N. 21 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 25 maggio 1992

                                 N. 21
     Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
              depositato in cancelleria il 25 maggio 1992
             (del Consiglio superiore della magistratura)
 Conflitto di attribuzione tra Consiglio superiore della magistratura
    e il Ministro di grazia e giustizia - Rifiuto opposto dal Ministro
    di grazia e giustizia di  dare  corso  mediante  la  proposta  del
    relativo  decreto del Presidente della Repubblica, alla nomina del
    presidente della corte d'appello di  Palermo,  nella  persona  del
    dott.  Pasquale Giardina, deliberata dal Consiglio superiore della
    magistratura  nella  seduta  dell'11  dicembre  1991  -   Indebita
    invasione  della  sfera di competenza costituzionalmente garantita
    del  Consiglio  superiore   della   magistratura   in   ordine   a
    provvedimento  attinente  lo  status  giuridico  di un magistrato,
    quale  il  conferimento  di  incarico  direttivo,  denunciata  sul
    presupposto  della natura non vincolante del "previo concerto" con
    Ministro di grazia e  giustizia,  richiesto  dall'art.  11,  terzo
    comma,  della legge n. 195/1958 - Subordinatamente, richiesta alla
    Corte costituzionale di sollevare dinanzi a se stessa questione di
    legittimita' costituzionale di detta norma  ove  interpretata  nel
    senso  di attribuire carattere vincolante al "previo concerto" col
    Ministro di grazia e giustizia, nonche' della  norma  che  prevede
    che  i  provvedimenti  deliberati  dal Consiglio siano emanati con
    decreto del Presidente della Repubblica controfirmato dal Ministro
    di grazia e giustizia o con  decreto  dello  stesso  Ministro,  in
    quanto  consente a quest'ultimo di sindacare la legittimita' delle
    deliberazioni del Consiglio  e  di  non  darvi  corso  se  da  lui
    ritenute illegittime.
 (Rifiuto opposto dal Ministro di grazia e giustizia di dare corso
    alla nomina del presidente della corte d'appello di Palermo, nella
    persona  del  dott.  Pasquale  Giardina,  delberata  dal Consiglio
    superiore della magistratura nella seduta dell'11 dicembre 1991).
 (Cost., artt. 104, 105 e 110; legge 24 marzo 1958, n. 195, artt. 11,
    terzo comma, e 17, primo comma).
(GU n.23 del 3-6-1992 )
   Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri  dello  Stato  del
 Consiglio   superiore   della   magistratura,  in  persona  del  vice
 presidente (a cio' delegato dal presidente con nota  del  28  gennaio
 1992)  prof.  Giovanni  Galloni,  autorizzato  con  deliberazione del
 Consiglio in data 29  gennaio  1992,  rappresentato  e  difeso  dagli
 avvocati  prof.  Paolo Barile e prof. Valerio Onida, ed elettivamente
 domiciliato presso lo studio dell'avv. Gualtiero Rueca in Roma, largo
 della Gancia, 1, come da mandato in calce al presente atto, contro il
 Ministro  di  grazia  e  giustizia  pro-tempore  nonche'  contro   il
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri pro-tempore in relazione al
 rifiuto opposto dal Ministro della giustizia di dare corso,  mediante
 la  proposta  del  relativo  decreto del Presidente della Repubblica,
 alla nomina del presidente della corte d'appello  di  Palermo,  nella
 persona   del  dott.  Pasquale  Giardina,  deliberata  dal  Consiglio
 superiore della magistratura  nella  seduta  dell'11  dicembre  1991,
 rifiuto  di cui il Consiglio ha avuto notizia attraverso il messaggio
 ad esso indirizzato  dal  Presidente  della  Repubblica  in  data  17
 dicembre   1991,   al  quale  e'  allegato  il  testo  della  lettera
 indirizzata dal Ministro allo stesso Presidente della  Repubblica  in
 data 14 dicembre 1991.
                               F A T T O
    In   data  21  maggio  1991,  approssimandosi  la  cessazione  dal
 servizio,  per  collocamento  a  riposo,  del  dott.  Carmelo  Conti,
 Presidente  della corte d'appello di Palermo, veniva aperto, mediante
 pubblicazione della vacanza, il procedimento  per  la  copertura  del
 posto   in   questione,   invitando  i  magistrati  che  intendessero
 concorrere a presentare domanda entro il 10  giugno  1991  (doc.  1).
 Pervennero sedici candidature.
    Nella  seduta  della  commissione per il conferimento degli uffici
 direttivi in data 2 luglio 1991 il relatore dott.  Criscuolo,  illus-
 trate  le  candidature  con  riferimento  ai rispettivi curricola, ai
 pareri  emessi  dai   consigli   giudiziari,   alle   note   e   alla
 documentazione   esistenti   nei   rispettivi   fascicoli  personali,
 concludeva  proponendo  la  nomina  del  dott.   Pasquale   Giardina,
 procuratore  generale  della  Repubblica presso la corte d'appello di
 Caltanissetta (doc. 2).  La  commissione  disponeva  l'audizione  dei
 dott.  Giardina  e  Palmeri,  i due candidati piu' anziani fra quelli
 legittimati ad aspirare all'ufficio (doc. 2);  le  audizioni  avevano
 luogo in data 9 luglio 1991 (doc. 3).
    In data 16 luglio 1991 la commissione, a maggioranza, con tre voti
 a  favore  del  dott. Giardina, due voti a favore del dott. Palmeri e
 una astensione, deliberava di proporre il  conferimento  dell'ufficio
 al dott. Giardina, e approvava all'unanimita' la relativa motivazione
 (doc.  4).  In  essa  si rilevava fra l'altro, in sede di valutazione
 comparativa degli aspiranti, che il dott. Giardina  prevaleva  (oltre
 che  sugli  altri  aspiranti)  sul dott. Palmeri sia sotto il profilo
 attitudinale, con riferimento all'esercizio gia' da tempo,  da  parte
 del  solo  dott.    Giardina,  di  funzioni direttive superiori; agli
 elementi di omogeneita' specifica del profilo professionale  rispetto
 all'ufficio da ricoprire, avendo il solo dott. Giardina gia' prestato
 servizio presso la corte d'appello come presidente di sezione per ben
 ventidue  anni  e  per  un  triennio  anche  con  funzioni vicarie di
 Presidente della stessa Corte  d'appello  di  Palermo;  alla  maggior
 polivalenza   funzionale   rivelata   dal   dott.  Giardina,  per  la
 molteplicita' di esperienze, estese anche al settore requirente (cfr.
 doc. 4, pagg.  16-18); sia sotto il profilo dell'anzianita' (il dott.
 Giardina e' in magistratura dal 1º ottobre 1947, e fu  nominato  alle
 funzioni direttive superiori dal 1º ottobre 1975; il dott. Palmeri e'
 in  magistratura  dal  3  febbraio  1950, e fu nominato alle funzioni
 direttive superiori con nomina retrodatata al 3 febbraio 1978).
    La minoranza della commissione (dott.  Fenizia  e  prof.  Marconi)
 presentava  a  sua  volta  una  relazione  dissenziente  nella  quale
 proponeva il conferimento dell'ufficio al dott. Palmeri (doc. 5).
    In data 18 luglio 1991 il Consiglio, investito della pratica sulla
 base  dell'allora  vigente  art.  22,  secondo comma, del regolamento
 interno (secondo  cui  "il  Consiglio  esprime  alla  commissione  il
 proprio  avviso;  la  commissione procede, quindi, al concerto con il
 Ministro e ne riferisce al Consiglio,  che  delibera",  con  diciotto
 voti  favorevoli,  dodici  contrari e due astensioni esprimeva avviso
 favorevole alla proposta della commissione di conferire l'ufficio  al
 dott. Giardina (doc. 6).
    In  data  19  luglio  1991  il presidente della commissione per il
 conferimento degli uffici direttivi trasmetteva al Ministro,  per  il
 previsto concerto, gli avvisi espressi dal C.S.M. per il conferimento
 di  alcuni uffici direttivi, fra cui quello di presidente della corte
 d'appello di Palermo (doc. 7).
