N. 21 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 25 maggio 1992
N. 21 Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato depositato in cancelleria il 25 maggio 1992 (del Consiglio superiore della magistratura) Conflitto di attribuzione tra Consiglio superiore della magistratura e il Ministro di grazia e giustizia - Rifiuto opposto dal Ministro di grazia e giustizia di dare corso mediante la proposta del relativo decreto del Presidente della Repubblica, alla nomina del presidente della corte d'appello di Palermo, nella persona del dott. Pasquale Giardina, deliberata dal Consiglio superiore della magistratura nella seduta dell'11 dicembre 1991 - Indebita invasione della sfera di competenza costituzionalmente garantita del Consiglio superiore della magistratura in ordine a provvedimento attinente lo status giuridico di un magistrato, quale il conferimento di incarico direttivo, denunciata sul presupposto della natura non vincolante del "previo concerto" con Ministro di grazia e giustizia, richiesto dall'art. 11, terzo comma, della legge n. 195/1958 - Subordinatamente, richiesta alla Corte costituzionale di sollevare dinanzi a se stessa questione di legittimita' costituzionale di detta norma ove interpretata nel senso di attribuire carattere vincolante al "previo concerto" col Ministro di grazia e giustizia, nonche' della norma che prevede che i provvedimenti deliberati dal Consiglio siano emanati con decreto del Presidente della Repubblica controfirmato dal Ministro di grazia e giustizia o con decreto dello stesso Ministro, in quanto consente a quest'ultimo di sindacare la legittimita' delle deliberazioni del Consiglio e di non darvi corso se da lui ritenute illegittime. (Rifiuto opposto dal Ministro di grazia e giustizia di dare corso alla nomina del presidente della corte d'appello di Palermo, nella persona del dott. Pasquale Giardina, delberata dal Consiglio superiore della magistratura nella seduta dell'11 dicembre 1991). (Cost., artt. 104, 105 e 110; legge 24 marzo 1958, n. 195, artt. 11, terzo comma, e 17, primo comma).(GU n.23 del 3-6-1992 )
Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato del Consiglio superiore della magistratura, in persona del vice presidente (a cio' delegato dal presidente con nota del 28 gennaio 1992) prof. Giovanni Galloni, autorizzato con deliberazione del Consiglio in data 29 gennaio 1992, rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Paolo Barile e prof. Valerio Onida, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Gualtiero Rueca in Roma, largo della Gancia, 1, come da mandato in calce al presente atto, contro il Ministro di grazia e giustizia pro-tempore nonche' contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore in relazione al rifiuto opposto dal Ministro della giustizia di dare corso, mediante la proposta del relativo decreto del Presidente della Repubblica, alla nomina del presidente della corte d'appello di Palermo, nella persona del dott. Pasquale Giardina, deliberata dal Consiglio superiore della magistratura nella seduta dell'11 dicembre 1991, rifiuto di cui il Consiglio ha avuto notizia attraverso il messaggio ad esso indirizzato dal Presidente della Repubblica in data 17 dicembre 1991, al quale e' allegato il testo della lettera indirizzata dal Ministro allo stesso Presidente della Repubblica in data 14 dicembre 1991. F A T T O In data 21 maggio 1991, approssimandosi la cessazione dal servizio, per collocamento a riposo, del dott. Carmelo Conti, Presidente della corte d'appello di Palermo, veniva aperto, mediante pubblicazione della vacanza, il procedimento per la copertura del posto in questione, invitando i magistrati che intendessero concorrere a presentare domanda entro il 10 giugno 1991 (doc. 1). Pervennero sedici candidature. Nella seduta della commissione per il conferimento degli uffici direttivi in data 2 luglio 1991 il relatore dott. Criscuolo, illus- trate le candidature con riferimento ai rispettivi curricola, ai pareri emessi dai consigli giudiziari, alle note e alla documentazione esistenti nei rispettivi fascicoli personali, concludeva proponendo la nomina del dott. Pasquale Giardina, procuratore generale della Repubblica presso la corte d'appello di Caltanissetta (doc. 2). La commissione disponeva l'audizione dei dott. Giardina e Palmeri, i due candidati piu' anziani fra quelli legittimati ad aspirare all'ufficio (doc. 2); le audizioni avevano luogo in data 9 luglio 1991 (doc. 3). In data 16 luglio 1991 la commissione, a maggioranza, con tre voti a favore del dott. Giardina, due voti a favore del dott. Palmeri e una astensione, deliberava di proporre il conferimento dell'ufficio al dott. Giardina, e approvava all'unanimita' la relativa motivazione (doc. 4). In essa si rilevava fra l'altro, in sede di valutazione comparativa degli aspiranti, che il dott. Giardina prevaleva (oltre che sugli altri aspiranti) sul dott. Palmeri sia sotto il profilo attitudinale, con riferimento all'esercizio gia' da tempo, da parte del solo dott. Giardina, di funzioni direttive superiori; agli elementi di omogeneita' specifica del profilo professionale rispetto all'ufficio da ricoprire, avendo il solo dott. Giardina gia' prestato servizio presso la corte d'appello come presidente di sezione per ben ventidue anni e per un triennio anche con funzioni vicarie di Presidente della stessa Corte d'appello di Palermo; alla maggior polivalenza funzionale rivelata dal dott. Giardina, per la molteplicita' di esperienze, estese anche al settore requirente (cfr. doc. 4, pagg. 16-18); sia sotto il profilo dell'anzianita' (il dott. Giardina e' in magistratura dal 1º ottobre 1947, e fu nominato alle funzioni direttive superiori dal 1º ottobre 1975; il dott. Palmeri e' in magistratura dal 3 febbraio 1950, e fu nominato alle funzioni direttive superiori con nomina retrodatata al 3 febbraio 1978). La minoranza della commissione (dott. Fenizia e prof. Marconi) presentava a sua volta una relazione dissenziente nella quale proponeva il conferimento dell'ufficio al dott. Palmeri (doc. 5). In data 18 luglio 1991 il Consiglio, investito della pratica sulla base dell'allora vigente art. 22, secondo comma, del regolamento interno (secondo cui "il Consiglio esprime alla commissione il proprio avviso; la commissione procede, quindi, al concerto con il Ministro e ne riferisce al Consiglio, che delibera", con diciotto voti favorevoli, dodici contrari e due astensioni esprimeva avviso favorevole alla proposta della commissione di conferire l'ufficio al dott. Giardina (doc. 6). In data 19 luglio 1991 il presidente della commissione per il conferimento degli uffici direttivi