N. 109 SENTENZA 4 - 18 marzo 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  - Riunione di procedimenti  ex art. 17, lett.  c) -
 Imputato - Incompatibilita' a testimoniare - Esistenza di un  vincolo
 probatorio   tra  i  procedimenti  -  Possibili  interferenze  -  Non
 fondatezza.
 
 (C.P.P., art. 197).
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.13 del 25-3-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
    CASAVOLA,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato  GRANATA,  prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 197 del  codice
 di  procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 22 giugno 1991
 dal Pretore  di  Lanciano  -  sezione  distaccata  di  Atessa  -  nel
 procedimento  penale a carico di Porreca Nicola ed altri, iscritta al
 n. 581 del  registro  ordinanze  1991  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  38, prima serie speciale, dell'anno
 1991;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 19 febbraio  1992  il  Giudice
 relatore Mauro Ferri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Il Pretore di Lanciano (sezione distaccata di Atessa) solleva
 questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 3
 della Costituzione, dell'art. 197  del  codice  di  procedura  penale
 nella  parte  in  cui  non  prevede l'incompatibilita' a testimoniare
 dell'imputato nel processo riunito a norma dell'art.  17,  lett.  c),
 ("nei  casi  di  reati commessi da piu' persone in danno reciproco le
 une delle altre").
   Ritiene il giudice a quo di non comprendere quale differenza vi sia
 tra l'imputato nel processo riunito a norma dell'art. 17, lett. c), e
 l'imputato nel processo connesso a norma dell'art. 12, lett. a), ult.
 parte, (ipotesi di piu' persone che con condotte  indipendenti  hanno
 determinato  l'evento),  ovvero  l'imputato  nel processo collegato a
 fini probatori. A suo avviso la posizione processuale di tutti questi
 soggetti appare sostanzialmente assimilabile, sicche' un  trattamento
 differenziato  sotto  il profilo della incompatibilita' con l'ufficio
 di testimone risulterebbe irrazionale e costituirebbe violazione  del
 principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
    2.  -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato  che  ha
 concluso per l'infondatezza della sollevata questione.
    Rileva  l'Avvocatura  che  la  ratio  del  divieto di testimoniare
 previsto per i soggetti indicati nelle lettere a) e b) dell'art.  197
 va individuata nella incompatibilita' tra l'ufficio di testimone, che
 assoggetta   al  dovere  di  collaborazione  secondo  verita',  e  la
 situazione  di  quei   soggetti   che,   per   l'esistenza   di   una
 interdipendenza  tra  la  posizione  processuale  dell'imputato  e la
 propria,  nello  stesso  o  in  altro  procedimento  collegato,  sono
 portatori  di  un  interesse  che  puo'  contrastare  con  il  dovere
 suddetto.
    Tuttavia,  prosegue  l'Avvocatura,  il  criterio   prescelto   dal
 legislatore  al  fine  di  individuare  le  situazioni  in  cui  tale
 contrasto di interessi puo' limitare la capacita' a  testimoniare  e'
 quello  dell'esistenza  tra  i  procedimenti  - nei quali il medesimo
 soggetto assume, rispettivamente, la veste di imputato e di testimone
 - di un vincolo probatorio in mancanza del quale tale limitazione non
 si ritiene giustificata, pur in presenza  di  interessi  che  possono
 contrastare l'accertamento della verita', i quali devono in ogni caso
 essere  tenuti  in  considerazione dal giudice al fine di valutare la
 credibilita' del teste.
    In conseguenza, la  difesa  del  governo  ritiene  che  non  possa
 ravvisarsi  alcuna discriminazione nella disciplina denunciata, posto
 che la posizione delle persone imputate di reati  commessi  in  danno
 reciproco  le  une  dalle  altre, le quali nei procedimenti riuniti a
 norma dell'art. 17, lett. c) assumono  rispettivamente  la  veste  di
 imputato  e di persona offesa dal reato, non e' assimilabile, sul pi-
 ano  del  vincolo  probatorio,  a  quella  dei  soggetti   annoverati
 nell'art. 197 lett. a), i quali hanno un interesse a che l'accusa nei
 confronti   dell'imputato   sia   smentita  o  minimizzata,  per  gli
 inevitabili riflessi sulla propria posizione processuale.
    Peraltro,  conclude  l'Avvocatura,  la  circostanza che la persona
 chiamata  a  rendere  testimonianza  si   trovi   nella   particolare
 situazione  indicata  dall'art.  17,  lett.  c),  come  portatrice di
 interessi che  possono  contrastare  con  il  dovere  di  collaborare
 all'accertamento  della  verita',  non  sarebbe  priva  di rilevanza,
 dovendo  essere  considerata  dal  giudice  nella  valutazione  della
 credibilita' delle dichiarazioni rese in qualita' di testimone.