    Con nota senza  data  (ma  del  30  luglio  1991)  indirizzata  al
 Presidente   della   Repubblica   e   al  Consiglio  superiore  della
 magistratura (doc. 8) il Ministro della giustizia, richiamato  l'art.
 11,  terzo  comma,  della  legge  n. 195/1958, ad avviso del Ministro
 stesso inteso a "garantire l'interesse pubblico, di cui  il  Ministro
 e'  portatore,  a  che  alla  dirigenza degli uffici giudiziari siano
 proposti magistrati idonei ad organizzare ed a dirigere quei  servizi
 di   cui  il  Ministro  e'  responsabile  secondo  l'art.  110  della
 Costituzione, ferma restando l'autonomia della  decisione  finale  da
 parte  del plenum del C.S.M.", faceva rilevare che la "prassi invalsa
 da qualche tempo" (ma in realta'  codificata  nel  vecchio  art.  22,
 secondo  comma,  del  regolamento)  di  concordare  la  proposta  tra
 commissione  e  plenum  e  solo  successivamente  di  comunicarla  al
 Ministro,  avrebbe "alterato in radice" il concerto tra il Ministro e
 la commissione imposto dalla legge e il "dovere  di  concorrere  alla
 proposta  da  parte  del  Ministro  tramutato  in potere o diritto di
 assenso o di veto"; sosteneva poi che  fosse  necessario  "modificare
 questa prassi e ristabilire la procedura conforme alla lettera e allo
 spirito dell'art. 11 della legge 24 marzo 1958, n. 195".
    Lo  stesso  30  luglio  1991  il  vice  presidente  del  Consiglio
 rispondeva al Ministro (doc. 9) ricordando che la  prassi  richiamata
 dal  Ministro  si  fondava sull'art. 22 del regolamento, ed era stata
 ritenuta legittima dalla  giurisprudenza  amministrativa.  Annunciava
 tuttavia  che  avrebbe sottoposto le questioni sollevate dal Ministro
 all'esame delle commissioni competenti, come in effetti avvenne.
    Con  nota  del  5  agosto  1991  (doc.  10)  il  Presidente  della
 Repubblica,  riferendosi  alla  lettera  del  Ministro, annunciava di
 ritenere necessario non porre all'ordine  del  giorno  del  Consiglio
 provvedimenti  attinenti  al  conferimento  di uffici direttivi e non
 procedere all'emanazione di decreti relativi a tali  conferimenti  se
 le deliberazioni del Consiglio e degli organi che ne costituiscono il
 presupposto  non  fossero  stati  adottati  "con procedure che non si
 prestino a critiche sotto il profilo del  rispetto  delle  competenze
 degli organi partecipanti".
    Con nota del 9 aprile 1991 (doc. 11) il vice presidente assicurava
 di  avere  dato comunicazione della lettera presidenziale al plenum e
 di avere invitato  la  commissione  regolamento  a  pronunciarsi  con
 sollecitudine  onde  evitare  la  paralisi  che altrimenti si sarebbe
 determinata nelle nomine ad uffici  direttivi;  e  allegava  l'elenco
 degli  uffici  direttivi  sulla  cui  copertura  il plenum aveva gia'
 espresso avviso ai sensi del vecchio  art.  22,  secondo  comma,  del
 regolamento,  e  per  cui  si era in attesa del concerto del Ministro
 (all. A), nonche' l'elenco degli uffici sui  quali  il  C.S.M.  aveva
 gia'  definitivamente  deciso  dopo  il concerto del Ministro e per i
 quali si era in attesa del decreto  presidenziale  conseguente  (all.
 B).  Tra  i  primi risultava, insieme ad altri nove uffici, quello di
 presidente della corte d'appello di Palermo.
    Il  18  settembre  1991  il  Ministro  faceva  pervenire  al  vice
 presidente   del   Consiglio   una  lettera  (doc.  12)  nella  quale
 assicurava, rendendosi  "interprete  delle  esigenze  e  dell'urgenza
 prospettatemi  di  ricoprire  al piu' presto taluni importanti uffici
 direttivi", il  proprio  assenso  alle  deliberazioni  del  Consiglio
 (adottate   ai   sensi   del  citato  art.  22,  secondo  comma,  del
 regolamento)  concernenti  gli  uffici  di  Presidente  della   corte
 d'appello di Roma, di presidente della corte d'appello di Catanzaro e
 di  presidente  di  sezione  della  Corte  di cassazione (tre posti);
 contemporaneamente  annunciava  che,  sino  a  quando   la   relativa
 procedura  non fosse stata "resa conforme alla lettera e allo spirito
 della legge  ed  ai  principi  costituzionali",  egli  non  intendeva
 "prendere  in  considerazione altri provvedimenti adottati secondo il
 vigente regolamento perche' in contrasto con la legge".
    Tale atteggiamento creava una singolare  situazione  di  "blocco",
 incidente  sulla  copertura  di  vari  uffici  direttivi, fra i quali
 quello  qui  in  questione.  Poiche',  fra  l'altro,  ogni  eventuale
 modifica  regolamentare  non  avrebbe  potuto incidere su procedure o
 fasi di procedure gia' svoltesi, non risultava  chiaro  il  senso  di
 tale "blocco".
    Il Consiglio si faceva carico della situazione nelle sedute del 25
 settembre,  del  2 ottobre e del 3 ottobre 1991. In quest'ultima data
 il Consiglio approvava  una  risoluzione  in  cui  si  affermava  "la
 necessita' che siano definite senza alcun ritardo le procedure per il
 conferimento  degli  uffici  direttivi  per  le  quali  e' gia' stato
 richiesto al Ministro di grazia e giustizia il concerto di base  alla
 disciplina vigente, sulla quale non potrebbero in alcun modo incidere
 le   eventuali   modifiche   regolamentari";   si  giudicava  che  la
 problematica  sollevata   dal   Ministro   richiedesse   una   rapida
 definizione;  e  si  segnalava  dunque  al Ministro "l'esigenza di un
 sollecito   perfezionamento   delle   procedure   gia'   avviate   di
 conferimento  degli  uffici direttivi secondo il regolamento vigente"
 (doc. 12).
    Nella stessa data del 3 ottobre  il  Consiglio  adottava  poi  una
 delibera  di  modificazione  dell'art.  22  del  proprio  regolamento
 interno, sostituendo i primi  due  commi  con  i  seguenti:  "Per  il
 conferimento   degli  uffici  direttivi  previsti  dall'ultimo  comma
 dell'art. 11 della legge  24  marzo  1958,  n.  195,  la  commissione
 competente,   previa   apposita  deliberazione,  indica  al  Ministro
 l'elenco degli aspiranti, le proprie valutazioni e le conseguenti mo-
 tivate  conclusioni,  allegando  quelle  dei  dissenzienti   che   lo
 richiedano  e  procede  al concerto. All'esito riferisce al Consiglio
 che delibera".
    La  modifica  regolamentare  veniva  emanata   con   decreto   del
 Presidente  17  ottobre 1991, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del
 25 ottobre 1991.
    Nonostante   la  sollecitazione  avanzata  dal  Consiglio  con  la
 riferita risoluzione del 3 ottobre, solo in data 11 novembre il  capo
 di   gabinetto   del   Ministro   della   giustizia   comunicava   le
 "osservazioni" del Ministro circa le nomine a due  uffici  direttivi,
 fra  cui  quello  di  presidente  della  corte  d'appello di Palermo,
 sottolineando che si trattava "dei soli due procedimenti  residui  in
 tema  di  incarichi  direttivi  ancora istruiti secondo la precedente
 prassi", e facendo "riserva di inviare entro  breve  tempo  una  nota
 relativa alle modalita' della nuova procedura" (doc. 13).
