N. 409 SENTENZA 21 - 29 ottobre 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Societa' di persone - Fusione in una societa' di capitale - Creditore
 - Opposizione - Termine di decorrenza della facolta' -
 Iscrizione delle relative delibere nel registro delle imprese -
 Carenza  della  motivazione in ordine alla rilevanza della censura -
 Inammissibilita'.
 
 (C.C., artt. 2503 e 2504).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.46 del 4-11-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
    CASAVOLA,  prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Enzo
    CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.
    Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 2503 e 2504
 del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 6 giugno 1991 dal
 Tribunale di Genova nel procedimento civile vertente  tra  la  s.r.l.
 TAE-Aeroservizi  Consorziati  ed  altro  e  Canessa Stefano ed altro,
 iscritta al n. 176 del registro ordinanze  1992  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  16, prima serie speciale,
 dell'anno 1992;
    Visti l'atto di  costituzione  di  Baldassarre  Giuseppe,  nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 6 ottobre 1992 il Giudice relatore
 Renato Granata;
    Uditi  l'avv.  Giovanni  Marcangeli  per  Baldassarre  Giuseppe  e
 l'Avvocato  dello  Stato  Giorgio  D'Amato  per  il  Presidente   del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Tribunale di Genova - adito dalla societa' TAE S.r.l. e
 dal Consorzio Aereo Servizi Consorziati  che  chiedevano  dichiararsi
 l'estensione  del  fallimento  della  societa' AIR.MA.ST. S.r.l. alla
 societa'  in   nome   collettivo   AIR.MA.ST.   ed   ai   suoi   soci
 illimitatamente responsabili Canessa Stefano e Baldassarri Giuseppe -
 ha   sollevato,  con  ordinanza  del  6  giugno  1991,  questione  di
 legittimita' costituzionale in via incidentale  degli  artt.  2503  e
 2504 c. c. in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.
    Premette   in   fatto  il  giudice  rimettente  che  i  ricorrenti
 assumevano di essere creditori della societa' in nome collettivo AIR.
 MA. ST. per il pagamento di noli maturati e di aver appreso (soltanto
 nell'agosto del 1990) che tale  societa'  (con  atto  del  19  luglio
 1990),  si  era  fusa,  mediante  incorporazione,  nella  societa'  a
 responsabilita'  limitata  AIR.  MA.  ST.,  la  quale   subito   dopo
 presentava istanza per la dichiarazione del proprio fallimento avendo
 una  situazione  debitoria  molto  pesante.  Avverso  tale  fusione i
 ricorrenti,  ancorche'   ormai   tardivamente,   avevano   presentato
 opposizione.
    Alla  domanda  di  estensione  della  dichiarazione  di fallimento
 resistevano i convenuti Canessa e Baldassarre sostenendo la loro  non
 assoggettabilita'   al   fallimento   essendo  la  loro  (illimitata)
 responsabilita'  patrimoniale  venuta  meno  con  l'estinzione,   per
 effetto  dell'intervenuta  fusione,  della societa' di persone di cui
 essi erano soci.
    Cio' premesso in fatto, osserva in diritto il  giudice  rimettente
 che in caso di fusione c.d. eterogenea (ossia tra societa' di persone
 e  societa'  di capitali) la nuova societa' assume tutti gli obblighi
 delle societa'  estinte,  senza  che  sopravviva  la  responsabilita'
 patrimoniale  dei  soci  illimitatamente responsabili della prima per
 debiti sociali anteriori alla fusione, ove i  creditori  non  abbiano
 proposto  tempestiva  opposizione  ai  sensi dell'art. 2503 c.c.; ne'
 puo' farsi applicazione analogica dell'art. 2499 c.c. che  viceversa,
 in  caso di trasformazione di societa', prevede il venir meno di tale
 illimitata responsabilita'  patrimoniale  solo  in  caso  di  mancato
 consenso (espresso o tacito) alla liberazione da parte dei creditori.
    Tale  normativa  -  secondo  il  giudice  rimettente  - si pone in
 contrasto con l'art. 24 Cost. perche', prevedendo la liberazione  dei
 soci  illimitatamente  responsabili  in  mancanza  di opposizione dei
 terzi creditori nel  termine  di  tre  mesi  dalla  iscrizione  delle
 deliberazioni   di   fusione,   contempla   un  termine  che  decorre
 prescindendo dall'effettiva conoscenza della volonta'  societaria  di
 dar  corso alla fusione stessa. Pertanto la grave conseguenza (per il
 terzo creditore) del venir meno della responsabilita' illimitata  del
 socio e' fatta dipendere da un'astratta presunzione di conoscibilita'
 e non gia' dall'effettiva conoscenza della fusione.
