N. 467 SENTENZA 5 - 19 novembre 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Imposte  in  genere - I.R.Pe.G. e I.V.A. - Cessioni di beni e servizi
 nell'esercizio di imprese - Reddito imponibile delle  associazioni  -
 "Dianetics  Institute"  -  Natura religiosa dell'ente - Insussistenza
 della presunta  irragionevolezza  di  un  deteriore  e  diversificato
 trattamento - Rigorosa delimitazione normativa - Non fondatezza.
 
 (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 4).
 
 (Cost., artt. 3, 8 e 53).
(GU n.49 del 25-11-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco Paolo
    CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4 del d.P.R. 26
 ottobre  1972,  n.  633  (Istituzione  e  disciplina dell'imposta sul
 valore aggiunto) e dell'art. 20 del d.P.R. 29 settembre 1973, n.  598
 (Istituzione  e  disciplina  dell'imposta  sul  reddito delle persone
 giuridiche), promosso con ordinanza emessa  il  12  giugno  1991  dal
 Tribunale  di  Torino  nel  procedimento  penale a carico di Camerino
 Vincenzo ed altri, iscritta al n. 724 del registro ordinanze  1991  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 51, prima
 serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto l'atto di costituzione di Guadagnino Angelo  nonche'  l'atto
 di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  20  ottobre  1992  il  Giudice
 relatore Cesare Mirabelli;
    Uditi gli avvocati Giovanni Leale e Valerio Onida  per  Guadagnino
 Angelo  e  l'avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ordinanza emessa il 12 giugno 1991 il Tribunale di Torino
 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento
 agli articoli 3, 8 e 53 della Costituzione, dell'art. 4 del d.P.R. 26
 ottobre 1972, n.  633  (Istituzione  e  disciplina  dell'imposta  sul
 valore  aggiunto) e dell'art. 20 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598
 (Istituzione e disciplina  dell'imposta  sul  reddito  delle  persone
 giuridiche).
    La   questione   e'  stata  sollevata,  ad  istanza  del  pubblico
 ministero, nel corso di un  processo  penale  a  carico  di  Camerino
 Vincenzo   e  di  altri  membri  responsabili  dell'associazione  non
 riconosciuta Dianetics Institute di  Torino,  ai  quali  erano  stati
 contestati i reati previsti dall'art. 1, secondo comma, numeri 1 e 2,
 della  legge n. 516 del 1982 (recte del decreto legge 10 luglio 1982,
 n. 429, convertito, con modificazioni, con legge 7  agosto  1982,  n.
 516),  per  le  omesse  fatturazione  ed annotazione di corrispettivi
 relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuati dalla
 associazione nell'anno 1986. Nel  procedimento  penale  gli  imputati
 avevano  affermato  di  non avere provveduto ai richiesti adempimenti
 fiscali, ritenendo che l'associazione non fosse soggetta  alle  rela-
 tive  imposte:  per  quanto riguarda l'I.V.A., in base all'art. 4 del
 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633; per quanto riguarda  l'I.R.PE.G.,  in
 base all'art. 20, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n.  598.
 Le  due  disposizioni,  con  identica formulazione, considerano fatte
 nell'esercizio di attivita' commerciali anche le cessioni di  beni  e
 le  prestazioni  di  servizi  agli  associati  verso  il pagamento di
 corrispettivi   specifici,   ma   escludono   espressamente   "quelle
 effettuate   in   conformita'   alle   finalita'   istituzionali   da
 associazioni  politiche,  sindacali  e   di   categoria,   religiose,
 assistenziali, culturali e sportive".
    2. - Il Tribunale di Torino ritiene che le disposizioni denunciate
 accordino  esenzioni  generalizzate  alle  associazioni  religiose  e
 dubita che cio' sia in contrasto con principi costituzionali,  tenuto
 conto delle leggi che disciplinano, anche sotto il profilo fiscale, i
 rapporti  tra lo Stato e le confessioni religiose che hanno stipulato
 le intese previste dall'art. 8 della Costituzione.