    In  particolare  il  Ministro  dissentiva  dalla  valutazione  del
 Consiglio circa la nomina del presidente  della  corte  d'appello  di
 Palermo,  ritenendo  che  l'esame comparato dei candidati inducesse a
 preferire il dott. Palmeri, e cio'  sulla  base  di  motivazioni  che
 sostanzialmente ricalcavano quelle della minoranza dissenziente della
 commissione  e  del  Consiglio.  La nota concludeva affermando che il
 Ministro  non  riteneva  "di  dare  il   concerto   al   conferimento
 dell'ufficio  direttivo superiore di presidente della corte d'appello
 di Palermo al dott. Pasquale Giardina" (doc. 14).
    Nella  seduta  del  18  novembre  1991  la  commissione   per   il
 conferimento degli uffici direttivi deliberava di proporre la pratica
 al  plenum  invitandolo  a  deliberare  fra  le  due proposte, quella
 originaria della commissione, su cui il plenum aveva gia' espresso il
 proprio avviso favorevole (per la nomina cioe' del dott. Giardina)  e
 quella del Ministro (favorevole al dott. Palmeri) (doc. 15).
    Nella  seduta  dell'11  dicembre  1991  il  Consiglio,  dopo  aver
 approvato, con ventitre voti a favore, tre contrari e  due  astenuti,
 la  proposta favorevole a procedere alla deliberazione definitiva del
 Consiglio sulla pratica in oggetto, deliberava,  con  dodici  voti  a
 favore,  sette  contrari  e  dieci astensioni, di conferire l'ufficio
 direttivo superiore di presidente della corte d'appello di Palermo al
 dott. Pasquale Giardina (doc. 16). Tale delibera veniva comunicata al
 Ministro in data 12 dicembre 1991 (doc. 17).
    In data 17 dicembre 1991 perveniva al Consiglio un  messaggio  del
 Presidente  della  Repubblica  (doc.  18) al quale era allegata copia
 della lettera 14 dicembre 1991 a  lui  indirizzata  dal  Ministro  di
 grazia  e  giustizia,  con  cui  questi  chiedeva  al  Presidente "un
 intervento autorevole e urgente" in relazione  a  "decisioni  abnormi
 assunte   in   modo   illegittimo   dal   Consiglio  superiore  della
 magistratura".
    Il Ministro proseguiva affermando di non avere mai negato  che  la
 decisione  finale sulle nomine spetti al Consiglio, ma di rivendicare
 il rispetto dell'art.  11  della  legge,  secondo  cui  il  Consiglio
 delibera  su  proposta  della  competente  commissione  formulata  di
 concerto col Ministro. Il Ministro annunciava dunque  di  considerare
 la  delibera  del  Consiglio  "irrecevibile".    Trascuriamo  qui  le
 ulteriori esternazioni polemiche del  Ministro,  contenute  in  detta
 nota,  intese  in  parte  a  contestare  il comportamento del C.S.M.,
 bollato  con  parole  pesanti,  in  parte  a  sostenere  un  criterio
 meritocratico  nella  determinazione  della  carriera dei magistrati,
 argomento quest'ultimo del tutto estraneo al contendere,  posto  che,
 fra   l'altro,  la  nomina  per  l'ufficio  in  questione  era  stata
 espressamente  motivata  in  rapporto  alle  attitudini   prima   che
 all'anzianita'  del  candidato prescelto.  Il messaggio presidenziale
 cui era allegata la nota del Ministro comunicava che quest'ultimo non
 intendeva   proporre   l'emanazione  del  decreto,  poiche'  riteneva
 "invalida  la  deliberazione  adottata  dal   Consiglio   superiore";
 precisava  che,  essendo  il  decreto  di  conferimento  dell'ufficio
 direttivo un atto non di iniziativa presidenziale  ma  di  iniziativa
 ministeriale,   "essenziale   e   decisivo,   sia  sotto  il  profilo
 procedimentale che sostanziale, e' la  risoluzione  del  Ministro  di
 formulare  o meno la relativa proposta"; sottolineava che il Ministro
 aveva rilevato nella specie che il  Consiglio  aveva  deliberato  "su
 proposta  sulla  quale non era stato raggiunto il prescritto concerto
 tra commissione e Ministro"; affermava  di  condividere  il  giudizio
 dato  al  riguardo  dal Ministro, in quanto "la natura dell'atto, nel
 quale devono concorrere le due volonta', quella della  commissione  e
 quella del Ministro, escluderebbe che l'intervento del Ministro, allo
 stato  attuale  della  legislazione, possa essere qualificato come un
 parere obbligatorio e non vincolante perche',  mancando  il  concorso
 della  volonta'  del Ministro, l'atto non puo' considerarsi formato";
 che l'unica interpretazione possibile della  normativa  regolamentare
 in tema di conferimento degli uffici direttivi sarebbe "nel senso che
 il  Consiglio  superiore  non  puo'  che deliberare su proposte sulle
 quali sia intervenuto il concerto tra commissione e Ministro".
    Il Presidente precisava peraltro  che  l'invito  al  Consiglio  di
 pervenire, in ordine alla nomina de qua, ad "una valida deliberazione
 adottata   su  proposta  formulata  di  concerto  tra  commissione  e
 Ministro"  non  escludeva  che  "il  Consiglio  superiore  possa  ben
 esaminare  i  modi  legittimi  per contrastare - ormai solo sul piano
 giurisdizionale - la decisione del Ministro di grazia e giustizia  ..
 di  considerare  illegittima la deliberazione e, conseguentemente, di
 non formulare la proposta di emanazione del relativo decreto".
    Dopo attento esame di tali documenti e della situazione delineata,
 nell'ambito della commissione per gli  incarichi  direttivi  e  della
 commissione  riforma,  nella  seduta del 29 gennaio 1992 il Consiglio
 superiore deliberava di proporre, per  la  mancata  esecuzione  della
 delibera   consiliare   concernente   il   conferimento  dell'ufficio
 direttivo in questione, l'elevazione  di  conflitto  di  attribuzioni
 avanti  alla  Corte  costituzionale  (doc. 19).   Con nota in data 28
 gennaio 1992,  il  Presidente  della  Repubblica  conferiva  al  vice
 presidente  la  delega  a  sottoscrivere  il ricorso per conflitto di
 attribuzione e ogni altro conseguente atto processuale (doc. 20).
    Col presente atto il  Consiglio  propone  tale  ricorso,  sorretto
 dalle seguenti ragioni di
                             D I R I T T O
    1. - Sulla ammissibilita' del ricorso.
    Nessun  dubbio  puo'  sussistere in ordine alla ammissibilita' del
 presente ricorso per  conflitto  di  attribuzione  fra  poteri  dello
 Stato.
    Il  conflitto,  infatti,  insorge fra il Consiglio superiore della
 magistratura e il Ministro di grazia e giustizia, per la  definizione
 delle  competenze  spettanti  al  primo, ai sensi dell'art. 105 della
 Costituzione, in ordine al  conferimento  di  un  ufficio  direttivo,
 nonche'  per  la definizione della controversia insorta a seguito del
 rifiuto, da parte del Ministro  di  giustizia,  di  dare  corso  alla
 nomina  deliberata dal Consiglio, attraverso la proposta del relativo
 decreto presidenziale.
    Dal punto di vista soggettivo, il ricorrente Consiglio e' organo -
 comunque  lo si voglia classificare - sicuramente investito di poteri
 direttamente dalla Costituzione (art. 105), e competente a dichiarare
 in via definitiva la volonta' in cui si esprime l'esercizio  di  tali
 poteri (art. 37, primo comma, della legge n. 87/1953).