trasmetteva al Ministro, per il previsto concerto, gli avvisi espressi dal C.S.M. per il conferimento di alcuni uffici direttivi, fra cui quello di presidente della corte d'appello di Palermo (doc. 7). Con nota senza data (ma del 30 luglio 1991) indirizzata al Presidente della Repubblica e al Consiglio superiore della magistratura (doc. 8) il Ministro della giustizia, richiamato l'art. 11, terzo comma, della legge n. 195/1958, ad avviso del Ministro stesso inteso a "garantire l'interesse pubblico, di cui il Ministro e' portatore, a che alla dirigenza degli uffici giudiziari siano proposti magistrati idonei ad organizzare ed a dirigere quei servizi di cui il Ministro e' responsabile secondo l'art. 110 della Costituzione, ferma restando l'autonomia della decisione finale da parte del plenum del C.S.M.", faceva rilevare che la "prassi invalsa da qualche tempo" (ma in realta' codificata nel vecchio art. 22, secondo comma, del regolamento) di concordare la proposta tra commissione e plenum e solo successivamente di comunicarla al Ministro, avrebbe "alterato in radice" il concerto tra il Ministro e la commissione imposto dalla legge e il "dovere di concorrere alla proposta da parte del Ministro tramutato in potere o diritto di assenso o di veto"; sosteneva poi che fosse necessario "modificare questa prassi e ristabilire la procedura conforme alla lettera e allo spirito dell'art. 11 della legge 24 marzo 1958, n. 195". Lo stesso 30 luglio 1991 il vice presidente del Consiglio rispondeva al Ministro (doc. 9) ricordando che la prassi richiamata dal Ministro si fondava sull'art. 22 del regolamento, ed era stata ritenuta legittima dalla giurisprudenza amministrativa. Annunciava tuttavia che avrebbe sottoposto le questioni sollevate dal Ministro all'esame delle commissioni competenti, come in effetti avvenne. Con nota del 5 agosto 1991 (doc. 10) il Presidente della Repubblica, riferendosi alla lettera del Ministro, annunciava di ritenere necessario non porre all'ordine del giorno del Consiglio provvedimenti attinenti al conferimento di uffici direttivi e non procedere all'emanazione di decreti relativi a tali conferimenti se le deliberazioni del Consiglio e degli organi che ne costituiscono il presupposto non fossero stati adottati "con procedure che non si prestino a critiche sotto il profilo del rispetto delle competenze degli organi partecipanti". Con nota del 9 aprile 1991 (doc. 11) il vice presidente assicurava di avere dato comunicazione della lettera presidenziale al plenum e di avere invitato la commissione regolamento a pronunciarsi con sollecitudine onde evitare la paralisi che altrimenti si sarebbe determinata nelle nomine ad uffici direttivi; e allegava l'elenco degli uffici direttivi sulla cui copertura il plenum aveva gia' espresso avviso ai sensi del vecchio art. 22, secondo comma, del regolamento, e per cui si era in attesa del concerto del Ministro (all. A), nonche' l'elenco degli uffici sui quali il C.S.M. aveva gia' definitivamente deciso dopo il concerto del Ministro e per i quali si era in attesa del decreto presidenziale conseguente (all. B). Tra i primi risultava, insieme ad altri nove uffici, quello di presidente della corte d'appello di Palermo. Il 18 settembre 1991 il Ministro faceva pervenire al vice presidente del Consiglio una lettera (doc. 12) nella quale assicurava, rendendosi "interprete delle esigenze e dell'urgenza prospettatemi di ricoprire al piu' presto taluni importanti uffici direttivi", il proprio assenso alle deliberazioni del Consiglio (adottate ai sensi del citato art. 22, secondo comma, del regolamento) concernenti gli uffici di Presidente della corte d'appello di Roma, di presidente della corte d'appello di Catanzaro e di presidente di sezione della Corte di cassazione (tre posti); contemporaneamente annunciava che, sino a quando la relativa procedura non fosse stata "resa conforme alla lettera e allo spirito della legge ed ai principi costituzionali", egli non intendeva "prendere in considerazione altri provvedimenti adottati secondo il vigente regolamento perche' in contrasto con la legge". Tale atteggiamento creava una singolare situazione di "blocco", incidente sulla copertura di vari uffici direttivi, fra i quali quello qui in questione. Poiche', fra l'altro, ogni eventuale modifica regolamentare non avrebbe potuto incidere su procedure o fasi di procedure gia' svoltesi, non risultava chiaro il senso di tale "blocco". Il Consiglio si faceva carico della situazione nelle sedute del 25 settembre, del 2 ottobre e del 3 ottobre 1991. In quest'ultima data il Consiglio approvava una risoluzione in cui si affermava "la necessita' che siano definite senza alcun ritardo le procedure per il conferimento degli uffici direttivi per le quali e' gia' stato richiesto al Ministro di grazia e giustizia il concerto di base alla disciplina vigente, sulla quale non potrebbero in alcun modo incidere le eventuali modifiche regolamentari"; si giudicava che la problematica sollevata dal Ministro richiedesse una rapida definizione; e si segnalava dunque al Ministro "l'esigenza di un sollecito perfezionamento delle procedure gia' avviate di conferimento degli uffici direttivi secondo il regolamento vigente" (doc. 12). Nella stessa data del 3 ottobre il Consiglio adottava poi una delibera di modificazione dell'art. 22 del proprio regolamento interno, sostituendo i primi due commi con i seguenti: "Per il conferimento degli uffici direttivi previsti dall'ultimo comma dell'art. 11 della legge 24 marzo 1958, n. 195, la commissione competente, previa apposita deliberazione, indica al Ministro l'elenco degli aspiranti, le proprie valutazioni e le conseguenti mo- tivate conclusioni, allegando quelle dei dissenzienti che lo richiedano e procede al concerto. All'esito riferisce al Consiglio che delibera". La modifica regolamentare veniva emanata con decreto del Presidente 17 ottobre 1991, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 25 ottobre 1991. Nonostante la sollecitazione avanzata dal Consiglio con la riferita risoluzione del 3 ottobre, solo in data 11 novembre il capo di gabinetto del Ministro della giustizia comunicava le "osservazioni" del Ministro circa le nomine a due uffici direttivi, fra cui quello di presidente della corte d'appello di Palermo, sottolineando che si trattava "dei soli due procedimenti residui in tema di incarichi direttivi ancora istruiti secondo la precedente prassi", e facendo "riserva di inviare entro breve tempo una nota relativa alle modalita' della nuova procedura" (doc. 13). In particolare il Ministro dissentiva dalla valutazione del Consiglio circa la nomina del presidente della corte