    Il giudice rimettente ricorda che la Costituzione garantisce, agli
 artt. 19 e 20, la libera professione della fede  religiosa  in  forma
 individuale  ed associata, affermando in particolare che il carattere
 ecclesiastico ed il fine di religione o di culto di una  associazione
 non  possono essere causa di speciali limitazioni legislative, ne' di
 speciali gravami fiscali per la costituzione, la capacita'  giuridica
 ed   ogni   forma   di  attivita'.  Ne  risulterebbe  il  divieto  di
 discriminare,  anche  sul   piano   fiscale,   la   posizione   delle
 associazioni  religiose rispetto ad altri soggetti d'imposta. Inoltre
 l'art. 8 della Costituzione, garantita l'eguale liberta' di tutte  le
 confessioni  religiose,  riserva  alla  legge la regolamentazione dei
 rapporti tra le confessioni religiose diverse dalla cattolica, i  cui
 statuti  non  contrastino  con l'ordinamento giuridico italiano, e lo
 Stato, sulla  base  di  intese  con  le  relative  rappresentanze.  I
 rapporti  con  la  Chiesa cattolica sono regolati dall'Accordo del 18
 febbraio 1984, ratificato con legge 25 marzo 1985, n.  121,  e  dalle
 disposizioni  sugli  enti e beni ecclesiastici (legge 20 maggio 1985,
 n. 222).  Per  altre  confessioni  religiose  si  e'  pervenuti  alla
 stipulazione  di  intese:  con  le  Chiese rappresentate dalla Tavola
 Valdese, con l'Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste  del
 7›  giorno,  con  le  Assemblee di Dio in Italia e con l'Unione delle
 Comunita' israelitiche.
    Il Tribunale di Torino osserva che  il  regime  fiscale  riservato
 alle   confessioni   religiose  in  base  alle  intese  e'  modellato
 sull'Accordo con la Chiesa cattolica, che distingue tra attivita'  di
 religione  e di culto, di beneficenza o di istruzione (equiparate fra
 loro  ai  fini  tributari,  ai  sensi  dell'art.  7,   terzo   comma,
 dell'Accordo  del  1984)  ed  attivita'  diverse da queste o comunque
 aventi natura commerciale o scopo di lucro (art. 16, lettera b, della
 legge 20 maggio 1985, n. 222). Anche le intese con altre  confessioni
 religiose  sottopongono le attivita' diverse da quelle di religione e
 di culto al regime fiscale ordinario. Il giudice  rimettente  ritiene
 quindi che le norme di esenzione denunziate troverebbero applicazione
 solo nei confronti degli enti religiosi non riconosciuti, dando luogo
 ad  una  diseguaglianza  proprio  in  danno  delle  confessioni i cui
 statuti sono stati verificati come non in contrasto  con  i  principi
 dell'ordinamento giuridico italiano.
    Inoltre  l'applicazione  delle  esenzioni previste dall'art. 4 del
 d.P.R. n. 633 del 1972 e dall'art. 20 del d.P.R. n. 598 del  1973  si
 fonderebbe,  ad avviso del Tribunale di Torino, sull'autoattribuzione
 da parte dell'associazione del carattere di religiosita', non essendo
 richiesto un controllo della conformita' degli  statuti  ai  principi
 dell'ordinamento  giuridico:  ne  risulterebbe,  anche  sotto  questo
 profilo, una disparita' di trattamento con gli enti religiosi che (in
 base  all'art.  8  della  Costituzione)   si   sono   sottoposti   al
 riconoscimento.  Il  regime fiscale, che si assume differenziato, non
 troverebbe giustificazione e, posto che tutti gli enti aventi  natura
 religiosa   sono  tutelati  con  assoluta  parita',  si  porrebbe  in
 contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione.
    3.  -  Si  e'  costituito  uno  degli imputati nel giudizio a quo,
 Angelo Guadagnino, affermando, nell'atto di costituzione  ed  in  una
 successiva  memoria,  che  non  sussiste la disparita' di trattamento
 ritenuta dall'ordinanza del Tribunale di Torino,  giacche'  le  norme
 sospettate  di  illegittimita'  costituzionale  riservano  a tutte le
 associazioni religiose il medesimo trattamento fiscale.  Se  pure  vi
 fosse   un  regime  differenziato  e  deteriore  per  le  confessioni
 religiose che hanno stipulato intese, e' da considerare che tale  re-
 gime  particolare  e'  stato  liberamente accettato. Inoltre l'art. 8
 della Costituzione prevede che tutte le  confessioni  religiose  sono
 egualmente  libere,  ma non che sono eguali, nel senso che le diverse
 intese possono determinare trattamenti differenziati.