                        Considerato in diritto
    1. - Il Pretore di Lanciano, sezione distaccata di Atessa, solleva
 questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 3
 della Costituzione, dell'art. 197  del  codice  di  procedura  penale
 nella  parte  in  cui  non  prevede l'incompatibilita' a testimoniare
 dell'imputato nel processo riunito a norma  dell'art.  17,  lett.  c)
 dello  stesso  codice:  nei  casi,  cioe',  di reati commessi da piu'
 persone in danno reciproco le une delle altre.
    In particolare il remittente - premesso  che  la  norma  impugnata
 pone  il divieto di essere assunti come testimoni, tra gli altri, per
 gli imputati nel processo connesso ai sensi dell'art. 12,  lett.  a),
 ultima  parte  (ipotesi di piu' persone che con condotte indipendenti
 hanno determinato l'evento),  e  per  gli  imputati  in  un  processo
 collegato  per  la prova ai sensi dell'art. 371, secondo comma, lett.
 b), ("quando la prova di un reato o di una sua circostanza  influisce
 sulla  prova  di un altro reato o di un'altra circostanza") - ritiene
 che,  nel  caso  sottoposto  al  suo  esame,  non  siano  ravvisabili
 ragionevoli  differenze  fra i soggetti prima indicati e gli imputati
 nel processo riunito a norma dell'art. 17, lett. c).
    Dalla sostanziale eguaglianza della posizione processuale di tutti
 questi soggetti discenderebbe  l'illegittimita',  per  contrasto  con
 l'art.  3  della  Costituzione,  del  trattamento differenziato posto
 dall'art. 197 in ordine al divieto di essere assunti come testimoni.
    2. - La questione non e' fondata.
    Occorre  precisare  che  la  ratio  del  divieto  di  testimoniare
 previsto per i soggetti indicati nelle lett. a) e b) dell'art. 197 va
 individuata  nella  incompatibilita'  tra l'ufficio di testimone e la
 situazione di colui che, per l'esistenza di una  interdipendenza  tra
 la  posizione  dell'imputato  e  la  propria, nello stesso o in altro
 procedimento  collegato,  e'  portatore  di  un  interesse  che  puo'
 contrastare  il  dovere  di  rispondere  secondo  verita';  interesse
 riconosciuto e garantito dall'ordinamento sulla  base  del  principio
 "nemo tenetur se detegere".
    D'altra  parte,  come afferma la relazione al progetto preliminare
 del  nuovo  codice,  il  legislatore   ha   anche   considerato   che
 "l'interesse  di  un  soggetto in ordine all'oggetto del processo non
 deve essere di per se' motivo di esclusione della sua  testimonianza,
 ma  puo' solo costituire uno dei tanti elementi di giudizio di cui il
 giudice  si  deve  avvalere  nell'apprezzare  l'attendibilita'  della
 prova".
   Ferme  restando  quindi le ragioni di tutela contro la possibilita'
 di autoincriminazioni (apprestata  in  via  generale  dall'art.  198,
 secondo  comma),  il  criterio  posto a base della norma impugnata in
 ordine  al  divieto  di  essere  assunto  come  testimone  e'  quello
 dell'esistenza  di un vincolo probatorio tra i procedimenti nei quali
 il medesimo soggetto si troverebbe  ad  assumere  rispettivamente  la
 veste  di  imputato  e di testimone: vincolo che sussiste sempre - e'
 evidente - nei casi indicati  dall'art.  197,  lett.  a)  (coimputati
 dello stesso reato o imputati di reati connessi a norma dell'art. 12)
 e  che,  in  ogni  altro caso in cui si verifichi, sara' rilevato dal
 giudice a norma dell'art. 197, lett. b).
    La  disciplina  denunciata,  quindi,  non  puo'  essere   ritenuta
 discriminatoria   nei  confronti  delle  persone  imputate  di  reati
 commessi in  danno  reciproco  le  une  delle  altre,  le  quali  nei
 procedimenti   riuniti  a  norma  dell'art.  17,  lett.  c)  assumono
 rispettivamente la veste di imputato e di persona offesa  dal  reato:
 sul  piano  del  vincolo  probatorio tale posizione non e' certamente
 assimilabile a quella dei soggetti annoverati  nell'art.  197,  lett.
 a),  per  i  quali tale vincolo e' in re ipsa, mentre nell'ipotesi in
 esame tale situazione puo' verificarsi o meno.
    Conseguentemente, ove in concreto il giudice rilevi l'esistenza di
 una  vera  e  propria  interferenza  sul  piano  probatorio  tra  due
 procedimenti,  anche  per  coloro  che  siano  imputati  di  un reato
 collegato operera' il divieto di essere  assunti  come  testimoni  ai
 sensi dell'art. 197, lett. b).
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  197  del  codice  di  procedura  penale,   sollevata,   in
 riferimento  all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Lanciano -
 sezione distaccata di Atessa - con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 4 marzo 1992.
                       Il Presidente: CORASANITI
                          Il redattore: FERRI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 18 marzo 1992.
                       Il cancelliere: DI PAOLA
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