d'appello di Palermo, ritenendo che l'esame comparato dei candidati inducesse a preferire il dott. Palmeri, e cio' sulla base di motivazioni che sostanzialmente ricalcavano quelle della minoranza dissenziente della commissione e del Consiglio. La nota concludeva affermando che il Ministro non riteneva "di dare il concerto al conferimento dell'ufficio direttivo superiore di presidente della corte d'appello di Palermo al dott. Pasquale Giardina" (doc. 14). Nella seduta del 18 novembre 1991 la commissione per il conferimento degli uffici direttivi deliberava di proporre la pratica al plenum invitandolo a deliberare fra le due proposte, quella originaria della commissione, su cui il plenum aveva gia' espresso il proprio avviso favorevole (per la nomina cioe' del dott. Giardina) e quella del Ministro (favorevole al dott. Palmeri) (doc. 15). Nella seduta dell'11 dicembre 1991 il Consiglio, dopo aver approvato, con ventitre voti a favore, tre contrari e due astenuti, la proposta favorevole a procedere alla deliberazione definitiva del Consiglio sulla pratica in oggetto, deliberava, con dodici voti a favore, sette contrari e dieci astensioni, di conferire l'ufficio direttivo superiore di presidente della corte d'appello di Palermo al dott. Pasquale Giardina (doc. 16). Tale delibera veniva comunicata al Ministro in data 12 dicembre 1991 (doc. 17). In data 17 dicembre 1991 perveniva al Consiglio un messaggio del Presidente della Repubblica (doc. 18) al quale era allegata copia della lettera 14 dicembre 1991 a lui indirizzata dal Ministro di grazia e giustizia, con cui questi chiedeva al Presidente "un intervento autorevole e urgente" in relazione a "decisioni abnormi assunte in modo illegittimo dal Consiglio superiore della magistratura". Il Ministro proseguiva affermando di non avere mai negato che la decisione finale sulle nomine spetti al Consiglio, ma di rivendicare il rispetto dell'art. 11 della legge, secondo cui il Consiglio delibera su proposta della competente commissione formulata di concerto col Ministro. Il Ministro annunciava dunque di considerare la delibera del Consiglio "irrecevibile". Trascuriamo qui le ulteriori esternazioni polemiche del Ministro, contenute in detta nota, intese in parte a contestare il comportamento del C.S.M., bollato con parole pesanti, in parte a sostenere un criterio meritocratico nella determinazione della carriera dei magistrati, argomento quest'ultimo del tutto estraneo al contendere, posto che, fra l'altro, la nomina per l'ufficio in questione era stata espressamente motivata in rapporto alle attitudini prima che all'anzianita' del candidato prescelto. Il messaggio presidenziale cui era allegata la nota del Ministro comunicava che quest'ultimo non intendeva proporre l'emanazione del decreto, poiche' riteneva "invalida la deliberazione adottata dal Consiglio superiore"; precisava che, essendo il decreto di conferimento dell'ufficio direttivo un atto non di iniziativa presidenziale ma di iniziativa ministeriale, "essenziale e decisivo, sia sotto il profilo procedimentale che sostanziale, e' la risoluzione del Ministro di formulare o meno la relativa proposta"; sottolineava che il Ministro aveva rilevato nella specie che il Consiglio aveva deliberato "su proposta sulla quale non era stato raggiunto il prescritto concerto tra commissione e Ministro"; affermava di condividere il giudizio dato al riguardo dal Ministro, in quanto "la natura dell'atto, nel quale devono concorrere le due volonta', quella della commissione e quella del Ministro, escluderebbe che l'intervento del Ministro, allo stato attuale della legislazione, possa essere qualificato come un parere obbligatorio e non vincolante perche', mancando il concorso della volonta' del Ministro, l'atto non puo' considerarsi formato"; che l'unica interpretazione possibile della normativa regolamentare in tema di conferimento degli uffici direttivi sarebbe "nel senso che il Consiglio superiore non puo' che deliberare su proposte sulle quali sia intervenuto il concerto tra commissione e Ministro". Il Presidente precisava peraltro che l'invito al Consiglio di pervenire, in ordine alla nomina de qua, ad "una valida deliberazione adottata su proposta formulata di concerto tra commissione e Ministro" non escludeva che "il Consiglio superiore possa ben esaminare i modi legittimi per contrastare - ormai solo sul piano giurisdizionale - la decisione del Ministro di grazia e giustizia .. di considerare illegittima la deliberazione e, conseguentemente, di non formulare la proposta di emanazione del relativo decreto". Dopo attento esame di tali documenti e della situazione delineata, nell'ambito della commissione per gli incarichi direttivi e della commissione riforma, nella seduta del 29 gennaio 1992 il Consiglio superiore deliberava di proporre, per la mancata esecuzione della delibera consiliare concernente il conferimento dell'ufficio direttivo in questione, l'elevazione di conflitto di attribuzioni avanti alla Corte costituzionale (doc. 19). Con nota in data 28 gennaio 1992, il Presidente della Repubblica conferiva al vice presidente la delega a sottoscrivere il ricorso per conflitto di attribuzione e ogni altro conseguente atto processuale (doc. 20). Col presente atto il Consiglio propone tale ricorso, sorretto dalle seguenti ragioni di D I R I T T O 1. - Sulla ammissibilita' del ricorso. Nessun dubbio puo' sussistere in ordine alla ammissibilita' del presente ricorso per conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato. Il conflitto, infatti, insorge fra il Consiglio superiore della magistratura e il Ministro di grazia e giustizia, per la definizione delle competenze spettanti al primo, ai sensi dell'art. 105 della Costituzione, in ordine al conferimento di un ufficio direttivo, nonche' per la definizione della controversia insorta a seguito del rifiuto, da parte del Ministro di giustizia, di dare corso alla nomina deliberata dal Consiglio, attraverso la proposta del relativo decreto presidenziale. Dal punto di vista soggettivo, il ricorrente Consiglio e' organo - comunque lo si voglia classificare - sicuramente investito di poteri direttamente dalla Costituzione (art. 105), e competente a dichiarare in via definitiva la volonta' in cui si esprime l'esercizio di tali poteri (art. 37, primo comma, della legge n. 87/1953). Quanto al Ministro, si tratta dell'organo del Governo i cui poteri sono espressamente delineati nei riguardi di quelli del Consiglio superiore dall'art. 110 della Costituzione, e il cui comportamento (sostanziatosi nell'espresso rifiuto di dare corso al conferimento dell'ufficio direttivo, deliberato dal Consiglio) si pone