N. 148 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 novembre 1991

                                N. 148
 Ordinanza emessa il 13 novembre 1991 dalla corte di appello di Napoli
  sul reclamo avverso il decreto del tribunale di Napoli proposto da
                       Pacciani Teresa ed altro
 Adozione - Adozione di persone maggiori di eta' - Esclusione in
    presenza di figli legittimi o legittimati dell'adottante, incapaci
    di  esprimere  il  consenso, perche' interdetti - Irrazionalita' -
    Disparita' di trattamento tra persone che  hanno  figli  legittimi
    consenzienti  e persone che hanno figli incapaci (perche' minori o
    interdetti) di esprimere  consenso  -  Discriminazione  dei  figli
    minori  e  interdetti  rispetto  a  quelli  maggiorenni e capaci -
    Richiamo ai principi della sentenza n. 557/1/988.
 (C.C., art. 291).
 (Cost., art. 3).
(GU n.13 del 25-3-1992 )
                          LA CORTE D'APPELLO
    Letto il reclamo proposto da Pacciani Teresa e  Formisano  Roberto
 avverso  il  decreto  del  24  aprile-25 maggio 1991 del tribunale di
 Napoli con il quale si disponeva di non farsi luogo  all'adozione  di
 Formisano Roberto;
                           OSSERVA IN FATTO
    Pacciani  Teresa,  che  intende  ai  sensi dell'art. 291 cod. civ.
 adottare    Formisano    Roberto,    ha    un    figlio     legittimo
 ultraquarantasettenne,  Castronuovo  Francesco,  del  quale  e' stata
 dichiarata   l'interdizione   perche'    affetto    da    frenastenia
 biocerebropatica  di alto grado e che da tempo vive in un istituto di
 cura specializzato.
    Il tribunale di Napoli, dopo  avere  preso  in  considerazione  le
 condizioni in cui versano sia la Pacciani che il Formisano, ha negato
 la  chiesta  adozione  ritenendola  piu' conveniente per l'adottante,
 donna ultraottantenne, abbisognevole di continue cure ed  assistenza,
 che per l'adottando.
    Gli  istanti  hanno in contrario osservato che da oltre dieci anni
 si e' stabilito tra la Pacciani ed il Formisano  (nato  il  19  marzo
 1964)  "un  vincolo  affettivo forte e duraturo"; che il Formisano ha
 sempre accettato di offrire di buon grado  alla  Pacciani  "tutte  le
 cure e l'assistenza di cui ha bisogno"; che "il Castronuovo Francesco
 gode di totale ed assoluta indipendenza ed autonomia finanziaria". Ha
 aggiunto   il   Formisano  di  volere,  ove  occorresse,  "dare  ogni
 assistenza al Castronuovo sia nell'eventuale sostituzione del  tutore
 in  carica  e  sia come protutore ove venisse a mancare tra i vivi la
 Pacciani Teresa". Da parte sua la Pacciani ha precisato che  oltre  a
 godere  della  pensione  di professoressa di lettere e della pensione
 del marito e' anche proprietaria di un appartamento sito in Sorrento.
 Sulla base  di  tali  elementi,  i  reclamanti  hanno  insistito  per
 ottenere la chiesta adozione.
    Nell'udienza   del  6  novembre  1991  e'  stato  sentito  Condemo
 Giuseppe, tutore del  Castronuovo,  ed  il  procuratore  generale  ha
 concluso  per  l'accoglimento  del  reclamo.  All'esito  la  Corte ha
 riservato la decisione.
                              IN DIRITTO
    L'esame  del  reclamo  proposto  e  dei  motivi posti a base dello
 stesso inducono questa Corte a sollevare d'ufficio  la  questione  di
 incostituzionalita'  dell'art.  291  cod. civ. nella parte in cui non
 consente  l'adozione  alle  persone  che  hanno  figli  legittimi  (o
 legittimati) incapaci di manifestare un valido consenso all'adozione.
    La  suddetta  questione si presenta rilevante, perche' il giudizio
 in corso non puo' essere deciso indipendentemente  dalla  definizione
 della questione stessa, che appare non manifestamente infondata.
    L'assunto   necessita   di   essere   spiegato   sulla   base   di
 argomentazioni che valgano a prospettare la persistenza di consentiti
 dubbi  sulla   compatibilita'   della   summenzionata   disposizione,
 nell'attuale  sua  dizione,  con  l'art.  3  della  Costituzione, che
 riconosce a tutti i cittadini una  pari  dignita'  ed  una  effettiva
 eguaglianza  e  che  impone  la  rimozione di ogni ostacolo capace di
 limitare la liberta' e la detta eguaglianza.
    Con sentenza del 19 maggio 1988, n. 557 (che leggesi in giur.  it.