    Quanto al Ministro, si tratta dell'organo del Governo i cui poteri
 sono  espressamente  delineati  nei  riguardi di quelli del Consiglio
 superiore dall'art. 110 della Costituzione, e  il  cui  comportamento
 (sostanziatosi  nell'espresso  rifiuto  di dare corso al conferimento
 dell'ufficio  direttivo,  deliberato  dal  Consiglio)  si  pone  come
 diretta  causa  di menomazione dell'esercizio, da parte del Consiglio
 superiore,  delle  attribuzioni  ad  esso  spettanti  in  ordine   al
 conferimento degli uffici direttivi.  Sussistono dunque i presupposti
 del  conflitto  sotto  il profilo dei soggetti legittimati ad esserne
 parte.  Parimenti sussistono i presupposti oggettivi  del  conflitto,
 consistenti  nell'essere  la controversia relativa alla delimitazione
 della sfera di attribuzioni determinata per il  Consiglio  e  per  il
 Ministro  dalle  norme  costituzionali:  poiche',  come  si e' detto,
 l'oggetto del contendere e', appunto, la  questione  se  il  Ministro
 possa legittimamente rifiutare di dare corso ad una deliberazione del
 Consiglio  di  conferimento  di  ufficio  direttivo.  Ovvero  se tale
 rifiuto   non   configuri   invece   una   illegittima    menomazione
 dell'attribuzione spettante al Consiglio ai sensi dell'art. 105 della
 Costituzione;  nonche'  la  questione se il Consiglio abbia, ai sensi
 dell'art.  105  della  Costituzione,  il  potere  di  deliberare   il
 conferimento  di  un  ufficio direttivo ad un magistrato, anche se il
 Ministro, investito della proposta della commissione, abbia rifiutato
 il  proprio  concerto,  esprimendosi  viceversa  a  favore  di  altro
 magistrato,  ovvero  se invece tale rifiuto del Ministro impedisca la
 deliberazione consiliare di conferimento dell'ufficio.
    2. - Sulla illegittimita' del rifiuto ministeriale di  dare  corso
 alla delibera del Consiglio.
    Come  si  e' narrato nella parte in fatto del presente ricorso, la
 controversia trae  origine  dall'espresso  rifiuto  del  Ministro  di
 grazia  e  giustizia di dare corso, mediante la proposta del relativo
 decreto  presidenziale,   alla   deliberazione   del   Consiglio   di
 conferimento   dell'ufficio   direttivo  di  presidente  della  corte
 d'appello di Palermo, adottata l'11 dicembre 1991.
    Come e' noto l'art. 17 della legge n. 195/1958  stabilisce  che  i
 provvedimenti   deliberati  dal  Consiglio  superiore  concernenti  i
 magistrati, ivi compresi quelli di nomina agli uffici direttivi, sono
 emanati con decreto del Presidente  della  Repubblica,  controfirmato
 dal   Ministro   di   grazia   e  giustizia,  "in  conformita'  delle
 deliberazioni del Consiglio superiore" (o, nei  casi  previsti  dalla
 legge, con decreto del Ministro).
    La legge non precisa se il decreto del Presidente della Repubblica
 debba  essere  emanato su proposta (oltre che con la controfirma) del
 Ministro: ma la prassi e'  precisamente  in  questo  senso,  come  ha
 ricordato  anche  il Presidente della Repubblica nel messaggio del 17
 dicembre 1991 (doc. 18).
    Il significato e la portata del decreto  presidenziale,  e  quindi
 della  correlativa  proposta  ministeriale, sono stati chiariti dalla
 sentenza n. 44/1968 di questa Corte, la quale, chiamata a decidere il
 dubbio di costituzionalita' avanzato riguardo a detto art.  17  della
 legge  istitutiva del C.S.M., sotto il profilo della violazione delle
 attribuzioni costituzionali del Consiglio, dichiaro' la questione non
 fondata  con  una  pronuncia  di tipo sostanzialmente interpretativo,
 chiarendo  cioe'  che  in   tanto   la   previsione   dell'intervento
 ministeriale  e presidenziale deve ritenersi non incostituzionale, in
 quanto esso  va  inteso  come  finalizzato  alla  mera  dichiarazione
 all'esterno  di  una volonta' interamente ed esclusivamente formatasi
 con  la  delibera  consiliare,  e  quindi  in  vista  di   una   mera
 integrazione  dell'efficacia dell'atto, allo scopo di far rivestire a
 questo la forma (di decreto del Presidente  della  Repubblica  o  del
 Ministro)    propria    degli    atti   amministrativi,   consentendo
 l'esplicazione su di esso dei controlli finanziari e  giurisdizionali
 che  si  esercitano  appunto sugli atti amministrativi (cfr. anche la
 sentenza n. 168/1963).
    Chiari' dunque la Corte che in gli atti artt. 105, 106, 107 e  110
 della  Costituzione  "attribuiscono  proprio alla sola competenza del
 Consiglio superiore della magistratura tutti i provvedimenti di stato
 comunque riguardanti i magistrati"; e  che  "una  volta  avvenuta  la
 comunicazione  dei  singoli  atti di esercizio di tali poteri 'quelli
 deliberativi del Consiglio',  si  determina  un  dovere  giuridico  a
 carico  dell'esecutivo  di  renderli  concretamente operanti mediante
 l'emanazione di appositi decreti che  ne  adottino  integralmente  il
 contenuto",  onde  "le dette deliberazioni, se nei confronti dei loro
 destinatari  e  dei  terzi  esplicano  effetti  solo  dalla  data  di
 emanazione  dei decreti, nei rapporti invece con gli organi esecutivi
 sono, dal momento stesso della loro comunicazione  a  questi  ultimi,
 produttivi  della  pretesa da parte dell'organo deliberante alla loro
 adozione".
    Gli atti in questione, in altri termini, benche' assumano la forma
 di decreto presidenziale, proposto e controfirmato dal Ministro,  non
 sono  classificabili  fra gli atti sostanzialmente governativi, per i
 quali spetta al Ministro o al Consiglio dei Ministri la deliberazione
 e  al  Presidente  della  Repubblica  la  emanazione,  in  quanto  la
 postesta' deliberativa e' in questi casi attribuita ad un organo - il
 Consiglio  superiore  della  magistratura  -  estraneo al Governo. Il
 successivo intervento del Ministro e del Capo dello Stato si  colloca
 esclusivamente,  con  carattere  di obbligatorieta', nella fase della
 semplice esternazione del provvedimento.   Stando cosi' le  cose,  e'
 chiaro come non possa riconoscersi al Ministro, chiamato a dare corso
 alla  deliberazione  del  Consiglio,  alcun  potere  di  assenso o di
 partecipazione sostanziale al provvedimento, che  e'  espressione  di
 una   funzione   interamente   ed   esclusivamente  attribuita  dalla
 Costituzione al Consiglio medesimo.   Ma nemmeno  potrebbe  ritenersi
 che   il  Ministro  resti  libero  di  rifiutare  di  dare  corso  al
 provvedimento allegando una  ipotetica  illegittimita'  di  esso.  Il
 sindacato  sulla legittimita' dei provvedimenti deliberati dal C.S.M.
 spetta  infatti  alla  Corte  dei  conti  da  un  lato,  al   giudice
 amministrativo  dall'altro,  quest'ultimo  su  ricorso  di  qualsiasi
 soggetto interessato.
    Un potere di controllo attribuito al  Ministro  comporterebbe  una
 lesione dell'indipendenza costituzionale dell'organo di governo della
 magistratura, e ad una ingerenza proprio di quel potere esecutivo, la
 sottrazione  al  quale  dei compiti di amministrazione concernenti lo
 status  dei  magistrati  e'  la  ragione  d'essere  della  previsione
 costituzionale  dei  poteri  deliberativi  del  C.S.M.    Anche se si
 volesse  e  si  potesse  configurare un sindacato di legittimita' del
 Presidente della  Repubblica  in  sede  di  emanazione  del  decreto,
 analogo  a  quello  che puo' riconoscersi al Presidente nei confronti
 dei provvedimenti  governativi  pure  emanati  in  forma  di  decreti
 presidenziali - sindacato che evidentemente non potrebbe andare al di
 la'  di  una  richiesta di riesame, con obbligo di emanare l'atto ove
 l'organo competente confermi  la  propria  deliberazione  -  siffatto
 sindacato  dovrebbe  comunque essere esercitato dal Capo dello Stato,
 sullo schema  di  decreto  doverosamente  proposto  dal  Ministro  in
 conformita'   alla  deliberazione  consiliare.  Non  potrebbe  invece
 configurarsi un analogo sindacato da parte del Ministro.