come diretta causa di menomazione dell'esercizio, da parte del Consiglio superiore, delle attribuzioni ad esso spettanti in ordine al conferimento degli uffici direttivi. Sussistono dunque i presupposti del conflitto sotto il profilo dei soggetti legittimati ad esserne parte. Parimenti sussistono i presupposti oggettivi del conflitto, consistenti nell'essere la controversia relativa alla delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per il Consiglio e per il Ministro dalle norme costituzionali: poiche', come si e' detto, l'oggetto del contendere e', appunto, la questione se il Ministro possa legittimamente rifiutare di dare corso ad una deliberazione del Consiglio di conferimento di ufficio direttivo. Ovvero se tale rifiuto non configuri invece una illegittima menomazione dell'attribuzione spettante al Consiglio ai sensi dell'art. 105 della Costituzione; nonche' la questione se il Consiglio abbia, ai sensi dell'art. 105 della Costituzione, il potere di deliberare il conferimento di un ufficio direttivo ad un magistrato, anche se il Ministro, investito della proposta della commissione, abbia rifiutato il proprio concerto, esprimendosi viceversa a favore di altro magistrato, ovvero se invece tale rifiuto del Ministro impedisca la deliberazione consiliare di conferimento dell'ufficio. 2. - Sulla illegittimita' del rifiuto ministeriale di dare corso alla delibera del Consiglio. Come si e' narrato nella parte in fatto del presente ricorso, la controversia trae origine dall'espresso rifiuto del Ministro di grazia e giustizia di dare corso, mediante la proposta del relativo decreto presidenziale, alla deliberazione del Consiglio di conferimento dell'ufficio direttivo di presidente della corte d'appello di Palermo, adottata l'11 dicembre 1991. Come e' noto l'art. 17 della legge n. 195/1958 stabilisce che i provvedimenti deliberati dal Consiglio superiore concernenti i magistrati, ivi compresi quelli di nomina agli uffici direttivi, sono emanati con decreto del Presidente della Repubblica, controfirmato dal Ministro di grazia e giustizia, "in conformita' delle deliberazioni del Consiglio superiore" (o, nei casi previsti dalla legge, con decreto del Ministro). La legge non precisa se il decreto del Presidente della Repubblica debba essere emanato su proposta (oltre che con la controfirma) del Ministro: ma la prassi e' precisamente in questo senso, come ha ricordato anche il Presidente della Repubblica nel messaggio del 17 dicembre 1991 (doc. 18). Il significato e la portata del decreto presidenziale, e quindi della correlativa proposta ministeriale, sono stati chiariti dalla sentenza n. 44/1968 di questa Corte, la quale, chiamata a decidere il dubbio di costituzionalita' avanzato riguardo a detto art. 17 della legge istitutiva del C.S.M., sotto il profilo della violazione delle attribuzioni costituzionali del Consiglio, dichiaro' la questione non fondata con una pronuncia di tipo sostanzialmente interpretativo, chiarendo cioe' che in tanto la previsione dell'intervento ministeriale e presidenziale deve ritenersi non incostituzionale, in quanto esso va inteso come finalizzato alla mera dichiarazione all'esterno di una volonta' interamente ed esclusivamente formatasi con la delibera consiliare, e quindi in vista di una mera integrazione dell'efficacia dell'atto, allo scopo di far rivestire a questo la forma (di decreto del Presidente della Repubblica o del Ministro) propria degli atti amministrativi, consentendo l'esplicazione su di esso dei controlli finanziari e giurisdizionali che si esercitano appunto sugli atti amministrativi (cfr. anche la sentenza n. 168/1963). Chiari' dunque la Corte che in gli atti artt. 105, 106, 107 e 110 della Costituzione "attribuiscono proprio alla sola competenza del Consiglio superiore della magistratura tutti i provvedimenti di stato comunque riguardanti i magistrati"; e che "una volta avvenuta la comunicazione dei singoli atti di esercizio di tali poteri 'quelli deliberativi del Consiglio', si determina un dovere giuridico a carico dell'esecutivo di renderli concretamente operanti mediante l'emanazione di appositi decreti che ne adottino integralmente il contenuto", onde "le dette deliberazioni, se nei confronti dei loro destinatari e dei terzi esplicano effetti solo dalla data di emanazione dei decreti, nei rapporti invece con gli organi esecutivi sono, dal momento stesso della loro comunicazione a questi ultimi, produttivi della pretesa da parte dell'organo deliberante alla loro adozione". Gli atti in questione, in altri termini, benche' assumano la forma di decreto presidenziale, proposto e controfirmato dal Ministro, non sono classificabili fra gli atti sostanzialmente governativi, per i quali spetta al Ministro o al Consiglio dei Ministri la deliberazione e al Presidente della Repubblica la emanazione, in quanto la postesta' deliberativa e' in questi casi attribuita ad un organo - il Consiglio superiore della magistratura - estraneo al Governo. Il successivo intervento del Ministro e del Capo dello Stato si colloca esclusivamente, con carattere di obbligatorieta', nella fase della semplice esternazione del provvedimento. Stando cosi' le cose, e' chiaro come non possa riconoscersi al Ministro, chiamato a dare corso alla deliberazione del Consiglio, alcun potere di assenso o di partecipazione sostanziale al provvedimento, che e' espressione di una funzione interamente ed esclusivamente attribuita dalla Costituzione al Consiglio medesimo. Ma nemmeno potrebbe ritenersi che il Ministro resti libero di rifiutare di dare corso al provvedimento allegando una ipotetica illegittimita' di esso. Il sindacato sulla legittimita' dei provvedimenti deliberati dal C.S.M. spetta infatti alla Corte dei conti da un lato, al giudice amministrativo dall'altro, quest'ultimo su ricorso di qualsiasi soggetto interessato. Un potere di controllo attribuito al Ministro comporterebbe una lesione dell'indipendenza costituzionale dell'organo di governo della magistratura, e ad una ingerenza proprio di quel potere esecutivo, la sottrazione al quale dei compiti di amministrazione concernenti lo status dei magistrati e' la ragione d'essere della previsione costituzionale dei poteri deliberativi del C.S.M. Anche se si volesse e si potesse configurare un sindacato di legittimita' del Presidente della Repubblica in sede di emanazione del decreto, analogo a quello che puo' riconoscersi al Presidente nei confronti dei provvedimenti governativi pure emanati in forma di decreti presidenziali - sindacato che evidentemente non potrebbe andare al di la' di una richiesta di riesame, con obbligo di emanare l'atto ove l'organo competente