 1988,   I,   I,   1441)   la   Corte   costituzionale   ha   statuito
 l'illegittimita' dell'art. 291 cod. civ., relativo  all'adozione  dei
 maggiori  di  eta',  nella  parte  in cui non consentiva l'adozione a
 persone che avevano discendenti legittimi (o legittimati) maggiorenni
 e consenzienti. La Corte  ha  rilevato  che  mentre  l'esistenza  del
 coniuge  non  ostava  all'adozione,  sempre  che  questi prestasse il
 proprio assenso (art. 297, primo comma, cod.  civ.),  la  circostanza
 che  vi  fossero figli legittimi o legittimati, benche' maggiorenni e
 consenzienti,  impediva  che  si   potesse   procedere   all'adozione
 medesima.  Ha  poi  evidenziato  come fosse in contrasto con l'art. 3
 della Costituzione una siffatta  differente  valutazione  legislativa
 dell'assenso  di  persone  (rispettivamente  coniuge  e figli), tutte
 facenti  parte  della  famiglia  legittima  dell'adottante,  e   come
 pertanto   non   sussistesse   "un   motivo  razionale  per  ritenere
 sufficientemente tutelata la  posizione  del  coniuge  attraverso  la
 previsione  del suo assenso, e per non disporre analogalmente, in una
 situazione  sostanzialmente   identica,   rispetto   ai   discendenti
 legittimi o legittimati maggiorenni e consenzienti".
    E'  stato  in  dottrina  opportunamente  ricordato  che,  dopo  la
 pronunzia in esame e la  parziale  dichiarazione  di  illegittimita',
 l'art. 291 finisce per recitare: "L'adozione e' permessa alle persone
 che  non  hanno discendenti legittimi e legittimati a meno che questi
 siano maggiorenni e consenzienti". Una simile formula ha il pregio di
 sintetizzare la portata dell'intervento dei giudici costituzionali  e
 di  mettere  in  luce  come  l'adozione  dei  maggiorenni continui ad
 operare in un'area  ristretta,  non  essendo  ancora  permessa,  alla
 stregua   dell'attuale   assetto  ordinamentale,  l'adozione  di  cui
 all'art. 291 cod. civ. alle persone, che hanno discendenti  legittimi
 (o  legittimati),  che,  a  causa della minore eta' o di interdizione
 giudiziale, non siano in grado di esprimere un  valido  assenso  alla
 adozione richiesta dal proprio genitore.
    E'  stato  di  recente affermato in dottrina che la soluzione piu'
 aderente  al  divenire  della  storia   del   diritto   consisterebbe
 nell'abbandonare   completamente   il   requisito   dell'assenza   di
 discendenti legittimi anche  nell'adozione  di  persone  maggiori  di
 eta'.
    E' innegabile comunque che allo stato i dubbi di costituzionalita'
 dell'art. 291 cod. civ. si manifestano, ancora una volta in relazione
 all'art. 3 della Costituzione, sotto un duplice versante.
    Non  appare  razionale  riconoscere  la possibilita' di permettere
 l'adozione alle persone che  hanno  figli  legittimi  consenzienti  e
 negare  analoga possibilita' a coloro che invece hanno figli incapaci
 (perche' minori o interdetti) di esprimere un  valido  consenso.  Una
 simile  diversita' di trattamento risulta priva di logica solo che si
 pensi alla possibilita' di  apprestare  una  adeguata  tutela  previo
 intervento  di un curatore speciale (per il minore) o del tutore (per
 l'interdetto), che presti l'assenso  all'adozione  in  rappresentanza
 dell'incapace  e sotto il controllo del giudice tutelare, non essendo
 estranea al nostro sistema la sostituzione della volonta' di soggetti
 incapaci anche in altri istituti  di  diritto  familiare  (cfr.  273,
 ultimo comma; art. 274, ultimo comma; art. 297, ultimo comma).
    Sotto  un  distinto  versante  non appare razionale discriminare i
 figli minori ed interdetti rispetto a quelli  maggiorenni  e  capaci,
 assicurare  cioe' solo a questi ultimi i vantaggi di carattere morale
 ed affettivo ricollegabili all'adozione e che giustificano  il  favor
 sempre  dimostrato  dal  legislatore  all'istituto, e negare invece a
 soggetti  piu'  deboli  e  bisognosi  ogni  opportunita'   a   vedere
 consolidati, anche a livello giuridico, vincoli affettivi protrattisi
 nel  tempo.  Ed  invero  proprio  in  presenza  di soggetti incapaci,
 l'adozione puo' costituire strumento idoneo ad acquisire  in  maniera
 stabile  l'insostituibile  apporto  di quanti, con la loro dedizione,
 sono capaci di rendere piu' visibile l'esistenza di  persone  colpite
 da  gravi  infermita'  ed a cui sono legati da comunanza di vita e da
 legami affettivi rinsaldatisi nel tempo.