    4. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato  dall'Avvocatura  generale dello Stato, che ha concluso
 per la inammissibilita' e, nel merito, per la  non  fondatezza  della
 questione.
    L'Avvocatura osserva, nell'atto di intervento, che le disposizioni
 sospettate   di   illegittimita'  costituzionale  non  prevedono  una
 "esenzione" in senso tecnico,  ma  si  limitano  a  sottrarre  talune
 cessioni  di  beni e prestazioni di servizi ad una qualificazione ope
 legis  che  altrimenti  le  includerebbe  tra   le   cessioni   fatte
 nell'esercizio di attivita' commerciali.
    Queste   disposizioni  si  applicano  soltanto  nei  confronti  di
 soggetti  qualificati,  in  base  ad  una  valutazione   distinta   e
 logicamente   anteriore   ad   ogni   altra,  enti  non  commerciali.
 L'Avvocatura ne deduce l'inammissibilita' della  questione,  giacche'
 il   giudice   rimettente   avrebbe   dovuto   prima  qualificare  la
 associazione  Dianetics  Institute  come  soggetto  non  commerciale,
 mentre  si e' in presenza di una associazione che commercializza beni
 e servizi ponendo in essere attivita' oggettivamente commerciali. Non
 si tratta dunque di una confessione o di una associazione  religiosa,
 non    essendo    sufficiente    per    tale    qualificazione    una
 "autoproclamazione".
    5. -  In  una  successiva  memoria  l'Avvocatura  ricorda  che  le
 disposizioni  sospettate  di  illegittimita'  costituzionale (che non
 prevedono una esenzione in senso  tecnico,  ma  esprimono  una  norma
 apparentemente  qualificatoria  e  sostanzialmente agevolatrice) sono
 state emanate con decreto delegato sulla base della legge  9  ottobre
 1971,  n. 825, e dubita che siano validamente sorrette da un criterio
 enunciato in modo idoneo dalla legge di delega.
    L'Avvocatura ribadisce che la  religiosita'  dell'associazione  in
 questione,   le   cui   attivita'  avrebbero  carattere  univocamente
 commerciale, risulta  soltanto  da  una  "autoproclamazione"  che  si
 vorrebbe  utile  anche  ai  fini  fiscali, mentre quando e per quanto
 l'associazione  chiede  benefici  allo   Stato,   la   qualificazione
 religiosa  deve  essere  collegata  ad atti formali statali, anche ai
 sensi della legge 24 giugno 1929, n. 1159, e delle altre  norme,  pur
 secondarie, in tema di culti diversi da quello cattolico.
    6.  - In prossimita' dell'udienza la difesa della parte privata ha
 depositato una ulteriore memoria ed ha osservato che la questione  di
 legittimita'  prospettata  dovrebbe essere ritenuta inammissibile, in
 quanto tendente a produrre effetti penali in  malam  partem:  da  una
 ipotetica   sentenza   di   accoglimento   deriverebbe,  infatti,  la
 espansione dell'area di applicabilita' di una norma incriminatrice.
    Inoltre, con riferimento al principio di eguaglianza, la questione
 sarebbe  stata  erroneamente  prospettata.  Il  giudice a quo mette a
 raffronto le norme impugnate,  contenute  in  testi  che  dettano  la
 disciplina  generale  in  materia di I.V.A. e di imposte sui redditi,
 con le norme di derivazione concordataria o attuative  delle  intese,
 che  definiscono i principi relativi al regime delle attivita' svolte
 dagli enti appartenenti alle confessioni religiose cui gli accordi  o
 le  intese  si  riferiscono. Tale confronto e' mal posto in quanto si
 tratta di norme fra loro eterogenee per portata e ratio.
    Le disposizioni di derivazione concordataria e di attuazione delle
 intese, per quanto  attiene  al  regime  tributario,  si  limitano  a
 stabilire che i fini di religione e di culto sono assimilati a quelli
 di istruzione e di beneficenza, mentre le altre attivita' (ad esempio
 commerciali)  eventualmente svolte dalle organizzazioni confessionali
 restano soggette alla disciplina generalmente  prevista  per  ciascun
 tipo di attivita'.
