disciplina   del   trattamento
 economico del pubblico impiego.
    Mette  conto, peraltro, di considerare che la retribuzione globale
 lorda  e'  comprensiva  degli  oneri  tributari,   delle   condizioni
 previdenziali  e  delle ritenute pensionistiche previsti dalla legge,
 cosicche' il suo adeguamento alle variazioni del  costo  della  vita,
 merce'  l'indennita' integrativa speciale e le variazioni di essa via
 via  succedutesi, non puo' essere stato in misura completa in difetto
 dell'estensione alla stessa di tali oneri, contribuzioni e  ritenute.
 Cio'  vuol dire, supposta la retribuzione globale lorda come conforme
 alle prescrizioni dell'art. 36, primo comma, della Costituzione,  che
 la  stessa viene a discostarsi da tali prescrizioni (proporzionalita'
 alla qualita' e quantita' del  lavoro  prestato  e  sufficienza  alla
 garanzia  di una esistenza libera e dignitosa) di tanto quanto oneri,
 contribuzioni e ritenute non si estendono alla sua interezza e quindi
 anche all'indennita' integrativa speciale, almeno nella misura in cui
 gli stessi ne comportino una maggiorazione  essendo  a  carico  della
 amministrazione.
    Un   simile   effetto   deficitario   rispetto  alle  prescrizioni
 costituzionali deriva dall'art. 1, terzo comma, lett. c), della legge
 27 maggio 1959, n. 324, che sottrae l'indennita' integrativa speciale
 ad ogni ritenuta  e  quindi  anche  alla  contribuzione  obbligatoria
 prevista  dall'art.  37  del  d.P.R.  29  dicembre  1973, n. 1032, in
 relazione al successivo art. 38, che non  comprende  tale  indennita'
 nella base contributiva relativa.
    Il   decremento   risulta  con  tanta  maggiore  evidenza  per  la
 considerazione  peggiorativa  che  le   ritenute   onerose   per   il
 lavoratore,  quali  quelle  tributarie  e quelle pensionistiche, sono
 state elise dall'esenzione  originaria  per  effetto  del  d.P.R.  29
 settembre  1973,  n.  597,  quella  tributaria, e dell'art. 13, primo
 comma,  n.  5,  della  legge  29  aprile   1976,   n.   176,   quella
 pensionistica.
    Per  quel  tanto, dunque, di cui l'indennita' integrativa speciale
 non e' consentito che sia maggiorata  a  carico  dell'amministrazione
 della contribuzione previdenziale, gli articoli 1, terzo comma, lett.
 c),  della legge 27 maggio 1959, n. 324, come sostituito dall'art. 1,
 primo comma, della legge 3 marzo 1960, n. 185, nonche'  gli  articoli
 37  e  38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, sembrano in contrasto
 con l'art. 36, primo  comma,  della  Costituzione:  ed  al  contrasto
 concorre  altresi'  la proiezione riduttiva, da cio' provocata, della
 retribuzione globale sulla misura del trattamento di  fine  servizio,
 ugualmente  garantita  da  tale norma costituzionale e dal successivo
 art. 38, secondo comma.
    Ne' e' da trascurare, a tal proposito, che la  legge  26  febbraio
 1986,  n.  38,  facendo  leva  sulla  non  contestabile assimilazione
 funzionale dell'indennita' integrativa speciale, propria del pubblico
 impiego,  e  dell'indennita'  di  contingenza,  propria  del   lavoro
 subordinato  privato,  ha  accomunato  tali  indennita'  nella stessa
 disciplina, quanto al meccanismo di adeguamento al costo sulla  vita,
 significando  con  cio' la identita' delle rispettive situazioni e la
 conseguente esigenza di equivalenti trattamenti normativi  rispettosi
 dell'art.  3  della Costituzione relativamente al regime contributivo
 previdenziale rispettivo. Tanto piu' che  una  equivalenza  normativa
 del   genere   ha   avuto,   per  l'indennita'  integrativa  speciale
 limitatamente a talune categorie di  dipendenti  statali  beneficiari
 della  previdenza  ed  assistenza sociale, un principio di attuazione
 con l'art. 22, secondo comma, della legge  7  giugno  1975,  n.  160,
 facendo cosi' risultare all'interno del pubblico impiego un ulteriore
 aspetto di disparita' censurabile.
    4.  -  A  conclusione non diversa porta la parallela ricostruzione
 fatta  dagli   appellanti   della   disciplina   dell'indennita'   di
 buonuscita,  la  quale  si  e'  andata svolgendo nell'ordinamento del
 pubblico impiego con funzione, riferita  alla  piu'  gran  parte  dei
 dipendenti  pubblici,  pressoche' analoga a quella dell'indennita' di
 anzianita', per il lavoro subordinato privato, e di  altri  strumenti
 indennitari, per le rimanenti varie categorie di pubblici dipendenti,
 sebbene  con  regimi  in  varia  misura  diversificati  ed  ancorati,
 ciascuno,  alla  specifica  occasione   della   rispettiva   iniziale
 previsione  ed alla peculiarita' originaria del rapporto di lavoro di
 riferimento.