confermi la propria deliberazione - siffatto sindacato dovrebbe comunque essere esercitato dal Capo dello Stato, sullo schema di decreto doverosamente proposto dal Ministro in conformita' alla deliberazione consiliare. Non potrebbe invece configurarsi un analogo sindacato da parte del Ministro. Un rifiuto da parte del Ministro di dare corso alla deliberazione del Consiglio, attraverso la proposta del relativo decreto ad esso conforme, e' dunque in ogni caso da escludersi. Al piu' potrebbe ammettersi che il Ministro non dia corso a deliberazioni del C.S.M. giuridicamente inesistenti, in quanto mancanti di elementi essenziali per la loro formazione (si pensi al coso di scuola di un provvedimento che fosse stato adottato solo in commissione, e non deliberato dal plenum del Consiglio). Non puo' invece ammettersi un rifiuto di dar seguito a deliberazioni effettivamente adottate dal Consiglio. Ora, nella specie, il Ministro pretenderebbe invece di esercitare un sindacato sulla legittimita' del provvedimento di nomina deliberato dal Consiglio, allegando una (supposta) irregolarita' delle procedure seguite. Ma poiche' egli non alcun potere di sindacato sulle delibere consiliari, il rifiuto di dare corso al provvedimento si configura come illegittimo e lesivo delle attribuzioni costituzionali del Consiglio. Non varrebbe osservare in contrario che il Ministro dovrebbe poter reagire, rifiutando di dare corso al provvedimento, a quella che egli ritenesse una menomazione della competenza ad esso attribuita di concorrere col "concerto" alla proposta dell'atto. Infatti, in primo luogo, l'intervento del Ministro nel procedimento non e' previsto dalla Costituzione, ma dalla sola legge ordinaria (l'art. 11 della legge n. 195/1958), e non costituisce percio' l'oggetto di una attribuzione costituzionale del Ministro. Tanto meno potrebbe ammettersi che il Ministro eserciti in questa sede una sindacato sulla conformita' del procedimento seguito alle norme del regolamento interno del Consiglio, la cui osservanza (anche a non volere ammettere una competenza esclusiva del Consiglio in proposito, che pure deriverebbe da una applicazione degli stessi principi che la Corte ha affermato a riguardo degli interna corporis delle Camere nella sentenza n. 9/1959, tenendo conto che il Consiglio superiore e' anch'esso organo dotato di indipendenza costituzionalmente garantita) potrebbe al piu' essere sindacata in sede di controllo giurisdizionale sul decreto emanato in conformita' alla deliberazione consiliare. In ogni caso, come si e' detto, l'ipotetica violazione delle norme (ordinarie e regolamentari) concernenti l'intervento del Ministro, anche se desse luogo ad una illegittimita' della deliberazione, non consentirebbe che di tale illegittimita' si faccia giudice il Ministro stesso allorquando e' chiamato all'adempimento dovuto della formazione del decreto. Tale ipotetica illegittimita' potrebbe e dovrebbe essere casomai sindacata nella sede propria, in particolare davanti al giudice amministrativo, al quale qualunque interessato potrebbe fare ricorso. Parimenti, anche se vi fosse (ma non vi e') una competenza costituzionale del Ministro dell'ambito del procedimento, che il Ministro stesso ritenesse violata, egli potrebbe ricorrere al rimedio del conflitto di attribuzioni nei confronti del Consiglio: ma non potrebbe mai ammettersi che sia il Ministro stesso, per cosi' dire, a farsi giustizia da se', rifiutando di proporre il decreto in nome di una supposta, e da lui ritenuta, illegittimita' della deliberazione consiliare. In definitiva, dunque, il rifiuto del Ministro, nella specie, di adempiere al dovere di proporre il decreto conforme alla delibera del Consiglio si configura - a prescindere dalla fondatezza o meno delle obiezioni che il Ministro ha formulato circa la regolarita' e la legittimita' della delibera consiliare - come una illegittima lesione delle attribuzioni costituzionali del Consiglio superiore. Ove, d'altronde, l'art. 17 della legge n. 195/1958 dovesse intendersi - in contrasto con quanto da questa Corte ritenuto, in particolare nella sentenza n. 44/1968 - nel senso che esso conferisca al Ministro un potere di sindacato sulla legittimita' delle deliberazioni del Consiglio, e quindi il potere di rifiutare di dare corso alle deliberazioni che esso Ministro ritenga illegittime, sarebbe inevitabile considerare tale art. 17 incostituzionale, per contrasto con gli artt. 104, 105 e 110 della Costituzione, in quanto ne discenderebbe una palese violazione dei principi di autonomia e indipendenza del Consiglio superiore e dell'ordine giudiziario, e una menomazione della esclusiva potesta' riconosciuta al Consiglio di deliberare sui provvedimenti riguardanti i magistrati, ivi compresi i conferimenti di uffici direttivi. Tale questione di costituzionalita', in stretto subordine, e' qui espressamente sollevata dal ricorrente Consiglio. 3. - Sulla portata del "concerto" ministeriale in ordine alle proposte di conferimento degli uffici direttivi. Quanto si e' osservato nel precedente paragrafo sarebbe di per se' sufficiente a fondare la dichiarazione di illegittimita' del comportamento del Ministro per lesione delle attribuzioni costituzionali del Consiglio superiore. In via subordinata, tuttavia, si fa valere in questa sede anche la illegittimita' della pretesa avanzata dal Ministro, nella nota del 14 dicembre 1991 trasmessa al Consiglio dal Presidente della Repubblica, secondo cui il Consiglio non avrebbe avuto il potere di procedere alla nomina del dott. Pasquale Giardina in quanto su tale designazione il Ministro aveva negato il proprio "concerto". La tesi del Ministro - chiaramente illustrata in detta nota e nel messaggio 17 dicembre 1991 del Presidente della Repubblica - e' dunque che la norma dell'art. 11, terzo comma, della legge n. 195/1958, secondo cui in ordine a tali nomine il Consiglio delibera su proposta della commissione, formulata di concerto col Ministro stesso, comporta che il Consiglio possa legittimamente deliberare il conferimento di un uffico direttivo ad un magistrato solo se su tale indicazione o candidatura sia intervenuto il positivo "concerto" ministeriale. Se ne deduce che, in mancanza di tale positivo "concerto" (come si e' verificato nella specie) il Consiglio - poiche', evidentemente, deve comunque provvedere alla copertura del posto - sarebbe tenuto a chiedere alla commissione la formulazione di altra diversa proposta sulla quale venga raccolto il positivo "concerto" del Ministro. Il riconoscimento espresso da parte del Ministro della "autonomia della decisione finale da parte del plenum del C.S.M." (cfr. nota 30 luglio 