    Le  disposizioni  impugnate  sono  invece  dirette  a  definire  i
 presupposti per l'applicazione di determinate imposte e, nel definire
 le  attivita'  commerciali,  non  considerano  tali  le  cessioni   o
 prestazioni  effettuate  a favore dei soci, associati o partecipanti,
 da determinate categorie di associazioni, tra le quali sono  comprese
 anche le associazioni religiose.
    Il giudice a quo sarebbe caduto nell'equivoco di ritenere le norme
 impugnate  applicabili  solo  alle  confessioni  religiose diverse da
 quelle oggetto di concordato o di intesa, mentre,  al  contrario,  le
 norme  in  questione,  definendo  le  attivita' "commerciali" ai fini
 tributari,  hanno  portata  generale  e  si  applicano  a  tutte   le
 associazioni  religiose  (nonche'  culturali,  politiche, sindacali e
 sportive), siano esse o meno contemplate dal concordato o da  intese.
 Ne   risulterebbe  errato  non  solamente  il  tertium  comparationis
 indicato dal giudice a quo, ma lo stesso presupposto della diversita'
 di  trattamento,  che  deriverebbe  dalla  non   applicazione   della
 normativa  in  questione  alle confessioni oggetto di concordato o di
 intesa. Cadrebbe quindi il fondamento della denunciata violazione del
 principio di uguaglianza.
    La delimitazione della nozione di attivita'  commerciale,  operata
 con  le  norme  sospettate di illegittimita', non fa riferimento alle
 sole associazioni religiose,  ma  anche  ad  associazioni  politiche,
 sindacali,  culturali e sportive. Non avrebbe quindi senso ipotizzare
 la  incostituzionalita'  (nei  riguardi   delle   sole   associazioni
 religiose)   di   un  criterio  legale  di  definizione  in  negativo
 dell'attivita' commerciale, che ha portata generale e che non  assume
 come  elemento  dirimente  il  solo  fine  di  religione  o  di culto
 dell'associazione. La distinzione fra attivita'  di  religione  e  di
 culto  ed  attivita'  diverse, operata dalla normativa di derivazione
 concordataria e di attuazione delle intese, non avrebbe quindi di per
 se'  alcun  rilievo  ai  fini  della  delimitazione,   agli   effetti
 tributari, di cio' che si intende per attivita' "commerciale". In via
 subordinata  la  difesa  della parte privata osserva che, se le norme
 impugnate si dovessero ritenere  non  applicabili  alle  associazioni
 cattoliche  o  appartenenti alle confessioni con le quali lo Stato ha
 stipulato intese, ugualmente  si  dovrebbe  ritenere  mal  posta  una
 questione  di  costituzionalita'  che,  denunciando la violazione del
 principio  di  eguaglianza,  tende  a  censurare  non  gia' una norma
 speciale  derogatoria  rispetto  alla  disciplina  generale,  ma   al
 contrario una norma generale, posta a raffronto con norme speciali.
    7.  - Nella udienza pubblica la parte privata e l'Avvocatura dello
 Stato hanno ribadito le conclusioni e  sviluppato  le  argomentazioni
 enunciate nelle rispettive memorie.
                        Considerato in diritto
    1. - Il Tribunale di Torino dubita, in riferimento agli artt. 3, 8
 e 53 della Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art 4
 del  d.P.R.  26  ottobre  1972,  n.  633  (Istituzione  e  disciplina
 dell'imposta sul valore aggiunto) e
 dell'art. 20 del d.P.R. 29 settembre  1973,  n.  598  (Istituzione  e
 disciplina dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche). Le due
 disposizioni,  di  analogo tenore letterale, disciplinano l'ambito di
 applicazione,  rispettivamente,  dell'imposta  sul  valore   aggiunto
 (I.V.A.)   e   dell'imposta  sul  reddito  delle  persone  giuridiche
 (I.R.PE.G.), determinando quali cessioni di  beni  e  prestazioni  di
 servizi  si  considerano effettuate nell'esercizio di imprese e quali
 somme versate  dagli  associati  concorrono  a  comporre  il  reddito
 imponibile delle associazioni.
    2.  -  L'eccezione  di  inammissibilita' formulata dall'Avvocatura
 dello Stato non ha fondamento.