    Un rifiuto da parte del Ministro di dare corso alla  deliberazione
 del  Consiglio,  attraverso  la proposta del relativo decreto ad esso
 conforme, e' dunque in ogni caso da escludersi.
    Al piu' potrebbe ammettersi  che  il  Ministro  non  dia  corso  a
 deliberazioni   del  C.S.M.  giuridicamente  inesistenti,  in  quanto
 mancanti di elementi essenziali per la loro formazione (si  pensi  al
 coso  di  scuola di un provvedimento che fosse stato adottato solo in
 commissione, e non deliberato dal plenum  del  Consiglio).  Non  puo'
 invece   ammettersi   un  rifiuto  di  dar  seguito  a  deliberazioni
 effettivamente adottate dal Consiglio.
    Ora, nella specie, il Ministro pretenderebbe invece di  esercitare
 un   sindacato   sulla   legittimita'  del  provvedimento  di  nomina
 deliberato dal  Consiglio,  allegando  una  (supposta)  irregolarita'
 delle  procedure  seguite.  Ma  poiche'  egli  non  alcun  potere  di
 sindacato sulle delibere consiliari, il  rifiuto  di  dare  corso  al
 provvedimento   si   configura   come   illegittimo  e  lesivo  delle
 attribuzioni costituzionali del Consiglio.  Non varrebbe osservare in
 contrario che il Ministro dovrebbe poter reagire, rifiutando di  dare
 corso  al  provvedimento, a quella che egli ritenesse una menomazione
 della competenza ad esso attribuita di concorrere col "concerto" alla
 proposta dell'atto.
    Infatti,  in  primo   luogo,   l'intervento   del   Ministro   nel
 procedimento  non e' previsto dalla Costituzione, ma dalla sola legge
 ordinaria (l'art. 11 della legge  n.  195/1958),  e  non  costituisce
 percio'  l'oggetto  di  una attribuzione costituzionale del Ministro.
 Tanto meno potrebbe ammettersi che il  Ministro  eserciti  in  questa
 sede  una  sindacato  sulla conformita' del procedimento seguito alle
 norme del regolamento interno del Consiglio, la cui osservanza (anche
 a non volere ammettere una  competenza  esclusiva  del  Consiglio  in
 proposito,  che  pure  deriverebbe  da  una applicazione degli stessi
 principi che la Corte ha affermato a riguardo degli interna  corporis
 delle Camere nella sentenza n. 9/1959, tenendo conto che il Consiglio
 superiore    e'    anch'esso    organo    dotato    di   indipendenza
 costituzionalmente garantita) potrebbe al piu'  essere  sindacata  in
 sede  di controllo giurisdizionale sul decreto emanato in conformita'
 alla deliberazione consiliare.
    In ogni caso, come si e' detto, l'ipotetica violazione delle norme
 (ordinarie e regolamentari) concernenti  l'intervento  del  Ministro,
 anche  se  desse luogo ad una illegittimita' della deliberazione, non
 consentirebbe  che  di  tale  illegittimita'  si  faccia  giudice  il
 Ministro  stesso allorquando e' chiamato all'adempimento dovuto della
 formazione del decreto.  Tale  ipotetica  illegittimita'  potrebbe  e
 dovrebbe  essere casomai sindacata nella sede propria, in particolare
 davanti  al  giudice  amministrativo,  al quale qualunque interessato
 potrebbe fare ricorso. Parimenti, anche se vi fosse (ma  non  vi  e')
 una   competenza   costituzionale   del   Ministro   dell'ambito  del
 procedimento, che il Ministro stesso ritenesse violata, egli potrebbe
 ricorrere al rimedio del conflitto di attribuzioni nei confronti  del
 Consiglio: ma non potrebbe mai ammettersi che sia il Ministro stesso,
 per  cosi'  dire, a farsi giustizia da se', rifiutando di proporre il
 decreto in nome di una supposta, e da  lui  ritenuta,  illegittimita'
 della  deliberazione  consiliare.   In definitiva, dunque, il rifiuto
 del Ministro, nella specie, di adempiere al  dovere  di  proporre  il
 decreto  conforme  alla  delibera  del  Consiglio  si  configura  - a
 prescindere dalla fondatezza o meno delle obiezioni che  il  Ministro
 ha  formulato  circa  la regolarita' e la legittimita' della delibera
 consiliare  -  come  una  illegittima  lesione   delle   attribuzioni
 costituzionali del Consiglio superiore.
    Ove,  d'altronde,  l'art.  17  della  legge  n.  195/1958  dovesse
 intendersi - in contrasto con quanto da  questa  Corte  ritenuto,  in
 particolare nella sentenza n. 44/1968 - nel senso che esso conferisca
 al   Ministro   un  potere  di  sindacato  sulla  legittimita'  delle
 deliberazioni del Consiglio, e quindi il potere di rifiutare di  dare
 corso  alle  deliberazioni  che  esso  Ministro  ritenga illegittime,
 sarebbe inevitabile considerare tale art.  17  incostituzionale,  per
 contrasto  con gli artt. 104, 105 e 110 della Costituzione, in quanto
 ne discenderebbe una palese violazione dei principi  di  autonomia  e
 indipendenza del Consiglio superiore e dell'ordine giudiziario, e una
 menomazione  della  esclusiva  potesta'  riconosciuta al Consiglio di
 deliberare sui provvedimenti riguardanti i magistrati, ivi compresi i
 conferimenti    di    uffici    direttivi.    Tale    questione    di
 costituzionalita',   in   stretto  subordine,  e'  qui  espressamente
 sollevata dal ricorrente Consiglio.
    3. - Sulla portata del  "concerto"  ministeriale  in  ordine  alle
 proposte  di  conferimento  degli  uffici  direttivi.    Quanto si e'
 osservato nel precedente paragrafo sarebbe di per se'  sufficiente  a
 fondare  la  dichiarazione  di  illegittimita'  del comportamento del
 Ministro per lesione delle attribuzioni costituzionali del  Consiglio
 superiore.  In via subordinata, tuttavia, si fa valere in questa sede
 anche  la  illegittimita'  della pretesa avanzata dal Ministro, nella
 nota del 14 dicembre 1991 trasmessa al Consiglio dal Presidente della
 Repubblica, secondo cui il Consiglio non avrebbe avuto il  potere  di
 procedere  alla  nomina del dott. Pasquale Giardina in quanto su tale
 designazione il Ministro aveva negato il proprio "concerto".
    La tesi del Ministro - chiaramente illustrata in detta nota e  nel
 messaggio  17  dicembre  1991  del  Presidente  della Repubblica - e'
 dunque che la  norma  dell'art.  11,  terzo  comma,  della  legge  n.
 195/1958,  secondo  cui in ordine a tali nomine il Consiglio delibera
 su proposta della commissione, formulata  di  concerto  col  Ministro
 stesso,  comporta che il Consiglio possa legittimamente deliberare il
 conferimento di un uffico direttivo ad un magistrato solo se su  tale
 indicazione  o  candidatura  sia  intervenuto  il positivo "concerto"
 ministeriale.  Se  ne  deduce  che,  in  mancanza  di  tale  positivo
 "concerto"  (come  si  e'  verificato  nella  specie)  il Consiglio -
 poiche', evidentemente, deve comunque provvedere alla  copertura  del
 posto - sarebbe tenuto a chiedere alla commissione la formulazione di
 altra  diversa  proposta  sulla  quale  venga  raccolto  il  positivo
 "concerto" del Ministro.