    La varieta' di regimi  giuridici  determinata  dalla  episodicita'
 normativa,  nella quale si e' andata svolgendo nel tempo la copertura
 dell'ordinamento  ad  identica  esigenza  di  categorie  diverse   di
 lavoratori  ed  ai  relativi interessi emergenti dalla cessazione del
 rapporto di lavoro, ha potuto celare la identita' di situazioni,  cui
 sarebbe  occorso  che  quei  regimi,  pur  nella  suddetta  varieta',
 palesassero una inderogabile  equivalenza  reciproca  rispettosa  del
 principio costituzionale; cio' fino al punto da lasciar trascurata la
 inosservanza  di  tale  principio  con  l'aver  persino  supposto  la
 discrezionalita' del legislatore in materia considerata sottratta  ad
 esso.
    Proprio  il  legislatore, peraltro, in obbedienza alla ineludibile
 logica del sistema, ha per ultimo con la legge  29  maggio  1982,  n.
 297, composto in quadro unitario i casi di cessazione del rapporto di
 lavoro riguardo al conseguente trattamento spettante al prestatore di
 lavoro,  stabilendo in maniera esplicita la identita' di tali casi al
 di la' della denominazione normativa di ciascuno, nonche' i  criteri,
 la misura ed i termini retributivi di riferimento di tale trattamento
 con  un  carattere  di  uniformita',  cui  le  discipline particolari
 contestualmente mantenute in vigore potrebbero contraddirvi  solo  se
 non in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza (art.
 3 della Costituzione e lo stesso successivo art. 36).
    L'art.  1  di  tale  legge, invero, sostituisce col primo comma un
 nuovo testo all'art. 2120 del codice  civile,  prevedendo  nel  nuovo
 primo  comma  di  questo  "in ogni caso di cessazione del rapporto di
 lavoro subordinato"  il  diritto  del  prestatore  di  lavoro  ad  un
 trattamento  di fine rapporto calcolato "sommando per ciascun anno di
 servizio una quota pari e comunque non  superiore  all'importo  della
 retribuzione  dovuta  per  l'anno stesso divisa per 13,5", rivalutata
 per disposizione del quarto comma anno per anno, restando i tassi  di
 aumento del costo della vita ufficialmente accertati.
    La retribuzione annua considerata, poi, per il nuovo secondo comma
 dello  stesso  art. 2120 del codice civile, "comprende tutte le somme
 .. corrisposte in dipendenza del rapporto di  lavoro,  a  titolo  non
 occasionale".
    L'art.  4  della stessa legge stabilisce, al quarto comma, che "le
 norme dell'art. 2120 del codice civile ..  si  applicano  a  tutti  i
 rapporti  di  lavoro  subordinato per i quali siano previste forme di
 indennita' di anzianita', di fine lavoro, di buonuscita, comunque de-
 nominate e da qualsiasi fonte disciplinata",  mentre  col  successivo
 sesto  comma  lascia "ferma la disciplina legislativa del trattamento
 di fine servizio dei dipendenti pubblici".
    E'  dunque  chiaro  che  l'indennita' di buonuscita prevista per i
 dipendenti pubblici, pur conservando la propria specifica  disciplina
 legislativa,  si  inseriva  sistematicamente  nel quadro generale del
 trattamento di fine rapporto stabilito nelle  norme  generali  e  che
 tale   sua   specifica  disciplina,  nel  suddetto  quadro,  dovrebbe
 palesarsi equivalente a quella che regola  il  trattamento  per  ogni
 altro  caso  di  cessazione  del  rapporto  di  lavoro subordinato in
 situazioni identiche. Cio'  e'  soprattutto  vero  per  il  parametro
 retributivo  di  commisurazione  dell'indennita',  che,  come in ogni
 altro caso, non puo' essere se non la retribuzione in  tutte  le  sue
 componenti  comprensive di tutte le somme corrisposte al dipendente a
 titolo non occasionale, nessuna esclusa.
    Si  e'  visto  come  l'indennita'  integrativa  speciale  sia  una
 componente della retribuzione dei pubblici dipedenti, al punto di non
 poter essere esclusa legittimamente dalla contribuzione previdenziale
 senza ledere principi costituzionali. Ne deriva che le norme di legge
 che la riguardano, pur mantenute in vigore dalla disciplina normativa
 generale fin qui esaminata, in quanto stabiliscono una diversa misura
 della   retribuzione   che  non  comprende  l'indennita'  integrativa
 speciale  ai  fini  del  trattamento  di  fine  rapporto   denominato
 indennita'  di  buonuscita, determinano una disparita' di trattamento
 per situazioni identiche o equivalenti in contrasto con il  principio
 di  uguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione, e sminuiscono,
 nella sua espressione  previdenziale,  la  retribuzione  stessa  come
 garantita  dal  successivo  art.  36,  primo  comma,  col complemento
 dell'art. 38, secondo comma.
    E' quanto deve rilevarsi, appunto,  riguardo:  all'art.  1,  terzo
 comma,  lett.  b),  della  legge  27  maggio  1959, n. 324, nel testo
 sostituito dall'art. 1, primo comma, della legge  3  marzo  1960,  n.