    Il Tribunale di Torino ha ritenuto, in  base  ad  una  valutazione
 preliminare  non  sindacabile, di dover fare applicazione delle norme
 la cui legittimita' costituzionale e' posta in dubbio. Non  si  puo',
 in  questa sede, valutare se "Dianetics Institute" sia da qualificare
 associazione religiosa ovvero organizzazione di natura  diversa,  ne'
 si  puo' imporre al giudice del merito una differente sequenza logica
 nell'ordine degli accertamenti necessari per affermare che  ricorrono
 gli  elementi concreti per qualificare, in applicazione dell'astratta
 previsione della legge, una associazione come religiosa  ovvero  come
 organizzazione di natura diversa.
    3.  -  La  illegittimita'  costituzionale  e'  stata  prospettata,
 essenzialmente, sulla base di un duplice assunto:
       a) che le disposizioni  fiscali  prese  in  considerazione  non
 trovino  applicazione per gli enti associativi riferibili alla Chiesa
 cattolica o alle confessioni religiose che hanno stipulato intese, di
 modo che ne deriverebbe una ingiustificata disparita' di trattamento,
 per il maggior favore riservato alle  associazioni  non  riconosciute
 rispetto   alle   confessioni   religiose   che   hanno  disciplinato
 bilateralmente le loro relazioni con lo Stato;
       b) che le disposizioni fiscali in questione si applichino  alle
 associazioni  non  riconosciute  sulla base di una autoqualificazione
 religiosa delle stesse, mentre per le confessioni religiose esiste un
 controllo sullo statuto, in base all'art. 8 della Costituzione.
    4. - L'ordinanza di  rimessione  non  prospetta  alcun  dubbio  in
 ordine  ai criteri della legge di delega (9 ottobre 1971, n. 825), in
 forza della quale le disposizioni denunciate sono state adottate, ne'
 sul corretto rapporto tra le due  fonti,  sicche'  ogni  osservazione
 formulata  al  riguardo dalla Avvocatura dello Stato si colloca fuori
 dal terreno di decisione.
    5. - Per valutare la correttezza o meno della  impostazione  volta
 ad  individuare  nel  trattamento  che  si  assume  diversificato  (e
 deteriore) delle  confessioni  religiose  con  intesa  l'elemento  di
 comparazione  di  una  irragionevole  disparita' di trattamento delle
 associazioni  religiose,  e  per  valutare se non sia verificabile la
 natura religiosa delle  associazioni  che  si  affermano  come  tali,
 determinando   un  ulteriore  profilo  di  irragionevolezza,  occorre
 preliminarmente precisare il contenuto delle  prescrizioni  normative
 prese  in esame, con riferimento tanto alla disciplina fiscale quanto
 a quella di derivazione  bilaterale  adottata  per  regolamentare  le
 relazioni  tra lo Stato e le chiese e confessioni religiose che hanno
 stipulato accordi o intese.
    6. - L'art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 definisce l'"esercizio di
 imprese", i cui atti danno luogo ad  operazioni  imponibili  ai  fini
 dell'I.V.A.,  come  esercizio  per professione abituale, anche se non
 esclusiva, delle attivita' commerciali; considera inoltre  effettuate
 nell'esercizio  di  imprese  le  cessioni di beni e le prestazioni di
 servizi fatte da associazioni  che  hanno  per  oggetto  esclusivo  o
 principale  l'esercizio  di  attivita' commerciali; considera infine,
 per le  altre  associazioni,  effettuate  nell'esercizio  di  imprese
 soltanto  le  cessioni  di  beni  e  le  prestazioni di servizi fatte
 nell'esercizio di attivita' commerciali, comprendendo in tale  ambito
 anche  le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati
 verso il pagamento di un corrispettivo o di uno specifico  contributo
 supplementare.  Fanno  eccezione  a  questa  ultima  regola, restando
 escluse dalla qualificazione di prestazione fatta  nell'esercizio  di
 attivita'  commerciale,  le  cessioni  di  beni  o  le prestazioni di
 servizi "effettuate in conformita' alle  finalita'  istituzionali  da
 associazioni   politiche,   sindacali   e  di  categoria,  religiose,
 assistenziali,  culturali  e  sportive".  Analogo  e'  il   contenuto