    Il  riconoscimento espresso da parte del Ministro della "autonomia
 della decisione finale da parte del plenum del C.S.M." (cfr. nota  30
 luglio  1991,  doc.  8;  nonche'  nota  14  dicembre  1991,  doc. 18)
 significherebbe dunque che il Consiglio sarebbe bensi'  autonomo,  ma
 ..  solo  nel  decidere positivamente o negativamente su una proposta
 "concertata"  col  Ministro,  non  gia'  nel  decidere  comunque  sul
 conferimento  dell'incarico, anche eventualmente ad un magistrato sul
 cui nome non si sia raccolto  il  positivo  "concerto"  del  Ministro
 stesso.
    Tale  tesi, ancorche' a prima vista possa apparire in qualche modo
 sostenuta dalla formulazione letterale  dell'art.  11,  terzo  comma,
 della  legge,  e' pero' in contrasto con l'univoca trentennale prassi
 del Consiglio; e' infondata, in quanto conduce a dare alla  legge  un
 significato  palesemente  incostituzionale;  e  se mai dovesse invece
 accogliersi,  condurrebbe  necessariamente  alla   dichiarazione   di
 incostituzionalita'  della stessa disposizione di legge.  Il punto di
 partenza  per  l'esame  della  questione  non  puo'  che  essere   la
 Costituzione,  e  precisamente  l'art. 105, ai cui sensi "spettano al
 Consiglio  superiore  ..  le  assegnazioni  ed  i  trasferimenti,  le
 promozioni   e   i   provvedimenti   disciplinari  nei  riguardi  dei
 magistrati".
    Che  il  conferimento  degli  uffici  direttivi  rientri   fra   i
 provvedimenti  spettanti  all'esclusiva  competenza  del Consiglio ai
 sensi dell'art. 105 (e cio', a prescindere dalla  concezione  piu'  o
 meno estensiva che si abbia del compito del C.S.M. in generale, e del
 carattere  tassativo  o  meno  che  si  attribuisca  alle  competenze
 espressamente elencate) e' sempre stato fuori discussione. E  infatti
 la  stessa  legge  n.  195/1958  (che pure, come si sa, non era certo
 ispirata ad una concezione estensiva dei poteri  consiliari,  ne'  ad
 una  visione  restrittiva  dei  poteri  del  Ministro)  incluse  tali
 provvedimenti fra quelli demandati alla deliberazione del  Consiglio,
 evidentemente  ritenendo  che  cio'  discendesse  in  modo necessario
 dall'art. 105 della Costituzione (in tal senso, espressamente, v.  la
 recente sentenza di questa Corte n. 72/1991).
    D'altra  parte si tratta di una conclusione obbligata in base alla
 stessa lettera del disposto costituzionale.  Il  conferimento  di  un
 ufficio  direttivo  ad un magistrato e' un atto di "assegnazione" del
 magistrato all'ufficio;  ne  comporta  il  "trasferimento";  e  assai
 spesso va di pari passo con una "promozione".
    E'  dunque un provvedimento che incide a pieno titolo sullo status
 del magistrato, comportando l'instaurarsi stabile  e  definitivo  del
 rapporto   organico   in   ordine   all'ufficio  in  questione  e  il
 contemporaneo venir meno del rapporto organico in ordine  all'ufficio
 precedente  coperto  dallo stesso magistrato.  Sostenere dunque, come
 pure si e' cercato di fare di recente, che, attesi  i  compiti  anche
 organizzativi  dei capi degli uffici, la nomina di questi non sarebbe
 provvedimento costituzionalmente spettante al Consiglio, ma piuttosto
 riconducibile alla competenza del  Ministro  in  ordine  ai  "servizi
 relativi  alla  giustizia"  (art.  110  della Costituzione) significa
 contraddire in modo palese la lettera e la ratio  delle  disposizioni
 costituzionali.
    Certamente  ogni  provvedimento  di  status  dei magistrati (dalle
 assegnazioni di sede  ai  trasferimenti)  e'  suscettibile  di  avere
 incidenze sull'organizzazione degli uffici: ma non per questo si puo'
 ritenere  tali  provvedimenti attratti nella competenza ministeriale,
 per quanto non retrittivamente intesa, in ordine ai "servizi relativi
 alla giustizia".
    Le funzioni organizzative dei capi degli uffici, inoltre, non sono
 esclusive e neppure preminenti, poiche' il primo e principale compito
 attribuito al titolare dell'ufficio direttivo e' quello di esercitare
 la funzione giurisdizionale (giudicante o requirente) nella posizione
 appunto di preposto all'ufficio o di presidente di collegio (cosi' il
 presidente di una corte d'appello presiede abitualmente i collegi  di
 almeno  una  sezione  della  corte stessa); e sono in ogni caso cosi'
 strettamente connesse all'esercizio  delle  funzioni  giurisdizionali
 (si  pensi ad esempio alla proposta e alla formazione delle "tabelle"
 degli uffici, o alla assegnazione degli  affari  alle  sezioni  e  ai
 singoli  magistrati),  da  dovere  necessariamente  essere affidate a
 magistrati  prescelti  dall'organo  costituzionalmente   chiamato   a
 garantire  l'autonomia  e  l'indipendenza  della magistratura, vale a
 dire dal Consiglio superiore.
    La legge n. 195/1958, fin dal suo  testo  originario,  comprendeva
 infatti, come si e' ricordato, il conferimento degli uffici direttivi
 fra  le  competenze  deliberative del C.S.M. Solo che, mentre per gli
 altri provvedimenti di status prevedeva (art. 11, secondo comma)  che
 il  Consiglio  potesse deliberare solo su richiesta del Ministro, per
 tali  provvedimenti  configurava  un  procedimento  piu'   complesso,
 snodantesi   attraverso   la   proposta   dell'apposita  commissione,
 formulata di concerto col Ministro, e la  deliberazione  del  plenum.
 Quindi  la  legge, si noti, lasciava al Consiglio, a questo riguardo,
 maggiore spazio - e  corrispettivamente  attribuiva  al  Ministro  un
 ruolo  minore  - di quanto non facesse per gli altri provvedimenti di
 status:  semplice  compartecipazione,  in  esclusiva,  non  fase   di
 proposta,  contro  esclusivo  potere  di  richiesta.  Cio'  valga  ad
 ulteriore smentita della tesi secondo cui la legge,  in  ordine  agli
 uffici  direttivi, avrebbe inteso valorizzare una supposta competenza
 ministeriale.
    Come si sa, pero', la disposizione dell'art.  11,  secondo  comma,
 della  legge,  che  vincolava  il  Consiglio  a  deliberare  solo  su
 iniziativa del Ministro, venne dichiarata incostituzionale da  questa
 Corte  nella  sentenza n. 168/1963, proprio perche' tale esclusivita'
 di  iniziativa  era  lesiva  delle  attribuzioni  costituzionali  del
 Consiglio.   In altri termini, la Corte chiari' che l'attribuzione al
 Consiglio della  competenza  a  deliberare  i  provvedimenti  di  cui
 all'art.  105  della Costituzione non comportava solo l'autonomia del
 Consiglio stesso nella decisione finale, ma altresi' la  possibilita'
 per  il  Consiglio  di  adottare  deliberazioni anche in assenza o in
 difformita' dell'iniziativa ministeriale.
    In quell'occasione la Corte non dovette occuparsi del terzo  comma
 dell'art.  11,  ma  solo  del  secondo  comma, unica disposizione che
 veniva  allora  in  considerazione  col  necessario  requisito  della
 rilevanza.    Successivamente,  in  un'altra  occasione  (sentenza n.
 180/1971)  la  Corte  fu  bensi'   investita   della   questione   di
 legittimita'  dell'art.    11,  terzo  comma,  ma  la pronuncia fu di
 inammissibilita' per irrilevanza della questione medesima.
    Nel  frattempo,  peraltro,  anche  a  seguito  della  fondamentale
 sentenza n. 168/1963  e  della  conseguente  modifica  apportata  dal
 legislatore  al  secondo  comma  dell'art.  11 (art. 5 della legge 18
 dicembre 1967, n. 1198), la prassi di applicazione del  terzo  comma,
 relativo  al  conferimento  degli uffici direttivi, si consolido' nel
 senso di riconoscere che il Consiglio conservava  piena  liberta'  di
 determinarsi,  senza  essere  in  alcun  modo  ne'  positivamente ne'
 negativamente vincolato dal "concerto" dato o negato dal Ministro.