1991, doc. 8; nonche' nota 14 dicembre 1991, doc. 18) significherebbe dunque che il Consiglio sarebbe bensi' autonomo, ma .. solo nel decidere positivamente o negativamente su una proposta "concertata" col Ministro, non gia' nel decidere comunque sul conferimento dell'incarico, anche eventualmente ad un magistrato sul cui nome non si sia raccolto il positivo "concerto" del Ministro stesso. Tale tesi, ancorche' a prima vista possa apparire in qualche modo sostenuta dalla formulazione letterale dell'art. 11, terzo comma, della legge, e' pero' in contrasto con l'univoca trentennale prassi del Consiglio; e' infondata, in quanto conduce a dare alla legge un significato palesemente incostituzionale; e se mai dovesse invece accogliersi, condurrebbe necessariamente alla dichiarazione di incostituzionalita' della stessa disposizione di legge. Il punto di partenza per l'esame della questione non puo' che essere la Costituzione, e precisamente l'art. 105, ai cui sensi "spettano al Consiglio superiore .. le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati". Che il conferimento degli uffici direttivi rientri fra i provvedimenti spettanti all'esclusiva competenza del Consiglio ai sensi dell'art. 105 (e cio', a prescindere dalla concezione piu' o meno estensiva che si abbia del compito del C.S.M. in generale, e del carattere tassativo o meno che si attribuisca alle competenze espressamente elencate) e' sempre stato fuori discussione. E infatti la stessa legge n. 195/1958 (che pure, come si sa, non era certo ispirata ad una concezione estensiva dei poteri consiliari, ne' ad una visione restrittiva dei poteri del Ministro) incluse tali provvedimenti fra quelli demandati alla deliberazione del Consiglio, evidentemente ritenendo che cio' discendesse in modo necessario dall'art. 105 della Costituzione (in tal senso, espressamente, v. la recente sentenza di questa Corte n. 72/1991). D'altra parte si tratta di una conclusione obbligata in base alla stessa lettera del disposto costituzionale. Il conferimento di un ufficio direttivo ad un magistrato e' un atto di "assegnazione" del magistrato all'ufficio; ne comporta il "trasferimento"; e assai spesso va di pari passo con una "promozione". E' dunque un provvedimento che incide a pieno titolo sullo status del magistrato, comportando l'instaurarsi stabile e definitivo del rapporto organico in ordine all'ufficio in questione e il contemporaneo venir meno del rapporto organico in ordine all'ufficio precedente coperto dallo stesso magistrato. Sostenere dunque, come pure si e' cercato di fare di recente, che, attesi i compiti anche organizzativi dei capi degli uffici, la nomina di questi non sarebbe provvedimento costituzionalmente spettante al Consiglio, ma piuttosto riconducibile alla competenza del Ministro in ordine ai "servizi relativi alla giustizia" (art. 110 della Costituzione) significa contraddire in modo palese la lettera e la ratio delle disposizioni costituzionali. Certamente ogni provvedimento di status dei magistrati (dalle assegnazioni di sede ai trasferimenti) e' suscettibile di avere incidenze sull'organizzazione degli uffici: ma non per questo si puo' ritenere tali provvedimenti attratti nella competenza ministeriale, per quanto non retrittivamente intesa, in ordine ai "servizi relativi alla giustizia". Le funzioni organizzative dei capi degli uffici, inoltre, non sono esclusive e neppure preminenti, poiche' il primo e principale compito attribuito al titolare dell'ufficio direttivo e' quello di esercitare la funzione giurisdizionale (giudicante o requirente) nella posizione appunto di preposto all'ufficio o di presidente di collegio (cosi' il presidente di una corte d'appello presiede abitualmente i collegi di almeno una sezione della corte stessa); e sono in ogni caso cosi' strettamente connesse all'esercizio delle funzioni giurisdizionali (si pensi ad esempio alla proposta e alla formazione delle "tabelle" degli uffici, o alla assegnazione degli affari alle sezioni e ai singoli magistrati), da dovere necessariamente essere affidate a magistrati prescelti dall'organo costituzionalmente chiamato a garantire l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, vale a dire dal Consiglio superiore. La legge n. 195/1958, fin dal suo testo originario, comprendeva infatti, come si e' ricordato, il conferimento degli uffici direttivi fra le competenze deliberative del C.S.M. Solo che, mentre per gli altri provvedimenti di status prevedeva (art. 11, secondo comma) che il Consiglio potesse deliberare solo su richiesta del Ministro, per tali provvedimenti configurava un procedimento piu' complesso, snodantesi attraverso la proposta dell'apposita commissione, formulata di concerto col Ministro, e la deliberazione del plenum. Quindi la legge, si noti, lasciava al Consiglio, a questo riguardo, maggiore spazio - e corrispettivamente attribuiva al Ministro un ruolo minore - di quanto non facesse per gli altri provvedimenti di status: semplice compartecipazione, in esclusiva, non fase di proposta, contro esclusivo potere di richiesta. Cio' valga ad ulteriore smentita della tesi secondo cui la legge, in ordine agli uffici direttivi, avrebbe inteso valorizzare una supposta competenza ministeriale. Come si sa, pero', la disposizione dell'art. 11, secondo comma, della legge, che vincolava il Consiglio a deliberare solo su iniziativa del Ministro, venne dichiarata incostituzionale da questa Corte nella sentenza n. 168/1963, proprio perche' tale esclusivita' di iniziativa era lesiva delle attribuzioni costituzionali del Consiglio. In altri termini, la Corte chiari' che l'attribuzione al Consiglio della competenza a deliberare i provvedimenti di cui all'art. 105 della Costituzione non comportava solo l'autonomia del Consiglio stesso nella decisione finale, ma altresi' la possibilita' per il Consiglio di adottare deliberazioni anche in assenza o in difformita' dell'iniziativa ministeriale. In quell'occasione la Corte non dovette occuparsi del terzo comma dell'art. 11, ma solo del secondo comma, unica disposizione che veniva allora in considerazione col necessario requisito della rilevanza. Successivamente, in un'altra occasione (sentenza n. 180/1971) la Corte fu bensi' investita della questione di legittimita' dell'art. 11, terzo comma, ma la pronuncia fu di inammissibilita' per irrilevanza della questione medesima. Nel frattempo, peraltro, anche a seguito della fondamentale sentenza n. 168/1963 e della conseguente modifica apportata dal legislatore al secondo comma dell'art. 11 (art. 5 della legge 18 dicembre 1967, n. 1198), la prassi di applicazione del terzo comma, relativo al conferimento degli uffici