 normativo  dell'art. 20 del d.P.R. n. 598 del 1973, che, nel definire
 le componenti positive dell'imponibile degli enti non commerciali  ai
 fini  dell'imposta  sul  reddito delle persone giuridiche, stabilisce
 anzitutto che le quote associative ed i  contributi  degli  associati
 non  concorrono  a  formare il reddito imponibile, ad eccezione delle
 somme corrisposte per specifiche prestazioni rese  nell'esercizio  di
 attivita'   commerciali.   La  stessa  disposizione  considera  fatte
 nell'esercizio di attivita' commerciali anche le cessioni di  beni  e
 le   prestazioni   di  servizi  agli  associati  verso  pagamento  di
 corrispettivi  specifici,  "ad  eccezione  di  quelle  effettuate  in
 conformita'  alle  finalita' istituzionali da associazioni politiche,
 sindacali e  di  categoria,  religiose,  assistenziali,  culturali  e
 sportive".  Sia l'art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 che l'art. 20 del
 d.P.R.  n.  598  del  1973  -  inseriti,  rispettivamente,   tra   le
 "disposizioni  generali"  della  disciplina  dell'imposta  sul valore
 aggiunto e nel contesto delle norme che regolano la  posizione  degli
 "enti  non  commerciali"  quali  soggetti  passivi  dell'imposta  sul
 reddito delle persone giuridiche - enunciano una  disciplina  fiscale
 che  nel  rapporto  tra norme utilizza lo schema della regola e della
 eccezione, ma nell'uno e  nell'altro  caso  dettano  disposizioni  di
 diritto  tributario  comune,  applicabili a tutte le associazioni che
 presentano i requisiti soggettivi previsti dalle norme e  nei  limiti
 oggettivi  delle  attivita' e finalita' dalle stesse precisate, senza
 che sia rilevante l'eventuale rapporto  delle  associazioni  con  gli
 ordinamenti di chiese o di confessioni religiose.
    Neanche   il  diritto  speciale  posto  da  fonti  di  derivazione
 bilaterale, che disciplinano la condizione giuridica  degli  enti  di
 singole   confessioni   religiose,   consente  di  affermare  che  le
 disposizioni  tributarie  in  questione,  nei  limiti  dalle   stesse
 previste,  non  trovano  applicazione  agli  enti  associativi  delle
 confessioni con intesa.
    Nelle leggi adottate sulla base di intese non mancano disposizioni
 che, per il regime fiscale, rinviano espressamente al diritto comune;
 comunque le attivita' diverse da quelle di religione o di  culto  (le
 quali  ultime  rimangono  equiparate  a  quelle  di  beneficenza o di
 istruzione) sono assoggettate al  regime  tributario  previsto  dalle
 leggi  dello  Stato  per  tali  attivita'  (cfr. art. 7, terzo comma,
 dell'Accordo ratificato con legge 25 marzo 1985,  n.  121;  art.  23,
 terzo  comma,  della legge 22 novembre 1988, n. 516; art. 27, secondo
 comma, della legge 8 marzo 1989, n. 101). Infine il diritto  speciale
 non sarebbe, comunque, utile elemento di comparazione.
    Manca,  quindi,  il  presupposto  della diversita' di trattamento,
 ipotizzata come lesiva  delle  disposizioni  costituzionali  indicate
 nell'ordinanza di rimessione.
    7.   -  La  questione  di  legittimita'  costituzionale  e'  stata
 prospettata   anche   sotto   un   altro   profilo,   deducendo    la
 irragionevolezza  della  non  controllabilita' della natura religiosa
 della associazione, sulla base dell'assunto  che  sia  sufficiente  o
 vincolante  la  "autoqualificazione" che l'associazione stessa faccia
 di se medesima:  con  l'effetto  che  risulterebbero  automaticamente
 applicabili  i benefici previsti dalle disposizioni denunciate, senza
 una verifica degli "statuti", prevista per le confessioni religiose.
    La disciplina tributaria dettata dalle disposizioni sospettate  di
 illegittimita' costituzionale, quale risulta anche dagli orientamenti
 della  prassi  amministrativa  e  dalla  interpretazione data ad esse
 dalla giurisprudenza della Corte di  cassazione,  esclude  gli  esiti
 irragionevoli  di  una  incontrollabile autoqualificazione (meramente
 potestativa) delle associazioni, come pure esclude una latitudine  di
 atti  non  assoggettati ad imposta, al di la' dell'ambito della ratio
 esoneratrice.