    Tale prassi venne in qualche modo riflessa nel regolamento interno
 del Consiglio, il cui art. 22 prevedeva, per  il  conferimento  degli
 uffici  direttivi,  una  procedura  articolata nell'esame istruttorio
 della commissione, nella presentazione da parte di questa  delle  sue
 motivate  conclusioni,  nonche'  delle  osservazioni  della eventuale
 minoranza dissenziente, al plenum, che dava il  suo  "avviso";  nella
 successiva  richiesta  di  concerto  del  Ministro,  e  infine  nella
 deliberazione del Consiglo.
    In fatto il Ministro, se poteva dare e dava la sua  collaborazione
 con  osservazioni  fin  dalla fase della formulazione della proposta,
 dopo l'"avviso" del plenum comunicava pressoche'  invariabilmente  il
 proprio  concerto;  e  problemi  caso mai talora si posero per quanto
 atteneva ai rapporti tra il previo "avviso" e la finale deliberazione
 dello stesso plenum. Tale procedura, piu' volte sottoposta al  vaglio
 della  giurisdizione amministrativa in occasione dell'impugnazione da
 parte di taluni degli interessati di  provvedimenti  di  conferimento
 degli  uffici  direttivi, venne considerata perfettamente legittima e
 opportuna; cosi' ad esempio il Consiglio di Stato, nella sentenza  n.
 829  del  3  novembre 1981, affermo' che non poteva attribuirsi alcun
 rilievo ai fini di censurare al legittimita' del procedimento seguito
 "alle preventive consultazioni (quand'anche  consegnate  in  apposito
 verbale)  tra  organi  concorrenti  nell'esercizio  di  una  medesima
 funzione, nell'ambito di un principio di economia amministrativa, che
 non altera le competenze di ciascun organo e che tende, nel  rispetto
 formale  e sostanziale della norma, ad abbreviare i tempi normalmente
 lunghi di complessi procedimenti amministrativi, tenuto conto che  in
 definitiva  l'organo  deliberante  deve essere il C.S.M. nel suo ple-
 num".
    La prassi, secondo cui il "concerto" ministeriale  sulla  proposta
 non  puo'  che  configurarsi  come  un intervento non suscettibile di
 limitare la piena autonomia del Consiglio, ne'  in  negativo  ne'  in
 positivo,  nel deliberare sul conferimento degli uffici direttivi, si
 era dunque da tempo consolidata, fino a configurarsi come un  vero  e
 proprio "diritto vivente".
    Essa  consentiva  e  consente di dare all'art. 11, terzo comma, un
 significato compatibile con la Costituzione, come non sarebbe  invece
 nel  caso  si  volesse  intendere  il  "concerto"  ministeriale  come
 condizionante, sia pure in senso negativo,  la  deliberazione  finale
 del  Consiglio,  e  cioe'  si  volesse ritenere (come oggi ritiene il
 Ministro) che il Consiglio non  possa  legittimamente  deliberare  di
 conferire  un  ufficio direttivo ad un magistrato sul cui nome non vi
 sia stato il positivo "concerto" del Ministro.    Cio'  spiega  anche
 perche' i dubbi di costituzionalita' sull'art.  11, terzo comma - che
 pure  in  dottrina  sono state da piu' parti avanzati (cfr. ad es. G.
 Viesti,  Gli  aspetti  incostituzionali  della  legge  sul  Consiglio
 superiore della magistratura, in Rass. dir.  pubbl. 1958, p. 538 ss.;
 M.   Mazziotti,   Questioni  di  costituzionalita'  della  legge  sul
 Consiglio  superiore  della  magistratura, in Giur.   Cost., 1963, p.
 1672-73;   S.   Bartole,   Autonomia   e   indipendenza   dell'ordine
 giudiziario,  Padova  1964,  p.  141  ss.; G. Volpe, voce Ordinamento
 giudiziario, in Enc. dir., vol. XXX, Milano  1980,  p.    858-59;  G.
 Verde,  L'amministrazione  della  giustizia  fra Ministro e Consiglio
 superiore, Padova 1990, p. 78 ss.; V. Carbone,  sub  art.    110,  in
 Commentario della Costituzione, La Magistratura, Bologna - Roma 1992,
 p. 115 - non siano piu' stati sottoposti a questa Corte.
    In  altri  termini  l'applicazione  della  legge  aveva segui'to e
 seguiva   il   noto   criterio   dell'interpretazione   conforme    a
 Costituzione,  per  cui,  di  fronte a piu' interpretazioni possibili
 della norma, va prescelta quella che consente  di  dare  ad  essa  un
 significato  conforme alla Costituzione, o comunque va esclusa quella
 che  condurrebbe  a  dare  alla  stessa,  viceversa,  un  significato
 contrastante  con  la  Costituzione.    La  tesi  interpretativa  ora
 inopinatamente fatta valere dal Ministro condurrebbe  invece  proprio
 ad    attribuire   all'art.   11,   terzo   comma,   un   significato
 incostituzionale.   Infatti  ritenere  che  il  Consiglio  non  possa
 legittimamente  conferire  l'ufficio  direttivo ad un magistrato, sul
 cui nome non sia stato acquisito il positivo "concerto" del Ministro,
 significherebbe  disconoscere  la   piena   competenza   deliberativa
 attribuita  al  Consiglio stesso dall'art. 105 della Costituzione; la
 norma di legge, cosi'  intesa,  sarebbe  illegittima  per  le  stesse
 ragioni  che hanno condotto questa Corte, nella sentenza n. 168/1963,
 a dichiarare la incostituzionalita'  del  vecchio  art.  11,  secondo
 comma.    Non  varrebbe  osservare  che non si negherebbe comunque la
 competenza del Consiglio di adottare la deliberazione finale.
    Se il  positivo  "concerto"  del  Ministro  costituisse  un  prius
 necessario  della  nomina,  il  Consiglio  non potrebbe autonomamente
 determinarsi nel conferire l'ufficio, e in particolare  potrebbe,  in
 ipotesi,  trovarsi  impedito  dallo scegliere proprio quel magistrato
 che esso Consiglio reputa piu' adatto a ricoprire l'ufficio  medesimo
 (come  nella  specie  e'  accaduto per il dott. Giardina).   Ora, non
 poter scegliere il candidato piu' adatto secondo l'organo  decidente,
 significa non avere il potere di scelta.
    D'altra  parte  al  Ministro  di verrebbe ad attribuire, se non un
 potere positivo di nomina, un  vero  potere  di  assenso  o  di  veto
 rispetto  alla  nomina  medesima.  Senza  il suo positivo "concerto",
 infatti, nessuno potrebbe essere nominato.   Si tenga  conto  che  le
 deliberazioni  di  conferimento  di  uffici  direttivi sono decisioni
 necessarie, non eventuali, essendo dirette ad assicurare  l'esercizio
 di una funzione che non puo' restare priva di titolare; e che esse di
 fatto  comportano  sempre  una  scelta  fra  un  numero  limitato  di
 candidati potenzialmente idonei e disponibili.
    Ora, se il Ministro potesse impedire, negando il proprio  positivo
 "concerto",  la  nomina di un magistrato, cio' significherebbe che il
 Consiglio  sarebbe  costretto  a  conferire  l'ufficio  ad  un  altro
 magistrato,  diverso  da  quello  da  esso  ritenuto  in ipotesi piu'
 idoneo; e nulla vieterebbe  che  il  Ministro,  negando  via  via  il
 proprio  "positivo"  concerto  anche  a  piu'  candidati, giungesse a
 costringere di fatto il  Consiglio  a  prescegliere  proprio  l'unico
 candidato  non  gia'  ritenuto  piu'  idoneo dal Consiglio stesso, ma
 preferito dal Ministro.