direttivi, si consolido' nel senso di riconoscere che il Consiglio conservava piena liberta' di determinarsi, senza essere in alcun modo ne' positivamente ne' negativamente vincolato dal "concerto" dato o negato dal Ministro. Tale prassi venne in qualche modo riflessa nel regolamento interno del Consiglio, il cui art. 22 prevedeva, per il conferimento degli uffici direttivi, una procedura articolata nell'esame istruttorio della commissione, nella presentazione da parte di questa delle sue motivate conclusioni, nonche' delle osservazioni della eventuale minoranza dissenziente, al plenum, che dava il suo "avviso"; nella successiva richiesta di concerto del Ministro, e infine nella deliberazione del Consiglo. In fatto il Ministro, se poteva dare e dava la sua collaborazione con osservazioni fin dalla fase della formulazione della proposta, dopo l'"avviso" del plenum comunicava pressoche' invariabilmente il proprio concerto; e problemi caso mai talora si posero per quanto atteneva ai rapporti tra il previo "avviso" e la finale deliberazione dello stesso plenum. Tale procedura, piu' volte sottoposta al vaglio della giurisdizione amministrativa in occasione dell'impugnazione da parte di taluni degli interessati di provvedimenti di conferimento degli uffici direttivi, venne considerata perfettamente legittima e opportuna; cosi' ad esempio il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 829 del 3 novembre 1981, affermo' che non poteva attribuirsi alcun rilievo ai fini di censurare al legittimita' del procedimento seguito "alle preventive consultazioni (quand'anche consegnate in apposito verbale) tra organi concorrenti nell'esercizio di una medesima funzione, nell'ambito di un principio di economia amministrativa, che non altera le competenze di ciascun organo e che tende, nel rispetto formale e sostanziale della norma, ad abbreviare i tempi normalmente lunghi di complessi procedimenti amministrativi, tenuto conto che in definitiva l'organo deliberante deve essere il C.S.M. nel suo ple- num". La prassi, secondo cui il "concerto" ministeriale sulla proposta non puo' che configurarsi come un intervento non suscettibile di limitare la piena autonomia del Consiglio, ne' in negativo ne' in positivo, nel deliberare sul conferimento degli uffici direttivi, si era dunque da tempo consolidata, fino a configurarsi come un vero e proprio "diritto vivente". Essa consentiva e consente di dare all'art. 11, terzo comma, un significato compatibile con la Costituzione, come non sarebbe invece nel caso si volesse intendere il "concerto" ministeriale come condizionante, sia pure in senso negativo, la deliberazione finale del Consiglio, e cioe' si volesse ritenere (come oggi ritiene il Ministro) che il Consiglio non possa legittimamente deliberare di conferire un ufficio direttivo ad un magistrato sul cui nome non vi sia stato il positivo "concerto" del Ministro. Cio' spiega anche perche' i dubbi di costituzionalita' sull'art. 11, terzo comma - che pure in dottrina sono state da piu' parti avanzati (cfr. ad es. G. Viesti, Gli aspetti incostituzionali della legge sul Consiglio superiore della magistratura, in Rass. dir. pubbl. 1958, p. 538 ss.; M. Mazziotti, Questioni di costituzionalita' della legge sul Consiglio superiore della magistratura, in Giur. Cost., 1963, p. 1672-73; S. Bartole, Autonomia e indipendenza dell'ordine giudiziario, Padova 1964, p. 141 ss.; G. Volpe, voce Ordinamento giudiziario, in Enc. dir., vol. XXX, Milano 1980, p. 858-59; G. Verde, L'amministrazione della giustizia fra Ministro e Consiglio superiore, Padova 1990, p. 78 ss.; V. Carbone, sub art. 110, in Commentario della Costituzione, La Magistratura, Bologna - Roma 1992, p. 115 - non siano piu' stati sottoposti a questa Corte. In altri termini l'applicazione della legge aveva segui'to e seguiva il noto criterio dell'interpretazione conforme a Costituzione, per cui, di fronte a piu' interpretazioni possibili della norma, va prescelta quella che consente di dare ad essa un significato conforme alla Costituzione, o comunque va esclusa quella che condurrebbe a dare alla stessa, viceversa, un significato contrastante con la Costituzione. La tesi interpretativa ora inopinatamente fatta valere dal Ministro condurrebbe invece proprio ad attribuire all'art. 11, terzo comma, un significato incostituzionale. Infatti ritenere che il Consiglio non possa legittimamente conferire l'ufficio direttivo ad un magistrato, sul cui nome non sia stato acquisito il positivo "concerto" del Ministro, significherebbe disconoscere la piena competenza deliberativa attribuita al Consiglio stesso dall'art. 105 della Costituzione; la norma di legge, cosi' intesa, sarebbe illegittima per le stesse ragioni che hanno condotto questa Corte, nella sentenza n. 168/1963, a dichiarare la incostituzionalita' del vecchio art. 11, secondo comma. Non varrebbe osservare che non si negherebbe comunque la competenza del Consiglio di adottare la deliberazione finale. Se il positivo "concerto" del Ministro costituisse un prius necessario della nomina, il Consiglio non potrebbe autonomamente determinarsi nel conferire l'ufficio, e in particolare potrebbe, in ipotesi, trovarsi impedito dallo scegliere proprio quel magistrato che esso Consiglio reputa piu' adatto a ricoprire l'ufficio medesimo (come nella specie e' accaduto per il dott. Giardina). Ora, non poter scegliere il candidato piu' adatto secondo l'organo decidente, significa non avere il potere di scelta. D'altra parte al Ministro di verrebbe ad attribuire, se non un potere positivo di nomina, un vero potere di assenso o di veto rispetto alla nomina medesima. Senza il suo positivo "concerto", infatti, nessuno potrebbe essere nominato. Si tenga conto che le deliberazioni di conferimento di uffici direttivi sono decisioni necessarie, non eventuali, essendo dirette ad assicurare l'esercizio di una funzione che non puo' restare priva di titolare; e che esse di fatto comportano sempre una scelta fra un numero limitato di candidati potenzialmente idonei e disponibili. Ora, se il Ministro potesse impedire, negando il proprio positivo "concerto", la nomina di un magistrato, cio' significherebbe che il Consiglio sarebbe costretto a conferire l'ufficio ad un altro magistrato, diverso da quello da esso ritenuto in ipotesi piu' idoneo; e nulla vieterebbe che il Ministro, negando via via il proprio "positivo" concerto anche a piu' candidati, giungesse a costringere di fatto il Consiglio a prescegliere proprio l'unico candidato non gia' ritenuto piu' idoneo dal Consiglio stesso, ma preferito dal Ministro. E' cio' che nel caso concreto precisamente si verificherebbe, se la tesi del