    La  validita'  delle   considerazioni   sinora   svolte   non   e'
 contraddetta  dalla  funzione  assolta  dall'adozione  ordinaria  del
 maggiorenne.  Contrariamente  a  quanto  da  piu'  parti  era   stato
 auspicato,  l'adozione  dei maggiori di eta' non e' stata abrogata ma
 ha mantenuto la sua collocazione nel codice  civile,  sicche'  rimane
 l'unica  forma  di  adozione  regolata dal codice stesso in quanto il
 legislatore con la legge 4 maggio 1983, n. 184, seguento  la  tecnica
 della  "decodificazione", ha determinato una biforcazione dell'antica
 adozione ordinaria, lasciando l'adozione dei maggiori  di  eta'  alla
 disciplina  codicistica  (artt.  291 e segg. cod. civ.; artt. 58 e 59
 legge n. 184/1983) e regolando  in  maniera  distinta  ed  articolata
 l'adozione (e l'affidamento) dei minori.
    I   due  istituti  hanno  visto  permanere  nel  tempo  una  netta
 differenziazione. L'adozione del minore tende ad assicurare al minore
 stesso in stato di abbandono una famiglia adeguata, nella quale possa
 inserirsi  e  sviluppare  la  propria  personalita'  sicche'  la  sua
 posizione  diviene oggetto di costante ed attenta tutela da parte del
 legislatore. L'adozione del maggiore continua ad  incentrarsi  invece
 sull'interesse dell'adottante alla continuazione del suo nome e della
 titolarita'  dei  suoi  beni,  creando  un legame ex novo con terzi e
 soddisfacendo pertanto esigenze di carattere morale  e  patrimoniale.
 Ma  alla logica dell'istituto non rimane estraneo neanche l'interesse
 dell'adottando, come si evince  chiaramente  dal  disposto  dell'art.
 297,  secondo  comma, del codice civile, che consente al tribunale di
 pervenire egualmente alla adozione  anche  in  mancanza  dell'assenso
 richiesto  dal  primo  comma dello stesso articolo, quando ritenga il
 rifiuto   ingiustificato   o,   appunto,   "contrario   all'interesse
 dell'adottando"  (salvo  che  si  tratti  dell'assenso  dei  genitori
 esercenti  la  patria  potesta'  o  del   coniuge,   se   convivente,
 dell'adottante o dell'adottando).
    Orbene,  la  pur  legittima  esigenza di salvaguardare la famiglia
 legittima, che si rinviene  nella  regolamentazione  normativa  della
 adozione  del maggiore di eta', non deve comunque, - come ha statuito
 la Corte costituzionale (cfr. Corte costituzionale 19 maggio 1988, n.
 557 cit.) - comportare  delle  limitazioni  eccessive,  e  come  tali
 irrazionali,  rispetto  allo scopo perseguito, si da violare l'art. 3
 della Costituzione. E tali limitazioni risulterebbero di sicuro prive
 di qualsiasi giustificazione se si impedisce il ricorso  all'adozione
 anche  in  quei  casi  in  cui  non  si  prospetti  alcun pericolo di
 pregiudizio per i figli legittimi (o legittimati)  dell'adottando,  e
 cioe'  in  quelle  ipotesi  in cui l'adottante, in mancanza di propri
 beni patrimoniali da trasferire agli eredi, sia indotto  all'adozione
 esclusivamente   da   motivi   di  natura  morale,  quale  quello  di
 trasmettere il proprio nome o di assicurare per il futuro legami piu'
 stabili tra l'adottando ed i propri figli, nello specifico  interesse
 di  questi  ultimi, oltre che nell'adottando. Non puo' sottacersi in-
 fine che in ogni caso un valido filtro  contro  possibili  abusi  nel
 ricorso  alla  adozione  puo'  in  concreto  essere assicurato da una
 consapevole  valutazione  degli  interessi  in  gioco  da  parte  del
 rappresentante legale dei figli incapaci e dai controlli degli organi
 tutelari,  deputati  istituzionalmente  a  garantire  la posizione di
 detti soggetti.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dispone la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale
 perche'  decida  sulla  legittimita'  costituzionale, con riferimento
 all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 291 del cod. civ. in  quanto
 questa disposizione non consente che possa procedersi all'adozione da
 parte  di persone che abbiano figli legittimi o legittimati incapaci,
 perche' interdetti, di esprimere  il  proprio  consenso  all'adozione
 stessa;
    Sospende la procedura in corso;
    Ordina  che  a  cura  della  cancelleria  la presente ordinanza di
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata alle
 parti in causa ed al p.m. nonche' al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
    Dispone  che  la  presente  ordinanza  venga infine comunicata dal
 cancelliere anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
    Cosi' deciso in Napoli in camera di consiglio il 13 novembre 1991.
                        Il presidente: MATTERA
    Depositato in cancelleria oggi, 21 gennaio 1992.
                  Il cancelliere: (firma illeggibile)

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