    E'  cio'  che nel caso concreto precisamente si verificherebbe, se
 la tesi del Ministro dovesse essere accolta. Infatti  la  commissione
 del  Consiglio e il plenum gia' in sede di "avviso", e poi in sede di
 delibera definitiva) hanno ritenuto il  dott.  Giardina  piu'  idoneo
 dell'altro  candidato pure preso in considerazione, il dott. Palmeri.
 Avendo il Ministro negato il proprio "concerto" alla nomina del dott.
 Giardina, e ritenuto preferibile il dott. Palmeri, il Consiglio,  ove
 dovesse  seguire  la tesi ministeriale, sarebbe costretto a conferire
 l'ufficio  al  dott.    Palmeri  (non  essendo  gli  altri  candidati
 altrettanto  provvisti  di  titoli  quanto  i  due da ultimo presi in
 considerazione), cioe' sarebbe costretto a far  prevalere  la  scelta
 del  Ministro  sulla  propria scelta (non e' un caso che un membro di
 minoranza  della  commissione,  il  prof.  Marconi,  dopo  il  negato
 "concerto"  del  Ministro avesse proposto proprio di procedere in tal
 senso, cioe' scegliendo il dott. Palmeri, "candidato"  del  Ministro:
 cfr. doc. 15).
    E'  evidente  pero'  che  in  tal modo sarebbe rovesciata la norma
 costituzionale, che conferisce al Consiglio, e non  al  Ministro,  il
 potere-dovere  di  scegliere  i  magistrati  cui conferire gli uffici
 direttivi.     E'   dunque   inevitabile   concludere   che   l'unica
 interpretazione  costituzionalmente  possibile  dell'art.  11,  terzo
 comma, della legge n. 195/1958 e' quella che riserva al Consiglio  la
 facolta'  di  determinarsi definitivamente, senza essere condizionato
 ne'  in  positivo  ne'  in  negativo  dal  "concerto"  o  dal  negato
 "concerto" del Ministro a questo o quel candidato.
    E'  cio'  che  il  Consiglio  ha  fatto, nella specie, deliberando
 definitivamente la nomina del dott. Giardina  pur  dopo  avere  preso
 atto  e  aver considerato il negato "concerto" su di lui espresso dal
 Ministro nella nota dell'11 novembre 1991.
    Pretendere - come pretende il  Ministro  -  che  tale  nomina  sia
 illegittima,   in  quanto  sarebbe  mancato  il  positivo  "concerto"
 ministeriale, equivale a contestare la piena spettanza  al  Consiglio
 della potesta' di conferire gli uffici direttivi, in palese contrasto
 con l'art. 105 della Costituzione.  Anche sotto tale profilo, dunque,
 il  diniego  del  Ministro  di dar corso alla nomina, motivato con la
 presunta illegittimita' della deliberazione in quanto  non  preceduta
 dal  positivo  "concerto"  del  Ministro, appare illegittimo e lesivo
 delle  attribuzioni  costituzionali  del  Consiglio  superiore  della
 magistratura.
    3.   -   In  ulteriore  subordine:  illegittimita'  costituzionale
 dell'art. 11, terzo comma, della legge n. 195/1958.
    Per la non creduta ipotesi che la Corte non dovesse condividere le
 conclusioni  fin  qui  raggiunte  in  ordine   alla   interpretazione
 dell'art.  11, terzo comma, della legge n. 195/1958, ritenendo che il
 positivo "concerto" del Ministro sul candidato preposto  e  prescelto
 costituisca  in  base  alla  legge  presupposto  indefettibile per la
 deliberazione  di  conferimento   dell'ufficio   direttivo,   sarebbe
 inevitabile  -  per le ragioni che si sono appena illustrate - che la
 Corte sollevasse di fronte a  se'  stessa,  in  via  incidentale,  la
 questione  di  costituzionalita' di detto art. 11, terzo comma, nella
 parte in cui esso condiziona (in ipotesi) la deliberazione consiliare
 di conferimento dell'ufficio direttivo al previo positivo  "concerto"
 del Ministro sul nome proposto e prescelto, in riferimento agli artt.
 104, 105 e 110 della Costituzione.
    Tale questione viene, in via subordinata, espressamente sollevata,
 col   presente   atto,   dal  ricorrente  Consiglio.    La  rilevanza
 (subordinata) della questione sarebbe evidente.
    Se si ritenesse legittimo il rifiuto del Ministro  di  dare  corso
 alla  deliberazione de qua alla stregua dell'art. 11, terzo comma, in
 parola, inteso nel senso che esso condizioni  la  legittimita'  della
 deliberazione medesima al previo positivo "concerto" del Ministro sul
 nome del magistrato prescelto, la decisione del presente conflitto di
 attribuzioni, col quale il Consiglio lamenta la lesione delle proprie
 attribuzioni  costituzionali,  dipenderebbe  dalla previa risoluzione
 della questione di costituzionalita'.
    Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, gli stessi
 argomenti che nel precedente paragrafo si sono svolti per  dimostrare
 la necessita' di adottare una interpretazione conforme a Costituzione
 dell'art.  11,  terzo  comma,  e  cioe'  una  interpretazione che non
 comporti menomazione delle attribuzioni del Consiglio, varrebbero  in
 tutto  e per tutto a motivare le censure di incostituzionalita' della
 disposizione medesima, ove mai essa dovesse  interpretarsi  in  senso
 opposto, come vorrebbe il Ministro.
                               P. Q. M.
   Chiede  che - previa declaratoria di ammissibilita' del conflitto -
 la Corte voglia:
       a) in via principale: dichiarare che  non  spetta  al  Ministro
 della   giustizia   il   potere  di  rifiutare  di  dare  corso  alla
 deliberazione  del  Consiglio  superiore   della   magistratura,   di
 conferimento  dell'ufficio  direttivo  di  presidente  della corte di
 appello di Palermo al dott. Pasquale Giardina; previa, in subordine e
 in  quanto  occorra,  rimessione  davanti  a  se   stessa,   in   via
 incidentale,  della  questione  di  legittimita'  costituzionale,  in
 riferimento agli artt. 104, 105 e 110 della  Costituzione,  dell'art.
 17,  primo  comma,  della legge n. 195/1958, nella parte in cui (e se
 inteso nel senso che) prevedendo che i provvedimenti  deliberati  dal
 Consiglio  siano  emanati con decreto del Presidente della Repubblica
 controfirmato dal Ministro di grazia e giustizia, o con decreto dello
 stesso Ministro, consente al Ministro della giustizia di sindacare la
 legittimita' delle deliberazioni del Consiglio e  di  non  dar  corso
 alle stesse ove siano dallo stesso Ministro ritenute illegittime;
       b)  in  via  subordinata: dichiarare che non spetta al Ministro
 della giustizia il potere di impedire al  Consiglio  superiore  della
 magistratura, negando il proprio positivo "concerto" alla proposta di
 nomina,  di  deliberare  legittimamente  il conferimento dell'ufficio
 direttivo di presidente della corte  di  Palermo  al  dott.  Pasquale
 Giardina;  previa,  in  subordine  e  in  quanto  occorra, rimessione
 davanti a se', in via incidentale, della  questione  di  legittimita'
 costituzionale,  in  riferimento  agli  artt.  104,  105  e 110 della
 Costituzione, dell'art. 11, terzo  comma,  della  legge  n.  195/1958
 nella  parte  in  cui  (e  se  inteso  nel  senso che), prevedendo il
 "concerto" del Ministro sulla proposta di  conferimento  dell'ufficio
 direttivo,  impedisce  al  Consiglio  superiore della magistratura di
 deliberare tale conferimento a favore del candidato da esso  ritenuto
 piu'  idoneo  anche in assenza del positivo "concerto" del Ministro o
 in presenza di un diniego di "concerto" del Ministro  sul  nominativo
 del candidato medesimo.
       Roma, addi' 17 marzo 1992
 Prof. Giovanni GALLONI - Avv. prof. Paolo BARILE - Avv. prof. Valerio
 ONIDA
 92C0645