    E'  denunciata  altresi'  una  disparita'  di  trattamento (art. 3
 Cost.) tra la fattispecie della fusione  eterogenea  (quale  prevista
 dagli  artt.  2503  e 2504 c.c.) e quella disciplinata dall'art. 2499
 c.c. nell'ipotesi di trasformazione di una societa' di persone in una
 di capitali atteso che in quest'ultimo caso la liberazione  dei  soci
 illimitatamente  responsabili e' subordinata ad un diretto interpello
 dei  creditori  mediante   comunicazione   con   raccomandata   della
 deliberazione  di trasferimento, sicche' lo stesso identico interesse
 dei terzi creditori risulterebbe tutelato maggiormente  nel  caso  di
 trasformazione di societa' di persone in societa' di capitali che non
 nel caso di fusione eterogenea.
    2.  -  Si  e'  costituita  la  parte  privata Baldassarre Giuseppe
 chiedendo  che  la  questione  di  costituzionalita'  sia  dichiarata
 inammissibile od infondata.
    3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato eccependo
 in via pregiudiziale il  difetto  di  rilevanza  delle  questioni  di
 costituzionalita'  atteso  che  queste sono state sollevate, non gia'
 nel giudizio di opposizione (ancorche' tardiva) alla fusione da parte
 dei creditori, bensi' nel giudizio  avente  ad  oggetto  l'estensione
 della  dichiarazione  di fallimento ai soci della societa' di persone
 incorporata in societa' di capitali.
    Manca quindi il carattere di pregiudizialita' delle  questioni  di
 costituzionalita'  (che  attengono  alla  decorrenza  del termine per
 l'opposizione alla fusione) rispetto alla decisione  che  il  giudice
 rimettente   e'   chiamato  ad  adottare  (che  riguarda  il  profilo
 dell'avvenuta  liberazione,  per  effetto  della  fusione,  dei  soci
 illimitatamente responsabili).
    Nel  merito  l'Avvocatura  dello  Stato  ritiene  non  fondate  le
 questioni di costituzionalita' atteso che, da una parte,  il  termine
 per  proporre  l'opposizione  e'  congruo  e,  d'altra  parte, non e'
 irragionevole che il dies a quo  decorra  dalla  realizzazione  della
 tipica forma di pubblicita' legale della delibera di fusione, qual e'
 l'iscrizione  nel registro delle imprese. Sotto altro profilo poi non
 sussiste disparita' di trattamento  rispetto  alla  disciplina  della
 trasformazione  atteso  che  fusione  e  trasformazione sono istituti
 profondamente diversi tra loro, conducendo l'una all'estinzione delle
 societa' fuse od incorporate e ad un fenomeno successorio per  quanto
 riguarda  i  rapporti  patrimoniali gia' facenti capo alle medesime e
 l'altra ad una  modifica  dell'atto  costitutivo  che  presuppone  la
 conservazione e la continuazione della societa' trasformata.
                        Considerato in diritto
    1.  -  E'  stata  sollevata  questione incidentale di legittimita'
 costituzionale degli artt. 2503 e 2504 c.c. (nel regime anteriore  al
 decreto  legislativo  16  gennaio  1991  n.22  che ne ha novellato il
 testo) nella parte in cui prevedono che il termine di tre mesi, entro
 il quale il creditore puo' proporre opposizione alla fusione  di  una
 societa'   di   persone   in   una   societa'  di  capitale,  decorra
 dall'iscrizione delle relative delibere nel registro delle imprese  e
 non gia' dall'effettiva conoscenza delle stesse.
    In  particolare  e' denunciata la violazione del diritto di difesa
 (art. 24 Cost.) perche' il terzo creditore  deve  nel  breve  termine
 suddetto  non  solo  effettuare (periodicamente) la ricerca presso il
 registro delle imprese, ma anche (eventualmente)  predisporre  l'atto
 di  opposizione.  Inoltre  sarebbe  vulnerato  anche  il principio di
 parita'  di  trattamento  (art.  3  Cost.)  perche'   nel   caso   di
 trasformazione  di  una societa' di persone in societa' di capitali i
 soci illimitatamente responsabili della prima  sono  liberati  (oltre
 che  per  espresso  consenso dei terzi creditori) soltanto in caso di
 inerzia degli stessi protrattasi per  un  termine  di  trenta  giorni
 decorrente dalla diretta comunicazione della trasformazione fatta con
 lettera raccomandata.