    L'agevolazione prevista dall'art. 4 del d.P.R. n.  633  del  1972,
 con  una  disposizione  da  interpretare rigorosamente in ragione del
 rapporto di eccezione che la lega ad una  regola  piu'  generale,  e'
 ancorata ad un triplice e concorrente presupposto: che la cessione di
 beni  o  la prestazione di servizi (non assoggettabili ad I.V.A.) sia
 effettuata  da  una  associazione  che  sia  stata  qualificata  come
 religiosa;  che  la  prestazione  sia resa a propri associati; che la
 stessa sia effettuata in  conformita'  alle  finalita'  istituzionali
 dell'associazione.   Analoga   e'  l'articolazione  della  disciplina
 dettata dall'art. 20 del d.P.R. n. 598 del 1973.
    Il primo dei  requisiti  indicati  riguarda  l'ente  che  sarebbe,
 altrimenti,  soggetto  all'imposta.  Come per tutti gli altri tipi di
 associazione  sottoposti  alla  medesima   disciplina   (associazioni
 politiche,  sindacali,  assistenziali,  culturali  o  sportive) manca
 nello stesso testo legislativo una esplicita definizione  di  ciascun
 tipo di associazione. Cio' non significa che non si possa, e anzi non
 si debba, desumere dall'insieme dell'ordinamento il significato della
 locuzione  "associazione  religiosa"  (come  delle  altre  e distinte
 espressioni: associazione  politica,  sindacale,  e  cosi'  via).  La
 qualificazione  dell'ente non e' sottratta alla valutazione della sua
 reale  natura,  secondo i criteri desumibili dall'insieme delle norme
 dell'ordinamento.
    Le associazioni a carattere religioso che  non  siano  gia'  state
 civilmente riconosciute come tali (secondo le regole poste sulla base
 di intese o secondo la disciplina, che ancora sopravvive, della legge
 24   giugno   1929,  n.  1159)  devono  comprovare  la  natura  e  la
 caratteristica religiosa dell'organizzazione, secondo i  criteri  che
 qualificano  nell'ordinamento  dello  Stato  i fini di religione e di
 culto. Cio' dovra' essere  fatto  alla  stregua  della  reale  natura
 dell'ente  e  dell'attivita'  in  concreto  esercitata, non potendosi
 ritenere, in conformita' al principio gia' enunciato dalla Cassazione
 per altri tipi di enti non  commerciali,  che  una  associazione  sia
 arbitra della propria tassabilita'.
    Parimenti  rigorosa  e'  la  delimitazione  normativa  degli altri
 requisiti richiesti perche' la cessione di beni o la  prestazione  di
 servizi non sia assoggettata ad imposta: deve avvenire esclusivamente
 nei  confronti  di  soggetti  pienamente titolari dei diritti e degli
 obblighi derivanti dalla qualita' di associati; deve  essere  inoltre
 effettuata  in  conformita' alle finalita' istituzionali, vale a dire
 alle  finalita'  che  caratterizzano  come  essenzialmente  religiosa
 l'associazione.  La presenza di tutti questi requisiti riguarda tanto
 le associazioni riferibili all'ordinamento di  confessioni  religiose
 con  intese,  quanto le altre associazioni che, indipendentemente dal
 raccordo con ordinamenti  di  confessioni  religiose,  presentino  le
 caratteristiche  previste  dalle  norme  in esame. Neanche la seconda
 prospettazione  della  questione   di   legittimita'   costituzionale
 proposta dal Tribunale di Torino e', pertanto, fondata.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 4 del  d.P.R.  26  ottobre  1972,  n.  633  (Istituzione  e
 disciplina  dell'imposta  sul  valore  aggiunto)  e  dell'art. 20 del
 d.P.R.  29  settembre  1973,  n.  598   (Istituzione   e   disciplina
 dell'imposta  sul  reddito  delle persone giuridiche), in riferimento
 agli art. 3, 8 e 53 della Costituzione, sollevata  dal  Tribunale  di
 Torino con ordinanza emessa il 12 giugno 1991.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 5 novembre 1992.
                       Il Presidente: CORASANITI
                        Il redattore: MIRABELLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 19 novembre1992.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 92C1290