 185,  dove  stabilisce  che  l'indennita' integrativa speciale non e'
 computabile ai fini del trattamento  di  previdenza;  agli  artt.  3,
 secondo  e terzo comma, e 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, in
 quanto non comprendono l'indennita' integrativa speciale  nella  base
 contributiva,  cui  e'  commisurata  l'indennita'  di  buonuscita dei
 dipendenti pubblici.
    Non puo' d'altra parte  costituire  aspetto  di  differenziazione,
 nell'ambito  dei  trattamenti di fine rapporto, il ritenuto carattere
 previdenziale  della  indennita'  di  buonuscita,  quasi   che   tale
 carattere   valesse   a   negare   l'essere,   questa,  retribuzione,
 contrariamente a quanto la stessa Corte costituzionale aveva ritenuto
 per  l'indennita'  di  anzianita',  allora   prototipo   di   siffati
 trattamenti.
    La  previdenza  non e' che lo scopo di tutti i trattamenti di fine
 servizio,  i  quali  si  sostanziano  in  retribuzione,   non   tanto
 differita,  quanto accantonata presso lo stesso datore di lavoro o in
 appositi fondi preordinati alla loro erogazione. Cosicche'  non  c'e'
 trattamento di fine rapporto che non abbia carattere previdenziale e,
 tuttavia, non sia retribuzione destinata a tale scopo, come del resto
 risultava gia' nell'originario testo dell'art. 2120 del codice civile
 (il  cui  ultimo  comma faceva salve, a proposito della indennita' di
 anzianita', le forme equivalenti di previdenza) e  come  risulta  ora
 dall'art.  3,  ultimo  comma,  della  legge  n. 297/1982, quanto alla
 possibilita'  che  "il  trattamento  di  fine  rapporto  sia  erogato
 mediante forme previdenziali".
    Le  disparita'  di  trattamento  al  riguardo  emergono  del resto
 persino  all'interno  dell'ambito   del   pubblico   impiego,   basti
 richiamare,  a  mo'  di  esempio  l'indennita'  premio  di  servizio,
 prevista come trattamento di fine rapporto  spettante  ai  dipendenti
 degli enti locali, ai cui fini l'art. 3 della legge 7 luglio 1980, n.
 299, ha assoggettato a contribuzione previdenziale ed ha compreso nel
 calcolo  relativo  l'indennita'  integrativa  speciale. Ne' valgono a
 negare rilievo a siffatto esempio le considerazioni comparative fatte
 con esito negativo in altre occasioni dalla Corte costituzionale  fra
 tale  indennita' e la indennita' di buonuscita qui in esame, giacche'
 le questioni allora proposte erano di altra natura e  configurate  in
 altri  profili  intesi  al  prevalere  delle disparita' piuttosto che
 delle assimilazioni qui evidenti.
    5. - Tutto quanto esposto postula la  non  manifesta  infondatezza
 delle  questioni  di  illegittimita'  costituzionale  sollevate dagli
 appellanti e d'ufficio piu' ampiamente argomentate.
    Tanto piu' che la stessa  Corte  costituzionale,  nella  sua  piu'
 recente  sentenza  in  proposito,  pur  esimendosi dal pronunziare un
 giudizio di fondatezza o meno di  identiche  questioni  sottopostele,
 non  ha  trascurato  di  rilevare  l'urgenza  di ridurre a disciplina
 omogenea un sistema normativo irrazionalmente sperequato ed esposto a
 valutazione di illegittimita' nel suo complesso. Esso ha,  con  cio',
 significativamente    esercitato   una   non   infrequente   funzione
 sollecitatoria, che l'ordinamento le consente piu' appropriatamente e
 con  ben  maggiore  autorita'  ed  efficacia  per  le  pronunzie   di
 constatata incostituzionalita'.
                               P. Q. M.
    Visti   l'art.  134  della  Costituzione;  l'art.  1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; l'art. 23 della legge 11  marzo
 1953, n. 87;
    Riunisce i processi di cui ai ricorsi indicati in epigrafe;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale per la risoluzione  delle  questioni  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, terzo comma, lettere b) e c), della legge
 27  maggio  1959,  n.  324,  nel  testo sostituito dall'art. 1, primo
 comma, della legge 3 marzo 1960, n. 185, nonche' degli artt. 3, 37  e
 38  del  d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, in relazione agli artt. 3,
 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, e  sospende
 il giudizio in corso;
    Ordina  che  a  cura  della  segreteria  la presente ordinanza sia
 notificata alle parti in causa ed alla presidenza del  Consiglio  dei
 Ministri,  nonche' comunicata ai presidenti della Camera dei deputati
 e del Senato della Repubblica.
    Cosi' deliberato in Roma, il 15 novembre 1991.
                      Il presidente: IMPERATRICE
                            I consiglieri:
               DELLA VALLE PAUCIULLO - PERRICONE - LUCE
                                   Il consigliere estensore: ZUCCHELLI
 92C0316