    Le  censure  cosi'  formulate  attengono  quindi ad un particolare
 profilo  della   disciplina   del   procedimento   che   segue   alle
 deliberazioni  di  fusione adottate da ciascuna societa' e che sfocia
 nell'atto di fusione; e' il profilo della speciale  tutela  accordata
 ai  creditori  delle  societa' che partecipano alla fusione, ai quali
 l'art. 2503 riconosce la  facolta'  di  paralizzare  il  procedimento
 medesimo   proponendo   opposizione   nel   termine   di   tre   mesi
 dall'iscrizione  delle  deliberazioni  suddette  nel  registro  delle
 imprese (attualmente nel registro presso la Cancelleria del Tribunale
 ex  art.  100  disp.  att.  c.c.),  termine  ridotto a due mesi dalla
 novella n. 22 del 1991 (che peraltro  ha  previsto  che  il  medesimo
 termine  possa  decorrere  alternativamente dalla pubblicazione delle
 delibere per estratto nella Gazzetta Ufficiale).
    2.  -  Va  pregiudizialmente  esaminata   l'eccezione,   sollevata
 dall'Avvocatura  di  Stato,  di  inammissibilita' della questione per
 difetto di rilevanza.
    Il giudice rimettente -  muovendo  dalla  premessa  che,  ove  una
 societa'  di  persone (nella specie, una societa' in nome collettivo)
 si fonda in una societa' di capitali (c.d.  fusione  eterogenea),  la
 mancata  tempestiva  opposizione  da  parte  dei  creditori  non solo
 rimuove  un  potenziale  ostacolo  alla  fusione  stessa,  ma   anche
 determina  la liberazione dei soci illimitatamente responsabili della
 societa' di persone - dubita della legittimita' costituzionale  della
 identificazione del dies a quo del termine per proporre l'opposizione
 suddetta nel mero adempimento di un onere di pubblicita' legale delle
 delibere di fusione.
    La  censura  cosi'  formulata  investe direttamente la valutazione
 della tempestivita', o  meno,  dell'opposizione  dei  creditori,  che
 nella   specie,  alla  stregua  della  normativa  censurata,  sarebbe
 altrimenti tardiva, essendo pacifico che essa e' stata proposta  dopo
 il  decorso  di  tre  mesi dalle iscrizioni delle delibere di fusione
 (come risulta dall'ordinanza  di  rimessione,  che  pero'  null'altro
 aggiunge  in  proposito  limitandosi  a  dar  atto  che  si tratta di
 opposizione  tardiva  senza  peraltro  precisare  se   giudiziale   o
 stragiudiziale);  invece l'oggetto del giudizio a quo e' costituito -
 non gia' dalla  legittimita',  o  meno,  della  fusione  -  ma  dalla
 possibilita'   di  estendere  la  dichiarazione  di  fallimento  alla
 societa' in nome collettivo e ai soci illimitatamente responsabili.
    Il    presupposto    della    rilevanza    della    censura     di
 incostituzionalita',  che  all'evidenza  attiene  esclusivamente alla
 prima questione, postula che la cognizione del  giudice  a  quo,  che
 invece  investe  la  seconda  questione, debba non di meno estendersi
 (seppur incidenter tantum)  alla  prima;  sicche'  nell'ordinanza  di
 rimessione  avrebbe dovuto rinvenirsi la ragione per cui la pronuncia
 in  ordine  alla  estensibilita',  o  meno,  della  dichiarazione  di
 fallimento,   richiedesse   preliminarmente   la   valutazione  della
 tempestivita' dell'opposizione alla fusione.
    Tale motivazione in ordine alla rilevanza  della  censura  e'  del
 tutto   carente   e   quindi   e'   inammissibile   la  questione  di
 costituzionalita'.
    3. - Ed infatti, ove l'opposizione alla fusione sia stata proposta
 in sede giudiziaria - come in  effetti  ritengono  che  debba  essere
 proposta  sia  la  giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione  (che
 parifica tale opposizione alle impugnative delle delibere assembleari
 ex art. 2378  c.c.),  sia  una  parte  della  dottrina  -,  non  puo'
 dubitarsi  che  sarebbe  il  giudice  dell'opposizione  -  in  quanto
 chiamato a fare applicazione degli artt. 2503 e 2504 c.c. -  a  poter
 sollevare  la questione incidentale di legittimita' costituzionale in
 esame. La questione, invece, difetterebbe di rilevanza ove  sollevata
 dal  giudice  chiamato ad estendere la dichiarazione di fallimento il
 quale,  in  mancanza  dell'opposizione  (giudiziale),  non   potrebbe
 accertare,   neppure   incidenter  tantum,  la  illegittimita'  della
 fusione: tale  giudice,  cioe',  non  sarebbe  mai  chiamato  a  fare
 applicazione della norma denunziata, ma dovrebbe limitarsi a prendere
 atto  della  applicazione  fattane  dal  diverso  giudice  dell'altro
 processo.