Ministro dovesse essere accolta. Infatti la commissione del Consiglio e il plenum gia' in sede di "avviso", e poi in sede di delibera definitiva) hanno ritenuto il dott. Giardina piu' idoneo dell'altro candidato pure preso in considerazione, il dott. Palmeri. Avendo il Ministro negato il proprio "concerto" alla nomina del dott. Giardina, e ritenuto preferibile il dott. Palmeri, il Consiglio, ove dovesse seguire la tesi ministeriale, sarebbe costretto a conferire l'ufficio al dott. Palmeri (non essendo gli altri candidati altrettanto provvisti di titoli quanto i due da ultimo presi in considerazione), cioe' sarebbe costretto a far prevalere la scelta del Ministro sulla propria scelta (non e' un caso che un membro di minoranza della commissione, il prof. Marconi, dopo il negato "concerto" del Ministro avesse proposto proprio di procedere in tal senso, cioe' scegliendo il dott. Palmeri, "candidato" del Ministro: cfr. doc. 15). E' evidente pero' che in tal modo sarebbe rovesciata la norma costituzionale, che conferisce al Consiglio, e non al Ministro, il potere-dovere di scegliere i magistrati cui conferire gli uffici direttivi. E' dunque inevitabile concludere che l'unica interpretazione costituzionalmente possibile dell'art. 11, terzo comma, della legge n. 195/1958 e' quella che riserva al Consiglio la facolta' di determinarsi definitivamente, senza essere condizionato ne' in positivo ne' in negativo dal "concerto" o dal negato "concerto" del Ministro a questo o quel candidato. E' cio' che il Consiglio ha fatto, nella specie, deliberando definitivamente la nomina del dott. Giardina pur dopo avere preso atto e aver considerato il negato "concerto" su di lui espresso dal Ministro nella nota dell'11 novembre 1991. Pretendere - come pretende il Ministro - che tale nomina sia illegittima, in quanto sarebbe mancato il positivo "concerto" ministeriale, equivale a contestare la piena spettanza al Consiglio della potesta' di conferire gli uffici direttivi, in palese contrasto con l'art. 105 della Costituzione. Anche sotto tale profilo, dunque, il diniego del Ministro di dar corso alla nomina, motivato con la presunta illegittimita' della deliberazione in quanto non preceduta dal positivo "concerto" del Ministro, appare illegittimo e lesivo delle attribuzioni costituzionali del Consiglio superiore della magistratura. 3. - In ulteriore subordine: illegittimita' costituzionale dell'art. 11, terzo comma, della legge n. 195/1958. Per la non creduta ipotesi che la Corte non dovesse condividere le conclusioni fin qui raggiunte in ordine alla interpretazione dell'art. 11, terzo comma, della legge n. 195/1958, ritenendo che il positivo "concerto" del Ministro sul candidato preposto e prescelto costituisca in base alla legge presupposto indefettibile per la deliberazione di conferimento dell'ufficio direttivo, sarebbe inevitabile - per le ragioni che si sono appena illustrate - che la Corte sollevasse di fronte a se' stessa, in via incidentale, la questione di costituzionalita' di detto art. 11, terzo comma, nella parte in cui esso condiziona (in ipotesi) la deliberazione consiliare di conferimento dell'ufficio direttivo al previo positivo "concerto" del Ministro sul nome proposto e prescelto, in riferimento agli artt. 104, 105 e 110 della Costituzione. Tale questione viene, in via subordinata, espressamente sollevata, col presente atto, dal ricorrente Consiglio. La rilevanza (subordinata) della questione sarebbe evidente. Se si ritenesse legittimo il rifiuto del Ministro di dare corso alla deliberazione de qua alla stregua dell'art. 11, terzo comma, in parola, inteso nel senso che esso condizioni la legittimita' della deliberazione medesima al previo positivo "concerto" del Ministro sul nome del magistrato prescelto, la decisione del presente conflitto di attribuzioni, col quale il Consiglio lamenta la lesione delle proprie attribuzioni costituzionali, dipenderebbe dalla previa risoluzione della questione di costituzionalita'. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, gli stessi argomenti che nel precedente paragrafo si sono svolti per dimostrare la necessita' di adottare una interpretazione conforme a Costituzione dell'art. 11, terzo comma, e cioe' una interpretazione che non comporti menomazione delle attribuzioni del Consiglio, varrebbero in tutto e per tutto a motivare le censure di incostituzionalita' della disposizione medesima, ove mai essa dovesse interpretarsi in senso opposto, come vorrebbe il Ministro.
P. Q. M. Chiede che - previa declaratoria di ammissibilita' del conflitto - la Corte voglia: a) in via principale: dichiarare che non spetta al Ministro della giustizia il potere di rifiutare di dare corso alla deliberazione del Consiglio superiore della magistratura, di conferimento dell'ufficio direttivo di presidente della corte di appello di Palermo al dott. Pasquale Giardina; previa, in subordine e in quanto occorra, rimessione davanti a se stessa, in via incidentale, della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 104, 105 e 110 della Costituzione, dell'art. 17, primo comma, della legge n. 195/1958, nella parte in cui (e se inteso nel senso che) prevedendo che i provvedimenti deliberati dal Consiglio siano emanati con decreto del Presidente della Repubblica controfirmato dal Ministro di grazia e giustizia, o con decreto dello stesso Ministro, consente al Ministro della giustizia di sindacare la legittimita' delle deliberazioni del Consiglio e di non dar corso alle stesse ove siano dallo stesso Ministro ritenute illegittime; b) in via subordinata: dichiarare che non spetta al Ministro della giustizia il potere di impedire al Consiglio superiore della magistratura, negando il proprio positivo "concerto" alla proposta di nomina, di deliberare legittimamente il conferimento dell'ufficio direttivo di presidente della corte di Palermo al dott. Pasquale Giardina; previa, in subordine e in quanto occorra, rimessione davanti a se', in via incidentale, della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 104, 105 e 110 della Costituzione, dell'art. 11, terzo comma, della legge n. 195/1958 nella parte in cui (e se inteso nel senso che), prevedendo il "concerto" del Ministro sulla proposta di conferimento dell'ufficio direttivo, impedisce al Consiglio superiore della magistratura di deliberare tale conferimento a favore del candidato da esso ritenuto piu' idoneo anche in assenza del positivo "concerto" del Ministro o in presenza di un diniego di "concerto" del Ministro sul nominativo del candidato medesimo. Roma, addi' 17 marzo 1992 Prof. Giovanni GALLONI - Avv. prof. Paolo BARILE - Avv. prof. Valerio ONIDA 92C0645