    Ove invece l'opposizione in concreto sia stata  proposta  soltanto
 in  forma  stragiudiziale,  un'ipotetica rilevanza della questione di
 costituzionalita'  potrebbe   scaturire   soltanto   dalla   ritenuta
 idoneita'   della   stessa  (anche  in  mancanza  di  una  tempestiva
 iniziativa giudiziaria) ad inficiare l'atto di fusione  e  quindi  ad
 incidere  - impedendo l'effetto liberatorio derivante, in tesi, dalla
 fusione  -  sulla  richiesta  estensione   della   dichiarazione   di
 fallimento.  Ma  in ordine a tale idoneita' il giudice rimettente non
 articola alcuna motivazione; tanto piu', invece,  necessaria  perche'
 tale  ipotizzata  idoneita'  dell'opposizione  stragiudiziale  appare
 assai dubbia in ragione sia del citato orientamento giurisprudenziale
 e dottrinale, sia della formulazione dell'art. 2503 c.c. che -  prev-
 edendo  all'ultimo  comma che il tribunale, nonostante l'opposizione,
 possa disporre che la fusione abbia luogo previa prestazione da parte
 della societa' (risultante) di idonea garanzia - sembra  deporre  per
 il  carattere  giudiziale  (oltre  che  preventivo)  dell'opposizione
 stessa.
    Tra queste due possibili prospettazioni (inevitabilmente  alterna-
 tive  non  risultando  dall'ordinanza di rimessione quale opposizione
 sia  stata  nella  specie  proposta)  si  colloca  quindi  un   snodo
 essenziale,   che  invece  e'  rimasto  privo  di  alcuna  opzione  e
 motivazione da parte del giudice rimettente.
    Da  cio'  consegue  la  dichiarazione  di  inammissibilita'  della
 questione  di  costituzionalita'  per  difetto  di  motivazione sulla
 rilevanza.
    4. -  Puo'  aggiungersi  che  la  questione  di  costituzionalita'
 difetterebbe egualmente del requisito della rilevanza anche quando si
 abbandonasse  la  premessa  interpretativa  da  cui  muove il giudice
 rimettente, che si fonda,  si',  su  una  pronuncia  della  Corte  di
 cassazione  (Cass.  25  ottobre  1977  n.4564), ma che e' contrastata
 dalla dottrina e non e' seguita  da  parte  della  giurisprudenza  di
 merito.  Infatti,  ove  si  accedesse  all'apposta  tesi, secondo cui
 l'opposizione di  cui  all'art.  2503  c.c.  riguarda  esclusivamente
 l'atto di fusione (che - a prescindere dalla liberazione, o meno, dei
 soci illimitatamente responsabili - potrebbe pregiudicare i creditori
 in  ragione  del  concorso  con  nuovi e ulteriori creditori), mentre
 resta invariata la posizione dei  soci  illimitatamente  responsabili
 della  societa'  fusa (i quali non sarebbero toccati dalla disciplina
 posta dalla citata norma e quindi non sarebbero liberati  neppure  in
 caso di fusione non opposta), l'eventuale tardivita' dell'opposizione
 rileverebbe  unicamente  al  fine  dell'efficacia  e  della validita'
 dell'atto di fusione, ma non anche al fine della responsabilita'  dei
 soci  illimitatamente responsabili (che persisterebbe in ogni caso) e
 quindi della possibilita' di estendere a  loro  la  dichiarazione  di
 fallimento della societa' fusa.
    Al   fine,   pertanto,  della  definizione  del  processo  a  quo,
 l'autorita' rimettente non  sarebbe  tenuta  affatto  a  valutare  la
 tempestivita',  o  meno,  dell'opposizione  alla fusione, ma dovrebbe
 giudicare soltanto in  merito  alla  estensibilita',  o  meno,  della
 dichiarazione  di  fallimento,  onde  risulterebbe del tutto priva di
 rilevanza la questione di costituzionalita' che investe il dies a quo
 del termine per proporre l'opposizione stessa.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara inammissibile la questione di legittimita'  costituzionale
 degli artt. 2503 e 2504 codice civile, sollevata, in riferimento agli
 artt.  3  e  24  della  Costituzione,  del  Tribunale  di  Genova con
 l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  Costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 21 ottobre 1992.
                       Il Presidente: CORASANITI
                         Il redattore: GRANATA
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 29 ottobre 1992
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 92C1193